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Autore: Meme06    04/10/2011    5 recensioni
E se Ikuto fosse un vampiro ed Amu una semplice ragazza che però dentro di se nasconde un'indole oscura e sadica? Che cosa succederebbe? Ambientato nel passato. un'altra storia che ha sviluppato la mia mente malata, spero vi piaccia ^ ^
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'The smell of your blood'
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Eiji prese un respiro profondo. Doveva dirlo, adesso.

- Di vostro figlio signore...

La serenità sul viso dell'uomo scomparve come fumo nell'aria. Il suo viso divenne preoccupato e terribilmente triste. L'espressione di chi non vuole credere a ciò che ha appena sentito.

- Eiji… - mormorò il biondo. - mi puoi dire un'altra volta di chi è il corpo?

- Non credo ci sia altro da aggiungere signore. - rispose lui. - Mi dispiace tantissimo.

- Dov'è? - chiese quasi in un sussurro.

Il moro gli indicò la porta.

- Là fuori, dentro il fossato… - gli rispose. - Condoglianze signore.

Disse in fine, ma l'uomo non lo aveva neppure sentito, era come paralizzato. Voleva andare a vedere il corpo del figlio, certo. Ma aveva paura. Dopotutto nessun padre dovrebbe seppellire il proprio figlio, o meglio nessuno lo vorrebbe.

Decisosi uscì di casa e corse verso il fossato. La gente si era moltiplicata rispetto a prima e l'uomo dovette fare lo slalom per passare tra di loro.

Quando arrivò davanti le sue gambe non ressero la scena e crollarono trasportandosi il peso di tutto il corpo che si piegò in terra, distrutto. Lacrime amare di dolore e di rabbia scesero sul volto dell'uomo. I paesani lo guardavano commossi da quella pietosa scena. L'uomo carezzò il volto di quello che una volta era suo figlio. Gli carezzò i capelli. Gli prese la mano e con orrore si accorse che mancavano due dita e che altre erano state rotte.

- Chi è stato a farti questo e perché? - chiese l'uomo a se stesso. Ora era veramente infuriato.

Chi si era permesso di uccidere suo figlio l'avrebbe pagata cara, eccome se l'avrebbe pagata. Gli avrebbe fatto le stesse identiche cose che aveva fatto a lui. Voleva vendetta, solo quella. E quella avrebbe avuto.

Dopo che ebbero portato via il corpo del biondino l'uomo tornò a casa. Eiji era ancora lì, intento a pulire la cucina.

- Signore… - mormorò il giovane, vedeva una luce strana negli occhi dell'uomo.

- Eiji, tu sai chi è stato? - chiese il padrone guardandolo dritto negli occhi.

- No signore. - rispose.

- E non sai nemmeno chi potrebbe dirmelo? - chiese ancora.

Un lampo illuminò la mente di Eiji, certo che conosceva la persona che avrebbe saputo dirglielo. O meglio, credeva di conoscerla. In quei giorni si stava comportando stranamente e probabilmente lei sapeva qualcosa, lo aveva intuito.

- Amu signore, credo proprio che Amu Hinamori glielo potrebbe dire. - rispose.


Amu guardò il ragazzo sbalordita e impaurita al tempo stesso. Perché le aveva chiesto di restare, che cosa aveva in mente?

- P-potresti ripeterlo? - domandò appiattendosi di più al muro.

- Stai calma, non ti voglio mica mordere… - rispose lui. - O meglio vorrei, ma non lo farò stai tranquilla… ti ho chiesto di restare qui.

Odiava quando le diceva tutto con una calma teatrale, come se con lui non ci fosse nulla di cui preoccuparsi.

- Ecco, non lo so… - riuscì solo a rispondere.

- Oh andiamo, basta solo un si, non è difficile come risposta.

- Dai per scontato che io voglia rimanere con te? - gli chiese davvero stupita. - Ti sbagli di grosso se è così…

Lui allora le si avvicinò, poggiò una mano sulla parete dietro di lei e l'altra sul suo fianco.

- Beh… non credo che se rispondessi di no ti lascerei andare così facilmente… - le disse sorridendo sadico.

Amu deglutì. Quel ragazzo scatenava in lei strane emozioni. La paura era in cima alla lista, poi c'era l'attrazione e altre che non sapeva identificare, perché in sua presenza ne cambiava almeno dieci.

Decise allora di seguire le sue emozioni, quello che loro le trasmettevano.

- Va bene resto, ma al primo tentativo di mordermi il collo me ne andrò via di corsa da qui. - doveva essere una minaccia, ma suonò piuttosto strana e non fece il suo effetto.

- Credi che se io ti voglia mordere tu riusciresti a scappare? - le chiese fissandola con i suoi occhi penetranti. Gli erano tornati ametista e ora la guardavano profondamente.

- No, ma ci proverei lo stesso… - gli rispose.

- Amu? - la richiamò lui. - Ora sei tu che devi rispondere ad una mia domanda.

- Quale? - domandò la ragazza con fare sospettoso.

- Che cosa hai fatto quando avevi cinque anni? - chiese il vampiro serio.

Amu sgranò gli occhi. Non si sarebbe mai aspettata questa domanda. Cosa ne sapeva lui di questa storia. Beh, visto che glielo chiedeva non molto, ma era comunque uno shock per lei.

Abbassò lo sguardo fissando il pavimento che sembrava poterla inghiottire da un momento all'altro, tanto era scuro.

- Ecco… - disse la ragazza.

Ikuto le tirò su il viso con due dita, costringendola a guardarlo in viso.

- Amu, voglio la verità…

- Perché? - chiese lei.

- Perché tu sei diversa dalle altre ragazza. La tua anima è per metà nera, cosa che non capita molto spesso a quella degli umani, capita di più ai vampiri…

- Io non sono un vampiro.

- Lo so, ma sei comunque diversa dentro da tutta la razza umana… - le rispose. - Ho fatto delle… per così dire ricerche sul tuo conto e ho scoperto delle cose davvero molto interessanti. Però nessuno mi ha saputo dire che cosa sia successo undici anni fa. E voglio saperlo da te.

Cavoli, era davvero deciso a sapere la verità, voleva a tutti i costi farla parlare. Amu prese un respiro profondo un paio di volte, poi iniziò a parlare.

- Nella mia famiglia eravamo in quattro. Io, babbo, mamma e mio fratello, maggiore di dieci anni, Nik. - iniziò a dire la ragazza. - I miei genitori stavano spesso fuori per motivi di lavoro e a me mi lasciavano con Nik. Lui mi odiava, anche se la cosa era reciproca, se non facevo quello che diceva lui mi picchiava. I miei genitori non mi credevano, lui mi medicava sempre dopo avermi picchiata e faceva credere loro che ero caduta giocando. Poi un giorno…


Mihra e Kazuo erano già partiti lasciando i loro bambini a casa insieme. Si fidavano di Nik, era davvero un bravo ragazzo, secondo loro.

Amu aveva appena salutato i genitori che suo fratello le disse:

- Entra… - le disse.

Lei lo guardò duramente. Non le metteva paura nonostante fosse così violento con lei.

- Voglio restare fuori. - ribatté la bambina.

- Tu fai quello che dico io! - rispose diventando serio. La afferrò per i capelli trascinandola dentro casa e sbattendola sul pavimento.

- Mi hai fatto male! - urlò la piccola cercando di difendersi scalciando, inutile dire che era troppo debole per lui.

Lui rise di gusto.

- Sai qual'è la cosa più bella? Che nessuno dei due ti crede e che io possa sfogarmi sulla mia piccola sorellina… - le disse deridendola. - E non sai quanto mi diverto…

La piccola cercò di trascinarsi via, ma sapendo bene che l'avrebbe ripresa afferrò un pezzo di legno che stava per terra, suo padre era falegname e spesso le lasciava dei legnetti per giocare. Si voltò e glielo tirò in testa facendogli uscire il sangue.

Appena compiuto questo gesto impulsivo si sentì afferrare per le braccia e sbattere contro il muro in legno. Le sembrò di morire nell'esatto momento in cui il muro le colpì la nuca facendole vedere doppio.

Ma non si arrese, voleva fargli di più. Purtroppo non ci riuscì. Il ragazzo l'afferrò per le gambe e la gettò nel divanetto della stanza. Prese una corda lasciata lì vicino.

- Adesso vediamo se ti comporterai di nuovo in questo modo… - le disse prima di sferrarle un colpo con la corda sulla schiena. Continuò a frustarla fino a che non vide il sangue che le sporcava il vestitino lilla. Sorrise, poi la prese in braccio e la portò nella sua camera. Le disinfettò le ferite per poi metterla sotto le coperte. Non sarebbe riuscita a muoversi tanto facilmente. Avrebbe detto ai suoi genitori che si era già addormentata e l'avrebbe passata di nuovo. - Notte sorellina…

Le disse per poi dileguarsi. Amu strinse i pugni, non poteva continuare così, di questo passo l'avrebbe di certo uccisa.

Notte fonda, aveva aspettato a lungo questo momento. Nonostante il dolore riuscì ad alzarsi dal letto e a uscire dalla stanza.

Percorse tutta la casa e uscì fuori, al buio. C'era vento quella sera, un vento freddo ma piacevole. Andò nella stanza di lavoro del padre e prese i fiammiferi. Ne accese uno e lo lanciò verso la casa che piano piano prese fuoco fino a consumarsi del tutto. Sentì le urla di terrore dei genitori, quelle di suo fratello. Sentì persino il suo nome e per un attimo se ne pentì, poi però l'odio prese il sopravvento e senza pensarci di più alzò i tacchi e se ne andò via.


- E questo è quello che ho fatto. - concluse tranquilla, non provava alcun rimorso in proposito. - Per questo non ho paura dei vampiri, non possono farmi quello che mio fratello mi ha fatto per cinque anni di seguito.

- Beh non si può dire che non gliel'hai fatta pagare e devo dire che sei stata brava. - le disse.

- Avrei voluto ucciderlo malmenandolo come lui faceva con me fino a farlo morire dissanguato. - disse la ragazza con la voce imperlata d'odio.

- Sai che mi hai fatto venire fame? - le chiese una volta ascoltata la sua storia. La prese per le spalle e la gettò sulla poltrona. Le si mise sopra bloccandole i polsi allo schienale. La ragazza non aveva neanche reagito, era accaduto tutto così veloce che nemmeno se n'era accorta. Ma non l'avrebbe di certo assecondato.

Nell'intento di liberarsi riuscì a sottrargli la mano fasciata, la ferita in questo modo si riaprì e quando la agitò per tentare di allontanarlo le volarono alcuni schizzi di sangue, alcuni sul viso del ragazzo, altri sul suo, mentre un rivolo di sangue le scendeva giù per il braccio. - Mi voi tentare per forza piccola, ah?

La ragazza non sapeva davvero che cosa fare.

Con una mano il vampiro si pulì il viso e si succhiò le dita, poi si avvicinò al volto della ragazza e le leccò il naso, cove c'era del sangue.

Infine le tirò su il braccio e sempre con la lingua partì da metà braccio e risalì fino al palmo dove la insinuò nella ferita, facendo uscire un gemito di dolore dalle labbra di Amu. Si fermò e la guardò in viso con il labbro ancora sporco di sangue. Amu gli pulì il sangue con il pollice e se lo portò alle labbra.

Quella ragazza lo avrebbe fatto impazzire, non c'era altra soluzione.

- Che c'è? Il sangue è mio… - gli disse la ragazza notando il modo in cui la guardava.

- Nulla ma… - le rispose avvicinandosi al suo volto. - Sii generosa con me…

La ragazza per la paura si coprì il collo all'istante. Le sue labbra erano ancora sporche del sangue che aveva leccato.

- Eh no te lo scordi pr… - non finì alla frase per il fatto che la bocca del ragazzo bloccò il suo parlare, leccandole di gusto le labbra e costringendola a schiuderle. La bocca della ragazza sapeva di sangue, cielo che buon sapore, ora che ci pensava era la prima umana che gli capitava di tenere in vita per così tanto tempo.

Strana cosa il sangue, cosa misteriosa i legami che esso creava. Ti faceva sentire parte del tutto, parte di tutti gli esseri, di qualcosa di più grande.

Quando si staccarono Amu aveva uno sguardo indecifrabile dipinto sul volto. Era sorpresa di questo, era certo, ma era anche felice in un certo senso. Si toccò le labbra incerta, come se avesse paura che non fosse successo realmente.

Non riusciva a dire nulla.

- Ha davvero un sapore delizioso il tuo sangue… - le disse passandosi la lingua fra le labbra.

Non seppe perché, ma sorrise. Lo guardò negli occhi ametista e sorrise. Da quanto non lo faceva con sincerità? Undici anni. I suoi sorrisi erano sempre dovuti alle occasioni, non aveva mai 'davvero' sorriso.

- Che hai da sorridere? - le chiese il ragazzo con faccia stranita.

- N-niente. - colta in flagrante. Nessuno l'aveva mai vista sorridere così, lui era la prima persona. Se persona si può chiamare. Un brontolio di pancia riuscì a distogliere l'attenzione del vampiro sul suo volto, portandola sulla sua pancia.

- Hai fame? - le chiese ridendo.

- Un po'… - rispose la ragazza rossa in viso per l'imbarazzo.

- Non ho idea di cosa darti da mangiare… - le disse per poi avviarsi verso una credenza dove teneva le cose per il 'cibo'. - Vediamo, avevo mangiato qualcosa negli ultimi tempi… ah si! Vediamo ho biscotti… biscotti… e per cambiare biscotti.

Si voltò verso la ragazza per attendere una sua risposta.

- Per me va bene, ma davvero tu mangi i biscotti? - chiese stupita la rosa.

- Biscotti ai mirtilli e sangue hanno un sapore delizioso. - le rispose leccandosi le labbra. Amu fece una smorfia di disgusto.

- Se lo dici tu… - disse solo.

- E ho anche ragione a dirlo, è vero. - rispose lui. - Senti, perché non la prepari tu la cena?

Le chiese con un sorrisetto poco rassicurante.

- Che intendi dire? - gli chiese.

- Beh li conosci i miei gusti… - rispose a sua volta il ragazzo, poi scoppiò a ridere vedendo in viso l'espressione della ragazza. - Dai che scherzo… vado a cena, vieni?

Le domandò, ma senza aspettare la sua risposta la tirò su di peso e uscì con lei che ormai ci era quasi abituata e se ne stava buona con il mento poggiato sul palmo della mano destra.

Quando arrivarono al paesino la lasciò andare dicendole di restare nel più assoluto silenzio. Amu obbedì, era troppo curiosa di vedere tutto per disobbedire al vampiro.

Gli occhi di Ikuto divennero ghiaccio non appena si posarono su un bambino che stava tornando a casa.

- Bene… - mormorò il ragazzo per poi partire all'attacco. Si avvinco al piccolo. - Ti sei perso?

Gli chiese. Il bambino si volse a guardarlo. Avrà avuto circa otto anni. Il venticello serale gli scompigliava i capelli nocciola, mentre gli occhioni marroni scrutavano dal basso verso l'alto il ragazzo di fronte, molto più alto di lui.

Scosse la testa in risposta alla domanda postagli dal vampiro.

- Come ti chiami? - chiese ancora Ikuto.

- Joan… - rispose il bambino soffiando su un ciuffo di capelli che continuava ad andargli davanti al viso.

- Joan, devi tornare a casa? - domandò ancora il ragazzo abbassandosi all'altezza del piccolo.

Il piccolo annuì. Ikuto gli sorrise e lo prese per la manina.

- Coraggio, ti accompagno! - gli disse.

Il viso del bambino si illuminò in un sorriso. Percorsero un tratto di strada insieme, almeno fino a che non vide il bambino più calmo.

A quel punto lo afferrò per la maglia e lo sbatté forte sul muro di una casa, facendolo crollare a terra già morto. La testolina era delicata e facendogliela sbattere era uscito subito del sangue. Ne succhiò un po' da lì, poi lo morse sul collo e finì il suo pasto nel modo classico del vampiro che uccide le sue vittime succhiando loro il sangue.

Il corpo del bambino venne gettato malamente a terra. Ikuto si pulì le labbra leccandosele di gusto. Certo che dopo aver assaggiato quello di Amu non c'è quasi gusto a fare cena… pensò il vampiro mentre raggiungeva la ragazza che non mostrava nessuna emozione per la scena appena vista, era impassibile.

- Era buono? - gli chiese d'un tratto la rosa.

- Abbastanza, il tuo è meglio… - le fece fissandole il collo. - Se solo…

- No. - rispose secca la ragazza incrociando le braccia al petto.

- Uff… era solo per gradire. - ribatté lui per poi avvicinarsi con le labbra all'orecchio della ragazza. - Prima o poi sarai tu a chiedermi di bere il tuo sangue…

Le sussurrò facendola fremere.

- Devo ancora capire dove le tiri fuori certe idee. - disse la ragazza.

Ikuto fece una risatina per poi tornare ritto e incamminarsi, con dietro Amu, verso la sua dimora.

- E io quando mangio? - chiese la ragazza appena entrati. La pancia non faceva altro che brontolare.

- Anche adesso, tanto io mi devo fare un bagno… - rispose il ragazzo.

- Tu ti lavi? - chiese sempre più sorpresa la rosa.

- Grazie, certo che mi lavo! - rispose quasi offeso Ikuto, per poi entrare nella porta scusa.

- Scusa… - mormorò la ragazza, ma poco dopo si mise a ridere.

Prese dalla credenza qualche biscotto e provò a mangiarlo.

- Sono ammuffiti… - mormorò la ragazza mentre li rimetteva a posto. - E adesso?

Si guardò intorno, ma il ragazzo probabilmente aveva solo quelli. Pazienza, dopo tutto era stata lei a voler accettare di rimanere.

In quel momento la domanda, 'che cavolo ho fatto' ci stava a pennello, ma gliene sorse un'altra in testa. Perché mi ha chiesto di restare? si domandò. Poteva sapere la verità sul suo conto senza farla rimanere lì. Qualcosa non quadrava. Non che non le piacesse restare in sua compagnia, ma la sua domanda meritava una risposta e l'avrebbe avuta.

  
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