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Autore: Kumiho    05/10/2011    3 recensioni
Per un attimo, guardandolo sorridere, nella mente di Gokudera si ripresentò l'immagine dell'insolita espressione di Yamamoto di qualche minuto prima e realizzò che forse quella era stata l'unica vota in cui aveva visto per più di cinque secondi il volto del compagno di classe senza un enorme sorriso a trentadue denti stampato sopra.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ritmo e la fedeltà


Quella mattina, Gokudera, non si svegliò con la solita euforia travestita da indifferenza che ogni giorno lo accompagnava nella piccola routine quotidiana che precedeva l'inizio delle lezioni.

Non si lavò la faccia in fretta e furia con l'intento di svegliarsi per bene, non ingurgitò l'enorme bicchiere di spremuta né spazzolò i suoi cereali, ripetendosi che la colazione era il pasto più importante per un buon rendimento delle proprie capacità, probabilmente non ci pensò neanche.

Quella mattina si sfregò semplicemente gli occhi assonnati con le mani bagnate, mentre barcollante si avviava in cucina, afferrò un toast della cena precedente e, indossando la divisa stropicciata, si caricò con un tonfo la tracolla sulle spalle e si avviò fuori di casa sbattendo la porta.


Agli occhi di molti un atteggiamento del genere sarebbe potuto apparire normale, se il soggetto in questione è un adolescente che vive da solo. Ma Gokudera, sebbene non fosse certo un modello di comportamento, seguiva determinate regole e uno stile di vita salutare che, a quanto molti ostinatamente sostenevano tanto che aveva finito per crederci anche lui, migliorava le prestazioni in qualsiasi campo. E lui ne aveva bisogno. Enormemente. Un bravo braccio destro deve essere sempre pronto a rispettare certe aspettative.


Quel giorno però, Gokudera, non avrebbe dovuto soddisfare le aspettative di nessuno, dato che appena la sera prima Decimo lo aveva avvisato che non sarebbe venuto a scuola. Non aveva mancato certo di offrirsi per sostenerlo durante il breve congedo, la conseguenza di un maledetto mal di testa, ma Decimo, da ottimo boss quale era, aveva insistito con tono insolitamente preoccupato affinché Gokudera adempiesse a quelli che, comunque o almeno per il momento, restavano i suoi doveri.


Gokudera infondo sapeva che avrebbe dovuto affrontare l'indomani come se Decimo fosse stato là. Ma già dalla realizzazione dell'assenza del proprio boss il tedio e la pigrizia si erano impossessati di lui come un morbo che, evidentemente, pensò fissando il suo sguardo da detenuto sofferente d'insonnia nel riflesso di una vetrina, lo attanagliava tutt'ora. Si sarebbe limitato ad obbedire al semplice ordine di recarsi a scuola e compiere il proprio dovere, esattamente come aveva detto Decimo.


Si era sforzato, si era davvero sforzato di trovare i lati positivi di quella faccenda, ma fin dal momento in cui il suo cervello aveva recepito l'idea di una giornata da trascorrere senza vedere Decimo, conseguentemente tutto il resto del corpo aveva come rallentato ogni singola funzione vitale. Perfino l'idea della sua adorata sigaretta delle 22:00 lo aveva nauseato. Probabilmente un intera giornata da trascorrere senza poter godere a pieno di ogni sensazione che la figura di Decimo di fianco alla propria gli trasmetteva, doveva essere troppo anche per lui. Un intero giorno senza il sorriso gentile di Decimo, senza il suo tono comprensivo e la sua figura vacillante ma onesta gli sembrarono una tortura insopportabile.


Solo nei pochi minuti prima di addormentarsi una strana, sebben minima, energia lo aveva pervaso. Ciò che più propriamente una persona comune definirebbe senso del dovere, di cui Gokudera era stracolmo... ma che nelle ultime tre ore precedenti la telefonata di Decimo lo aveva abbandonato costringendolo ad un muto silenzio, costruito di angoscia e disappunto, facendolo sprofondare nello scomodo divano del piccolo salottino di casa sua.


Anche quella mattina ovviamente il suo “senso del dovere” parve essere scomparso improvvisamente, ma cercò di non pensarci, immaginando di costruirsene uno fittizio per situazioni estreme come quella, un senso del dovere più infrangibile del normale, per quando la tenacia ed il desiderio di proteggere Decimo non lo accompagnavano... una fedeltà provvisoria giurata momentaneamente ad un boss temporaneo, che sarebbe ovviamente scomparso senza rimpianti al ritorno di quello autentico. Dopotutto, Decimo, non lo avrebbe mai saputo.


Ovviamente non aveva calcolato i vari imprevisti e fastidi che avrebbe trovato ad attenderlo, già acquattati lungo gli angoli degli stretti vicoli che lo avrebbero condotto alla scuola media Namimori. Se ci avesse pensato, o quanto meno ne avesse avuto la forza, probabilmente si sarebbe dato malato anche lui, dopotutto se il proprio boss non è presente, per proteggere chi ci si reca nel luogo in cui lo si deve proteggere?!


Appena ne scorse la schiena, quella maledetta schiena, si pentì d'aver messo il piede fuori di casa.

Il tizio che lo precedeva fischiettando era contraddistinto da un'aura di fastidiosa allegria che Gokudera poche volte aveva visto pervadere qualcuno con cosi' tanta tenacia. Anche quello dopotutto faceva parte della routine quotidiana, ogni mattina Gokudera si recava a casa di Decimo e poi, insieme, si avviavano verso scuola e, puntualmente, proprio nei pochi metri di strada che Gokudera si accorse di star percorrendo incontravano lui: Yamamoto.


Effettivamente, se solo fosse stato più presente, o più sveglio, Gokudera avrebbe semplicemente potuto cambiare strada... ma sia per la stanchezza, sia per la delusione di una giornata senza Decimo ancora da smaltire, aveva pensato ad altro e, più per abitudine che per altro, le sue gambe lo avevano condotto lungo il percorso di ogni giorno.


Inizialmente pensò che seguirlo, a debita distanza sperando di non essere notato, sarebbe bastato ad evitargli almeno una stupida conversazione tenuta su dalle stupidaggini uscenti dalla sua bocca e dalle mono sillabe e gli insulti uscenti dalla propria che, sapeva, non avere la forza di pronunciare. Poi però, resosi conto dell'effettiva lentezza del passo di Yamamoto, che quel giorno non aveva bisogno di adattarsi a quello di nessuno, più per rassegnazione che per effettivo orgoglio, Gokudera giustificò la sua improvvisa decisione di superarlo ripetendosi che quell'idiota non valeva tanta fatica. Magari non lo avrebbe semplicemente visto, o forse, non lo avrebbe chiamato, dopotutto doveva certamente essersi accorto dell'antipatia che Gokudera provava nei suoi confronti! Chi non se ne sarebbe accorto!


Gokudera realizzò d'aver seriamente sopravvalutato i neuroni di Yamamoto quando, appena superato anche se a debita distanza, si sentì chiamare dalla sua voce già così fastidiosamente allegra fin da quell'ora del mattino.


- Gokudera!... Ehy! Gokudera...-


Gokudera aumento' il passo sperando con ogni fibra del suo essere di smettere di sentire la voce di Yamamoto alle spalle che, imperterrita, continuava a chiamarlo. Poté addirittura avvertire il proprio respiro smorzato dal proprio incedere frettoloso, tanto era l'impegno che sembrava deciso ad impiegare in quella difficoltosa attività. Al contrario di quello che sperava, dopo una prima e breve gioia nella quale si beò dei soli rumori del mattino cittadino, illudendosi di essere finalmente riuscito a seminarlo... una mano poggiatosi energeticamente sulla sua spalla lo costrinse a voltarsi sobbalzando.


- Non sentivi che ti chiamavo?- Sorrise Yamamoto


Ma come si poteva essere tanto ingenui? Possibile che esistessero persone così fiduciose in ogni loro simile da non volersi permettere il beneficio del dubbio? Se esistevano, secondo Gokudera, queste persone potevano dividersi solo in due categorie: i santi e gli idioti. Gokudera non era certo un tipo imprudente e valutava con attenzione chiunque gli si avvicinasse, specie se conseguentemente si avvicinavano al Decimo, ed in base a questo suo geniale intuito aveva, a priori, potuto escludere Takeshi Yamamoto dalla prima cerchia. Non perché non fosse un “bravo ragazzo” o avesse fatto o compiuto azioni disoneste o al danno di altri... semplicemente perché gli dava i nervi e, ovviamente sempre secondi il suo modesto parere, non si poteva essere che degli idioti se si dava i nervi a Gokudera... un fatto che, anche se seguitava ad ignorare questo particolare, includeva una buona percentuale della popolazione mondiale.

- Certo che ti ho sentito- Rispose acido scostandosi malamente la mano di Yamamoto dalla spalla – ho finto di non sentirti perché non ti volevo vedere... almeno per oggi!- Sbottò infine seguitando a camminare.


Ogni persona classificata come sana di mente dopo essere stata informata direttamente e senza mezzi termini di un fatto, già abbastanza chiaro di per sé, ma stavolta innegabile ed evidente avrebbe come minimo alzato i tacchi, risposto per le rime, iniziato una rissa, messosi a piangere, tirato un pugno, un libro, un sasso, sbattuto i piedi a terra dallo sdegno, fatto boccacce e forse addirittura premeditato il tuo omicidio... insomma qualsiasi reazione attribuita a un disagio... Takeshi Yamamoto sorrise e disse:


- Sempre a scherzare tu, eh?- E, continuando a sorridere, raggiunse Gokudera ormai pochi metri più avanti.







L'unico fatto positivo in quella giornata era stato, forse, il fatto di potersi sedere in prima fila, lontano da Yamamoto. Fingere di stare attento alla lezione lo avrebbe sicuramente distratto per un tempo sufficiente a non costringerlo a pensare a come evitarlo e conseguentemente irritarlo ancora di più. O forse avrebbe più semplicemente pensato al modo più appropriato di accogliere nuovamente il Decimo!


Gokudera si alzò, come tutti gli altri studenti della classe, sebbene con aria dichiaratamente più scocciata, accogliendo il professore di chimica appena entrato in aula, che dopo un veloce appello, fatto che lo costrinse a rimeditare sul proprio disagio alla muta risposta al cognome “Sawada”, afferrò un gessetto e velocemente cominciò la lezione sciorinando lunghi nomi di composti chimici. L'attenzione di Gokudera, prima vacillò per qualche istante, poi si assentò del tutto. In fondo non aveva alcun problema per quel che riguardava gli studi... i suoi voti erano i più alti della classe, tanto che poteva perfino permettersi di dare ripetizioni al Decimo che, ovviamente, non gli era inferiore in quanto intelligenza, ma aveva costanti problemi d'attenzione.


Gokudera ebbe a disposizione ogni singolo minuto antecedente la ricreazione per riflettere adeguatamente a come spendere i minuti che l'avrebbero preceduta, realizzata l'ansia della sua attesa non poté fare a meno di sentirsi un po' umiliato sentendosi, di conseguenza, uniformato nei suoi desideri a quelli di ogni singolo studente di quella classe. Non poteva permettersi certo di essere paragonato ad un normale studente, dopotutto! Lui era destinato a diventare il braccio destro del decimo boss della famiglia Vongola! Certe massificazioni non gli erano sicuramente consentite! L'unica cosa a cui doveva prestare attenzione in quel momento era seguire la lezione e proseguire la sua normale attività quotidiana come gli aveva semplicemente richiesto Decimo!


Quando, infine, la campanella della scuola seguita dal brusio della classe, segnò l'inizio della tanto agognata ricreazione, Gokudera non riuscì a far altro che provare una cocente delusione e amarezza nel notare i numerosi scarabocchi contornati da ancor più numerosi aeroplanini di diverse dimensioni adornanti il suo banco ed il suo quaderno degli appunti.



- Ehy, Gokudera!... vuoi venire a pranzare con noi?- Il tono tanto gioviale quanto temuto di Yamamoto lo raggiunse prima ancora che potesse alzarsi dal banco e rifuggire il chiasso insopportabile della propria classe, in qualche angolo della scuola dimenticato da tutti.


Ovviamente senza dare risposta, Gokudera afferrò il pacchetto delle sigarette nascosto nella tasca interna della tracolla e uscì dall'aula senza voltarsi indietro. Camminò lungo il corridoio con passo lento, lanciando pigre occhiate fuori dalla fila di finestre a nastro che davano sul cortile, poi, imboccate le scale, si avviò sul tetto sella scuola dove, forse, sarebbe potuto stare un po' in pace.


Mentre saliva i gradini ignorando con uno sbuffo il titubante richiamo del rappresentante della classe più vicina a quella rampa di scale, pregò, fatto insolito per lui dato che si vantava d'essere uno che non aveva bisogno di chiedere mai, di non incrociare nessun cretino del baseball, nessun marmocchio urlante, nessuna ragazzina ansiosa di dichiararglisi e nessun capo del comitato disciplinare ringhiante strane e quantomeno discutibili minacce.


Per un po' sentì il bisogno di crogiolarsi nella sua malinconia e meditare del suo disagio, la cui enorme e disarmante potenza lo aveva stupito non poco. Non che avesse mai pensato che una vita senza Decimo al suo fianco sarebbe stata piacevole o almeno sopportabile, ma l'angoscia e il malessere scaturiti solo da quelle poche ore prive della sua compagnia lo avevano disarmato.


Sentiva il bisogno di immergersi nei pensieri egoistici che ogni tanto lo coglievano impreparato prima che le palpebre si facessero troppo pesanti la sera tardi, o quando si voltava distrattamente e lo guardava tentare di svolgere un compito di dubbia difficoltà nel banco dietro al suo, lasciarsi avvolgere dal senso di possesso che gli nasceva nelle viscere e gli attanagliava la gola quando lo vedeva solo conversare con qualcuno, o della felicità e dell'emozione di quando lo sfiorava ed avvertiva la consistenza della sua pelle per proteggerlo o solo per chiarirgli un'equazione di terzo grado.


Dell'assoluta sicurezza di aver fatto la scelta giusta nell'avergli consacrato la propria esistenza, perché niente gli dava più pace del suo sorriso e delle sue parole gentili, così come nulla lo corrodeva più della consapevolezza di non poter fare altro che accontentarsi di quei momenti, di non poter placare la sua sete infinita se non con quelle stille di preziosa e terapeutica felicità che gli donava l'averlo semplicemente vicino.


Di questo sentì il bisogno mentre varcava, spingendo piano, la porta che dava sul tetto ed i raggi del sole lo costrinsero per un attimo a socchiudere gli occhi chiari, e di questo continuò a sentire il bisogno mentre poggiava la schiena alla rete di sicurezza e la bocca gli si riempiva dell'aspro sapore del tabacco a stomaco vuoto; come sapeva che quel bisogno l'avrebbe avvertito ogni sera prima di addormentarsi ed ogni mattina appena aperti gli occhi, giorno dopo giorno, ancora e ancora e ancora...




- Gokudera, immaginavo fossi qui...!-


Sperando di averla solo immaginata, Gokudera aprì gli occhi per accertarsi a tutti gli effetti dei brutti tiri che poteva giocargli il suo cervello e maledicendo la sua maledetta scaramanzia imprecò sottovoce, vedendo Yamamoto dirigersi sorridente verso di lui.


-...che cazzo vuoi?- Domandò a denti stretti facendo appello ad ogni grammo della sua (non molta) tolleranza ed imponendosi di rimanere seduto.


Yamamoto sorrise inginocchiandosi al suo fianco e, tirando fuori una merendina da dietro la schiena con fare stupidamente infantile, gliela porse continuando a sorridergli.


-Ho visto che non ti sei portato niente da mangiare e così....-


Gokudera fissò incredulo lo snack che Yamamoto gli stava porgendo per almeno un minuto per poi concludere con un:


- eh...!?-


Yamamoto sghignazzò offrendoglielo con più insistenza finché le sue mani più per automatismo che per altro lo presero dalle sue. Il ragazzo sorrise con aria ancor più stupidamente soddisfatta e gli si sedette di fianco, lasciandosi andare anche lui contro la rete che gemette lievemente in uno stridio di metallo.


-...ti avrei offerto un po' del mio bento ma... avevo davvero fame e quindi...- Si giustificò passandosi una mano tra i capelli, accarezzandosi la nuca.


Indeciso se essergli riconoscente o liquidarlo con una rispostaccia, come faceva sempre, Gokudera continuò a fissare la merendina per poi spostare lo sguardo su Yamamoto per alcuni minuti, in attesa che la sua bocca si dischiudesse per far uscire qualcosa di sensato.


- Non mi piacciono i dolci...- Sbottò improvvisamente porgendogli di nuovo la barretta -...ed in ogni caso non voglio la tua pietà!- Concluse acido in uno sbuffo di fumo che gli sgorgò dalle labbra.


Yamamoto lo fissò stupito per un attimo


-...non è vero, tu li mangi i dolci!- Replicò lui fissandolo con aria stupita. Il tono con cui lo disse, non sembrò né offeso né tanto meno incredulo... a Gokudera parve solamente simile a quello di un adulto che sta parlando con un bambino per ricordargli i suoi obblighi e le sue priorità. E questo lo indispose ancora di più.


- No invece!- Gli urlò contro scostandosi dalla rete che cigolò di nuovo, ed agitandogli nuovamente la barretta sotto al naso con gesto di stizza, si rese conto di aver risposto in modo talmente infantile da fargli sembrare quella scena ancor più patetica e ridicola.


Yamamoto continuò a fissarlo, con un'aria tra lo sconsolato ed il rammaricato, ma notando l'ostinazione che dimostrava nel non volersi riprendere la barretta, Gokudera si alzò in piedi con aria irritata ed, infine, gliela gettò in grembo.


- Non sei mica la mia balia...pretendi pure di sapere cosa mi piace e cosa non mi piace!? - Borbottò poi, iniziando al allontanarsi.


- Quando eri con Tsuna li mangiavi i dolci...-


Gokudera, a quelle parole, smise di camminare, avvertendo una leggera ma pungente morsa alla bocca dello stomaco, poi lentamente si portò una mano alle labbra, stringendo la sigaretta, o quel poco che ne rimaneva, tra le dita per poi gettarla oltre la rete di sicurezza costeggiante il tetto.


- Con Decimo è diverso...- Mormorò piano in risposta, procedendo nuovamente verso la rampa di scale che lo avrebbe ricondotto all'ultimo piano.


In quel momento avvertì talmente terrificante l'idea di voltarsi e leggere nel volto di Yamamoto la più piccola traccia di comprensione, intuizione o realizzazione improvvisa che si sentì pietrificato; tutti i movimenti del suo corpo gli parvero d'un tratto irrealizzabili ed ebbe la sensazione di rischiare di accasciarsi da un momento all'altro.


Anche quando ormai giunto alla porta del tetto, seguitò a non avvertire il minimo movimento, la benché minima presenza del compagno di classe alle spalle, la sua preoccupazione e la paura folle di averlo aiutato a comprendere ciò che aveva sempre tentato di camuffare, seppur alla bell'e meglio, lo investirono come un treno in corsa.


- Ehy...- Lo chiamò infine col tono di chi, preoccupato dalla piega che ha preso un discorso, tenta di sviare l'attenzione di chi ne sta parlando – rientriamo, la pausa pranzo sta per finire...-


Il silenzio fu la sua risposta ed il sangue gli si gelò nelle vene, non lo sapeva, non poteva saperlo ma giurò di essere diventato bianco come un lenzuolo.


Finché, finalmente, proprio prima di voltarsi. Udì il cigolio della rete metallica ed i passi sempre più vicini di Yamamoto, sobbalzò, perfino, quando lui gli posò una mano sulla spalla.


- Hai ragione...- Disse l'altro con tono allegro.


A quanto sembrava, aveva nuovamente sopravvalutato l'intelligenza nonché l'intuizione di Yamamoto. Rassicurato da questo pensiero per Gokudera fu come riprendere a respirare. Finché voltandosi per un attimo, nello scendere la rampa di scale, non scorse il volto di Yamamoto...su cui si dipingeva la stessa espressione terribilmente seria che ricordava di avergli visto per la prima volta, solo quel torrido pomeriggio di pochi giorni addietro.







Lo schiamazzo che riempiva il cortile era quasi peggiore di quello della ricreazione...

Lo scricchiolio della ghiaia sotto le ruote delle biciclette, ormai sempre più numerose, che gli passavano accanto sovrastava, d'altro canto ed almeno per il momento, lo squittio di alcune ragazze alle sue spalle.


- Ci vediamo domani, Gokudera!-


-...Sei stato bravissimo all'interrogazione di oggi, Gokudera!-


- Vorresti fare la strada di casa con me, Gokudera?-


Se non si fosse sbrigato a tornare a casa in fretta e telefonare a Decimo per sentire finalmente la sua voce, quella giornata sarebbe probabilmente stata classificata al più presto come tra le peggiori della sua vita. Oltre ad essere stata terribilmente noiosa ed improduttiva, l'aveva trascorsa quasi costantemente in compagnia dello scemo del baseball ed aveva, inoltre, rischiato di metterlo a conoscenza di quello che una persona come lui non avrebbe mai dovuto sapere!


Eppure... l'espressione seria che gli sembrava d'avergli visto impressa sul volto continuava ad ossessionarlo, ormai, dalla fine della lezione...ma non era possibile che, scemo com'era, avesse capito qualcosa...


Aumentò il passo, nel tentativo di rendere quegli insistenti cinguettii ancora più inudibili di quanto avessero già cominciato ad essere. Ma il fatto di essersi allontanato dai mucchi di studenti ansiosi di tornare a casa, dalle ragazzine frivole e dagli insegnanti smaniosi di fare il loro lavoro anche quando questo non prevedeva uno stipendio, non lo fece sentire meglio come sperava. L'espressione seria di Yamamoto era sempre lì, davanti ai suoi occhi ed il silenzio angosciante che aveva seguito quella sua stupida ed inopportuna confessione continuava a rimbombargli imperterrito nelle orecchie.


Solo quando avvertì una presa strattonarlo gentilmente per l'orlo della giacca della divisa, l'angoscia ed il timore lasciarono spazio all'irritazione e alla collera dettate dallo sfinimento e dal nervosismo che sembrarono pervaderlo per ogni dove come una scossa elettrica.


- No! Non me ne frega niente di riaccompagnarti a casa...!- Ringhiò voltandosi; scattando come un pupazzo a molla di una finta tabacchiera.


- Non sei molto gentile...- Sorrise mestamente Yamamoto alzando le mani in segno di resa ed allontanandosi di un passo.


Col senno di poi, Gokudera si sarebbe probabilmente voltato e sarebbe corso via a gambe levate, imprecando e urlando come un pazzo in preda ad una crisi isterica, che d'altro canto, era una delle descrizioni che meglio lo identificavano quando litigava...o meglio, imprecava da solo contro Yamamoto che, dal canto suo, si limitava a sorridergli tentando di calmarlo. Ma forse per lo sfinimento, forse per la voglia di sfogarsi con qualcuno lo squadrò con fare prepotente per poi afferrargli il bavero della camicia e strattonargli il viso all'altezza del suo.


-...sentimi bene, cretino del baseball, oggi ho avuto le più possibili rotture di palle di cui tu, per altro, sei una delle maggiori cause, pertanto ti suggerisco di voltarti e tornartene a casa!- Sibilò a denti stretti a poco più di qualche centimetro dal volto tristemente sorridente di Yamamoto.


- Secondo me sei così nervoso perché non mangi abbastanza – Disse poi lui, liberandosi gentilmente dalla sua presa – Se vuoi puoi passare da me e pranzare col sushi di mio padre, a lui fa sempre piacere che i miei amici vengano nel suo negozio!-


-...io non sono tuo amico!- Ringhiò Gokudera voltandosi e proseguendo a camminare velocemente.

Yamamoto lo osservò per un attimo, per poi seguirlo a passo svelto verso la strada verso casa sua.


Chiunque li avesse visti passeggiare a quel modo, probabilmente, li avrebbe definiti come una qualunque coppia di amici che tornavano a casa dopo la scuola. Ma si sarebbero senza dubbio scoperti in torto al solo sentire uno qualunque degli appellativi con cui Gokudera si riferiva a Yamamoto.


Lui, d'altra parte, non aveva mai pensato che Yamamoto fosse suo amico. Questa idea non lo aveva neanche sfiorato per un secondo. Non lo poteva soffrire, lo irritava qualsiasi cosa dicesse, era sempre inutilmente sorridente e di buon umore e sembrava trovare qualsiasi sua azione o frase talmente divertente da accoglierla e rispondervi sempre con stupida frenesia, perfino le offese sembravano non nuocerlo nè infastidirlo. Il fatto che lui fosse un suo compagno, non lo rendeva certo suo amico. Per quel che riguardava il fatto “che cosa fosse lui per Yamamoto” non lo sapeva e non gliene fregava niente.


Ma in quel momento era probabilmente troppo stanco ed esausto per ricordargli ancora una volta quanto lo ritenesse stupido e noioso. Si limitò a camminare col suo solito passo svelto, fingendo di ignorarlo, mentre l'altro si limitava a camminargli di fianco, con le mani infantilmente incrociate dietro la nuca, sorridente.


- Non ho mai visto dove vivi, sai?- Disse dopo pochi minuti, infrangendo in mille pezzi la flebile speranza che Gokudera riponeva nel fatto che il fastidioso chiocciare delle sue compagne di classe sarebbe stato l'ultimo rumore fastidioso della giornata.


- Non vorrai certo cominciare oggi...- Borbottò Gokudera biascicando ogni parola come se, ogni singola lettera che pronunciava, gli costasse dieci anni di vita. In quel momento sentì l'estremo bisogno di una sigaretta; afferrò la tracolla e tirò fuori il pacchetto stropicciato.


Aspirò, covando l'improvviso, folle desiderio in un errore della fabbrica che l'aveva prodotta: magari una quantità eccessiva di tabacco gli avrebbe ottenebrato i sensi il tempo necessario per nascondere il suo cervello alla ridicola conversazione che di lì a poco Yamamoto avrebbe intavolato pensandola interessante.


- Sbaglio o oggi sei più irritabile del solito?- Chiese Yamamoto in tono allegro, socchiudendo gli occhi in uno dei suoi soliti sorrisi.


-... allora non sei così stupido come pensavo!- Rispose Gokudera con un tono enfatico talmente falso che, per un attimo, temette di strozzarsi con il proprio respiro.


- E' perché non c'è Tsuna che sei così arrabbiato?- Chiese infine l'altro dopo pochi secondi di silenzio.


Il sapore che gli riempì la bocca in quel momento gli sembrò così simile a veleno che per un attimo quasi ci credette ad un errore della fabbrica di sigarette. Gli sembrò che il fumo avesse preso forma solida all'interno del suo esofago: la forma di un milione di piccoli aghi roventi che gli ustionarono la lingua e la gola.


Pregò di riuscire a viaggiare nel tempo in un luogo qualsiasi, purché il più lontano possibile da lì, mentre il pacchetto di sigarette gli cadde di mano e i suoi piedi divennero troppo pesanti per muoversi di nuovo.


Era così, dunque... l'aveva capito sul serio.


- Gokudera...- Yamamoto lo chiamò piano, in maniera quasi impercettibile, mentre rallentava per poi fermarsi a guardarlo.


Gokudera continuò a fissare il pacchetto di sigarette caduto a terra, perdendosi oltre il colore bianco della confezione che sembrò improvvisamente mischiarsi all'asfalto in un mix di contorni e tinte. Il nodo alla stomaco si trasformò in terrore liquido che gli cosparse ogni arto del corpo.


La mano che lo scosse pochi secondi più tardi lo fece sobbalzare come se fosse stato fulminato.


- Stai bene?- Gli chiese il volto di Yamamoto improvvisamente troppo vicino, tanto che Gokudera sobbalzò nuovamente costringendosi ad un passo indietro.


- Perché mi hai fatto quella domanda?- Chiese senza pensare


- ...Che...?- Chiese Yamamoto con aria incredula


- Rispondimi!- Sbottò Gokudera


Yamamoto lo fissò silente per alcuni secondi e per la terza volta, quella settimana, il suo viso non accennò alcun segno di serenità.


- Perché...tu e Tsuna andate d'accordo e oggi che non c'è mi sei sembrato...provato, tutto qui. -


Gokudera lo fissò in silenzio, mentre avvertì la stretta allo stomaco farsi meno insopportabile.


-...noi...andiamo d'accordo...- Ripeté mormorando le parole di Yamamoto, come a voler soppesarne ogni sfumatura sulla punta della lingua.


Abbassò nuovamente lo sguardo, fissando un punto imprecisato sull'orlo dei pantaloni della divisa del ragazzo che continuava a stargli di fronte, in silenzio.


-...queste sigarette fanno schifo.- Borbottò Gokudera togliendosi il mozzicone dalle labbra e gettandolo a terra, per poi calpestarlo.


La sensazione di soffocamento era sparita ormai del tutto quando riprese a camminare, superando Yamamoto che, con aria stupita, raccolse il pacchetto di sigarette e continuò a seguirlo in silenzio.


- Sono arrivato.- Disse d'un tratto Gokudera fermandosi davanti ad un piccolo cancello di ferro.


-...vivi qui?- Chiese Yamamoto affacciandosi oltre il muretto che costeggiava il piccolo condominio davanti al quale si erano fermati.


- eh già...- Sibilò Gokudera annoiato, aprendo il cancellino. Tutto quello che voleva fare in quel momento era allontanarsi il più velocemente da Yamamoto. Quella giornata si era rivelata anche troppo estenuante.


La presa che avvertì strattonarlo per la cartella, lo costrinse a fermarsi per l'ennesima volta e, nuovamente voltarsi verso di lui; Yamamoto gli aprì la tracolla e ci ficcò dentro una mano.


- Che cazzo fai!?- Strillò Gokudera balzando indietro ed abbracciando la tracolla con la stessa enfasi di un naufrago che stringe un salvagente.


Yamamoto sorrise nuovamente e, stranamente, a quella vista, il più piccolo residuo di ogni brutta sensazione che ancora attanagliava, in silenzio, le viscere di Gokudera scomparve nel nulla.


- Ti stavo restituendo le sigarette...- Sorrise Yamamoto sventolando il pacchetto con aria nuovamente stupida.


Gokudera sbuffò, non sapendo più come rispondere. Si limitò quindi ad afferrare il pacchetto, chiudere il cancello e salire i pochi gradini prima del grande portone del condominio. Afferrò il mazzo di chiavi dalla tasca della divisa e introdusse la chiave più piccola nella toppa.


-...grazie...- Mormorò prima di sparire, come inghiottito, dall'ingresso del condominio.


Non seppe il perché ma ebbe l'irritante sensazione che Yamamoto stesse sorridendo mentre si allontanava a passo lento, proseguendo, finalmente, verso casa sua.




Abbandonandosi contro la porta e scivolando lentamente verso il basso, per Gokudera fu come ricominciare a respirare. Yamamoto non sapeva niente. Non aveva intuito niente e mai lo avrebbe intuito! Il suo cuore gli sembrò così leggero che pensò quasi di ringraziarlo, il giorno dopo, per la stupidità del suo minuscolo cervello.


Solo quando, nuovamente nel suo appartamento, si tolse le scarpe avvertì il dolore lancinante che gli attanagliava le piante dei piedi...doveva aver camminato davvero in fretta perché gli facessero così male. In quel momento, chissà come e perché, ricordò quella mattina, quando aveva incrociato Yamamoto che lo precedeva con passo lento e tranquillo. Se quello scemo era abituato a camminare così piano, chissà la fatica che aveva fatto per stargli dietro... Gokudera si sentì quasi lusingato nell'essere riuscito a variare il ritmo della camminata di qualcuno...lui non l'avrebbe mai fatto, eccetto per il Decimo naturalmente!


Doveva proprio essere molta la simpatia che lo scemo del baseball provava nei suoi confronti se in favore di questa era disposto a variare una sua abitudine...ma dopotutto era uno stupido e le abitudini degli stupidi, pensò Gokudera, variano come le idee nel loro cervello e non se ne accorgono nemmeno.


Le sorprese ed il disagio che lo avevano sconvolto in quella giornata, a parer suo, bastavano per una vita intera... adesso tutto quello a cui doveva pensare era telefonare a Decimo ed accertarsi della sua buona salute.


Ma il disappunto ed il disagio di Gokudera toccarono il limite massimo quando, la sera, aprendo la cartella per tirare fuori il pacchetto di sigarette già cominciato, la carta rifrangente di una barretta energetica brillò beffarda illuminata dalla luce elettrica del piccolo salotto.












  
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