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Autore: Macchia argentata    05/10/2011    27 recensioni
La mia prima AU.
'Con certe persone non servivano tante parole. Con Andrè, spesso, non ne serviva nessuna.'
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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ps Posai la schiena al muro. Era freddo e umido, ma non mi importava. Non mi importava nemmeno che il costoso pezzo di alta sartoria che indossavo potesse sporcarsi, o, peggio, strapparsi.
Forse avrei provveduto da me a farlo a pezzi, una volta tornata a casa. Del resto, dubitavo seriamente che avrei dato una seconda possibilità a quel vestito.
Ad ogni vestito in generale.
Sospirai, e il mio sospiro si condensò davanti a me in una nuvola bianca che si dissolse dopo pochi secondi.
Di pessime idee ne avevo avute, nella vita. Ma quella era di gran lunga la peggiore.
Sentivo ancora nelle orecchie l’odioso martellare della musica che, per tutta la sera, finché era durato il mio calvario, mi aveva spaccato i timpani.
C’era qualcuno che aveva anche il coraggio di definire musica quella roba! Mozart si sarebbe rivoltato nella tomba. Beethoven pure.
No, Beethoven era sordo. Forse sarebbe riuscito a bersi un martini senza inorridire.
«Dannata musica e…dannate scarpe…» Mi piegai, sfilandomi dal piede sinistro la scarpa che, nel corso della serata, mi era sembrata più simile ad un Piranha ferocemente attaccato alle mie dita dei piedi. Decolté di vernice nera con la suola di un incredibile rosso brillante. La avvicinai agli occhi.
«Christian Laboutin…» Sillabai, leggendo il nome dorato riportato sulla suola. «Che tu sia stramaledetto! Tu e tutti quei sadici che mettono insieme simili trappole!»
Quella tizia, Cenerentola, o come diavolo si chiamava, non l'aveva di certo persa la scarpa. Probabilmente l'aveva lanciata via con tutta la forza che le restava nel piede indolenzito.
Ruotai piano la caviglia gonfia, dopodiché, a malincuore, mi rinfilai la scarpa con un estremo spirito di sacrificio. Tutto sommato, era preferibile che andarsene in giro per Parigi a piedi nudi.

Dire che quella serata era stato un grosso, enorme fiasco era poco.
Cosa avevo voluto dimostrare con quella pagliacciata?
Che potevo essere femminile, se volevo?
Mi portai una mano alla fronte, scostando una ciocca rigida di lacca che mi si era staccata dallo chignon.
Era talmente stretto che probabilmente, a breve, non mi sarebbe più arrivato il sangue al cervello. Forse mi avrebbero trovata il giorno dopo, riversa il quel vicolo in cui mi ero rifugiata dopo la disfatta.
Il colpo di grazia, probabilmente, me l’ero data da sola quando, ondeggiando su quei trampoli che mi avevano già quasi segato via il dito mignolo, mi ero aggrappata al cameriere che transitava con un vassoio colmo di bicchieri. Trascinando lui e me verso il pavimento.
Se cercavo un modo per farmi notare da Hans, quello era stato il migliore che potessi trovare. Per il resto,  l’unico successo riportato su di lui quella notte era stato quello di strappargli demotivanti, per non dire umilianti confessioni su quanto gli ricordassi una cara amica.
O forse aveva detto amico?
Di sicuro il suo alito lasciava presagire che i bicchieri dovevano essersi succeduti incessantemente lungo la serata.
L’ultima cosa che ricordavo, era la ritirata precipitosa in cui mi ero data alla fuga dopo aver travolto il cameriere. E gli sguardi di compatimento delle altre, quelle che sui trampoli, probabilmente, ci facevano pure i cento metri.
L’aria del vicolo era fredda, e puzzava di marcio. Ma almeno ero sola.
Sconfortata, tentai di aprire quella stupida borsetta che Nanny aveva insistito che portassi con me.
Ritenevo ridicolo che una donna dovesse andare in giro con il surrogato di un croissant a scaldarle la mano, ma a quanto pareva era impensabile farne a meno.
Quella stupida borsa aveva anche un nome che ricordava una panetteria.
Com’è che l’aveva chiamata Nanny?
Baguette?
Ah, no, pochette. Ci stava giusto il palmare dentro, e fu quello che estrassi, mentre i braccialetti di strass tintinnavano sul mio polso.
Feci scorrere i numeri della rubrica fino alla voce TAXI. Poi mi bloccai.
La mano mi tremò e mi maledissi mentalmente, mentre deglutivo un groppo amaro.
Non avevo soldi con me. Sembrava assurdo, ma quella era la triste realtà.
Qualcosa, dentro di me, doveva aver sperato fino all’ultimo che Hans si mostrasse tanto galante da volermi riaccompagnare a casa di persona. Non poteva esserci altra spiegazione al fatto che fossi uscita di casa con una borsa grossa quanto una brioches e avessi scordato di metterci dei soldi.
Eppure la situazione era quella.
Mi rimaneva solo una persona che avrebbe potuto trarmi d’impaccio.
Andai tra i numeri chiamati di recente e premetti sul tasto chiama.
Il telefono squillò a vuoto quattro volte, mentre il respiro mi si faceva più affannoso.
«Avanti, rispondi…»
L’ora non era quella in cui una risposta era garantita, ma lui non mi aveva mai deluso.
Non lo fece nemmeno questa volta.
«Oscar.» La sua voce suonava stanca, ma non assonnata.
«Andrè…Puoi venirmi a prendere?»
Un attimo di pausa.
«Dove sei?»
«Rue Boissy d'anglas…»
«Arrivo.»
La comunicazione si chiuse con un clic.
Con certe persone non servivano tante parole. Con Andrè, spesso, non ne serviva nessuna.

Nota dell'autore
Ultimamente latito un po' e vorrei scusarmi con tutte le persone di cui seguo le storie ma a cui non ho ancora lasciato un commento. Prima o poi, si spera, dovrei farcela!
Questa storia sarà piuttosto breve, non so ancora quanto dato che è in via di sviluppo, ma nulla di impegnativo, non preoccupatevi^^
E' la prima volta che mi cimento in una AU. In genere, non le amo particolarmente, anche in considerazione del mio amore per tutto ciò che è Passato. Ma questa è venuta fuori così. Spero possiate ugualmente apprezzarla e vi ringrazio anticipatamente se vorrete farmi avere le vostre, sempre apprezzatissime, opinioni in proposito^^

 
  
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