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Autore: secretdiary    05/10/2011    1 recensioni
Ciao a tutti!!
Questo racconto ha vinto, a parimerito, il contest organizzato dal forum Fanfiction Italia, intitolato I Weasley senza magia (qui i commenti e le valutazioni: http://fanfictionitalia.forumfree.it/?t=58172331).
L'introduzione era stata data dal forum, io ho sviluppato la trama.
Cosa sarebbe accaduto se Ron, grazie ad un incantesimo, avesse cancellato ogni traccia di magia dalla sua vita?
E in particolare, come egli affronterebbe il traumatico uso dei mezzi pubblici per raggiungere il più velocemente possibile la sua Hermione, l'unica in grado di dargli una risposta e trovare una soluzione a quell'increscioso problema?
Spero che vi faccia sorridere!!
Bisous *-*
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ron Weasley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Piccola annotazione prima di iniziare:
Cari lettori, innanzitutto vi ringrazio per aver aperto questa storia e per aver scelto di spendere un po' del vostro tempo per leggerla.
Vi rubo solo un paio di righe prima di lasciarvi al racconto: è finalmente uscito il mio primo romanzo.
Ora, finalmente, sono un'autrice pubblicata.
Se amate le storie fantasy, nel campo destinato al mio profilo, trovate tutte le informazioni relative al romanzo.

Grazie per l'attenzione ;)
Buona lettura!!
Bisous *-*

Nota prima di iniziare a leggere:
Questa Fanfiction sviluppa una traccia assegnata dal forum Fanfiction Italia.
Per leggere l'inizio, andate qui → 
http://fanfictionitalia.forumfree.it/?t=57495374



Ron lanciò uno sguardo truce alle parole del presunto incantesimo.
Non era accaduto nulla.
“Miseriaccia” pensò.
Nulla l'avrebbe salvato dalla minacciosa polvere.
Probabilmente in mezzo a quel ciarpame si trovava persino qualche ragno.
Il giovane sorrise constatando quanto fosse cambiato.
Cresciuto.
Quegli aracnidi non lo terrorizzavano più.
Ora il suo timore più grande era perdere Hermione.
Sospirando il mago tornò in cucina, deciso che avrebbe invocato la pietà materna, sperando che la donna avrebbe acconsentito a liberarlo dalle sue corvées.
O magari a posticiparle.
«Miseriaccia!» esclamò l'ultimo figlio maschio dei Weasley, inchiodandosi sulla porta della cucina.
Sua madre stava lavorando a maglia.
L'esclamazione non era rivolta al fatto che la donna stesse sferruzzando per generare l'ennesimo maglione, ma al modo in cui questo maglione stava prendendo forma.
I ferri erano saldi sotto le ascelle di Molly, la quale era tranquillamente accomodata su una poltrona.
«Mamma, cosa stai facendo?» domandò con voce acuta il figlio.
La donna lo guardò teneramente.
«Mi pare ovvio: mi attivo per non farti morire di freddo quest'inverno» rispose.
Ron aggrottò le sopracciglia.
«E non puoi fare come fai sempre?
Con la magia?» precisò poiché aveva scorto nella madre uno sguardo dubbioso.
Molly Weasley rise di gusto, agitando il caschetto rosso.
«La magia -mormorò- Se l'avessi non la impiegherei certamente per cucire un maglione».
Il giovane dischiuse le labbra, accennando un sorriso mezzo divertito.
“E' uno scherzo” si disse.
Non poteva esserci altra spiegazione.
Doveva trattarsi per forza di una presa in giro.
La tipica burla che avrebbero ordito... Una morsa all'altezza dello stomaco gli riportò alla mente Fred.
Il dolore riaffiorò, prepotente, sconvolgente.
Molly non avrebbe mai scherzato su Fred.
«Dove sono Fred e George?» chiese direttamente.
Se si fosse trattata di una presa in giro, sarebbe terminata immediatamente.
Molly guardò Ron, lasciando cadere i ferri che andarono ad adagiarsi sul gomitolo di lana color melanzana che giaceva ai piedi della donna.
«George -rispose con dolcezza- E' andato alla bottega».
Ella imputò l'errore di Ron al fatto ch'egli non avesse ancora superato il lutto.
D'altronde, come poteva?
Il dolore dilaniava tutta la famiglia Weasley, anche se essa si sforzava a continuare a vivere, continuare a gioire poiché era ciò che avrebbe voluto Fred.
“Era uno scherzo” dichiarò mentalmente Ron.
La conclusione era giunta spontaneamente poiché Molly aveva menzionato la bottega che non poteva essere altro che: 'I Tiri Vispi Weasley'.
«Se vai a trovare George, ricordati di fare il pieno alla Anglia» concluse la madre.
Cosa stava dicendo quella donna?
Non andavano mai a Diagon Alley in macchina!
Lo sguardo di Ron cadde sull'orologio appeso alla parete.
Le lancette erano solo due.
Nessun volto, nessun nome appariva sul quadrante.
Il giovane deglutì a vuoto due volte.
“Dov'è Hermione?” pensò in preda all'agitazione.
Era sempre lei quella delle risposte, delle soluzioni.
Secondo quanto rammentava da prima dello svenimento, la ragazza era tornata a casa sua per assicurarsi che il suo piano per salvare i genitori da Voldemort avesse funzionato.
Il problema che impediva a Ron di precipitarsi dalla sua geniale metà era alquanto elementare: in che modo avrebbe potuto percorrere la distanza che collegava la Tana a casa Granger?
Era escluso che guidasse.
Il giovane rammentava perfettamente l'esperienza di qualche anno prima.
“Adesso mia madre sembra non conoscere la magia, ma quando tutto sarà sistemato, me la farà pagare se dovessi provocare qualche altro guaio con quell'auto” rifletté.
Occorreva una soluzione.
Una soluzione non magica.
«Andiamo, i Babbani si spostano tutti i giorni!» esclamò.
Perché la sua mente non voleva giungere in suo soccorso?
Era forse andata in sciopero?
Mentre era occupato dalle sue riflessioni, Ron non si accorse di essersi recato in soggiorno e di essere stato raggiunto da sua sorella Ginny.
«Come mai quella faccia?» gli domandò.
Ron prese un respiro profondo.
«Niente».
Non amava mentire alla sorella, e cercava di evitarlo quando possibile.
Sembrava che la famiglia Weasley non avesse mai sentito nominare Hogwarts, ma Ron era e si sentiva a tutti gli effetti un Grifondoro.
Leale, valoroso.
Non avrebbe distorto la verità.
Non avrebbe ingannato la sua famiglia.
Ginny però insistette.
Non si poteva nascondere nulla a quella ragazza.
“Male che vada mi prenderà per pazzo” si disse Ron.
“E forse ha ragione a considerarmi tale. Inizio a dubitare io stesso della mia salute mentale”.
Ron Weasley decise di raccontare ogni cosa.
Ad onor del vero non v'era molto da dire e la spiegazione durò pochi minuti.
«Magia?» chiese Ginny perplessa.
«Sì» rispose il fratello accompagnando l'affermazione con un cenno affermativo del capo.
«E tutti noi eravamo maghi? -continuò ella- Anche Harry?».
Ron annuì una seconda volta.
Era ormai certo che la causa di tutto quel pasticcio fosse imputabile all'incantesimo pronunciato in soffitta, ma ancora non sapeva quale fosse la sua gittata.
Aveva privato della magia solo la sua famiglia, o l'intera comunità magica?
Era stato trasportato in una sorta di realtà alternativa, o non aveva abbandonato la sua dimensione?
Tutte quelle domande necessitavano urgentemente di una risposta.
Inoltre vi era l'urgenza più importante, la priorità massima: riportare tutto come prima.
Dalle parole di Ginny, Ron comprese ch'ella conosceva Harry.
Quindi le relazioni tra i suoi amici non erano mutate.
Hermione l'avrebbe riconosciuto e, con o senza magia, l'avrebbe aiutato.
«Devo andare da Hermione, Ginny» concluse Ron con tono drammatico.
Non c'era il tempo per disperarsi, e Ron lo sapeva, altrimenti il suo tono lamentoso avrebbe echeggiato per tutta la regione.
La sorella lo fissò negli occhi per alcuni istanti, come se avesse voluto rendersi conto di non essere vittima di uno scherzo.
Ron però era sincero, o almeno era ciò che il suo sguardo trasmetteva, e Ginny decise di aiutarlo.
«Non ho la più pallida idea di ciò che hai in mente, ma sei mio fratello e ti voglio bene, nonostante tutto».
Ginny sorrise divertita all'ultima precisazione.
Qualsiasi cosa fosse accaduta, Ron era sincero, e lei era in dovere di aiutarlo.
Inoltre, perché no? Poteva aver detto il vero.
Durante la breve spiegazione Ginny gli aveva chiesto di mostrarle la bacchetta, ma sembrava introvabile.
Ron sembrava convinto che Hermione fosse l'unica persona in grado di sistemare quanto accaduto.
Ebbene, Ginny decise di cessare di porre domande alle quali il fratello rispondeva in uno stato di agitazione tale per cui annullava la comprensibilità delle sue affermazioni.
«Andiamo da Hermione» ripeté la più giovane dei Weasley con tono quasi concessivo.
Per quanto una piccola parte di lei credesse, o forse, desiderasse credere, alle parole di Ron, il suo carattere determinato e sbrigativo le impediva di indugiare ulteriormente.
Presto, secondo Ron, tutto sarebbe tornato alla normalità, e Ginny avrebbe compreso se preoccuparsi della lucidità del fratello o meno.
Inspiegabilmente Ron si avvicinò al camino.
Ginny aggrottò le sopracciglia, fissando il giovane come se lo stesse vedendo per la prima volta.
«Che fai?» chiese.
«Se, come credo, Hermione è tornata a casa sua, prenderemo la Metropolvere: è il mezzo più rapido per raggiungerla».
Ron tacque e guardò Ginny.
Non gli ci volle molto per comprendere che ella non aveva capito molto della sua risposta.
Sospirò.
«Guidami tu».
Era evidente che, in quella 'realtà alternativa', dove non esisteva la magia, nessuno era a conoscenza della Metropolvere, delle Passaporte o di qualsiasi altro mezzo di trasporto.
Ron pensò che Ginny l'avrebbe condotto alla Ford Anglia, convinto che la sorella sapesse guidarla meglio di lui, ma sbagliava poiché la ragazza lo condusse fuori dalla Tana, facendolo fermare accanto ad un palo in cima al quale si trovava un cartello circolare raffigurate un pullman.
«Prendiamo l'autobus fino alla stazione della metropolitana. Da lì ci vorranno cinque fermate per raggiungere la casa di Hermione» spiegò Ginny.
Ron si distese in un sorriso: conosceva quei termini dal momento che li aveva sentiti nominare da Harry e dalla stessa Hermione.
Inoltre gli pareva di ricordare che una volta suo padre avesse accompagnato Harry al Ministero proprio con la metropolitana di Londra.
Confusa Ginny notò il sorriso del fratello.
“Cosa ci troverà di divertente nei mezzi pubblici?” si chiese, anche se decise di non palesare il suo dubbio.
Sembrava che Ron provenisse da un altro universo, pertanto era più saggio acconsentire a tutte le sue richieste e attendere il susseguirsi degli eventi.
Pochi minuti dopo comparve da dietro una curva un autobus.
Per la verità era perlopiù una navetta che collegava le isolate abitazioni alla cittadina più vicina.
«Preparati» lo mise in guardia Ginny, ma Ron non capiva la natura dell'avvertimento.
A cosa doveva stare attento?
Dopotutto le navette babbane non potevano essere tanto differenti dal Nottetempo.
Ron si sbagliava.
Gli autobus babbani erano differenti dal Nottetempo. E molto.
La prima cosa che Ron notò quando si aprirono le porte a soffietto fu un'enorme schiena ricoperta da uno spolverino bianco a fiori rosa.
Quella schiena apparteneva ad un'anziana donna che era salita sull'autobus alla fermata precedente.
La seconda cosa che Ron notò fu l'assoluta mancanza di spazio.
Egli si chiese come avrebbe potuto respirare una volta salito.
Ammesso che sarebbe riuscito a salire.
Ginny lo precedette, incollando i gomiti ai fianchi e stringendosi nella sua già esile figura, riuscendo ad ottenere forse un cm3 di spazio.
Ron deglutì rumorosamente, rimpiangendo i vestiti sporchi di genere o il dolore di un'unghia rotta.
Non era mai stato bravo a Smaterializzarsi, ma avrebbe preferito un milione di volte Spaccarsi che affrontare un viaggio 'alla Babbano'.
“E' per rimettere tutto a posto” si disse trovando conforto.
«Pe-permesso» balbettò spingendosi a forza all'interno di quell'enorme scatola meccanica.
Le porte si chiusero alle sue spalle e i passeggeri emisero un comune sospiro di sollievo: non c'erano più fermate sino la stazione della metropolitana.
Là, l'autobus si sarebbe svuotato in pochi attimi.
Ron era schiacciato contro le porte da quell'ingombrante schiena fiorita che, accidentalmente, emanava anche un pessimo odore.
Ginny invece era riuscita a trovare una sistemazione più comoda riuscendo a stringersi, come una contorsionista, tra l'obliteratrice e il primo palo che serviva ai passeggeri in piedi per sostenersi.
Ron la invidiò per un istante, anche se successivamente convenne con se stesso che le sue spalle non sarebbero riuscite a rimpicciolirsi così tanto.
L'odore dolciastro e penetrante del sudore della donna aveva conquistato le narici di Weasley ed ora stava andando all'attacco della sua gola.
Ron doveva fare qualcosa.
Decise che un respiro profondo sarebbe servito a rinnovare l'ossigeno nei polmoni.
Non gli fu consentito.
Appena il suo corpo provò a gonfiarsi, venne immediatamente schiacciato, costretto a rientrare nei ranghi dalla massa degli altri passeggeri.
«Miseriaccia» riuscì a dire il giovane con il fiato appena inspirato.
Ginny ridacchiò osservando il fratello.
Costringendosi a veloci e rapidi respiri, come se fosse una partoriente, Ron riuscì a non perdere i sensi a causa della mancanza di ossigeno, e dieci minuti dopo la sua tenacia fu ricompensata con la vista della stazione.
“Hermione, sto arrivando!” esultò tra sé e sé.
I vagoni della metropolitana erano più ampi rispetto all'autobus e il giovane era convinto che avrebbe trascorso l'ultimo tratto di strada nella più assoluta comodità.
Anche questa volta, Ron si sbagliava.
La sua esperienza sulla metropolitana era probabilmente peggiore rispetto al viaggio in autobus.
Forse, il fatto che il mezzo fosse più grande, comportava anche un incremento maggiore di disavventure e situazioni spiacevoli.
A cominciare dall'ingresso in stazione.
Ron ebbe difficoltà nel raggiungere il binario.
I tornelli e il loro funzionamento erano un enigma per il giovane non-più-mago.
Più volte la sbarra metallica all'altezza della vita si rifiutò di collaborare e muoversi, ma fortunatamente il tempestivo intervento di Ginny impedì di perdere la coincidenza con la metropolitana.
Sembrava che Ron avesse scelto l'ora di punta per spostarsi.
Ogni vagone era affollato sino l'inverosimile.
Il giovane si domandò da dove provenissero tutti quei Babbani.
Erano un'infinità!
Ovviamente era da escludere la possibilità di concludere il viaggio comodamente seduti su una sedia di plastica.
Ron si rassegnò a restare in piedi.
Le sue dita si strinsero attorno ad un palo, solo per un istante.
Gli bastò una frazione di secondo per percepire che esso era avviluppato da una patina viscida ed unta.
Probabilmente il sudore diffuso dalle mani delle migliaia di passeggeri.
Disgustato il ragazzo si sporse per aggrapparsi ad una maniglia triangolare che pendeva come una spada di Damocle sulla sua testa.
Al tatto egli avvertì una sostanza gommosa e umida.
Appiccicosa.
«Miseriaccia!» esclamò schifato: i suoi polpastrelli avevano sfiorato i resti di una gomma da masticare che qualche incivile aveva 'gettato'.
“Non è necessario che mi sostenga: con tutte queste persone non rischierò di cadere, anche se dovessi perdere l'equilibrio” si disse rassegnato.
Le fermate si susseguirono davanti i suoi occhi.
Ne mancavano ancora quattro, tre, due, una per raggiungere Hermione e con lei la soluzione del problema.
L'aria però era sempre più afosa.
Sembrava divenuta semi-solida, un velo caldo e irrespirabile che bloccava il naso, la bocca.
Ron non riusciva più a resistere.
A nulla valevano le rapide e ristoratrici boccate d'aria prese quando le porte si aprivano.
Sempre per far salire pendolari, mai per alleggerire il carico.
La testa di Ron cominciò ad alleggerirsi.
Buio.
 
«Ron, Ron, stai bene?» chiese Ginny, china su di lui.
Il giovane riaprì lentamente gli occhi ed annuì.
«Dove-dove siamo?» chiese con espressione confusa.
«In soffitta! Improvvisamente gli incantesimi domestici di nostra madre hanno smesso di funzionare. Hermione ha riconosciuto subito il tipo di fattura che aveva provocato quella momentanea assenza di magia e grazie ad una pozione che aveva preparato qualche tempo fa, ha rimesso tutto a posto.
Dopodiché sono venuta a vedere come stavi dal momento che non rispondevi.
Ti ho trovato svenuto».
Ora Ron ricordava ogni cosa.
Quindi quella terribile esperienza sui mezzi pubblici babbani era stata solo un sogno.
Egli tirò un sospiro di sollievo, gesto che non sfuggì alla vista della sorella.
«Non sarei tanto sollevato se fossi in te.
Mamma sa che sei stato tu a formulare quell'incantesimo.
Ti sta aspettando in cucina.
È infuriata: ha bruciato la cena».
   
 
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