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Autore: adamantina    06/10/2011    9 recensioni
Un angelo prigioniero e la sua carceriera. Tra diffidenza e attrazione, tra scienza e fede, un divario incolmabile che forse, talvolta, si fa più sottile.
«E tu in cosa credi, piccola umana? Nella scienza o nella fede?»
«Credo negli angeli.»
«E credi in Dio?»
«La fede è un dono che non ho ancora ricevuto.»
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al Taboo Contest indetto da Gefyun e al Citazioni Contest indetto da AkaneMikael e attualmente in attesa di valutazione per entrambi.

 

Autore: adamantina
Titolo: Angel
Genere: Fantasy, Drammatico
Avvertimenti: Het, One-shot
Parole da inserire e taboo: Arrostire/Epilogo/Manuale/Calcolatrice; non inserire riferimenti agli abiti dei personaggi.
Riassunto: Un angelo prigioniero e la sua carceriera. Tra diffidenza e attrazione, tra scienza e fede, un divario incolmabile che forse, talvolta, si fa più sottile.

 «E tu in cosa credi, piccola umana? Nella scienza o nella fede?»
«Credo negli angeli.»
«E credi in Dio?»
«La fede è un dono che non ho ancora ricevuto.»
Nota dell'autore: Le citazioni ad inizio e fine del racconto sono tratte da
Another World di Antony and the Johnsons, mentre la frase “La fede è un dono che non ho ancora ricevuto” è tratta dal film “Angeli e Demoni”, a sua volta ispirato al romanzo di Dan Brown.

Premetto che questa storia è per me inusuale e tratta un tema piuttosto delicato, quello della fede e del suo rapporto con la scienza. Ci tengo a precisare che le opinioni espresse dai personaggi non corrispondono necessariamente con le mie.
Un’ultima cosa: la storia in generale è frutto di un’idea che è nata leggendo il titolo di un libro visto in libreria, “Angelology” di Danielle Trussoni. Non so neanche di cosa parli (prima o poi lo leggerò, spero): mi hanno semplicemente attirata il titolo e l’immagine in copertina.
I prompt sono in grassetto nel testo.
Buona lettura!
 
adamantina

 

~ ANGEL ~

 

 

Ho bisogno di un altro posto
Là sarò in pace
Ho bisogno di un altro mondo
Questo è quasi andato
Ho ancora molti sogni
Non ho mai visto la luce
Ho bisogno di un altro mondo
Un posto dove posso andare

 

~ Primo Giorno ~

 

Amy Coleman non aveva mai visto niente di più straordinario in vita sua.

Era fortunata –le possibilità che un’apprendista come lei avesse l’occasione di ammirare una creatura come quella erano praticamente nulle. C’erano professionisti del campo che in cinquant’anni di carriera non c’erano mai riusciti.

I suoi occhi scuri si nutrirono della luce debole che circondava la creatura per qualche secondo, assorbendo l’assoluta perfezione dei suoi lineamenti e del semplice splendore che emanava.

Era immobile, distesa sul pavimento metallico della gabbia. I capelli erano biondi, morbidi come fili d’oro puro; la pelle del colore dell’alabastro; e la sua altezza era almeno di due metri. Le ali bianche e piumate erano pigiate dalle sbarre della gabbia, troppo grandi per poter essere distese al suo interno. Amy si sentì piccola e inerme al suo confronto.

«Cosa sapete della creatura, dottor Stockman?» chiese, incrociando le braccia e stringendo gli occhi per osservarla meglio.

«Poco» rispose l’uomo anziano, burbero. «Non c’è ancora stato il tempo di fare delle analisi. È un maschio, questo è certo.»

«Cosa dicono i Cacciatori?» insistette la più giovane.

Si riferiva a coloro che sfruttavano trucchi e strategie delle più infide per catturare gli angeli e venderli ad ansiosi Angelologi disposti a tutto per averli.

«I Cacciatori non sono altro che mercenari ignoranti, miss Coleman» tagliò corto Stockman, cupo. «Hanno usato strumenti che nessuno di noi aveva approvato in precedenza … l’hanno pugnalato con un coltello satanico, un Athame che era stato usato per compiere un sacrificio umano.»

Amy rabbrividì.

«Almeno ha funzionato» sospirò. «È ferito?»

«Sì, ma non gravemente. Guarirà nel giro di poche ore, e non possiamo permettercelo. Dovremo tenerlo sotto stretto controllo.» Stockman fece una pausa. «Riesci a dirmi qualcosa in più su di lui?»

Amy azzardò un passo in avanti per vedere meglio.

«Dall’apertura alare e dall’altezza direi che fa parte del coro delle Dominazioni» disse, forte dei suoi recentissimi studi. «Dionigi Aeropagita, primo vescovo di Atene, dice testualmente : “Io credo che il nome rivelatore delle sante Dominazioni ci indichi la loro forza di elevarsi, che mai si sottomette, libera da ogni inferiore cedimento; esse non si abbassano assolutamente a nessuna realtà discordante e tirannica, superano ogni degradante asservimento, entrano il più possibile in comunione con l'eterna divinità del Principio della Dominazione.”»

Stockman annuì, soddisfatto dalla perfetta citazione dell’apprendista, estratta da un libro tra i mille che aveva studiato in quegli anni.

«Esattamente. Ed è per questa impossibilità a sottomettersi che negli ultimi mille anni nessuno è mai riuscito a catturarne uno vivo. Ci sono stati Cherubini, certo, e Serafini, e anche alcuni Troni –ma questo … no, nessuno prima c’era riuscito.»

«Se i Cacciatori sapessero cos’avevano tra le mani … » sussurrò Amy.

«Una fortuna sprecata» concordò Stockman. «Buon per noi.»

L’angelo nella gabbia non si mosse mentre i due studiosi si avvicinavano.

«Che meraviglia» non poté fare a meno di commentare.

«Ricordati il nostro obiettivo» sbuffò Stockman, guardando la gabbia con disprezzo. «Cominceremo con i test domattina.»

 

~ Secondo Giorno ~

 

Quando Amy arrivò, la mattina dopo, non erano ancora le sei, eppure non si era mai sentita così nervosa e attiva. Entrò nel laboratorio e il suo stupore fu grande quando vide che l’angelo era sveglio. Esitò prima di avvicinarsi alla gabbia.

La creatura osservò i suoi movimenti con un’espressione indecifrabile. La guardò mentre, tesa, sentendosi osservata, preparava l’occorrente per gli esperimenti.

«Umana» disse infine. La sua voce fece tremare Amy fin nel profondo. Era roca, profonda, con un sottofondo innaturale e irreale che la fece rimbombare in tutto il laboratorio. «Qual è il tuo nome?»

«Non ti riguarda, angelo» replicò lei, memore delle più basilari regole dell’Angelologia.

Conoscere il nome di una persona equivale ad averla in suo potere.

«Sei la mia carceriera» ribatté lui con naturalezza. «Ritengo che invece mi riguardi.»

Le loro voci sono melodiose e amabili; il loro scopo sempre quello di indurvi in tentazione e far sì che li liberiate. Non ascoltateli; non cedete.

«Tra poco non ti importerà più» tagliò corto Amy, riempiendo una sottile siringa con un liquido rosso, cercando di non dare peso al fatto che, come lei ben sapeva, si trattava del sangue di un neonato innocente morto per mano di persone crudeli.

Erano quelli gli strumenti per ferire un angelo: dolore, morte, innocenza calpestata.

Il problema reale le sovvenne solo quando fu a pochi passi dalla gabbia: come avrebbe fatto a iniettargli quel veleno?

La sua esitazione spinse l’angelo a parlare ancora.

«Cosa vuoi fare, piccola umana? Usare il sangue di un innocente per ferire un nemico che non ha mai fatto nulla di male né a te, né a chiunque altro?»

Il tono di rimprovero della sua voce conteneva una nota furente che l’angelo non riusciva a nascondere. Amy strinse la presa sulla siringa e, decisa, raggiunse la creatura.

Allungò una mano e gli afferrò un braccio.

Quello che non si aspettava era la sensazione del contatto con la sua pelle.

Era come sfiorare un cavo elettrico nascosto in una nuvola.

Spalancò gli occhi, ma non lasciò la presa. L’angelo la osservò, e per un momento Amy credette che l’avrebbe colpita –ma lui non si mosse, e lasciò inerme che lei lo pungesse e iniettasse nelle sue vene quel liquido ignobile, limitandosi a trafiggerla con gli occhi dorati che la accusavano in silenzio.

Un istante dopo, era a terra, nella gabbia, e urlava per il dolore.

Amy indietreggiò e lasciò cadere la siringa vuota sul tavolo. Prese fiato una, due, tre volte. Quella strana sensazione che provava alla bocca dello stomaco non era descritta in nessun manuale di Angelologia. Per fortuna, tutto il resto lo era.

Aspettò in silenzio che le urla cessassero. Quando l’angelo giacque a terra in silenzio, respirando affannosamente, gli occhi serrati, allora si permise di proseguire.

Si avvicinò e prelevò diverse fiale di sangue, che appariva denso e scarlatto, etichettandole una ad una e mettendole al loro posto in un contenitore frigorifero senza che la creatura reagisse.

Quindi se ne andò, diretta all’Accademia, le orecchie ancora torturate da quelle grida melodiche.

 

~ Terzo Giorno ~

 

Il giorno seguente era più tardi quando arrivò al laboratorio. Sapeva che Stockman ci era già stato la sera precedente e quella mattina stessa, e quasi temeva di incontrarlo. Non sapeva esattamente da dove nascesse questa ansia –l’uomo era stato il suo mentore per anni e incarnava il modello di Angelologa che voleva essere una volta completata la sua formazione.

Amy dovette trattenere un grido sorpreso quando vide l’angelo. Profonde ferite segnavano il suo intero corpo, evidente risultato dell’interrogatorio che Stockman in quei due giorni.

Cercò il coraggio di parlare ma non vi riuscì, specialmente quando l’angelo riuscì a incontrare il suo sguardo e incatenò i suoi selvaggi occhi dorati in quelli scuri e spaventati di lei.

«Perché lo fate, umana?» domandò con quella voce, quella voce che Amy aveva sognato la notte precedente.

«Vogliamo capire» rispose lei, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo.

«Capire che cosa?»

«Capire voi

«Siete scienziati, dunque.»

Non c’era sprezzo né condanna nel tono della creatura, e questo spiazzò la ragazza, che strinse più forte le dita intorno al manuale che teneva in mano e che conteneva tutte le informazioni che pensava le sarebbero bastate per riuscire a domare un angelo.

Ingenua.

«Angelologi» specificò Amy.

«Pensavo che nel vostro mondo consideraste scienza e fede totalmente inconciliabili.»

«L’Angelologia è mediatrice delle due.»

L’angelo osservò con attenzione la ragazza, che deglutì, sentendosi messa a nudo.

«E tu in cosa credi, piccola umana? Nella scienza o nella fede?»

«Credo negli angeli.»

«E credi in Dio?»

Amy socchiuse gli occhi per un antico dolore risvegliato all’improvviso.

«La fede è un dono che non ho ancora ricevuto» replicò. Quindi, dopo una breve esitazione, domandò: «Qual è il tuo nome?»

L’angelo non ebbe remore nel replicare:

«Ho tanti nomi diversi, il più importante dei quali non capiresti, perché solo quelli della mia specie lo possono ascoltare. Puoi chiamarmi Yeratel –significa “Dio punisce gli empi”

Ad Amy sfuggì uno sbuffo.

«Se Dio esiste, punisce tutti, senza distinzioni» decretò.

Yeratel scosse la testa, severo.

«Non giudicare l’opera del Signore, umana. Né tu né io ne abbiamo il diritto.»

La ragazza non replicò, per nulla convinta. Si avvicinò ad uno dei tavoli di metallo e afferrò un dossier compilato quella mattina da Stockman. Lo lesse senza attenzione, distratta.

«Non mi hai ancora rivelato il tuo, di nome. Non posso continuare a chiamarti umana per sempre, giusto?»

Amy si voltò e gli lanciò un’occhiata gelida.

«Non sarà per sempre» disse, lapidaria.

Poi si morse il labbro inferiore. Stava parlando troppo. Sapeva che quel genere di creatura, specialmente se appartenente a una gerarchia così elevata, poteva facilmente portare un professionista a commettere un errore fatale.

«Avete intenzione di uccidermi?» indagò Yeratel, il tono leggermente beffardo di chi non crede che ciò che sta dicendo sia possibile.

Ma Amy decise di non aggiungere altro. Compilò brevemente alcuni passi del dossier e si allontanò dal laboratorio.

 

~ Quarto Giorno ~

 

Amy aveva sempre rispettato enormemente il professor Stockman e continuava a farlo. Dopotutto era grazie a lui se in quel momento si trovava davanti ad un angelo vero. Ma i dubbi sulla sua professionalità e sulla sua etica si riaffacciarono prepotenti nella sua mente quando vide Yeratel il pomeriggio seguente.

Era ancora cosciente, gli occhi colmi di una furente sfida verso l’umanità intera, ma entrambe le sue ali -quelle splendide, piumate ali bianche e dorate, che l’avevano fatta restare senza fiato quando le aveva viste la prima volta- erano state brutalmente mutilate: non restavano di esse che due moncherini sanguinanti.

Amy dovette combattere l’istinto di correre verso di lui. Respirò a fondo, e l’odore metallico del sangue le entrò nelle narici, causandole un’ondata di nausea che faticò a reprimere.

«Yeratel» disse piano, avvicinandosi alla gabbia.

Lui la guardò con l’intensità e la rabbia feroce di un animale selvatico ferito e fatto prigioniero, un leone rinchiuso.

Amy, facendo violenza su se stessa, si costrinse a camminare lentamente per non spaventarlo né farlo infuriare. Raggiunse il tavolo e recuperò la valigetta del primo soccorso, da cui estrasse bende e disinfettante, pur domandandosi cupamente quanto questi potessero avere effetto su una creatura angelica. Aveva studiato nei libri il modo di ferirli, non quello di curarli –e per la prima volta sentì che in questo doveva esserci qualcosa di sbagliato. Tuttavia non si fermò ad indagare.

Raggiunse la gabbia e si trovò davanti al primo ostacolo. Non poteva certo aprirla: doveva convincere l’angelo a voltarsi.

«Yeratel» ripeté, sedendosi sui talloni e guardandolo con fermezza. «Ho bisogno che tu ti giri per poterti medicare.»

L’angelo la guardò, e Amy scorse nei suoi occhi qualcosa che interpretò come vergogna per dover mostrare a lei l’opera orribile e blasfema del suo carnefice.

«Voglio solo aiutarti» insistette, ma l’angelo esitava ancora. Allora prese una decisione. «Il mio nome è Amanda» proferì con serietà. «Puoi chiamarmi Amy, lo fanno tutti.»

Yeratel sospirò e annuì appena.

«Amanda» mormorò. «Colei che deve essere amata.»

Non aggiunse altro, ma si voltò e, in ginocchio, avvicinò la schiena insanguinata alle sbarre di metallo.

Nel vedere ciò che restava di quelle meravigliose ali piumate Amy non riuscì a trattenere un gemito. Yeratel si irrigidì.

«Va tutto bene» disse lei con voce leggermente roca. «Non ti preoccupare.»

Quando l’angelo si rilassò, Amy imbevette di disinfettante un panno e cominciò a passarlo sulla sua schiena con lenti movimenti circolari, le mani che le tremavano leggermente, avendo cura di trattare con particolare delicatezza i punti che un tempo erano stati di sostegno alle ali.

Yeratel non si mosse né disse una sola parola finché la ragazza non ebbe terminato e non gli ebbe circondato il petto di bende candide. Quindi si spostò leggermente verso il centro della gabbia.

«Dici di non avere fede» enunciò con cautela, «Ma ne vedo più in te che in molti di coloro che si professano strenui credenti.»

«Credi?» domandò piano lei. «Mio padre ritiene che un giorno sarò messa ad arrostire sulle fiamme dell’Inferno per la mia mancanza di fede.»

«Io conosco i criteri per cui gli umani vengono mandati all’Inferno, e credimi quando ti dico che il tuo cuore è puro e non è lì che andrai … Amanda.»

Amy non seppe cosa replicare. Ripose gli strumenti di medicazione e tornò a casa.

 

~ Quinto Giorno ~

 

Amy sapeva che non avrebbe potuto evitare Stockman per sempre, ma si sentì enormemente sollevata quando non lo trovò in laboratorio, quella sera. Aveva lasciato passare le ore, adducendo come scusa l’approfondimento di alcuni studi, e quando era entrata erano ormai le dieci.

Con suo grande sollievo, era sola con l’angelo.

Yeratel sedeva nella gabbia, immerso nei propri pensieri. Amy notò l’assenza delle bende che aveva usato lei il giorno precedente, e la presenza, sul corpo un tempo perfetto dell’angelo, di nuove ferite, più o meno profonde, di diversa natura.

Senza dire nulla, prese i fogli che aveva lasciato Stockman e li passò velocemente in rassegna. Aggiunse gli orari della propria visita ed ebbe modo di notare che Stockman aveva portato alcuni altri Angelologi nel laboratorio, quel giorno.

Si avvicinò alla gabbia.

«Cosa è successo?» domandò.

«Sono stato interrogato ancora» replicò Yeratel, neutrale.

«A quale proposito?»

«Il mondo ultraterreno. Le schiere angeliche. Dio … »

«E ti sei rifiutato di rispondere alle domande di Stockman?»

«Ci sono cose che gli umani non possono sapere.»

Amy tacque.

«Perché tu non mi rivolgi le medesime domande? L’umano ha detto ai suoi compagni che lo facevi. Credo lo abbia letto in quei fogli che hai scritto.»

Amy socchiuse gli occhi.

«Non tutti gli umani sono uguali» rispose.

«Questo l’avevo già capito da tempo, Amanda.»

Lei si irrigidì istintivamente.

«Chiamami Amy, se proprio devi usare il mio nome» lo rimproverò seccamente.

«Perché?»

«Non sei tu a dover fare le domande» tagliò corto Amy, irritata.

«D’accordo. Vuoi che cambiamo argomento?»

Amy non rispose, dandogli le spalle e fingendo di controllare altri dati mentre in realtà cercava di recuperare un minimo di autocontrollo.

«Perché hai deciso di diventare Angelologa?»

Amy esitò e rispose senza voltarsi.

«Perché lo era mia madre.»

«Lo era?»

«È morta quando avevo quindici anni.»

Yeratel non disse “mi dispiace” come Amy si sarebbe aspettata.

«Com’è successo?» chiese invece.

La gola di Amy si strinse in un nodo che le rese respirare difficoltoso.

«Perché vuoi saperlo?» svicolò, gli occhi fissi su una pagina bianca.

«Perché penso che tu sia stata ferita e non lo abbia ancora superato.»

Amy si girò lentamente.

«Avevano catturato un angelo» disse piano. «Lo stavano interrogando quando è scappato. Nella fuga ha distrutto tutto l’edificio. Lei né è rimasta schiacciata.»

Parlava con frasi brevi e dolorose, e smise subito. I suoi occhi lucidi vagarono disperatamente per la stanza fino ad incrociare quelli di Yeratel.

«Dai la colpa all’angelo per la sua morte?» indagò lui con calma.

«Un tempo lo facevo» sussurrò Amy.

«E ora?»

«Ora non ho più certezze.»

Yeratel la guardò con serietà.

«Io sono certo che tu sia una brava persona, Amy. Migliore di quella fredda e calcolatrice che fingi di essere. Hai un cuore gentile e io credo che, da qualche parte nel profondo, tu abbia anche una fede che aspetta solo di essere risvegliata.»

Amy si inginocchiò accanto alla gabbia e guardò l’angelo con serietà.

«Come puoi dire questo dopo che ti abbiamo catturato e … e fatto tutto questo?» domandò con voce incerta, accennando alle ali strappate e alle ferite sul petto dell’angelo.

«L’hai detto tu stessa: non tutti gli umani sono uguali. E forse dovresti prendere in considerazione la possibilità che neanche tutti gli angeli lo siano.»

Amy chiuse gli occhi.

«Forse l’ho già accettato» mormorò.

Non si stupì troppo per la sensazione successiva. Se sfiorare la pelle di Yeratel era stato bello, il tocco delle sue labbra sulle proprie fu meraviglioso. Amy perse il filo logico dei propri pensieri. Tutto quello che contava in quel momento era il contatto tra lei e l’angelo.

L’angelo.

Amy si ritrasse bruscamente e fissò Yeratel sotto shock.

Lui sembrava altrettanto stupito. Si portò due dita alle labbra.

«Amanda … » mormorò, ma lei era già scappata via.

 

~ Sesto Giorno ~

 

Amy sapeva di non poter essere così fortunata da evitare Stockman per sempre, e infatti quel pomeriggio lo trovò intento a interrogare Yeratel.

Era chino accanto alla gabbia, in mano una lunga e sottile barra metallica la cui punta acuminata gocciolava sangue. Esperta di quel genere di strumenti, Amy ipotizzò che fosse stata cosparsa o imbevuta di qualche sostanza malefica e nociva per gli angeli –probabilmente polvere di ostie dissacrate. Si fermò sulla porta, senza osare interrompere il suo superiore.

«Avanti, parla» ringhiò Stockman. «Potete venire sulla Terra quando volete? O ci sono dei limiti?»

Doveva essere l’ennesima domanda di quel genere che rivolgeva, ne era testimone il suo tono frustrato nei confronti dell’angelo, che tacque ostinatamente.

Amy sussultò quando vide Stockman, furioso, conficcare con violenza la punta di ferro tra le costole di Yeratel, che non poté trattenere un grido rabbioso di dolore.

«Parla!» ruggì l’anziano professore. «Non ti è bastato che ti strappassi le ali? Non potrai più fare ritorno a casa. Che motivo hai di tacere? Allungherai solo la tua sofferenza!»

«E se parlassi mi lasceresti libero? O mi uccideresti in modo indolore?» lo provocò Yeratel, fissandolo senza timore. «No, sono una merce troppo preziosa per te, avido umano. Mi venderai a qualcuno con ancora meno scrupoli morali di te, non è vero?»

«Sono io a fare le domande!» urlò Stockman, e affondò nuovamente la lancia, con una furia che divenne un vero e proprio assalto, ripetuto più e più volte.

Amy non riuscì più a resistere.

«Basta così» decretò a voce alta, raggiungendo Stockman a grandi passi e strappandogli l’arma dalle mani.

Il professore si voltò e strinse gli occhi.

«Miss Coleman» disse in un sibilo sottile. «È un piacere rivederla.»

«Lasci proseguire me» lo pregò. «Vada a riposarsi. Continuerò a interrogarlo.»

Stockman respirò a fondo, guardandola, quindi annuì.

«Continui pure lei» la esortò. «E mi faccia sapere se ci sono novità.»

Fece alcuni passi verso l’uscita, ed Amy stava già per sospirare di sollievo, quando si fermò sulla porta. Non disse nulla, limitandosi a guardarla, in attesa.

Amy capì in fretta. Lanciò un’occhiata a Yeratel e mormorò un “perdonami” solo mentale prima di colpirlo al petto.

L’urlo dell’angelo fu come una pugnalata al cuore.

Stockman annuì, soddisfatto, e se ne andò.

Amy aspettò di essere certa che fosse uscito prima di lasciar cadere l’arma e inginocchiarsi a fianco della gabbia.

«Mi dispiace, Yeratel» disse piano. «Ho dovuto farlo.»

Lui non rispose, ma la guardò con occhi penetranti che la portarono ad abbassare i suoi.

«Quello che è successo ieri» proseguì Amy, facendo scendere ulteriormente la voce, «È stato un errore. Ho perso il controllo. Non succederà più.»

Yeratel continuò a non rispondere, limitandosi ad osservarla.

Amy scosse la testa, sospirò e si rialzò, recuperando il disinfettante e un panno pulito.

«Vieni» mormorò.

L’angelo non si oppose, avvicinandosi alle sbarre in modo che Amy potesse ripulire le ferite.

«Non riesco a capire» disse infine.

«Che cosa?» chiese distrattamente Amy.

«Te.» La guardò intensamente. «Allo stesso tempo sfuggi, fingi di mantenere le distanze, e cedi, ti apri. Non riesco ad inquadrarti.»

Amy si rifiutò si rispondere alla provocazione.

«Non avevo pensato a cosa significasse per te perdere le ali» disse invece, cambiando argomento. «Non potrai più tornare a casa.»

«E allora?» chiese amaramente Yeratel. «In ogni caso non uscirò più da questa prigionia.»

Amy esitò.

«Non perdere la speranza» mormorò.

«Quali sono le vostre intenzioni, Amy?» indagò con serietà l’angelo. «Cosa vuole farne di me il tuo professore?»

«Vuole venderti a degli scienziati» dovette ammettere lei. «Si tratta solo di ottenere il prezzo più alto possibile contrattando con loro.»

«E loro cosa faranno?»

«Analisi, immagino. Test … » Osservando lo sguardo schiettamente realista di Yeratel, Amy sospirò. «Probabilmente finiranno con l’ucciderti, alla fine.»

L’angelo annuì quasi distrattamente mentre Amy posava sul pavimento il disinfettante e tornava a rivolgersi verso di lui.

«Posso aiutarti» disse.

«Non voglio farti correre dei rischi.»

«Non essere sciocco. Dovrei solo rubare le chiavi della gabbia al professor Stockman.»

«E poi? Non ho più le ali, Amy. Non posso fuggire.»

Lei socchiuse gli occhi lucidi.

«Mi dispiace» sussurrò. «È anche colpa mia.»

«No. Sei un Angelologa, hai fatto il tuo lavoro.»

«Se è questo che significa essere Angelologa, non voglio più farlo. Ti ho procurato così tanto dolore … e per cosa? Potrai mai perdonarmi, Yeratel?»

«L’ho già fatto» replicò lui.

Questa volta, quando percepì le dita dell’angelo avvicinarle la testa alla sua, non oppose resistenza.

 

~ Settimo Giorno ~

 

Le poche parole vergate accuratamente da Stockman sul diario dove avevano registrato i progressi dei test lasciarono Amy senza fiato.

 

Venduto per cinque milioni e mezzo a Mrs Jane Cavendish.

Ritiro previsto per le dieci di questa sera.

Prego non mancare.

 

W. R. Stockman

 

I suoi occhi corsero al grande orologio a parete. Era quasi mezzogiorno.

Si voltò lentamente verso Yeratel, che la osservava in silenzio. Non ebbe bisogno di parlare perché Amy capisse che sapeva.

Rimasero in silenzio per un po’, guardandosi, quindi Amy strinse gli occhi, la rabbia che montava.

«Non permetterò che accada» disse in un ringhio. «Deve esserci qualcosa che posso fare.»

Yeratel non replicò.

E allora si limitarono a stringersi le mani attraverso le sbarre e a implorare “non dimenticarmi”.

 

La sera giunse troppo presto.

Quando Stockman entrò nel laboratorio insieme a Mrs Cavendish –una donna bionda sulla trentina, dal cui aspetto e portamento si potevano intuire le origini nobili, radicate nella storia ereditaria dell’Angelologia- fu sorpreso di trovarvi Amy, leggermente scarmigliata e stanca.

«Professore, dobbiamo parlare prima di … » cominciò la ragazza in tono implorante, facendo un passo avanti, ma Stockman ignorò completamente le sue parole.

«Mrs Cavendish, posso presentarle Miss Amanda Coleman, la mia apprendista e assistente? Mi ha fornito un aiuto insostituibile nel domare la creatura.»

La donna le concesse un’occhiata e una rapida stretta di mano.

«Coleman come Ophelia Coleman, giusto?»

Prima ancora che Amy potesse rispondere, o anche solo sussultare nel sentire il nome della madre, la donna si era già lasciata distrarre da Yeratel.

«Oh, mio Dio. È veramente un esemplare magnifico» invocò, avvicinandosi con cautela.

«Professor Stockman» insistette Amy, mettendogli una mano sul braccio e parlando sottovoce perché la Cavendish non la udisse. «La prego, mi ascolti. Non possiamo venderlo.»

«Che sciocchezze vai blaterando, ragazza?» sbottò Stockman, guardandola storto. Senza lasciarle il tempo di replicare, si affrettò a raggiungere la donna.

«È un maschio, appartiene alla schiera delle Dominazioni. Non sono riuscito a farmi rivelare il suo nome, purtroppo –ma sono certo che, con l’esperienza della sua famiglia, lei ci riuscirà senza problemi» illustrò ossequioso l’anziano.

«È un peccato per le ali» commentò la donna.

«Abbiamo dovuto strappargliele per essere certi di impedire una fuga» spiegò Stockman.

Rabbrividendo per l’uso di quel plurale, Amy incrociò lo sguardo di Yeratel e si morse un labbro.

Che fare?

Le sembrava di stare impazzendo mentre Stockman e Jane Cavendish discutevano degli strumenti di tortura più adatti ai loro scopi con perfetta naturalezza.

E poi, la porta cadde.

Emise un suono tremendo, di metallo contro metallo, e tutti loro sobbalzarono, voltandosi verso l’ingresso.

Una figura alta, pallida ed eterea si stagliava nel buio, leggermente luminosa. Aveva lunghi capelli chiari e lineamenti evanescenti e morbidi, chiaramente femminili. Ma l’elemento più impressionante erano senza dubbio le ali, bianche e piumate, distese, splendide come lo erano state quelle di Yeratel prima della mutilazione.

Stockman e Jane Cavendish ansimarono in contemporanea. Amy tacque, gli occhi sbarrati.

Yeratel, invece, sorrise.

«Reiyel» mormorò.

Il nome bastò ad Amy, che aveva passato ore e ore a mandare a memoria elenchi di gerarchie, per identificare l’angelo: apparteneva alla schiera delle Dominazioni, come Yeratel, il suo nome significava “Dio pronto a soccorrere” e il dono di cui era portatrice –che per Yeratel era la Civiltà- era la Liberazione.

Non stupiva perciò che fosse proprio lei a giungere in aiuto di Yeratel.

Le sue fattezze meravigliose furono fonte d’inganno: nel giro di pochi secondi, Reiyel aveva estratto dal nulla una spada fiammeggiante e aveva colpito il professor Stockman.

Fu con un moto violento di nausea che Amy vide la testa del suo vecchio insegnante rotolare per un po’ e poi fermarsi. Si premette una mano sulla bocca con orrore, mentre Jane Cavendish subiva lo stesso trattamento.

E capì immediatamente che sarebbe toccato anche a lei. Indietreggiò istintivamente, pur consapevole dell’inutilità di quella mossa.

Vide Reiyel sollevare la spada e chiuse gli occhi.

«No!» urlò Yeratel, dietro di lei.

Amy si azzardò a socchiudere le palpebre. L’angelo si era bloccato con l’arma sollevata e fissava il compagno.

«Non farlo» insistette questi. «Lei mi ha aiutato. Non ucciderla, Reiyel.»

Lei inclinò la testa mentre Yeratel aggiungeva qualcosa in una lingua sconosciuta dal suono melodioso e intenso, simile ad una canzone.

«Ma è una loro complice» obiettò Reiyel in tono oltraggiato, la sua voce che risuonava come un tintinnio di campanelle nel silenzio del laboratorio.

«Lei non c’entra» disse fermamente Yeratel.

Reiyel abbassò lentamente la spada, quindi la rialzò bruscamente. Amy spalancò gli occhi –ma l’arma non colpì lei, bensì le sbarre della gabbia, che vennero tranciate di netto.

Yeratel, finalmente, uscì, infermo sulle gambe, privo del consueto bilanciamento delle ali sulla schiena.

«Cosa ti hanno fatto?» gemette Reiyel, inorridita, nell’accorgersene.

«Volevano sapere ciò che non è dato loro di sapere» tagliò corto Yeratel. «Non è così che fanno sempre gli umani?»

«A questo proposito … Yeratel. Ho ricevuto il preciso e insindacabile ordine di uccidere chiunque avesse avuto a che fare con questa storia. Il che comprende anche questa umana.»

«No. Non posso permetterti di farlo.»

«Ma perché? Cos’ha di speciale?»

«È un’anima pura.»

«Yeratel, tu non capisci. L’ordine arriva dall’alto. Non posso fare altrimenti, lo capisci?»

Solo allora Yeratel parve afferrare la situazione nel suo complesso. Sgranò gli occhi, atterrito.

«Oh, no. No … »

«Mi dispiace, ma sai cosa significa. Non c’è possibilità di scelta. Ribellarsi … »

Yeratel interruppe Reiyel con un cenno secco della mano.

«Per favore, lasciaci soli» la pregò.

Lei annuì, guardandolo intensamente ancora una volta prima di uscire rispettosamente.

Amy osservò con attenzione i gesti di Yeratel, che si passò una mano sugli occhi con un sentimento che lei non riuscì a decifrare, simile all’angoscia.

«Amy» disse poi lentamente, «Hai capito?»

Lei scosse piano la testa.

«Ciò che Reiyel è venuta a fare … l’ordine che ha ricevuto … proveniva dalla gerarchia più alta. Capita molto di rado che Egli in persona arrivi a dare direttive … »

«Non puoi disobbedire?» lo interruppe Amy, iniziando a sentire la paura farsi strada in lei, bloccandole il respiro e spronando i suoi muscoli tesi a fuggire.

«Il fatto è che … Amy, disobbedire ad un ordine diretto come questo significa cadere

Lei ricordò in un lampo il vero significato di angelo caduto, e capì il dilemma che si parava di fronte a Yeratel.

«Non hai scelta» mormorò.

«Io … sì, ho una scelta. Posso scegliere. Egli ci ha dato il libero arbitrio proprio per questo.»

«Ma hai già deciso» insistette Amy.

Yeratel confermò con un cenno del capo.

«Sì» ammise. «Ho scelto. E … Amy, piccola umana, vorrei che fosse andata diversamente.»

La ragazza sentì improvvisamente il languore che provava nel trovarsi vicino all’angelo svanire, sostituito da quel senso di autodifesa che era profondamente insito in ogni essere vivente.

Fuggì.

Non lo decise neanche razionalmente: le sue gambe si misero in moto da sole e cercarono di farle raggiungere la porta, in un tentativo tanto sciocco quanto disperato, e naturalmente vano.

Trovò Reiyel sul suo cammino. Anche lei aveva un’espressione dispiaciuta in volto, ma le sbarrava la strada inesorabilmente con le grandi ali bianche che ora parevano portatrici non di liberazione, bensì di morte.

Amy si voltò di scatto: Yeratel era dietro di lei. Le sfuggì un singhiozzo atterrito.

«Ti prego» sussurrò, ma sapeva con l’atroce certezza del condannato che per lei era infine giunto l’epilogo.

Vide distintamente una lacrima trasparente e perfetta, una sola, scivolare dall’occhio ceruleo dell’angelo e rotolare sulla sua guancia color dell’avorio.

Il suo sguardo si perse in quella goccia, e il colore aranciato della spada fiammeggiante in essa riflesso fu l’ultima cosa che le fu dato di vedere.

 

Mi mancherà il mare
Mi mancherà la neve
Mi mancheranno le api
Mi mancano le cose che crescono
Mi mancheranno gli alberi
Mi mancherà il sole
Mi mancano gli animali
Mi mancherai tu

   
 
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