Storia
partecipante al Taboo
Contest indetto da Gefyun e al Citazioni Contest indetto da AkaneMikael
e attualmente
in attesa di valutazione per entrambi.
Titolo: Angel
Genere: Fantasy, Drammatico
Avvertimenti: Het, One-shot
Parole da inserire e taboo: Arrostire/Epilogo/Manuale/Calcolatrice; non inserire riferimenti agli abiti dei personaggi.
Riassunto: Un angelo prigioniero e la sua carceriera. Tra diffidenza e attrazione, tra scienza e fede, un divario incolmabile che forse, talvolta, si fa più sottile.
«E tu in cosa credi, piccola umana? Nella scienza o nella fede?»
«Credo negli angeli.»
«E credi in Dio?»
«La fede è un dono che non ho ancora ricevuto.»
Nota dell'autore: Le citazioni ad inizio e fine del racconto sono tratte da Another World di Antony and the Johnsons, mentre la frase “La fede è un dono che non ho ancora ricevuto” è tratta dal film “Angeli e Demoni”, a sua volta ispirato al romanzo di Dan Brown.
Premetto che questa storia è per me inusuale e tratta un tema piuttosto delicato, quello della fede e del suo rapporto con la scienza. Ci tengo a precisare che le opinioni espresse dai personaggi non corrispondono necessariamente con le mie.
Un’ultima cosa: la storia in generale è frutto di un’idea che è nata leggendo il titolo di un libro visto in libreria, “Angelology” di Danielle Trussoni. Non so neanche di cosa parli (prima o poi lo leggerò, spero): mi hanno semplicemente attirata il titolo e l’immagine in copertina.
I prompt sono in grassetto nel testo.
Buona lettura!
adamantina
~
ANGEL ~
Ho
bisogno di un altro posto
Là sarò in pace
Ho bisogno di un altro mondo
Questo è quasi andato
Ho ancora molti sogni
Non ho mai visto la luce
Ho bisogno di un altro mondo
Un posto dove posso andare
~
Primo Giorno ~
Amy
Coleman non aveva mai visto niente di
più straordinario in vita sua.
Era
fortunata –le possibilità che
un’apprendista
come lei avesse l’occasione di ammirare una creatura come
quella erano
praticamente nulle. C’erano professionisti del campo che in
cinquant’anni di
carriera non c’erano mai riusciti.
I
suoi occhi scuri si nutrirono della
luce debole che circondava la creatura per qualche secondo, assorbendo
l’assoluta
perfezione dei suoi lineamenti e del semplice splendore
che emanava.
Era
immobile, distesa sul pavimento
metallico della gabbia. I capelli erano biondi, morbidi come fili
d’oro puro;
la pelle del colore dell’alabastro; e la sua altezza era
almeno di due metri. Le
ali bianche e piumate erano pigiate dalle sbarre della gabbia, troppo
grandi
per poter essere distese al suo interno. Amy si sentì
piccola e inerme al suo
confronto.
«Cosa
sapete della creatura, dottor Stockman?»
chiese, incrociando le braccia e stringendo gli occhi per osservarla
meglio.
«Poco»
rispose l’uomo anziano, burbero.
«Non c’è ancora stato il tempo di fare
delle analisi. È un maschio, questo è
certo.»
«Cosa
dicono i Cacciatori?» insistette la
più giovane.
Si
riferiva a coloro che sfruttavano
trucchi e strategie delle più infide per catturare gli
angeli e venderli ad
ansiosi Angelologi disposti a tutto per averli.
«I
Cacciatori non sono altro che
mercenari ignoranti, miss Coleman» tagliò corto
Stockman, cupo. «Hanno usato
strumenti che nessuno di noi aveva approvato in precedenza …
l’hanno pugnalato
con un coltello satanico, un Athame che era stato usato per compiere un
sacrificio umano.»
Amy
rabbrividì.
«Almeno
ha funzionato» sospirò. «È
ferito?»
«Sì,
ma non gravemente. Guarirà nel giro
di poche ore, e non possiamo permettercelo. Dovremo tenerlo sotto
stretto
controllo.» Stockman fece una pausa. «Riesci a
dirmi qualcosa in più su di
lui?»
Amy
azzardò un passo in avanti per vedere
meglio.
«Dall’apertura
alare e dall’altezza direi
che fa parte del coro delle Dominazioni» disse, forte dei
suoi recentissimi
studi. «Dionigi Aeropagita, primo vescovo di Atene, dice
testualmente : “Io credo che il
nome rivelatore delle sante
Dominazioni ci indichi la loro
forza di elevarsi, che mai si sottomette, libera da ogni inferiore
cedimento;
esse non si abbassano assolutamente a nessuna realtà
discordante e tirannica,
superano ogni degradante asservimento, entrano il più
possibile in comunione con
l'eterna divinità del Principio della Dominazione.”»
Stockman
annuì, soddisfatto dalla
perfetta citazione dell’apprendista, estratta da un libro tra i mille che aveva studiato in
quegli anni.
«Esattamente.
Ed è per questa
impossibilità a sottomettersi che negli ultimi mille anni
nessuno è mai
riuscito a catturarne uno vivo. Ci sono stati Cherubini, certo, e
Serafini, e
anche alcuni Troni –ma questo … no, nessuno prima
c’era riuscito.»
«Se
i Cacciatori sapessero cos’avevano
tra le mani … » sussurrò Amy.
«Una
fortuna sprecata» concordò Stockman.
«Buon per noi.»
L’angelo
nella gabbia non si mosse mentre
i due studiosi si avvicinavano.
«Che
meraviglia» non poté fare a meno di
commentare.
«Ricordati
il nostro obiettivo» sbuffò Stockman,
guardando la gabbia con disprezzo. «Cominceremo con i test
domattina.»
~
Secondo Giorno ~
Quando
Amy arrivò, la mattina dopo, non
erano ancora le sei, eppure non si era mai sentita così
nervosa e attiva. Entrò
nel laboratorio e il suo stupore fu grande quando vide che
l’angelo era
sveglio. Esitò prima di avvicinarsi alla gabbia.
La
creatura osservò i suoi movimenti con
un’espressione indecifrabile. La guardò mentre,
tesa, sentendosi osservata,
preparava l’occorrente per gli esperimenti.
«Umana»
disse infine. La sua voce fece
tremare Amy fin nel profondo. Era roca, profonda, con un sottofondo
innaturale
e irreale che la fece rimbombare in tutto il laboratorio.
«Qual è il tuo nome?»
«Non
ti riguarda, angelo»
replicò lei, memore delle più basilari regole
dell’Angelologia.
Conoscere
il nome di una persona equivale ad averla in suo potere.
«Sei
la mia carceriera» ribatté lui con
naturalezza. «Ritengo che invece mi riguardi.»
Le
loro voci sono melodiose e amabili; il loro scopo sempre quello di
indurvi in
tentazione e far sì che li liberiate. Non ascoltateli; non
cedete.
«Tra
poco non ti importerà più»
tagliò
corto Amy, riempiendo una sottile siringa con un liquido rosso,
cercando di non
dare peso al fatto che, come lei ben sapeva, si trattava del sangue di
un
neonato innocente morto per mano di persone crudeli.
Erano
quelli gli strumenti per ferire un
angelo: dolore, morte, innocenza
calpestata.
Il
problema reale le sovvenne solo quando
fu a pochi passi dalla gabbia: come avrebbe fatto a iniettargli quel
veleno?
La
sua esitazione spinse l’angelo a
parlare ancora.
«Cosa
vuoi fare, piccola umana? Usare il
sangue di un innocente per ferire un nemico che non ha mai fatto nulla
di male
né a te, né a chiunque altro?»
Il
tono di rimprovero della sua voce
conteneva una nota furente che l’angelo non riusciva a
nascondere. Amy strinse
la presa sulla siringa e, decisa, raggiunse la creatura.
Allungò
una mano e gli afferrò un
braccio.
Quello
che non si aspettava era la
sensazione del contatto con la sua pelle.
Era
come sfiorare un cavo elettrico nascosto in una nuvola.
Spalancò
gli occhi, ma non lasciò la
presa. L’angelo la osservò, e per un momento Amy
credette che l’avrebbe colpita
–ma lui non si mosse, e lasciò inerme che lei lo
pungesse e iniettasse nelle sue
vene quel liquido ignobile, limitandosi a trafiggerla con gli occhi
dorati che
la accusavano in silenzio.
Un
istante dopo, era a terra, nella
gabbia, e urlava per il dolore.
Amy
indietreggiò e lasciò cadere la
siringa vuota sul tavolo. Prese fiato una, due, tre volte. Quella
strana
sensazione che provava alla bocca dello stomaco non era descritta in
nessun manuale di Angelologia. Per
fortuna,
tutto il resto lo era.
Aspettò
in silenzio che le urla
cessassero. Quando l’angelo giacque a terra in silenzio,
respirando
affannosamente, gli occhi serrati, allora si permise di proseguire.
Si
avvicinò e prelevò diverse fiale di
sangue, che appariva denso e scarlatto, etichettandole una ad una e
mettendole
al loro posto in un contenitore frigorifero senza che la creatura
reagisse.
Quindi
se ne andò, diretta all’Accademia,
le orecchie ancora torturate da quelle grida melodiche.
~
Terzo Giorno ~
Il
giorno
seguente era più tardi quando arrivò al
laboratorio. Sapeva che Stockman ci era
già stato la sera precedente e quella mattina stessa, e
quasi temeva di
incontrarlo. Non sapeva esattamente da dove nascesse questa ansia
–l’uomo era
stato il suo mentore per anni e incarnava il modello di Angelologa che
voleva
essere una volta completata la sua formazione.
Amy
dovette
trattenere un grido sorpreso quando vide l’angelo. Profonde
ferite segnavano il
suo intero corpo, evidente risultato dell’interrogatorio che
Stockman in quei
due giorni.
Cercò
il coraggio
di parlare ma non vi riuscì, specialmente quando
l’angelo riuscì a incontrare
il suo sguardo e incatenò i suoi selvaggi occhi dorati in
quelli scuri e
spaventati di lei.
«Perché
lo fate,
umana?» domandò con quella voce, quella
voce
che Amy aveva sognato la notte precedente.
«Vogliamo
capire»
rispose lei, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo.
«Capire
che
cosa?»
«Capire
voi.»
«Siete
scienziati, dunque.»
Non
c’era sprezzo
né condanna nel tono della creatura, e questo
spiazzò la ragazza, che strinse
più forte le dita intorno al manuale che teneva in mano e
che conteneva tutte
le informazioni che pensava le sarebbero bastate per riuscire a domare
un
angelo.
Ingenua.
«Angelologi»
specificò Amy.
«Pensavo
che nel
vostro mondo consideraste scienza e
fede totalmente
inconciliabili.»
«L’Angelologia
è
mediatrice delle due.»
L’angelo
osservò
con attenzione la ragazza, che deglutì, sentendosi messa a
nudo.
«E
tu in cosa
credi, piccola umana? Nella scienza o nella fede?»
«Credo
negli
angeli.»
«E
credi in Dio?»
Amy
socchiuse gli
occhi per un antico dolore risvegliato all’improvviso.
«La
fede è un dono
che non ho ancora ricevuto» replicò. Quindi, dopo
una breve esitazione,
domandò: «Qual è il tuo nome?»
L’angelo
non ebbe
remore nel replicare:
«Ho
tanti nomi
diversi, il più importante dei quali non capiresti,
perché solo quelli della
mia specie lo possono ascoltare. Puoi chiamarmi Yeratel
–significa “Dio punisce
gli empi”.»
Ad
Amy sfuggì uno
sbuffo.
«Se
Dio esiste,
punisce tutti, senza distinzioni»
decretò.
Yeratel
scosse la
testa, severo.
«Non
giudicare
l’opera del Signore, umana. Né tu né io
ne abbiamo il diritto.»
La
ragazza non
replicò, per nulla convinta. Si avvicinò ad uno
dei tavoli di metallo e afferrò
un dossier compilato quella mattina da Stockman. Lo lesse senza
attenzione,
distratta.
«Non
mi hai
ancora rivelato il tuo, di nome.
Non
posso continuare a chiamarti umana
per sempre, giusto?»
Amy
si voltò e
gli lanciò un’occhiata gelida.
«Non
sarà per
sempre» disse, lapidaria.
Poi
si morse il
labbro inferiore. Stava parlando troppo. Sapeva che quel genere di
creatura,
specialmente se appartenente a una gerarchia così elevata,
poteva facilmente
portare un professionista a commettere un errore fatale.
«Avete
intenzione
di uccidermi?» indagò Yeratel, il tono leggermente
beffardo di chi non crede
che ciò che sta dicendo sia possibile.
Ma
Amy decise di
non aggiungere altro. Compilò brevemente alcuni passi del
dossier e si
allontanò dal laboratorio.
~
Quarto Giorno ~
Amy
aveva sempre
rispettato enormemente il professor Stockman e continuava a farlo.
Dopotutto
era grazie a lui se in quel momento si trovava davanti ad un angelo
vero. Ma i
dubbi sulla sua professionalità e sulla sua etica si
riaffacciarono prepotenti
nella sua mente quando vide Yeratel il pomeriggio seguente.
Era
ancora
cosciente, gli occhi colmi di una furente sfida verso
l’umanità intera, ma
entrambe le sue ali -quelle splendide, piumate ali bianche e dorate,
che
l’avevano fatta restare senza fiato quando le aveva viste la
prima volta- erano
state brutalmente mutilate: non restavano di esse che due moncherini
sanguinanti.
Amy
dovette
combattere l’istinto di correre verso di lui.
Respirò a fondo, e l’odore
metallico del sangue le entrò nelle narici, causandole
un’ondata di nausea che
faticò a reprimere.
«Yeratel»
disse
piano, avvicinandosi alla gabbia.
Lui
la guardò con
l’intensità e la rabbia feroce di un animale
selvatico ferito e fatto
prigioniero, un leone rinchiuso.
Amy,
facendo
violenza su se stessa, si costrinse a camminare lentamente per non
spaventarlo
né farlo infuriare. Raggiunse il tavolo e
recuperò la valigetta del primo
soccorso, da cui estrasse bende e disinfettante, pur domandandosi
cupamente
quanto questi potessero avere effetto su una creatura angelica. Aveva
studiato
nei libri il modo di ferirli, non quello di curarli –e per la
prima volta sentì
che in questo doveva esserci qualcosa di sbagliato. Tuttavia non si
fermò ad
indagare.
Raggiunse
la
gabbia e si trovò davanti al primo ostacolo. Non poteva
certo aprirla: doveva
convincere l’angelo a voltarsi.
«Yeratel»
ripeté,
sedendosi sui talloni e guardandolo con fermezza. «Ho bisogno
che tu ti giri
per poterti medicare.»
L’angelo
la
guardò, e Amy scorse nei suoi occhi qualcosa che
interpretò come vergogna per
dover mostrare a lei l’opera orribile e blasfema del suo
carnefice.
«Voglio
solo
aiutarti» insistette, ma l’angelo esitava ancora.
Allora prese una decisione.
«Il mio nome è Amanda»
proferì con serietà. «Puoi chiamarmi
Amy, lo fanno
tutti.»
Yeratel
sospirò e
annuì appena.
«Amanda»
mormorò.
«Colei che deve essere amata.»
Non
aggiunse
altro, ma si voltò e, in ginocchio, avvicinò la
schiena insanguinata alle
sbarre di metallo.
Nel
vedere ciò
che restava di quelle meravigliose ali piumate Amy non
riuscì a trattenere un
gemito. Yeratel si irrigidì.
«Va
tutto bene»
disse lei con voce leggermente roca. «Non ti
preoccupare.»
Quando
l’angelo
si rilassò, Amy imbevette di disinfettante un panno e
cominciò a passarlo sulla
sua schiena con lenti movimenti circolari, le mani che le tremavano
leggermente, avendo cura di trattare con particolare delicatezza i
punti che un
tempo erano stati di sostegno alle ali.
Yeratel
non si
mosse né disse una sola parola finché la ragazza
non ebbe terminato e non gli
ebbe circondato il petto di bende candide. Quindi si spostò
leggermente verso
il centro della gabbia.
«Dici
di non
avere fede» enunciò con cautela, «Ma ne
vedo più in te che in molti di coloro
che si professano strenui credenti.»
«Credi?»
domandò
piano lei. «Mio padre ritiene che un giorno sarò
messa ad arrostire sulle fiamme
dell’Inferno per la mia mancanza di fede.»
«Io
conosco i
criteri per cui gli umani vengono mandati all’Inferno, e
credimi quando ti dico
che il tuo cuore è puro e non è lì che
andrai … Amanda.»
Amy
non seppe
cosa replicare. Ripose gli strumenti di medicazione e tornò
a casa.
~
Quinto Giorno ~
Amy
sapeva che
non avrebbe potuto evitare Stockman per sempre, ma si sentì
enormemente
sollevata quando non lo trovò in laboratorio, quella sera.
Aveva lasciato
passare le ore, adducendo come scusa l’approfondimento di
alcuni studi, e
quando era entrata erano ormai le dieci.
Con
suo grande
sollievo, era sola con l’angelo.
Yeratel
sedeva
nella gabbia, immerso nei propri pensieri. Amy notò
l’assenza delle bende che
aveva usato lei il giorno precedente, e la presenza, sul corpo un tempo
perfetto dell’angelo, di nuove ferite, più o meno
profonde, di diversa natura.
Senza
dire nulla,
prese i fogli che aveva lasciato Stockman e li passò
velocemente in rassegna.
Aggiunse gli orari della propria visita ed ebbe modo di notare che
Stockman
aveva portato alcuni altri Angelologi nel laboratorio, quel giorno.
Si
avvicinò alla
gabbia.
«Cosa
è
successo?» domandò.
«Sono
stato
interrogato ancora» replicò Yeratel, neutrale.
«A
quale
proposito?»
«Il
mondo
ultraterreno. Le schiere angeliche. Dio … »
«E
ti sei
rifiutato di rispondere alle domande di Stockman?»
«Ci
sono cose che
gli umani non possono sapere.»
Amy
tacque.
«Perché
tu non mi
rivolgi le medesime domande? L’umano ha detto ai suoi
compagni che lo facevi.
Credo lo abbia letto in quei fogli che hai scritto.»
Amy
socchiuse gli
occhi.
«Non
tutti gli
umani sono uguali» rispose.
«Questo
l’avevo
già capito da tempo, Amanda.»
Lei
si irrigidì
istintivamente.
«Chiamami
Amy, se
proprio devi usare il mio nome» lo rimproverò
seccamente.
«Perché?»
«Non
sei tu a
dover fare le domande» tagliò corto Amy, irritata.
«D’accordo.
Vuoi
che cambiamo argomento?»
Amy
non rispose,
dandogli le spalle e fingendo di controllare altri dati mentre in
realtà
cercava di recuperare un minimo di autocontrollo.
«Perché
hai
deciso di diventare Angelologa?»
Amy
esitò e
rispose senza voltarsi.
«Perché
lo era
mia madre.»
«Lo
era?»
«È
morta quando
avevo quindici anni.»
Yeratel
non disse
“mi dispiace” come
Amy si sarebbe
aspettata.
«Com’è
successo?»
chiese invece.
La
gola di Amy si
strinse in un nodo che le rese respirare difficoltoso.
«Perché
vuoi
saperlo?» svicolò, gli occhi fissi su una pagina
bianca.
«Perché
penso che
tu sia stata ferita e non lo abbia ancora superato.»
Amy
si girò
lentamente.
«Avevano
catturato un angelo» disse piano. «Lo stavano
interrogando quando è scappato.
Nella fuga ha distrutto tutto l’edificio. Lei né
è rimasta schiacciata.»
Parlava
con frasi
brevi e dolorose, e smise subito. I suoi occhi lucidi vagarono
disperatamente
per la stanza fino ad incrociare quelli di Yeratel.
«Dai
la colpa
all’angelo per la sua morte?» indagò lui
con calma.
«Un
tempo lo
facevo» sussurrò Amy.
«E
ora?»
«Ora
non ho più
certezze.»
Yeratel
la guardò
con serietà.
«Io
sono certo
che tu sia una brava persona, Amy. Migliore di quella fredda e calcolatrice che fingi di essere. Hai
un cuore gentile e io credo che, da qualche parte nel profondo, tu
abbia anche
una fede che aspetta solo di essere risvegliata.»
Amy
si
inginocchiò accanto alla gabbia e guardò
l’angelo con serietà.
«Come
puoi dire
questo dopo che ti abbiamo catturato e … e fatto tutto
questo?» domandò con
voce incerta, accennando alle ali strappate e alle ferite sul petto
dell’angelo.
«L’hai
detto tu
stessa: non tutti gli umani sono uguali. E forse dovresti prendere in
considerazione la possibilità che neanche tutti gli angeli
lo siano.»
Amy
chiuse gli
occhi.
«Forse
l’ho già
accettato» mormorò.
Non
si stupì
troppo per la sensazione successiva. Se sfiorare la pelle di Yeratel
era stato
bello, il tocco delle sue labbra sulle proprie fu meraviglioso. Amy
perse il
filo logico dei propri pensieri. Tutto quello che contava in quel
momento era
il contatto tra lei e l’angelo.
L’angelo.
Amy
si ritrasse
bruscamente e fissò Yeratel sotto shock.
Lui
sembrava
altrettanto stupito. Si portò due dita alle labbra.
«Amanda
… »
mormorò, ma lei era già scappata via.
~
Sesto Giorno ~
Amy
sapeva di non
poter essere così fortunata da evitare Stockman per sempre,
e infatti quel
pomeriggio lo trovò intento a interrogare Yeratel.
Era
chino accanto
alla gabbia, in mano una lunga e sottile barra metallica la cui punta
acuminata
gocciolava sangue. Esperta di quel genere di strumenti, Amy
ipotizzò che fosse
stata cosparsa o imbevuta di qualche sostanza malefica e nociva per gli
angeli
–probabilmente polvere di ostie dissacrate. Si
fermò sulla porta, senza osare
interrompere il suo superiore.
«Avanti,
parla»
ringhiò Stockman. «Potete venire sulla Terra
quando volete? O ci sono dei
limiti?»
Doveva
essere
l’ennesima domanda di quel genere che rivolgeva, ne era
testimone il suo tono
frustrato nei confronti dell’angelo, che tacque ostinatamente.
Amy
sussultò
quando vide Stockman, furioso, conficcare con violenza la punta di
ferro tra le
costole di Yeratel, che non poté trattenere un grido
rabbioso di dolore.
«Parla!»
ruggì
l’anziano professore. «Non ti è bastato
che ti strappassi le ali? Non potrai
più fare ritorno a casa. Che motivo hai di tacere?
Allungherai solo la tua
sofferenza!»
«E
se parlassi mi
lasceresti libero? O mi uccideresti in modo indolore?» lo
provocò Yeratel,
fissandolo senza timore. «No, sono una merce troppo preziosa
per te, avido
umano. Mi venderai a qualcuno con ancora meno scrupoli morali di te,
non è
vero?»
«Sono
io a fare
le domande!» urlò Stockman, e affondò
nuovamente la lancia, con una furia che
divenne un vero e proprio assalto, ripetuto più e
più volte.
Amy
non riuscì
più a resistere.
«Basta
così»
decretò a voce alta, raggiungendo Stockman a grandi passi e
strappandogli
l’arma dalle mani.
Il
professore si
voltò e strinse gli occhi.
«Miss
Coleman»
disse in un sibilo sottile. «È un piacere
rivederla.»
«Lasci
proseguire
me» lo pregò. «Vada a riposarsi.
Continuerò a interrogarlo.»
Stockman
respirò
a fondo, guardandola, quindi annuì.
«Continui
pure
lei» la esortò. «E mi faccia sapere se
ci sono novità.»
Fece
alcuni passi
verso l’uscita, ed Amy stava già per sospirare di
sollievo, quando si fermò
sulla porta. Non disse nulla, limitandosi a guardarla, in attesa.
Amy
capì in
fretta. Lanciò un’occhiata a Yeratel e
mormorò un “perdonami”
solo mentale prima di colpirlo al petto.
L’urlo
dell’angelo fu come una pugnalata al cuore.
Stockman
annuì,
soddisfatto, e se ne andò.
Amy
aspettò di
essere certa che fosse uscito prima di lasciar cadere l’arma
e inginocchiarsi a
fianco della gabbia.
«Mi
dispiace,
Yeratel» disse piano. «Ho dovuto farlo.»
Lui
non rispose,
ma la guardò con occhi penetranti che la portarono ad
abbassare i suoi.
«Quello
che è
successo ieri» proseguì Amy, facendo scendere
ulteriormente la voce, «È stato
un errore. Ho perso il controllo. Non succederà
più.»
Yeratel
continuò
a non rispondere, limitandosi ad osservarla.
Amy
scosse la
testa, sospirò e si rialzò, recuperando il
disinfettante e un panno pulito.
«Vieni»
mormorò.
L’angelo
non si
oppose, avvicinandosi alle sbarre in modo che Amy potesse ripulire le
ferite.
«Non
riesco a
capire» disse infine.
«Che
cosa?»
chiese distrattamente Amy.
«Te.» La guardò
intensamente. «Allo
stesso tempo sfuggi, fingi di mantenere le distanze, e cedi, ti apri.
Non
riesco ad inquadrarti.»
Amy
si rifiutò si
rispondere alla provocazione.
«Non
avevo
pensato a cosa significasse per te perdere le ali» disse
invece, cambiando
argomento. «Non potrai più tornare a
casa.»
«E
allora?»
chiese amaramente Yeratel. «In ogni caso non
uscirò più da questa prigionia.»
Amy
esitò.
«Non
perdere la
speranza» mormorò.
«Quali
sono le
vostre intenzioni, Amy?» indagò con
serietà l’angelo. «Cosa vuole farne di
me
il tuo professore?»
«Vuole
venderti a
degli scienziati» dovette ammettere lei. «Si tratta
solo di ottenere il prezzo
più alto possibile contrattando con loro.»
«E
loro cosa
faranno?»
«Analisi,
immagino. Test … » Osservando lo sguardo
schiettamente realista di Yeratel, Amy
sospirò. «Probabilmente finiranno con
l’ucciderti, alla fine.»
L’angelo
annuì
quasi distrattamente mentre Amy posava sul pavimento il disinfettante e
tornava
a rivolgersi verso di lui.
«Posso
aiutarti»
disse.
«Non
voglio farti
correre dei rischi.»
«Non
essere
sciocco. Dovrei solo rubare le chiavi della gabbia al professor
Stockman.»
«E
poi? Non ho
più le ali, Amy. Non posso fuggire.»
Lei
socchiuse gli
occhi lucidi.
«Mi
dispiace»
sussurrò. «È anche colpa mia.»
«No.
Sei un
Angelologa, hai fatto il tuo lavoro.»
«Se
è questo che
significa essere Angelologa, non voglio più farlo. Ti ho
procurato così tanto
dolore … e per cosa? Potrai mai perdonarmi,
Yeratel?»
«L’ho
già fatto»
replicò lui.
Questa
volta,
quando percepì le dita dell’angelo avvicinarle la
testa alla sua, non oppose
resistenza.
~
Settimo Giorno ~
Le
poche parole
vergate accuratamente da Stockman sul diario dove avevano registrato i
progressi dei test lasciarono Amy senza fiato.
Venduto
per cinque milioni e
mezzo a Mrs Jane Cavendish.
Ritiro
previsto per le dieci
di questa sera.
Prego
non mancare.
W.
R. Stockman
I
suoi occhi
corsero al grande orologio a parete. Era quasi mezzogiorno.
Si
voltò
lentamente verso Yeratel, che la osservava in silenzio. Non ebbe
bisogno di
parlare perché Amy capisse che sapeva.
Rimasero
in
silenzio per un po’, guardandosi, quindi Amy strinse gli
occhi, la rabbia che
montava.
«Non
permetterò
che accada» disse in un ringhio. «Deve esserci
qualcosa che posso fare.»
Yeratel
non
replicò.
E
allora si
limitarono a stringersi le mani attraverso le sbarre e a implorare “non dimenticarmi”.
La
sera giunse
troppo presto.
Quando
Stockman
entrò nel laboratorio insieme a Mrs Cavendish –una
donna bionda sulla trentina,
dal cui aspetto e portamento si potevano intuire le origini nobili,
radicate
nella storia ereditaria dell’Angelologia- fu sorpreso di
trovarvi Amy,
leggermente scarmigliata e stanca.
«Professore,
dobbiamo parlare prima di … » cominciò
la ragazza in tono implorante, facendo
un passo avanti, ma Stockman ignorò completamente le sue
parole.
«Mrs
Cavendish,
posso presentarle Miss Amanda Coleman, la mia apprendista e assistente?
Mi ha
fornito un aiuto insostituibile nel domare la creatura.»
La
donna le
concesse un’occhiata e una rapida stretta di mano.
«Coleman
come
Ophelia Coleman, giusto?»
Prima
ancora che
Amy potesse rispondere, o anche solo sussultare nel sentire il nome
della
madre, la donna si era già lasciata distrarre da Yeratel.
«Oh,
mio Dio. È
veramente un esemplare magnifico» invocò,
avvicinandosi con cautela.
«Professor
Stockman» insistette Amy, mettendogli una mano sul braccio e
parlando sottovoce
perché la Cavendish non la udisse. «La prego, mi
ascolti. Non possiamo
venderlo.»
«Che
sciocchezze
vai blaterando, ragazza?» sbottò Stockman,
guardandola storto. Senza lasciarle
il tempo di replicare, si affrettò a raggiungere la donna.
«È
un maschio,
appartiene alla schiera delle Dominazioni. Non sono riuscito a farmi
rivelare
il suo nome, purtroppo –ma sono certo che, con
l’esperienza della sua famiglia,
lei ci riuscirà senza problemi»
illustrò ossequioso l’anziano.
«È
un peccato per
le ali» commentò la donna.
«Abbiamo
dovuto
strappargliele per essere certi di impedire una fuga»
spiegò Stockman.
Rabbrividendo
per
l’uso di quel plurale, Amy incrociò lo sguardo di
Yeratel e si morse un labbro.
Che
fare?
Le
sembrava di
stare impazzendo mentre Stockman e Jane Cavendish discutevano degli
strumenti
di tortura più adatti ai loro scopi con perfetta naturalezza.
E
poi, la porta
cadde.
Emise
un suono
tremendo, di metallo contro metallo, e tutti loro sobbalzarono,
voltandosi
verso l’ingresso.
Una
figura alta,
pallida ed eterea si stagliava nel buio, leggermente luminosa. Aveva
lunghi
capelli chiari e lineamenti evanescenti e morbidi, chiaramente
femminili. Ma
l’elemento più impressionante erano senza dubbio
le ali, bianche e piumate,
distese, splendide come lo erano state quelle di Yeratel prima della
mutilazione.
Stockman
e Jane
Cavendish ansimarono in contemporanea. Amy tacque, gli occhi sbarrati.
Yeratel,
invece,
sorrise.
«Reiyel»
mormorò.
Il
nome bastò ad
Amy, che aveva passato ore e ore a mandare a memoria elenchi di
gerarchie, per
identificare l’angelo: apparteneva alla schiera delle
Dominazioni, come
Yeratel, il suo nome significava “Dio
pronto a soccorrere” e il dono di cui era
portatrice –che per Yeratel era
la Civiltà- era la Liberazione.
Non
stupiva
perciò che fosse proprio lei a giungere in aiuto di Yeratel.
Le
sue fattezze
meravigliose furono fonte d’inganno: nel giro di pochi
secondi, Reiyel aveva
estratto dal nulla una spada fiammeggiante e aveva colpito il professor
Stockman.
Fu
con un moto
violento di nausea che Amy vide la testa del suo vecchio insegnante
rotolare
per un po’ e poi fermarsi. Si premette una mano sulla bocca
con orrore, mentre
Jane Cavendish subiva lo stesso trattamento.
E
capì
immediatamente che sarebbe toccato anche a lei. Indietreggiò
istintivamente,
pur consapevole dell’inutilità di quella mossa.
Vide
Reiyel
sollevare la spada e chiuse gli occhi.
«No!»
urlò
Yeratel, dietro di lei.
Amy
si azzardò a
socchiudere le palpebre. L’angelo si era bloccato con
l’arma sollevata e
fissava il compagno.
«Non
farlo»
insistette questi. «Lei mi ha aiutato. Non ucciderla,
Reiyel.»
Lei
inclinò la
testa mentre Yeratel aggiungeva qualcosa in una lingua sconosciuta dal
suono
melodioso e intenso, simile ad una canzone.
«Ma
è una loro
complice» obiettò Reiyel in tono oltraggiato, la
sua voce che risuonava come un
tintinnio di campanelle nel silenzio del laboratorio.
«Lei
non c’entra»
disse fermamente Yeratel.
Reiyel
abbassò
lentamente la spada, quindi la rialzò bruscamente. Amy
spalancò gli occhi –ma
l’arma non colpì lei, bensì le sbarre
della gabbia, che vennero tranciate di
netto.
Yeratel,
finalmente, uscì, infermo sulle gambe, privo del consueto
bilanciamento delle
ali sulla schiena.
«Cosa
ti hanno
fatto?» gemette Reiyel, inorridita,
nell’accorgersene.
«Volevano
sapere
ciò che non è dato loro di sapere»
tagliò corto Yeratel. «Non è
così che fanno
sempre gli umani?»
«A
questo
proposito … Yeratel. Ho ricevuto il preciso e insindacabile
ordine di uccidere
chiunque avesse avuto a che fare con questa storia. Il che comprende
anche
questa umana.»
«No.
Non posso
permetterti di farlo.»
«Ma
perché? Cos’ha
di speciale?»
«È
un’anima
pura.»
«Yeratel,
tu non
capisci. L’ordine arriva dall’alto. Non
posso fare altrimenti, lo capisci?»
Solo
allora
Yeratel parve afferrare la situazione nel suo complesso.
Sgranò gli occhi,
atterrito.
«Oh,
no. No … »
«Mi
dispiace, ma
sai cosa significa. Non c’è possibilità
di scelta. Ribellarsi … »
Yeratel
interruppe Reiyel con un cenno secco della mano.
«Per
favore,
lasciaci soli» la pregò.
Lei
annuì,
guardandolo intensamente ancora una volta prima di uscire
rispettosamente.
Amy
osservò con
attenzione i gesti di Yeratel, che si passò una mano sugli
occhi con un
sentimento che lei non riuscì a decifrare, simile
all’angoscia.
«Amy»
disse poi
lentamente, «Hai capito?»
Lei
scosse piano
la testa.
«Ciò
che Reiyel è
venuta a fare … l’ordine che ha ricevuto
… proveniva dalla gerarchia più alta.
Capita molto di rado che Egli in persona arrivi a dare direttive
… »
«Non
puoi
disobbedire?» lo interruppe Amy, iniziando a sentire la paura
farsi strada in
lei, bloccandole il respiro e spronando i suoi muscoli tesi a fuggire.
«Il
fatto è che …
Amy, disobbedire ad un ordine diretto come questo significa cadere.»
Lei
ricordò in un
lampo il vero significato di angelo
caduto, e capì il dilemma che si parava di fronte
a Yeratel.
«Non
hai scelta»
mormorò.
«Io
… sì, ho una
scelta. Posso scegliere. Egli ci ha dato il libero arbitrio proprio per
questo.»
«Ma
hai già
deciso» insistette Amy.
Yeratel
confermò
con un cenno del capo.
«Sì»
ammise. «Ho
scelto. E … Amy, piccola umana, vorrei che fosse andata
diversamente.»
La
ragazza sentì
improvvisamente il languore che provava nel trovarsi vicino
all’angelo svanire,
sostituito da quel senso di autodifesa che era profondamente insito in
ogni
essere vivente.
Fuggì.
Non
lo decise
neanche razionalmente: le sue gambe si misero in moto da sole e
cercarono di
farle raggiungere la porta, in un tentativo tanto sciocco quanto
disperato, e
naturalmente vano.
Trovò
Reiyel sul
suo cammino. Anche lei aveva un’espressione dispiaciuta in
volto, ma le
sbarrava la strada inesorabilmente con le grandi ali bianche che ora
parevano
portatrici non di liberazione, bensì di morte.
Amy
si voltò di
scatto: Yeratel era dietro di lei. Le sfuggì un singhiozzo
atterrito.
«Ti
prego»
sussurrò, ma sapeva con l’atroce certezza del
condannato che per lei era infine
giunto l’epilogo.
Vide
distintamente una lacrima trasparente e perfetta, una sola, scivolare
dall’occhio ceruleo dell’angelo e rotolare sulla
sua guancia color dell’avorio.
Il
suo sguardo si
perse in quella goccia, e il colore aranciato della spada fiammeggiante
in essa
riflesso fu l’ultima cosa che le fu dato di vedere.
Mi
mancherà il mare
Mi mancherà la neve
Mi mancheranno le api
Mi mancano le cose che crescono
Mi mancheranno gli alberi
Mi mancherà il sole
Mi mancano gli animali
Mi mancherai tu