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Autore: Ashleigh    14/06/2006    3 recensioni
Guardare le stelle permette alcune volte di pensare su cose a cui non si è fatto caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Star-watching

Star Watching

 

“Papà?”

 

“Sì, tesoro?”

 

“Quante stelle ci sono in cielo?”

 

Lui girò la testa verso di lei, che scrutava il cielo stellato con grande interesse, i capelli quasi neri nel dolce buio che li circondava.

 

“Non si possono contare.”

 

“Tutto si può contare. E poi tu puoi fare la magia, potresti saperlo.”

 

“Con la magia non si può fare tutto.”

 

Lei non disse nulla per un po’, continuando a scrutare il cielo.

 

Una dolce brezza aveva iniziato a scompigliare le chiome degli alberi, le foglie modulando dolci suoni che sembravano acuire quella sensazione di tranquillità che sembrava avvolgere quel piccolo angolo di mondo.

 

“Cos’è quella cosa grossa e luminosa lì?”

 

La bambina indicò con il dito un punto nel cielo.

 

“Penso sia Andromeda. Una galassia, è la più vicina a noi.”

 

“Ahhh. Mi piace Andromeda.”

 

Lei guardò con ancora più interesse il cielo, arricciando attorno al dito una ciocca dei lunghi capelli rossi.

 

Lui pure guardò il cielo meravigliandosi di quanto interesse verso le stelle potesse provare la figlia.

 

Era calmo, tranquillo, costellato da miriadi di piccoli punti luminosi.

 

Era diventato sempre più raro, con i nuovi impegni al Ministero, anche in tempo di pace, poter passare un po’ di tempo con i suoi figli, e sua moglie.

 

E, soprattutto, con la sua unica bambina.

 

“A cosa pensi, papà?”

 

“Alle stelle, tesoro.”

 

“Ah.”

 

Rimasero un altro po’ in silenzio.

 

“Lo sai, mamma dice che tu sia quasi un miracolo. Dice che con il sangue Weasley è difficile che nascano bambine. Dicono sia quasi impossibile.”

 

“Ah sì?”

 

“Neanche nella famiglia di nonna nascevano le bambine?”

 

“Lì sì.”

 

“Anche lei era una Weasley.”

 

“No. Ha solo acquisito il nome.”

 

“Ah.”

 

Rimasero un altro po’ in silenzio.

 

L’uomo vide la fronte della bambina corrugarsi nel pensare a quello che le aveva detto, e allungò una mano per accarezzare la tempia della piccola, sorridendo.

 

“Succede così pure per i Prewett. In quella famiglia c’è una storiella.”

 

“Quale?”

 

Il tono della bambina era attento e curioso, il volto girato verso di lui, le lentiggini che spiccavano sul volto chiaro.

 

“Che quando nasce una bambina è perché è stata concepita mentre una stella cadente era in viaggio.”

 

“Cosa significa concep…”

 

“Chiedilo alla mamma, tesoro.”

 

“D’accordo.”

 

Rimasero ancora in silenzio, lei rimuginando sulla stella da cui doveva essere venuta, lui ascoltando i suoni che li circondavano.

 

“Io ho sentito che tutti abbiamo una stella in cielo.”

 

“Chi te l’ha detto?”

 

“Nonna.”

 

“Ah, sì?”

 

“Sì. Ha detto che le persone che quando le persone che ci vogliono bene se ne vanno si fermano su una stella e ci guardano da lì.”

 

“E tu ci credi?”

 

“Certo. Altrimenti, perché vediamo delle stelle più luminose che delle altre? È perché quando guardiamo il cielo le persone che se ne sono andate fanno brillare di più la loro stella, così che noi possiamo vederle.”

 

Lei sorrise soddisfatta per la sua spiegazione, e iniziò a scuotere la mano verso l’alto, come se stesse salutando.

 

“Che fai?”

 

“Saluto.”

 

Lo disse come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo.

 

Fu preso dall’impeto di salutare anche lui.

 

“Dai papà, fallo pure tu.”

 

“Salutare il cielo?”

 

Lei fece un verso tra il sospiro di rassegnazione e un sospiro di rimprovero.

 

“No, papà. Devi salutare quelli che non ci sono più.”

 

“D’accordo.”

 

E così anche lui si ritrovò a salutare il cielo, sentendosi un po’ idiota, ma contento di essere lì.

 

Smise di salutare poco dopo.

 

Dopo un po’ anche lei smise di salutare.

 

“Penso di aver salutato tutti, anche i nonni.”

 

“L’hai fatto, te lo assicuro.”

 

Lei sorrise, un sorriso largo che solo i bambini riescono a fare, un sorriso a cui mancavano un paio di dentini, un sorriso che mostrava tutta la soddisfazione che provava.

 

Rimasero in silenzio per un altro po’.

 

“Papà, qual è la stella più brillante?”

 

Lui non rispose immediatamente.

 

Quando andava ad Hogwarts, Astonomia non era la sua materia preferita.

 

Fu solo in seguito che iniziò a scoprire il piacere del guardare le stelle.

 

Sapeva che sua moglie avrebbe risposto immediatamente – quando andava ad Hogwarts era la sua materia preferita.

 

Poi la risposta lo colpì, come una saetta, e gli venne quasi da ridere.

 

Come aveva fatto a scordarlo.

 

“Sirio.”

 

“E dov’è?”

 

“Nella costellazione del Cane Maggiore. Non ti saprei dire dove, di preciso. Ma è la stella più brillante. Guardati intorno, e cerca di vedere la più luminosa.”

 

Lei girò la testolina divertita, interessata a questa nuova ‘caccia-alla-stella’.

 

Indicò un paio di punti fugacemente, come se indecisa. Poi ne puntò una ed esclamò:

 

“Quella, quella!”

 

“Dove?”

 

Lei gli fece segno di avvicinarsi, e quando fu abbastanza vicino gli prese la testa con le manine (facendo attenzione agli occhiali) e la guidò verso un punto, mentre continuava ad indicare freneticamente un punto luminoso.

 

“Quella rossa, quella rossa!”

 

Lui guardò meglio.

 

“Quella è Betelgeuse, tesoro.”

 

“E come fai a saperlo?”

 

“Un centauro me l’ha insegnato.”

 

“Un centauro…”

 

Lei non disse nulla per un momento, continuando a fissare la stella.

 

Poi sembrò per un attimo delusa, e l’uomo sospirò.

 

“Però, se ti può consolare, Sirio dev’essere vicina, dato che Betelgeuse è nella costellazione di Orione. E Orione è abbastanza vicina alla costellazione del Cane Maggiore.”

 

Il viso di lei s’illuminò, e il padre sorrise.

 

Si stese più comodamente sull’erba, respirando nell’aria fresca e odorosa di quella sera.

 

Lei continuò per una buona manciata di minuti a scrutare il cielo, mentre lui la guardava, affascinato dall’intelligenza  e la inesauribile curiosità che una bambina di cinque anni poteva avere.

 

Poi lei fece un urletto, e nella foga si alzò in piedi, il vestitino leggermente bagnato dal fresco dell’erba su cui era rimasta stesa fino a poco tempo prima.

 

“Eccola lì, papà, eccola lì!”

 

Lui guardò nella direzione indicata dal braccino di lei, e vide – o pensò di vedere – Sirio.

 

Era luminosissima.

 

Non era la prima volta che aveva scorto quella stella – era stata argomento di studio per quasi due settimane, nel suo quinto anno ad Hogwarts.

 

Sirio.

 

La bambina iniziò a saltellare allegramente, e per un momento sembrava si fosse messa a ballare.

 

“Quella lì, ne sono sicura.”

 

Fu nel mezzo di questa sua manifestazione d’orgoglio che una voce adulta femminile si fece sentire da una certa distanza.

 

“Aleydis, Aleydis! Entrate, si gela, qui fuori!”

 

Assieme alla voce della madre della bambina vennero gli schiamazzi di un paio di ragazzini.

 

Lei scosse le spalle verso il padre, rovesciando gli occhi.

 

“Dice sempre che c’è freddo. Siamo ad Agosto!”

 

“Forse ha ragione la mamma, Aleydis. C’è un po’ di freddo. E qui siamo in Scozia, non alla Tana.”

 

Lei sospirò e indicò un’ultima volta il cielo, e poi sorrise a qualcosa dietro di lui

 

Lui alzò gli occhi in su e vide la moglie, i capelli rossi lunghi sulla schiena, con una leggera giacca di lana su un braccio, che gli sorrideva.

 

“Ti lascio cinque minuti con tua figlia e la ritrovo a saltellare come un pazza indicando il cielo. Spiegazioni?”

 

“Nessuna. Però ho un buon nome per la nostra bambina.”

 

Lei indicò il suo ventre e lui annuì.

 

“Andromeda.”

 

“Tonks ne sarebbe felice.”

 

“Ma questa è l’ultima.”

 

Lei scoppiò a ridere e tese la mano verse Aleydis, che continuava a rivolgere il naso in su, mentre i capelli rosso scuro cadevano sulla sua schiena..

 

“Quindi, che avete scoperto d’interessante?”

 

“Sirio, mamma, Sirio!”

 

Il sorriso sulla faccia della donna svanì un poco, mentre guardava il marito, steso sull’erba.

 

Quel gesto non passò inosservato dalla bambina, che puntò gli occhi sulla madre e poi sul padre.

 

“Che c’è, mamma?”

 

Il vento soffiò più forte.

 

La donna fece un delicato sorriso al marito, che rivolgeva ancora gli occhi al cielo, e in questi lesse una velata malinconia, nonostante il suo viso non rivelasse molto.

 

Poi guardò la sua piccola bambina, che aveva anche lei gli occhi al cielo, cercando forse Andromeda.

 

Anche lei guardò le stelle, per un momento.

 

Poi si chinò e diede un bacio sulla testolina della figlia.

 

“Andiamo a casa, eh? Ho bisogno di una bambina con quei tre scavezzacollo di là.”

 

“Brian fa di nuovo i capricci?”

 

“Sì. Vuole la torta di melassa.”

 

Aleydis rise, e, dopo essersi rassettata i capelli, si avviò assieme alla madre oltre il prato, giù per quella minuscola collinetta da dove erano soliti guardare le stelle, verso la porta in legno verde della cucina, che al momento era molto invitante, con le luci gialle e calde che illuminavano le finestre.

 

Lui le seguì con lo sguardo, contemplandole, e pensò alla sua famiglia, ad Aleydis, alla sorellina che lei avrebbe avuto tra breve, a sua moglie, che era l’unica persona che poteva amare più dei loro adorati figli, a Brian, alla torta di melassa, a Hogwarts, ai centauri, a Betelgeuse e a Sirio.

 

Quando sentì la porta della cucina chiudersi – e con quello scomparire gli schiamazzi dei bambini – sospirò.

 

Rialzò gli occhi al cielo, scrutando quella distesa infinita di segreti.

 

Sirio, Sirius.

 

La stella brillava, placida, sopra di lui.

 

Salutare, dopotutto, non era poi così strano.

 

*

 

 

  
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