Star Watching
“Papà?”
“Sì, tesoro?”
“Quante stelle ci sono in
cielo?”
Lui girò la testa verso di
lei, che scrutava il cielo stellato con grande interesse, i capelli quasi neri
nel dolce buio che li circondava.
“Non si possono contare.”
“Tutto si può contare. E
poi tu puoi fare la magia, potresti saperlo.”
“Con la magia non si può
fare tutto.”
Lei non disse nulla per un
po’, continuando a scrutare il cielo.
Una dolce brezza aveva
iniziato a scompigliare le chiome degli alberi, le foglie modulando dolci suoni
che sembravano acuire quella sensazione di tranquillità che sembrava avvolgere
quel piccolo angolo di mondo.
“Cos’è quella cosa grossa
e luminosa lì?”
La bambina indicò con il
dito un punto nel cielo.
“Penso sia Andromeda. Una
galassia, è la più vicina a noi.”
“Ahhh. Mi piace
Andromeda.”
Lei guardò con ancora più
interesse il cielo, arricciando attorno al dito una ciocca dei lunghi capelli
rossi.
Lui pure guardò il cielo
meravigliandosi di quanto interesse verso le stelle potesse provare la figlia.
Era calmo, tranquillo,
costellato da miriadi di piccoli punti luminosi.
Era diventato sempre più
raro, con i nuovi impegni al Ministero, anche in tempo di pace, poter passare
un po’ di tempo con i suoi figli, e sua moglie.
E, soprattutto, con la sua
unica bambina.
“A cosa pensi, papà?”
“Alle stelle, tesoro.”
“Ah.”
Rimasero un altro po’ in
silenzio.
“Lo sai, mamma dice che tu
sia quasi un miracolo. Dice che con il sangue Weasley è difficile che nascano
bambine. Dicono sia quasi impossibile.”
“Ah sì?”
“Neanche nella famiglia di
nonna nascevano le bambine?”
“Lì sì.”
“Anche lei era una
Weasley.”
“No. Ha solo acquisito il
nome.”
“Ah.”
Rimasero un altro po’ in
silenzio.
L’uomo vide la fronte
della bambina corrugarsi nel pensare a quello che le aveva detto, e allungò una
mano per accarezzare la tempia della piccola, sorridendo.
“Succede così pure per i
Prewett. In quella famiglia c’è una storiella.”
“Quale?”
Il tono della bambina era
attento e curioso, il volto girato verso di lui, le lentiggini che spiccavano
sul volto chiaro.
“Che quando nasce una
bambina è perché è stata concepita mentre una stella cadente era in viaggio.”
“Cosa significa concep…”
“Chiedilo alla mamma,
tesoro.”
“D’accordo.”
Rimasero ancora in
silenzio, lei rimuginando sulla stella da cui doveva essere venuta, lui
ascoltando i suoni che li circondavano.
“Io ho sentito che tutti
abbiamo una stella in cielo.”
“Chi te l’ha detto?”
“Nonna.”
“Ah, sì?”
“Sì. Ha detto che le
persone che quando le persone che ci vogliono bene se ne vanno si fermano su
una stella e ci guardano da lì.”
“E tu ci credi?”
“Certo.
Altrimenti, perché vediamo delle stelle più luminose che delle altre? È perché
quando guardiamo il cielo le persone che se ne sono andate fanno brillare di
più la loro stella, così che noi possiamo vederle.”
Lei sorrise soddisfatta
per la sua spiegazione, e iniziò a scuotere la mano verso l’alto, come se
stesse salutando.
“Che fai?”
“Saluto.”
Lo disse come se fosse la
cosa più semplice e naturale del mondo.
Fu preso dall’impeto di
salutare anche lui.
“Dai papà, fallo pure tu.”
“Salutare il cielo?”
Lei fece un verso tra il
sospiro di rassegnazione e un sospiro di rimprovero.
“No, papà. Devi salutare
quelli che non ci sono più.”
“D’accordo.”
E così anche lui si
ritrovò a salutare il cielo, sentendosi un po’ idiota, ma contento di essere
lì.
Smise di salutare poco
dopo.
Dopo un po’ anche lei
smise di salutare.
“Penso di aver salutato
tutti, anche i nonni.”
“L’hai fatto, te lo
assicuro.”
Lei sorrise, un sorriso
largo che solo i bambini riescono a fare, un sorriso a cui mancavano un paio di
dentini, un sorriso che mostrava tutta la soddisfazione che provava.
Rimasero in silenzio per
un altro po’.
“Papà, qual è la stella
più brillante?”
Lui non rispose immediatamente.
Quando andava ad Hogwarts,
Astonomia non era la sua materia preferita.
Fu solo in seguito che
iniziò a scoprire il piacere del guardare le stelle.
Sapeva che sua moglie
avrebbe risposto immediatamente – quando andava ad Hogwarts era la sua materia
preferita.
Poi la risposta lo colpì,
come una saetta, e gli venne quasi da ridere.
Come aveva fatto a
scordarlo.
“Sirio.”
“E dov’è?”
“Nella costellazione del
Cane Maggiore. Non ti saprei dire dove, di preciso. Ma è la stella più
brillante. Guardati intorno, e cerca di vedere la più luminosa.”
Lei girò la testolina
divertita, interessata a questa nuova ‘caccia-alla-stella’.
Indicò un paio di punti
fugacemente, come se indecisa. Poi ne puntò una ed esclamò:
“Quella, quella!”
“Dove?”
Lei gli fece segno di
avvicinarsi, e quando fu abbastanza vicino gli prese la testa con le manine
(facendo attenzione agli occhiali) e la guidò verso un punto, mentre continuava
ad indicare freneticamente un punto luminoso.
“Quella rossa, quella
rossa!”
Lui guardò meglio.
“Quella è Betelgeuse,
tesoro.”
“E come fai a saperlo?”
“Un centauro me l’ha
insegnato.”
“Un centauro…”
Lei non disse nulla per un
momento, continuando a fissare la stella.
Poi sembrò per un attimo
delusa, e l’uomo sospirò.
“Però, se ti può
consolare, Sirio dev’essere vicina, dato che Betelgeuse è nella costellazione
di Orione. E Orione è abbastanza vicina alla costellazione del Cane Maggiore.”
Il viso di lei s’illuminò,
e il padre sorrise.
Si stese più comodamente
sull’erba, respirando nell’aria fresca e odorosa di quella sera.
Lei continuò per una buona
manciata di minuti a scrutare il cielo, mentre lui la guardava, affascinato
dall’intelligenza e la inesauribile
curiosità che una bambina di cinque anni poteva avere.
Poi lei fece un urletto, e
nella foga si alzò in piedi, il vestitino leggermente bagnato dal fresco
dell’erba su cui era rimasta stesa fino a poco tempo prima.
“Eccola lì, papà, eccola
lì!”
Lui guardò nella direzione
indicata dal braccino di lei, e vide – o pensò di vedere – Sirio.
Era luminosissima.
Non era la prima volta che
aveva scorto quella stella – era stata argomento di studio per quasi due
settimane, nel suo quinto anno ad Hogwarts.
Sirio.
La bambina iniziò a
saltellare allegramente, e per un momento sembrava si fosse messa a ballare.
“Quella lì, ne sono
sicura.”
Fu nel mezzo di questa sua
manifestazione d’orgoglio che una voce adulta femminile si fece sentire da una
certa distanza.
“Aleydis, Aleydis!
Entrate, si gela, qui fuori!”
Assieme alla voce della madre
della bambina vennero gli schiamazzi di un paio di ragazzini.
Lei scosse le spalle verso
il padre, rovesciando gli occhi.
“Dice sempre che c’è
freddo. Siamo ad Agosto!”
“Forse ha ragione la
mamma, Aleydis. C’è un po’ di freddo. E qui siamo in Scozia, non alla Tana.”
Lei sospirò e indicò
un’ultima volta il cielo, e poi sorrise a qualcosa dietro di lui
Lui alzò gli occhi in su e
vide la moglie, i capelli rossi lunghi sulla schiena, con una leggera giacca di
lana su un braccio, che gli sorrideva.
“Ti lascio cinque minuti
con tua figlia e la ritrovo a saltellare come un pazza indicando il cielo.
Spiegazioni?”
“Nessuna. Però ho un buon
nome per la nostra bambina.”
Lei indicò il suo ventre e
lui annuì.
“Andromeda.”
“Tonks ne sarebbe felice.”
“Ma questa è l’ultima.”
Lei scoppiò a ridere e
tese la mano verse Aleydis, che continuava a rivolgere il naso in su, mentre i
capelli rosso scuro cadevano sulla sua schiena..
“Quindi, che avete
scoperto d’interessante?”
“Sirio, mamma, Sirio!”
Il sorriso sulla faccia
della donna svanì un poco, mentre guardava il marito, steso sull’erba.
Quel gesto non passò
inosservato dalla bambina, che puntò gli occhi sulla madre e poi sul padre.
“Che c’è, mamma?”
Il vento soffiò più forte.
La donna fece un delicato
sorriso al marito, che rivolgeva ancora gli occhi al cielo, e in questi lesse
una velata malinconia, nonostante il suo viso non rivelasse molto.
Poi guardò la sua piccola
bambina, che aveva anche lei gli occhi al cielo, cercando forse Andromeda.
Anche lei guardò le
stelle, per un momento.
Poi si chinò e diede un
bacio sulla testolina della figlia.
“Andiamo a casa, eh? Ho
bisogno di una bambina con quei tre scavezzacollo di là.”
“Brian fa di nuovo i
capricci?”
“Sì. Vuole la torta di
melassa.”
Aleydis rise, e, dopo
essersi rassettata i capelli, si avviò assieme alla madre oltre il prato, giù
per quella minuscola collinetta da dove erano soliti guardare le stelle, verso
la porta in legno verde della cucina, che al momento era molto invitante, con
le luci gialle e calde che illuminavano le finestre.
Lui le seguì con lo
sguardo, contemplandole, e pensò alla sua famiglia, ad Aleydis, alla sorellina
che lei avrebbe avuto tra breve, a sua moglie, che era l’unica persona che
poteva amare più dei loro adorati figli, a Brian, alla torta di melassa, a
Hogwarts, ai centauri, a Betelgeuse e a Sirio.
Quando sentì la porta
della cucina chiudersi – e con quello scomparire gli schiamazzi dei bambini –
sospirò.
Rialzò gli occhi al cielo,
scrutando quella distesa infinita di segreti.
Sirio, Sirius.
La stella brillava,
placida, sopra di lui.
Salutare, dopotutto, non
era poi così strano.
*