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Autore: Dk86    07/10/2011    5 recensioni
“Sappiamo tutti perché siamo qui, no?”.
A quelle parole seguì un lungo silenzio.[...] Solo Kurt scattò in piedi a sua volta, una luce spiritata negli occhi. “Lycra!”, esclamò.
Altro imbarazzante momento di silenzio. “Che?”, domandò Finn, la fronte corrugata.
“Mi servirà della lycra. Tanta lycra. Ho già delle idee meravigliose per i costumi, e…”, rispose Kurt, prima di essere interrotto da Puck.
“Ehi, frena! La lycra è da gay!”, esclamò. “Io voglio qualcosa di molto più cazzuto, una cosa alla Ghost Rider!”.
“Certo, Puckerman, perché pelle nera e borchie non sono
per niente omosessuali…”, rispose Kurt con un ghigno.
“No, no, sentite!”, intervenne di nuovo Finn. “Non è questo il punto! Insomma, possibile che nessuno qui pensi che quello che ci è successo sia totalmente assurdo?”.
Puck fissò l’amico. “Certo che lo penso… Mi hai preso per uno stupido? Ma per quanto possa sembrare assurdo, è quello che ci è successo: quel fumo tossico di ieri ci ha dato dei superpoteri, bello”.

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WhatIf/AU ambientata dopo l'episodio 2x20. Come se la vita delle Nuove Direzioni non fosse già abbastanza bizzarra...
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO OTTAVO – VIVID



“Piuttosto, c’è una cosa di cui ancora non abbiamo discusso”, disse Sam, grattandosi il mento con aria pensosa. “Secondo voi chi è stato a buttare il fumogeno nell’aula di musica?”.
Artie scambiò con Mike e Tina un’occhiata imbarazzata, come se Sam avesse appena detto che i rinoceronti erano in realtà ippopotami con il naso lungo o qualche altra perla che Brittany avrebbe potuto produrre in una delle sue giornate buone. “Beh, è ovvio che è stata la Sylvester”, rispose alla fine. “Il realtà il motivo per il quale nessuno ne ha parlato è proprio perché di sicuro è stata lei”.
Sam fece tanto d’occhi: era evidente che lui non fosse convinto dell’ovvietà della cosa. “Tu dici? Ma perché l’avrebbe fatto?”.
“Di sicuro non sapeva che quella cosa ci avrebbe dato dei poteri, per lei era l’ennesimo scherzo ai nostri danni”, intervenne Tina. “A meno che non sia tutto un suo folle piano e che quel fumo non sia una sostanza che prima ti dà dei poteri e poi ti uccide”. La risatina della ragazza si spense non appesa si rese conto che gli altri tre la stavano guardando con aria inquietata. “Ok, mi è uscita peggio del previsto, vero?”.
“Già”, convenne Mike.
Sam si schiarì la voce per cercare di disperdere l’imbarazzo. “Comunque, uhm… Dovremmo anche decidere cosa fare dei nostri poteri dopo le nazionali, non credete?”.
Artie scrollò le spalle. “Perché, tu che proporresti? Dovremmo diventare come gli X-Men?”.
“A dire il vero non possiamo diventare come gli X-Men, perché loro sono mutanti… Noi al massimo siamo mutati, visto che abbiamo preso dei poteri da una fonte esterna. Anche se forse è il caso di considerare le cose come fa la DC e chiamarci ‘metaumani’, perché così…”.
“Ok, Sam, ho fatto un esempio sbagliato”, lo bloccò Artie, prima che l’altro potesse lanciarsi in una filippica sulla teoria supereroistica. “Ma in ogni caso, cosa vorresti che facessimo? Che ci mettessimo in costume e ci organizzassimo per… non so, combattere il crimine? Salvare il mondo, magari?”.
L’altro fece spallucce. “Perché no? Voglio dire, ci è stato fatto un dono, o sbaglio? Non pensate che dovremmo sfruttarlo, in qualche modo?”.
Mike si fece avanti, una mano sollevata in un gesto quasi timido. “Se posso permettermi… Non penso che l’idea di Sam sia sbagliata, in teoria. Cioè, ha ragione: nessun altro sulla Terra – almeno per quanto ne sappiamo – può fare ciò che siamo in grado di fare noi. Però, beh… Questo non è un fumetto, è la vita vera. Insomma, da quel che ne so Capitan America un paio di anni fa è morto e ora è già tornato in vita; non credo che, se una cosa simile succedesse a noi, avremmo la stessa fortuna…”.
Sam abbassò gli occhi sul pavimento del laboratorio di chimica. “Già, in effetti…”.
“In ogni caso, mettiamola così”, disse Artie, forse nel tentativo di consolare l’amico. “Credo che ognuno di noi dovrebbe essere libero di fare quello che vuole, purché non metta gli altri nei casini”.
“Senza contare che non credo proprio che tutti la pensino allo stesso modo, riguardo ai poteri…”, aggiunse Tina.


“Finalmente ti ho trovata”.
Finn l’aveva cercata ovunque nella scuola, tanto che a un certo punto aveva iniziato a temere che se ne fosse andata senza dire nulla a nessuno (nemmeno a Santana e Brittany, che aveva sentito confabulare in una classe vuota); poi, però, era arrivata l’illuminazione: anche se ora il luogo era stato “esorcizzato” e quindi Figgins l’aveva di nuovo dichiarato agibile, c’erano buone probabilità che si fosse rifugiata proprio lì.
Così era, infatti.
“Beh, puoi anche andartene, ora. Questo è il bagno delle donne”, rispose Quinn.
Finn fu colpito dalle parole della ragazza. Più nello specifico, dal tono con il quale erano state pronunciate: la fredda rigidità dei giorni precedenti era stata rimpiazzata da qualcosa di diverso, una sensazione bruciante che lottava per emergere fra una parola e l’altra; ne rimase sorpreso e perfino intimidito, tanto che per qualche secondo pensò davvero di infilare la porta d’uscita senza aggiungere altro. Alla fine, però, riuscì a trattenere l’impulso. “Credo che dovremmo parlare”, disse invece nel tono più fermo e ragionevole che gli riuscì di produrre.
“L’ultima volta che ci abbiamo provato hai distrutto la nostra relazione e la tua macchina in meno di cinque minuti. Quindi scusami se non ne ho proprio voglia”, replicò lei. Le braci si stavano rintuzzando e riprendevano vigore ad ogni sillaba.
Finn rimase in silenzio per qualche secondo; per quanto strano potesse sembrare – perfino a lui stesso! – stava meditando sul modo migliore per continuare la conversazione. “Sembri… diversa. Suoni diversa”.
“Non starai mica tentando di nuovo di psicanalizzarmi, per caso?”.
La consapevolezza strisciò lenta nel cervello di Finn come una talpa che si scava una tana nel terriccio fra le radici di un albero. “Ma tu sei arrabbiata!”, esclamò di conseguenza, gli occhi sgranati.
Quinn sembrò genuinamente sorpresa dall’uscita dell’ex-fidanzato. “Wow, ce ne hai messo per capirlo… Sei così stupido che certe volte mi chiedo come tu sia riuscito ad arrivare a diciassette anni senza ucciderti da solo”.
Finn fece del suo meglio per ignorare le offese… e ci riuscì benissimo. “Avevi detto di non riuscire più a provare nulla, quindi dev’essere per forza successo qualcosa che…”.
Quinn si lanciò in avanti, rapida e precisa, cogliendo di sorpresa il ragazzo che non ebbe il tempo di reagire. Finn non si aspettava minimamente il bacio, ceh fu passionale, tumultuoso, e sfortunatamente molto rapido; ma in quei pochi secondi, si rese conto che le labbra di lei ardevano.
Lo schiaffo che seguì, invece, Finn l’aveva già messo in conto. Anche la destra di Quinn bruciava, quasi quanto la lucida impronta scarlatta delle dita che gli rimase impressa sulla guancia. “Già, sono arrabbiata”, disse lei. La voce le si incrinava, come se fosse sull’orlo del pianto, ma determinare l’esatta causa delle eventuali lacrime era un’impresa alquanto ardua. “Dopo che ti ho lasciato, mi sono sentita furiosa… E questo ha sciolto il ghiaccio, almeno un po’”. La ragazza abbassò lo sguardo. “Non è assurdo? Per poter provare ancora amore nei tuoi confronti sono praticamente arrivata ad odiarti… e questo pensiero non fa altro che alimentare la mia rabbia, il che è soltanto un bene”.
“Ma non può essere un bene!”, tentò di controbattere Finn, il bruciore sulla guancia che andava pian piano estinguendosi. “La rabbia non è mai un bene! Così finirai per autodistruggerti!”.
“Sempre meglio che tornare fredda e insensibile come prima”, ribatté Quinn in tono deciso. “Non credo che il fuoco possa farmi del male, se sto attenta a non farmi bruciare”.


“Stavo pensando a una cosa…”, disse Brittany in un tono dimesso che sfumava nella vergogna. Le dita di Santana le correvano sulle spalle e lungo la curvatura della schiena in gesti dispettosi e di vaga malizia.
Santana si chinò in avanti, verso un orecchio dell’amica; le due si erano rifugiate nella prima aula vuota che avevano trovato e Santana aveva suggerito di farsi i capelli a vicenda. Brittany aveva accettato: d’altronde era qualcosa che in passato avevano fatto spesso (e si trattava forse della cosa più innocente che avessero mai fatto insieme). Non ci era voluto molto, però, prima che le dita di Santana smettessero di intrecciare i capelli di Brittany e scendessero più in basso. “Sai benissimo che pensare ti rende pesante la testa, Brit. Rilassati…”, bisbigliò a forse mezzo centimetro dall’orecchio dell’altra. Brittany riuscì ad avvertire il lieve odore di lucidalabbra allo zucchero filato. “G-guarda che sono seria”, replicò, allontanandosi di un passo e poi voltandosi per confortare l’amica. “Cioè, insomma, stavo pensando al mio potere e a cosa potrei farci… E mi è venuto in mente che potrei anche, ecco…”, la ragazza abbassò gli occhi e arrossì. “Oddio, è davvero imbarazzante…”.
Santana le appoggiò un indice sotto il mento e le fece sollevare il viso. Ora che avvertiva il suo tocco direttamente sulla pelle e non attraverso la maglietta, Brittany si stupì di quanto fosse caldo, come se Santana avesse la febbre. “Non preoccuparti, so perfettamente cosa stai cercando di dire”, mormorò, le iridi scure che bollivano e palpitavano come cioccolato fuso. “E trovo la cosa davvero eccitante…”.
Brittany, per tutta risposta, fece un altro passo all’indietro; la sua fronte era corrugata, e il suo sguardo aveva un’ombra perplessa che sconfinava nel disgustato. “Ti eccitano… i pony?”, domandò con un filo di voce.
Santana inalberò un’espressione confusa. “N-no, io pensavo che… c-che tu intendessi…”. Lo sguardo della ragazza saettò in direzione delle gambe di Brittany, e quando si rialzò sembrava arrabbiato. “Insomma, Brit, si può sapere che cacchio ci sarebbe di imbarazzante nei pony?”.
“E’ che di solito piacciono alle bambine piccole, quindi non volevo che pensassi che ero infantile… Ora che ci penso, dev’essere questo il motivo per il quale Babbi Natale non me ne ha portato uno, l’anno scorso”. Brittany si riscosse dai propri pensieri e fissò l’amica; gli occhi le si riempirono di preoccupazione. “Santana, sei sicura di sentirti bene?”.
La pelle di Santana sembrava risplendere debolmente, nella penombra dell’aula di francese. Come un’ombra sotto le ceneri. “Mai stata meglio”, rispose, sorridendo; ed era un sorriso pericoloso.
Brittany deglutì: per un attimo le sembrò di essere tornata una giraffa e di avere di fronte una leonessa pronta all’assalto. La pelle iniziò a formicolarle, come sempre prima di una trasformazione, ma la ragazza riuscì a ordinare al proprio corpo di rimanere se stesso. Non è il momento, si disse. “Che intenzioni hai?”, domandò poi.
“Qualcosa che piacerà a entrambe”.
Santana scattò rapida in avanti con un movimento felino, e tutto ciò che Brittany riuscì a fare fu tentare di indietreggiare… ma la sua schiena incontrò il muro dell’aula. L’altra le fu addosso e iniziò a sfiorarla e a toccarla e a carezzarla e a baciarla e a tentare di spogliarla. E le dita e le mani e le labbra e la pelle di Santana diventavano sempre più calde sempre più calde sempre più calde e Brittany iniziò a sentire le ustioni sulla pelle e il dolore e disse “Basta, mi stai facendo male…”. Ma Santana non l’ascoltava e continuava a carezzare e baciare e scottare e bruciare e passò le mani nei capelli di Brittany e Brittany sentì uno sfrigolio e un odore di bruciato come quando da piccola aveva gettato una spazzola nel camino per vedere cosa succedeva e il fuoco il fuoco il fuoco era lì davanti a lei e minacciava di ridurla in cenere con le sue carezze i suoi baci il suo respiro bruciante e così fece l’unica cosa che le sembrò giusta e spinse il fuoco lontano e gridò “SMETTILA!”.
Santana crollò seduta sul pavimento, l’espressione sconvolta e i capelli scuri appiccicati a ciocche sudate alla fronte. “C-che… che cosa ho…”, mormorò, gli occhi sgranati e colmi di improvvisa consapevolezza.
Brittany le tese una mano, con una certa cautela. “Forza, ti do una mano a rialzarti…”, le disse, nel tono più tranquillo che le riuscì di produrre, come a voler dimostrare all’altra che non provava nessun rancore per ciò che era successo (e in effetti era davvero così).
Santana, però, strisciò all’indietro con un mugolio strozzato: non sembrava più una leonessa, ma un cucciolo confuso e terrorizzato. “N-no”, biascicò. “Non mi devi toccare… n-non so cosa…”.
“C-calmati, Santana. E’ tutto a posto, davvero”, replicò Brittany; anche il suo tono, però, era spezzato dall’incertezza e dalla paura crescente.
“Non è vero. Avrei potuto ucciderti, Brit…”, disse Santana, come se non volesse credere alle proprie stesse parole. “All’inizio credevo che questo potere fosse una delle cose più fantastiche che mi fosse mai capitata, ma poi il fuoco non ha smesso più di bruciare… Diventa sempre più forte, e più intenso, e più caldo… E ogni tanto credo di sentirlo sussurrare, Brit…”. Le mani della ragazza salirono alle orecchie, artigliando i capelli con gesti spasmodici. “Mi sussurra quanto sarebbe bello, quanto sarebbe giusto lasciarlo bruciare, sempre di più, e di più, e di…”.
Santana – presa com’era dal suo inquietante e bizzarro monologo – non si accorse nemmeno che Brittany le si era avvicinata, almeno finché la ragazza non prese una delle mani di Santana fra le sue. “Brit, ma che fai? Lasciami!”.
“Non preoccuparti”, le rispose Brittany. “Ho reso più spessa la pelle dei palmi, così non sento né il calore né il dolore”. Beh, quasi tutto, almeno, aggiunse, concedendosi una piccola smorfia interiore. “Piuttosto, se la situazione è questa, c’è solo una cosa che possiamo fare”.
Le lacrime iniziarono a scorrere sul volto di Santana, per poi ridursi ed evaporare a metà della curva delle guance. “C-che cosa?”, domandò, la voce rotta dal pianto.
“Quello che si fa di solito con il fuoco. Si cerca il modo per estinguerlo”.


“Ricordami un attimo perché siamo qui”, domandò Kurt, lo sguardo rassegnato fisso sul soffitto.
“Di sicuro non per sentire Rachel che si lamenta”, rispose Mercedes. “E ti assicuro che ciò che le esce dalla bocca non è nulla in confronto a ciò che le passa per la testa…”.
“Ah, non faccio fatica a crederlo… Sai, sono davvero contento che mi abbiate fatto promettere di non leggervi nel pensiero, o avrei davvero paura di quello che potrei trovare nel suo cervello!”.
“Almeno potreste evitare di parlare di me come se io non fossi qui?”. Rachel, al culmine della depressione, era accasciata su uno dei banchi – senza ovviamente dimenticare qualche piccolo tocco melodrammatico come il dorso di una mano appoggiato alla fronte in una perfetta posa da diva del muto – il volto una maschera funerea.
“Beh, anche tu potresti pure collaborare, però…”, replicò Mercedes in tono altrettanto demoralizzato. “Quantomeno potresti cercare di non essere così depressa”.
“Come se fosse facile!”, la rimbeccò l’altra. “Vorrei vedere te, nella mia situazione!”.
Mercedes raddrizzò la schiena le mani sui fianchi chiuse a pugno con aria bellicosa. “Ti faccio presente che al momento provo tutto quello che provi tu, quindi di fatto sono nella tua situazione. E ti dimostrerò che posso calmarmi benissimo, se voglio”. La ragazza chiuse gli occhi e distese le dita. “Ok, cervello… pensieri felici, pensieri felici…”. Rachel e Kurt la fissarono con aria perplessa, ma su qualunque cosa Mercedes stesse meditando, sembrò avere effetto: il respiro le si regolarizzò e il viso le si distese in un’espressione serena. “Visto? Non è difficile”, disse in tono calmo e composto, mentre riapriva gli occhi a fissare i due amici. “Forza, ora prova tu”.
“Se fosse così facile, lo avrei già…”, iniziò Rachel. Poi si bloccò, e fu come vedere il sole sorgere sul suo viso: la piega della bocca si smosse dal broncio perenne e si assestò su un timido sorriso, e perfino il suo sguardo – anche se ancora gonfio e arrossato dal pianto – sembrò ritrovare la tranquillità. “Ehi, è vero!”, esclamò, sorpresa. “E’ stato molto più facile del previsto! In pratica è successo senza che io abbia dovuto fare nulla!”.
Kurt schioccò le dita. “Mercedes, ce l’hai fatta!”, disse, gli occhi spalancati.
“Certo che ce l’ho fatta!”, rispose lei, per poi rabbuiarsi. “Aspetta, ce l’ho fatta a fare cosa?”.
“A usare il tuo potere come si deve! Non puoi soltanto sentire le emozioni che provano gli altri, puoi anche, ecco… far provare loro quello che senti tu! Ed è un potere fighissimo!”.
“Lo è?”, replicò Mercedes, le sopracciglia inarcate.
“Certo che lo è!”.
Il volto della ragazza si illuminò. “Ehi, hai ragione! Il mio potere spacca!”.
Rachel si lasciò sfuggire un lieve colpo di tosse. “Ehm, scusate, possiamo tornare un attimo al mio problema?”.
“Già…”. Mercedes sembrò contrariata nel dover abbandonare il pensiero che la propria capacità fosse molto più incredibile di quanto avesse pensato. “Beh, adesso che ti sei calmata devi semplicemente provare a cantare. Problema risolto, no?”.
Rachel aggrottò la fronte e scrollò le spalle. “In realtà non credo affatto di essere pronta… E se finisce come l’ultima volta e faccio esplodere tutti i vetri della stanza?”.
“Ti assicuro che è un rischio che siamo disposti a correre”, replicò Kurt.
Mercedes scostò l’amico con un gesto scherzoso. “Lascia fare alla professionista”. Poi focalizzò ancora la propria attenzione su Rachel. “Nah, sei prontissima! Scommetto che non vedi l’ora di cantare qualcosa da uno di quei musical che ti piacciono tanto… Sono giorni che non canti, in fondo, di sicuro scoppi dalla voglia di farlo!”.
Proprio come un paio di minuti prima, il viso di Rachel si trasfigurò: i suoi lineamenti assunsero un’espressione determinata, e gli occhi iniziarono a brillarle come mai nei giorni precedenti. “Hai ragione! Ce la posso fare! Non so perché prima fossi così giù di morale, è ovvio che una cosa simile sia una bazzecola per una futura vincitrice di un Tony Award!”.
Complimenti, sei riuscita a renderla ancora più piena di sé del solito…, la voce mentale di Kurt filtrò non poca ironia direttamente nel cervello di Mercedes.
Non c’è bisogno che mi ringrazi, replicò la ragazza. Comunque, adesso ci aspetta la prova del nove: posso anche averle dato la sicurezza necessaria per tentare, ma di certo non posso sistemare qualsiasi casino il suo potere le abbia combinato.
Rachel, intanto, aveva finalmente smesso di gongolare e stava prendendo dei profondi respiri, preparandosi a cantare. Mercedes e Kurt trattennero il fiato, le mani pronte a scattare verso le orecchie, mentre la ragazza spalancava la bocca per emettere la prima nota…
Non si trattò di una canzone vera e propria, solo di un vocalizzo privo di parole improvvisato lì per lì, che non durò che pochi secondi.
E fu una delle cose più meravigliose che Kurt e Mercedes avessero mai sentito. Le note li avvolsero, li permearono, li fecero vibrare; e li abbracciarono, come farebbe una madre, e i due seppero che tutto andava bene.
Poi il vocalizzo finì.
“Sì, riesco di nuovo a cantare!”, esultò Rachel. “E tutto grazie a… ehi, ma perché state piangendo?”.
Mercedes si asciugò le guance con il dorso della mano, mentre Kurt stava scavando nella sua borsa alla ricerca di un fazzoletto. “N-non hai sentito? La tua voce era… era…”.
“Era la mia voce, no?”, replicò l’altra, un po’ perplessa. “Anzi, visto che è qualche giorno che non la alleno temo di essere un po’ fuori forma…”.
Kurt tirò su col naso, gli occhi arrossati. “Penso… Penso che Rachel sia immune agli effetti del proprio potere. A-altrimenti quella volta che ha fatto esplodere i vetri avrebbero d-dovuto partirle i timpani”. E si soffiò il naso con vigore.
“Beh, non sono sicura di avere capito quello che è successo, ma ora che sono finalmente tornata in pista possiamo vincere le Nazionali!”, esclamò Rachel, alzandosi in piedi con aria determinata.
“E io ho scoperto che il mio potere è fighissimo!”, aggiunse Mercedes. “Sta andando tutto a gonfie vele!”.
Kurt la fulminò con lo sguardo. “Ma ti sembra il caso di dire una cosa del genere?”, esclamò in tono scandalizzato.
“E perché?”.
“Perché lo sanno tutti che quando uno dice una cosa tipo ‘Sta andando tutto a gonfie vele’ o ‘Fin qui tutto bene’ poi le cose iniziano invariabilmente ad andare male!”.
La ragazza minimizzò la cosa con un gesto della mano. “Ma dai, che razza di superstizioni cretine…”.
Ma Mercedes aveva torto.


Sue scivolò nel suo ufficio; l’espressione del suo volto era tesa e concentrata, come un cacciatore in appostamento che sta meditando sul momento migliore per avventarsi sulla propria preda. Becky, con la sua brava scatola di cartone sulla testa, era seduta alla scrivania e stava sfogliando con attenzione un album di figurine. Quando sentì la donna rientrare, alzò la testa e le rivolse un sorriso radioso. “Il tecnico è venuto a montare la botola, coach!”.
“Ottimo, Testaquadra, giusto in tempo. Come vi siete regolati per il pagamento?”.
“Gli ho dato le foto in cui faceva fiki-fiki con la cameriera del Breadstix. E soprattutto non gli ho detto che abbiamo ancora i negativi”.
“Machiavellica come sempre, Testaquadra”. Sue le concesse un leggero sorriso. “Ora meglio se entriamo nella Zona Fantasma”.
“Agli ordini, coach!”. Becky schiacciò un pulsante sotto la scrivania di Sue e una porzione del pavimento scivolò a rivelare una scaletta a pioli che scendeva in quello che aveva tutta l’aria di essere un bunker anti-atomico.
“Le telecamere sono tutte operative?”, domandò Sue una volta che si fu calata dalla scala insieme a Becky; la stanza sottoterra era abbastanza larga per ospitare due persone, altrettante sedie e una postazione ricoperta di schermi… schermi che, ovviamente, mostravano quasi tutti i corridoi e le aule del McKinley.
“Affermativo, coach!”.
“Bene”. Sue si accomodò su una delle sedie, mentre sopra di loro la botola scivolava di nuovo al suo posto. Sembrava nervosa. “Mezz’ora fa ho interrotto la somministrazione di sedativo alla Mellivora…”. La donna deglutì. “Spero che qui sotto saremo al sicuro… qualsiasi cosa succeda”.







Ecco qui il nuovo capitolo! Forse è un pochino pesante, fra la scena fra Finn e Quinn e quella fra Santana e Brittany, eh? Vi prometto però che il prossimo sarà molto movimentato!
Peraltro questo è il capitolo più lungo che abbia scritto finora! Non che sia un grande vanto, visto che i capitoli di questa storia in genere non sono particolarmente massicci… Ma vabbé, ci tenevo a dirlo!XD
Comunque, come al solito ringrazio valigleek, _lily_luna_, LaTuM, PooKie18 e SilGleek94 che ormai sono “fedelissime” visto che non si perdono un capitolo, e anche Angel666 che ha postato la sua prima recensione proprio nello scorso capitolo, grazie infinite!*_*
Ok, per questa volta non ho molto altro da dire… Il secondo e il terzo episodio della terza stagione mi sono piaciuti molto e spero che il trend continui così (visto che gli sceneggiatori si sono accorti dopo due stagioni che stavano scrivendo un telefilm e che i telefilm possono avere qualcosa chiamato “trama orizzontale” XD)!
Vi do appuntamento al prossimo capitolo, intitolato “Animal Attack”.
Davide

  
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