Fanfic su artisti musicali > Paramore
Segui la storia  |       
Autore: hellomelancholy    07/10/2011    1 recensioni
Hayley Williams, la cantante rosso fuoco dei Paramore, si risveglia in un posto che non conosce. Si guarda intorno, ma nulla di ciò che la circonda, le è familiare. Il letto, la finestra, i fiori. Solo poche ore prima era con i suoi amici e compagni di band Jeremy e Taylor. Dove sono?, si chiede, senza riuscire a darsi una risposta. Tutto ciò che deve fare è cercare di capire da sola cos'è successo, sconfiggendo il silenzio del luogo abbandonato in cui si ritrova.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hayley Williams, Jeremy Davis, Taylor York
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

; Amore/Odio
Ero un adolescente immersa in un corpo piccolo e fragile. Non ero mai stata alta, né tanto meno particolarmente forte, perciò assomigliavo più a una fogliolina che cadeva dalla chioma rossa di un albero in autunno, e danzando in aria andava a posarsi sul terreno con leggerezza, che a una ragazza vera e propria. Non che mi piacesse immaginarmi in quel modo, ma pensavo che il mondo ormai mi avesse classificato nella categoria delle cose deboli, le più deboli che esistessero. Le cose da proteggere e tenere in caldo, per assicurargli una vita. Non sapevo come avevo fatto ad andare avanti fino a quel momento; mi sembrava che ogni cosa, compresa la città mi cadesse addosso, i muri delle stanze si chiudessero intorno a me. Eppure, forse, se ero ancora viva voleva dire che il vento non aveva ancora cominciato a soffiare forte. Come una fogliolina, che deve affrontare il mondo da sola senza poter fare granché, trasportata dal vento del giorno, ero persa tra le cose che avevo sempre pensato mie, nel mio piccolo mondo di sorrisi e oggetti personali, che quella volta sembravano tradirmi. Svolazzavo di qua e di la, in apparenza da sola; eppure chissà, forse, non ero la sola ad essere trasportata da quel vento senza nessuna scelta. L'unica cosa che sapevo in quel momento, era che mi sembrava di non avere nessuno accanto.
Mi guardavo attorno, dopo essermi rifugiata negli unici spazi personali che mi facevano sentire veramente me stessa. La casa in cui ero andata ad abitare con mia madre e le mie sorelle, rispetto alla precedente, era più grande. Non la sentivo veramente mia, come quella che in cui abitavamo quando il papà era ancora con noi, o almeno non la sentivo mia interamente. Ogni emozione si disperdeva nello spazio, nella luce che entrava dalle grandi vetrate, nelle stanze ampie e fredde, come non lo erano mai state. Mi era stato riservato solo un posto, che a modo mio avevo reso accogliente; l'unico che potesse essere vissuto da me, me soltanto. Non sentivo il bisogno di personalizzare nessun'altra stanza, come se quella casa non fosse fatta per me. La privacy che avevo conquistato, scegliendo la mia camera da letto, in quel momento mi andava stretta. Non sapevo come, non sapevo perché, ma nonostante fino a quel momento volessi tenere chiusa dentro me ogni cosa, ora desideravo esplodere.
Sulle pareti, i poster dei miei idoli, le miriadi di foto dei miei amici, sorridevano. E quei sorrisi che di solito sembravano felici, ora mi apparivano soltanto come dei ghigni beffardi, rivolti a me, al centro della stanza. Derisa da ogni volto, non facevo altro che avvolgermi nella mia pelle trasparente e mai troppo protettiva nei confronti di ciò che c'era dentro. Quelle pareti che avevo intorno erano imbevute di sentimenti, emozioni che potevo ricordare benissimo, anche solo guardando le immagini appese, con i volti congelati in un attimo di felicità, un ricordo ormai passato, da aggiungere ad altre mille pagine e giorni da scrivere e fotografare ancora. Ed era proprio da alcune di quelle immagini, che uscivano fuori i demoni peggiori, a ricordarmi qualcosa. A ricordarmi che la fine arrivava sempre, in ogni occasione. La conclusione di un evento mi aspettava costantemente, negli angoli più bui delle strade e delle stanze, mi seguiva ogni volta che mi spostavo. E quei demoni albergavano nell'anima delle foto e non intendevano andarsene. I fratelli Farro, infatti, sorridevano felici davanti ai miei occhi.
Li avevo conosciuti quando arrivai a Nashville, i miei migliori amici. Uno di questi era Jeremy, e per me era come un fratello maggiore. Poi, avevo conosciuto Taylor, e anche in questo caso avevo sempre visto anche lui come un fratello, ma un fratello minore. E infine c'erano proprio loro. Quei fratelli così simili, eppure anche così diversi. Avevo stretto un rapporto speciale con ognuno di loro, ma era innegabile che tra me e Josh ci fosse un intesa speciale. Potevo dire con decisione che lui fu il mio primo amore; certo, avevo avuto delle cotte, più o meno importanti, ma in cui il mio interesse non era mai corrisposto, tanto meno preso in considerazione. Neanche io mi rendevo conto che mi stavo innamorando, nel momento in cui stava accadendo. Me ne resi conto soltanto dopo, quando ormai tutti l'avevano capito, e io cercavo ancora di aggrapparmi a tante scuse come “No, lui è solo un amico”, e frasi simili, con cui provavo a giustificare il rapporto che si era creato tra noi, per non sapere cosa sarebbe accaduto dopo, per non dover accettare un rifiuto.
Sorprendentemente, senza neanche confessargli ciò che provavo per lui, sapevamo entrambi tutto. Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, eppure tra di noi c'era un'intesa che agiva in ogni momento, senza il necessario uso delle parole, come se fossimo sempre sulla stessa lunghezza d'onda. In tutto il periodo che passammo assieme, potevo affermare di essere la persona più felice del mondo. Quale persona, che ha passato la sua infanzia da sola, non sarebbe stata felice di trovare qualcuno che si prendesse cura di lei, occupandosi di ogni cosa? Sapevo di essere completamente e irrimediabilmente innamorata di lui; mi aveva risucchiato tutte le forze, eppure, in un certo senso, a me andava bene così. Ero la persona più stupida del mondo.
Tutti pendevano dalle sue labbra, come se avesse tante calamite addosso, e attirava ogni persona e sguardo. Nonostante questo, pur guardando le foto appese alla parete della mia camera, non riuscivo a realizzare che lui non fosse mio. Che lui fosse di ogni persona che lo guardava, ammirava, tranne che mio. Avevo accettato a lungo quegli sguardi indiscreti e gelosi che ci bersagliavano e mi trafiggevano. Avevo accettato abbastanza a lungo ogni cosa, come se io fossi lì per accettare soltanto gli sbagli e passarci sopra, e mai avere un attimo della pace che meritavo.
Avevo accettato persino la fine, anche se solo in apparenza. Anche la fine di quella storia, proprio come il suo inizio, era arrivato talmente in fretta da assomigliare a un soffio di vento primaverile; rischiara la mente e i pensieri e poi, in un attimo sparisce.
Sapevo che, quelle parole che mi aveva rivolto, parole di dolore e che mi riecheggiavano ancora in testa, non sarebbero scomparse se non col tempo. Le parole, dette all'angolo della via, col buio e la pioggia scrosciante che mi inzuppava i vestiti, non sarebbero evaporate molto in fretta, neanche se avessi voluto. Più si cerca di scacciare un ricordo, più quel ricordo affonda le radici nella mente, rilasciando il suo veleno.
Così, in bilico sul ciglio del burrone che si era aperto tra di noi, riuscivo solo a vedere il buio. Il buio di non sapere cosa avesse spinto la nostra storia ad andare verso la fine. Perché la scintilla si era spenta, perché il vento aveva soffiato forte, in quel momento?
L'unica cosa che potevo pensare, a mente lucida e dopo giorni, era che la fine non aveva un senso. La fine si faceva sentire, e ogni volta che iniziava ad arrivare, non c'era modo di fermarla. Non c'erano parole in grado di addolcirla.
Il telefono squillò sulla scrivania, affianco a me. Non risposi scorgendo il nome sul display, ma presi semplicemente la forza per alzarmi e strappare dal muro quelle facce che mi deridevano. Le foto di noi, un'altra versione di me stessa, ben lontana da ciò che ero in quel momento.
 Da quel momento avrei cercato di apparire sicura in qualsiasi situazione, costasse quel che costasse. Nessuno avrebbe mai dovuto vedermi fragile. Le ferite, non avrebbero mai più dovuto essere viste.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Paramore / Vai alla pagina dell'autore: hellomelancholy