Titolo: Il Professore
Autore/i: Elothiriel (eleonora.selvi@yahoo.it)
Fandom: Originale
Genere: Introspettivo
Avvertimenti: One-shot
Note: Sembrerà incredibile, ma questo personaggio è un po’ ispirato ad
un professore vero, e io lo ringrazio di cuore per essere così interessante.
Il Professore
Lui entrò con
l’andatura disinvolta del professore vissuto, quello che sa camminare con
eleganza anche carico di cartelle, registri, fogli, compiti e libri, facendo
ondeggiare la giacca sdrucita in maniera terribilmente letteraria.
Come al solito, in
classe calò un silenzio adorante. Quel giovane di appena trent’anni ci ispirava
un’ammirazione e un rispetto che nessuno degli altri insegnanti più anziani era
mai riuscito ad ottenere.
“Aprite le
finestre” come sempre, le sue prime parole quella mattina furono queste, non
sopportava di stare chiuso nell’aria stagnante della classe. Si sedette con
grazia indifferente, tirò fuori con un gesto annoiato le nostre simulazioni
della terza prova di Filosofia. Il disprezzo che provava per questo compito
scritto era palese, la Filosofia è materia orale per giustizia divina.
“Mirti, ho letto su
una rivista di dubbio valore che le donne in ansia tendono a giocherellare con piccoli oggetti o con i
capelli. Ti prego, non avvallare questo scontato stereotipo” disse guardandomi.
Arrossii e smisi subito di tormentarmi i riccioli, sebbene fossi nervosa per il
voto.
Distribuì
lentamente le verifiche annotate di rosso, facendole cadere con disinteresse
sui banchi. Invece di guardare i propri compiti, quasi tutti fissavano lui, le
sue belle, grandi mani da chitarrista che sfogliavano il plico con la stessa
delicatezza che usavano per le corde dello strumento.
Il viso piacevole,
i ricci scuri, i grandi occhi neri e il fisico robusto attraevano
superficialmente, ma erano le sue parole ad ammaliarci. Era la sua intelligenza
ad affascinare, il suo disinvolto eclettismo, la sua acutezza di pensiero,
tanto penetrante che faceva quasi paura. Il suo modo di parlare, raffinato e
desueto, coglieva la sostanza del discorso con una fermezza quasi fuori moda,
rischiarata ogni tanto da termini ed espressioni adolescenziali che la
rinfrescavano allegramente.
Era capace di
discutere di Arnaut Daniel, della nomenclatura degli ossiacidi, di Shakespeare,
dell’iperbole, del Castello Errante di Howl, di film, di manga, ovviamente di
libri, di cattedrali gotiche e di gruppi rock con la stessa serena competenza e
con la stessa disattenta sicurezza.
“Professore!” la
voce della prima della classe, la Retagli, era acuta e incredula.
“Cosa c’è,
Retagli?” rispose lui voltandosi verso la ragazza.
“Ho preso...ho
preso...” non riusciva neanche a sputare il voto ignominioso. “Sei e mezzo!”.
Riprese fiato. “Come mai?!”
“Il tuo compito,
Retagli, è una melassa di mere nozioni scolastiche, che non colgono il nocciolo
della questione nemmeno vagamente. Platone non è una lista della spesa d’idee,
altrimenti, le potresti comprare al supermercato. Taci”. La povera ragazza
spalancò gli occhi, umiliata, poi, saggiamente, si acquietò.
Melassa era la parola preferita del professore. La
usava per designare quasi tutta la realtà, quella realtà che lo deludeva nella
sua ipocrisia zuccherosa.
Spesso, la tirava
fuori in un discorso generico, che grazie a quel nome di dolce acquistava un’inaspettata
profondità. Una volta, rispondendo a non mi ricordo quale petizione della
classe, aveva detto: “Voi vi aspettate che l’autorità costituita vi dia quello
che desiderate. Vi sbagliate! Se anche lo otterreste, e questo è da vedere,
sarebbe comunque la solita melassa. Voi dovete combattere per quello che
volete, non aspettare che vi cada fra le braccia dall’alto. Adesso, in questa
classe, io sono dominus et deus, pertanto, rappresento l’autorità. Voi
non vi dovete fidare di me; non vi dovete aspettare che la soddisfazione delle
vostre pretese infantili provenga dall’autorità.” E ci aveva sorriso
ironicamente, come sfidandoci a contraddirlo.
“Mirti, raccogli i
compiti” ordinò.
“In ordine
alfabetico?” chiesi, alzandomi.
“Vada per l’ordine
alfabetico” rispose distrattamente. Sulla cattedra erano appoggiati tre grossi
libri e un vocabolario di greco, sbirciando, scoprii che il libro in cima alla
pila era Dio non esiste di Hawking.
“Che libro è,
professore?” domandò incuriosito e ammirato il mio compagno di banco della
prima fila.
“Un libro dove voi
capireste meno del cinque per cento delle parole. Più o meno quante ne azzecchi
tu, Munastri, quando sei interrogato a storia”.
“E lei, quante ne
capisce?”
“Mmmh...” riflettè
un po’ “il quaranta per cento circa”.
Aveva, insieme a
quell’intelligenza straordinaria, una sfiducia nel mondo e nella gente, un
cinismo sprezzante, un’ironica arroganza che lo rendevano estremamente
carismatico; come la frustrata ma solidissima sicurezza in se stesso che
irradiava dalla sua persona. In lui convivevano malinconicamente un’indole
rilassata, da ragazzo, e un astio da vecchio deluso dalla vita. Le sue battute
erano frequenti e pungenti, ostentava un’aria di sarcasmo, insieme amaro e
divertito, verso chiunque avesse di fronte. Spesso, seduto dietro la cattedra,
appoggiava la testa sulle lunghe dita nodose e dichiarava, con voce sepolcrale,
di stare male, ed era terribilmente attraente con quell’aria di
bello-e-dannato, perchè non era nè così bello nè così dannato, e quindi
sfuggiva, con ironica superiorità, ad ogni stereotipo.
Dopo aver spiegato
storia per un’ora, si interruppe, lasciandoci posare le penne e stirare le
braccia. Avevo preso otto pagine di appunti fitti fitti. Otto pagine! Qual è il
professore che ti fa prendere otto pagine di appunti in un’ora, se non quello
che spiega in modo così avvincente che sei perfino pronta a sacrificare la tua
mano destra pur di fissare sul tuo quaderno le sue parole?
Non era una normale
lezione di storia e date, era la guerra di Filippo II contro Guglielmo D’Orange
il Taciturno, potevo sentire i due grandi uomini darsi battaglia nella voce del
professore; la passione che la permeava si comunicava anche a me.
La storia prendeva
vita quando la spiegava in piedi accanto alla lavagna, le spalle indolentemente
appoggiate al muro, non riprendeva mai nessuno, in genere sapeva farsi
ascoltare in un silenzio colmo di venerazione.
A volte sfoggiava
un’aria scanzonata da ragazzo allegro, quando era contento di qualcosa, ma non
per questo era meno ferocemente sarcastico verso di noi, “maledetti teenager”;
però si poteva sempre cogliere nelle sue parole una sottile ironia indirizzata
verso se stesso e il suo prendersi gioco di noi. Qualche volta, nei giorni
peggiori, quest’ironia sfociava in un’amarezza che lo portava a farsi scudo di
una voluttuosa disillusione. Durante la gita a Monaco, una sera io e le mie
amiche l’avevamo incrociato nel corridoio nell’albergo con una bottiglia di
vino rosso mezza vuota in mano e gli occhi cupi di un maestoso felino
sofferente.
“Ehi, ragazze”
aveva soffiato passandoci accanto. “Come va?” il suo tono era tenebroso come
l’oscurità intrappolata nei tendaggi oltre i quali era sparito, senza attendere
risposta.
Sembrava ridersene
di ogni convenzione, lui spiegava perchè gli piaceva, e per quanto certe volte
il brusio in classe mentre interrogava raggiungesse un livello davvero
fastidioso, non assumeva mai quell’odioso atteggiamento, così frequente nei
professori, “e dire che io sono pagato per insegnare”. Semplicemente, sfiorava
la cattedra con il palmo della mano, un po’ annoiato, e chi stava facendo
confusione si acquietava subito, spaventato non dalla punizione, quanto
dall’idea di sfigurare davanti ai suoi occhi.
Si tolse la giacca,
rimanendo in maniche di camicia, io mi trattenni, invece molte delle mie
compagne sospirarono languidamente. Lui si stirò le braccia muscolose, seguito
da praticamente tutte le paia d’occhi femminili della classe. “Oh, lo so che mi
idolatrate” disse all’improvviso “ma vi consiglio di rivolgere la vostra
venerazione verso persone migliori di me”.
In classe calò un
silenzio di tomba, le ragazze chinarono la testa.
Non credeva di aver
realizzato le sue speranze giovanili, quando, raramente, accennava a episodi
della sua adolescenza, la sua voce si curvava in una nostalgica critica della
sua ingenuità passata, della fiducia nel futuro che ormai aveva perso, insieme
a quella nella politica e nella giustizia. Una volta aveva raccontato di quando
aveva suonato al concerto rock che ogni anno raccoglie i gruppi emergenti della
città: “Pensavo davvero che mi avrebbe portato da qualche parte, che la musica
fosse la voce della ribellione; che io sarei rimasto fuori dal mondo rassegnato
degli adulti” aveva detto, incredulo.
“Anch’io suonerò
là, professore” aveva ribattuto entusiasta il Munastri. “Io credo sul serio a
quelle cose che ha detto”. Il professore l’aveva guardato divertito.
“Cambierai idea,
Munastri”. Il mio amico aveva scosso la testa, serio com’era raramente.
“No”. Il professore
l’aveva guardato con uno sguardo strano, un rimpianto speranzoso che non avevo
mai visto nei suoi occhi.
“Forse no,
Munastri” aveva mormorato. “Forse voi sarete capaci di non cambiare idea”.
Sebbene non lo
avessi mai ammesso nemmeno a me stessa, io ero innamorata di lui. Non avrei mai
creduto di poter cadere in un’infatuazione scontata e romantica come quella
della studentessa che si innamora del professore, ma ci ero annegata,
nonostante avessi continuato a lungo a dibattermi nella palude dell’innocente
reverenza per uscirne.
Inoltre sentivo per
lui una gratitudine infinita. Provavo una riconoscenza tanto intensa che mi
allargava il cuore, per colui che mi nutriva intellettualmente e
spiritualmente, mi insegnava a pensare, che si poneva, e perciò diventava, come
un modello venerabile ma da combattere, qualcuno che avrei avuto sempre
davanti, che mi avrebbe insegnato a diventare grande. Gli avrei dimostrato che
quella goccia di speranza che conservava per la nostra generazione era ben
riposta; che il mondo non era “una
melassa di cose costosissime ma non altrettanto preziose” come aveva detto.
Seconda
Classificata, a parimerito
Il Professore, di Elothiriel
- Correttezza grammaticale, ortografica e sintattica (x/10): 8
- Efficacia dello stile (x/10): 10
- Caratterizzazione del personaggio descritto (x/15): 15
- Attinenza al fandom / elaborazione dell'ambientazione originale (x/15): 15
- Gradimento personale (x/10): 10
Totale: 58/60
Commento
Ti
faccio i miei complimenti: non è da tutti saper dipingere su virtuale carta con
tale maestria il ritratto di un personaggio così combattuto, così profondo e
così reale. Forse ti ha aiutata il fatto che, come hai affermato tu
stessa, la figura del professore è ispirata ad un reale docente da te
conosciuto. Beh, te lo dirò sinceramente, un po' ti invidio per aver avuto
l'opportunità di osservare una persona talmente interessante :-) Ma in
definitiva ti ringrazio per averla fatta conoscere ai tuoi lettori.
Il protagonista è elevato allo stato di simbolo, in questa oneshot: è l'emblema
di una società nella quale l'arbitrio produce in pari misura l'affinarsi
dell'intelletto e l'affermarsi di una profonda vena cinica e distruttrice. Il
Professore è così, brillante eppure dannato: perché la sua mente è quanto di
più fino possa esserci, eppure il mondo è quanto di più... melassa possa
esistere. E la maledizione di una mente così geniale è il dover permanere
all'interno di tale informe massa.
Eppure, egli nutre ancora la speranza che qualcuno dei giovani possa arrivare
all'età adulta e non cambiare idea... e questo fatto introduce un
frammento di umanità in più a questo personaggio già così ben delineato. E' la
sua speranza a rendere speranzosi anche gli studenti - perdona il gioco di
parole involontario - ed a spingerli ad impegnarsi al massimo, perché lui sia
fiero di loro, e perché continui a serbare una seppur minima fiducia nel nostro
tempo.
Davvero, complimenti. Una leggerissima svista qui: "[...] una sera io e le
mie amiche l’avevamo incrociato nel corridoio nell’albergo con una bottiglia di
vino rosso mezza vuota in mano e gli occhi cupi di una maestoso felino
sofferente."
Grazie a chiunque
abbia letto questa storia (se così si può chiamare) e grazie mille a chi decide
di lasciare una recensione, ve ne sarò davvero molto grata.
Grazie ancora a
tutti,
a presto
Elothiriel