Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Elothiriel    07/10/2011    3 recensioni
(Seconda classificata al Contest "Nice to Meet You - Presentaci il tuo personaggio")
"Aveva, insieme a quell’intelligenza straordinaria, una sfiducia nel mondo e nella gente, un cinismo sprezzante, un’ironica arroganza che lo rendevano estremamente carismatico; come la frustrata ma solidissima sicurezza in se stesso che irradiava dalla sua persona."
Un professore affascinante e sarcastico, deluso e speranzoso, in 1500 parole, attraverso gli occhi della giovanissima studentessa Mirti.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: Il Professore

Titolo: Il Professore
Autore/i:
Elothiriel (eleonora.selvi@yahoo.it)

Fandom: Originale
Genere:
Introspettivo
Avvertimenti:
One-shot
Note:
Sembrerà incredibile, ma questo personaggio è un po’ ispirato ad un professore vero, e io lo ringrazio di cuore per essere così interessante.

 

 

Il Professore

 

Lui entrò con l’andatura disinvolta del professore vissuto, quello che sa camminare con eleganza anche carico di cartelle, registri, fogli, compiti e libri, facendo ondeggiare la giacca sdrucita in maniera terribilmente letteraria.

Come al solito, in classe calò un silenzio adorante. Quel giovane di appena trent’anni ci ispirava un’ammirazione e un rispetto che nessuno degli altri insegnanti più anziani era mai riuscito ad ottenere.

“Aprite le finestre” come sempre, le sue prime parole quella mattina furono queste, non sopportava di stare chiuso nell’aria stagnante della classe. Si sedette con grazia indifferente, tirò fuori con un gesto annoiato le nostre simulazioni della terza prova di Filosofia. Il disprezzo che provava per questo compito scritto era palese, la Filosofia è materia orale per giustizia divina.

“Mirti, ho letto su una rivista di dubbio valore che le donne in ansia tendono a  giocherellare con piccoli oggetti o con i capelli. Ti prego, non avvallare questo scontato stereotipo” disse guardandomi. Arrossii e smisi subito di tormentarmi i riccioli, sebbene fossi nervosa per il voto.

Distribuì lentamente le verifiche annotate di rosso, facendole cadere con disinteresse sui banchi. Invece di guardare i propri compiti, quasi tutti fissavano lui, le sue belle, grandi mani da chitarrista che sfogliavano il plico con la stessa delicatezza che usavano per le corde dello strumento.

Il viso piacevole, i ricci scuri, i grandi occhi neri e il fisico robusto attraevano superficialmente, ma erano le sue parole ad ammaliarci. Era la sua intelligenza ad affascinare, il suo disinvolto eclettismo, la sua acutezza di pensiero, tanto penetrante che faceva quasi paura. Il suo modo di parlare, raffinato e desueto, coglieva la sostanza del discorso con una fermezza quasi fuori moda, rischiarata ogni tanto da termini ed espressioni adolescenziali che la rinfrescavano allegramente. 

Era capace di discutere di Arnaut Daniel, della nomenclatura degli ossiacidi, di Shakespeare, dell’iperbole, del Castello Errante di Howl, di film, di manga, ovviamente di libri, di cattedrali gotiche e di gruppi rock con la stessa serena competenza e con la stessa disattenta sicurezza.

“Professore!” la voce della prima della classe, la Retagli, era acuta e incredula.

“Cosa c’è, Retagli?” rispose lui voltandosi verso la ragazza.

“Ho preso...ho preso...” non riusciva neanche a sputare il voto ignominioso. “Sei e mezzo!”. Riprese fiato. “Come mai?!”

“Il tuo compito, Retagli, è una melassa di mere nozioni scolastiche, che non colgono il nocciolo della questione nemmeno vagamente. Platone non è una lista della spesa d’idee, altrimenti, le potresti comprare al supermercato. Taci”. La povera ragazza spalancò gli occhi, umiliata, poi, saggiamente, si acquietò.

Melassa era la parola preferita del professore. La usava per designare quasi tutta la realtà, quella realtà che lo deludeva nella sua ipocrisia zuccherosa.

Spesso, la tirava fuori in un discorso generico, che grazie a quel nome di dolce acquistava un’inaspettata profondità. Una volta, rispondendo a non mi ricordo quale petizione della classe, aveva detto: “Voi vi aspettate che l’autorità costituita vi dia quello che desiderate. Vi sbagliate! Se anche lo otterreste, e questo è da vedere, sarebbe comunque la solita melassa. Voi dovete combattere per quello che volete, non aspettare che vi cada fra le braccia dall’alto. Adesso, in questa classe, io sono dominus et deus, pertanto, rappresento l’autorità. Voi non vi dovete fidare di me; non vi dovete aspettare che la soddisfazione delle vostre pretese infantili provenga dall’autorità.” E ci aveva sorriso ironicamente, come sfidandoci a contraddirlo.

“Mirti, raccogli i compiti” ordinò.

“In ordine alfabetico?” chiesi, alzandomi.

“Vada per l’ordine alfabetico” rispose distrattamente. Sulla cattedra erano appoggiati tre grossi libri e un vocabolario di greco, sbirciando, scoprii che il libro in cima alla pila era Dio non esiste di Hawking.

“Che libro è, professore?” domandò incuriosito e ammirato il mio compagno di banco della prima fila.

“Un libro dove voi capireste meno del cinque per cento delle parole. Più o meno quante ne azzecchi tu, Munastri, quando sei interrogato a storia”.

“E lei, quante ne capisce?”

“Mmmh...” riflettè un po’ “il quaranta per cento circa”.

Aveva, insieme a quell’intelligenza straordinaria, una sfiducia nel mondo e nella gente, un cinismo sprezzante, un’ironica arroganza che lo rendevano estremamente carismatico; come la frustrata ma solidissima sicurezza in se stesso che irradiava dalla sua persona. In lui convivevano malinconicamente un’indole rilassata, da ragazzo, e un astio da vecchio deluso dalla vita. Le sue battute erano frequenti e pungenti, ostentava un’aria di sarcasmo, insieme amaro e divertito, verso chiunque avesse di fronte. Spesso, seduto dietro la cattedra, appoggiava la testa sulle lunghe dita nodose e dichiarava, con voce sepolcrale, di stare male, ed era terribilmente attraente con quell’aria di bello-e-dannato, perchè non era nè così bello nè così dannato, e quindi sfuggiva, con ironica superiorità, ad ogni stereotipo.

Dopo aver spiegato storia per un’ora, si interruppe, lasciandoci posare le penne e stirare le braccia. Avevo preso otto pagine di appunti fitti fitti. Otto pagine! Qual è il professore che ti fa prendere otto pagine di appunti in un’ora, se non quello che spiega in modo così avvincente che sei perfino pronta a sacrificare la tua mano destra pur di fissare sul tuo quaderno le sue parole?

Non era una normale lezione di storia e date, era la guerra di Filippo II contro Guglielmo D’Orange il Taciturno, potevo sentire i due grandi uomini darsi battaglia nella voce del professore; la passione che la permeava si comunicava anche a me.

La storia prendeva vita quando la spiegava in piedi accanto alla lavagna, le spalle indolentemente appoggiate al muro, non riprendeva mai nessuno, in genere sapeva farsi ascoltare in un silenzio colmo di venerazione.

A volte sfoggiava un’aria scanzonata da ragazzo allegro, quando era contento di qualcosa, ma non per questo era meno ferocemente sarcastico verso di noi, “maledetti teenager”; però si poteva sempre cogliere nelle sue parole una sottile ironia indirizzata verso se stesso e il suo prendersi gioco di noi. Qualche volta, nei giorni peggiori, quest’ironia sfociava in un’amarezza che lo portava a farsi scudo di una voluttuosa disillusione. Durante la gita a Monaco, una sera io e le mie amiche l’avevamo incrociato nel corridoio nell’albergo con una bottiglia di vino rosso mezza vuota in mano e gli occhi cupi di un maestoso felino sofferente.

“Ehi, ragazze” aveva soffiato passandoci accanto. “Come va?” il suo tono era tenebroso come l’oscurità intrappolata nei tendaggi oltre i quali era sparito, senza attendere risposta.

Sembrava ridersene di ogni convenzione, lui spiegava perchè gli piaceva, e per quanto certe volte il brusio in classe mentre interrogava raggiungesse un livello davvero fastidioso, non assumeva mai quell’odioso atteggiamento, così frequente nei professori, “e dire che io sono pagato per insegnare”. Semplicemente, sfiorava la cattedra con il palmo della mano, un po’ annoiato, e chi stava facendo confusione si acquietava subito, spaventato non dalla punizione, quanto dall’idea di sfigurare davanti ai suoi occhi.

Si tolse la giacca, rimanendo in maniche di camicia, io mi trattenni, invece molte delle mie compagne sospirarono languidamente. Lui si stirò le braccia muscolose, seguito da praticamente tutte le paia d’occhi femminili della classe. “Oh, lo so che mi idolatrate” disse all’improvviso “ma vi consiglio di rivolgere la vostra venerazione verso persone migliori di me”.

In classe calò un silenzio di tomba, le ragazze chinarono la testa.

Non credeva di aver realizzato le sue speranze giovanili, quando, raramente, accennava a episodi della sua adolescenza, la sua voce si curvava in una nostalgica critica della sua ingenuità passata, della fiducia nel futuro che ormai aveva perso, insieme a quella nella politica e nella giustizia. Una volta aveva raccontato di quando aveva suonato al concerto rock che ogni anno raccoglie i gruppi emergenti della città: “Pensavo davvero che mi avrebbe portato da qualche parte, che la musica fosse la voce della ribellione; che io sarei rimasto fuori dal mondo rassegnato degli adulti” aveva detto, incredulo.

“Anch’io suonerò là, professore” aveva ribattuto entusiasta il Munastri. “Io credo sul serio a quelle cose che ha detto”. Il professore l’aveva guardato divertito.

“Cambierai idea, Munastri”. Il mio amico aveva scosso la testa, serio com’era raramente.

“No”. Il professore l’aveva guardato con uno sguardo strano, un rimpianto speranzoso che non avevo mai visto nei suoi occhi.

“Forse no, Munastri” aveva mormorato. “Forse voi sarete capaci di non cambiare idea”.

Sebbene non lo avessi mai ammesso nemmeno a me stessa, io ero innamorata di lui. Non avrei mai creduto di poter cadere in un’infatuazione scontata e romantica come quella della studentessa che si innamora del professore, ma ci ero annegata, nonostante avessi continuato a lungo a dibattermi nella palude dell’innocente reverenza per uscirne.

Inoltre sentivo per lui una gratitudine infinita. Provavo una riconoscenza tanto intensa che mi allargava il cuore, per colui che mi nutriva intellettualmente e spiritualmente, mi insegnava a pensare, che si poneva, e perciò diventava, come un modello venerabile ma da combattere, qualcuno che avrei avuto sempre davanti, che mi avrebbe insegnato a diventare grande. Gli avrei dimostrato che quella goccia di speranza che conservava per la nostra generazione era ben riposta; che il mondo non era “una melassa di cose costosissime ma non altrettanto preziose” come aveva detto.

 

 

Seconda Classificata, a parimerito
Il Professore, di Elothiriel
- Correttezza grammaticale, ortografica e sintattica (x/10): 8
- Efficacia dello stile (x/10): 10
- Caratterizzazione del personaggio descritto (x/15): 15
- Attinenza al fandom / elaborazione dell'ambientazione originale (x/15): 15
- Gradimento personale (x/10): 10
Totale: 58/60
Commento

Ti faccio i miei complimenti: non è da tutti saper dipingere su virtuale carta con tale maestria il ritratto di un personaggio così combattuto, così profondo e così reale. Forse ti ha aiutata il fatto che, come hai affermato tu stessa, la figura del professore è ispirata ad un reale docente da te conosciuto. Beh, te lo dirò sinceramente, un po' ti invidio per aver avuto l'opportunità di osservare una persona talmente interessante :-) Ma in definitiva ti ringrazio per averla fatta conoscere ai tuoi lettori.
Il protagonista è elevato allo stato di simbolo, in questa oneshot: è l'emblema di una società nella quale l'arbitrio produce in pari misura l'affinarsi dell'intelletto e l'affermarsi di una profonda vena cinica e distruttrice. Il Professore è così, brillante eppure dannato: perché la sua mente è quanto di più fino possa esserci, eppure il mondo è quanto di più... melassa possa esistere. E la maledizione di una mente così geniale è il dover permanere all'interno di tale informe massa.
Eppure, egli nutre ancora la speranza che qualcuno dei giovani possa arrivare all'età adulta e non cambiare idea... e questo fatto introduce un frammento di umanità in più a questo personaggio già così ben delineato. E' la sua speranza a rendere speranzosi anche gli studenti - perdona il gioco di parole involontario - ed a spingerli ad impegnarsi al massimo, perché lui sia fiero di loro, e perché continui a serbare una seppur minima fiducia nel nostro tempo.
Davvero, complimenti. Una leggerissima svista qui: "[...] una sera io e le mie amiche l’avevamo incrociato nel corridoio nell’albergo con una bottiglia di vino rosso mezza vuota in mano e gli occhi cupi di una maestoso felino sofferente."

Grazie a chiunque abbia letto questa storia (se così si può chiamare) e grazie mille a chi decide di lasciare una recensione, ve ne sarò davvero molto grata.

Grazie ancora a tutti,

a presto

Elothiriel

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Elothiriel