Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: FlyingEagle    08/10/2011    0 recensioni
Chi non ama i gatti? Andrea, il protagonista della nostra storia. Ma chi li invidia? Sempre Andrea, che ad una settimana dal ritorno a scuola sente il bisogno della libertà felina smepre più come un sogno.
Tra situazioni impossibili e scelte alquanto stupide, seguiremo Andrea nelle sue grottesche avventure.
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2 - Questione di Sfortuna




La mattina seguente, alle otto in punto, mi trovo, sotto la pioggia battente, di fronte al bar, punto di ritrovo stabilito, guardandomi a destra e a sinistra alla ricerca di un riparo.
Ho il cappuccio tirato sulla testa, cercando di ripararmi dall'intemperia impietosa e, nel frattempo, penso a quanto stupidissimo anticipo portassi e a cosa avrei potuto fare per ingannare il tempo.
Mi ero incamminato fin dalle sette e mezzo, quando ancora non pioveva e sembrava totalmente inutile portarsi uno stupido ombrello.
Inoltre non volevo fare la figura del bambino delicato che ha bisogno di riparo per qualche goccia di pioggia dinanzi alla mia classe, chi avrebbe mai pensato che sarebbe venuto giù il diluvio universale?
Resto a guardare con odio la porta chiusa del bar, mentre di tanto in tanto qualche operaio e impiegato ne esce frettolosamente, con l'ombrello in mano, per poi fiondarsi in macchina e, conseguentemente, a lavoro.
Dopo dieci minuti di appostamento comincio a sentirmi uno stupido con i piedi a mollo, tanto per cominciare, e uno stalker, giusto per non farmi mancare niente.
Inizio, quindi a camminare avanti e indietro, allontanandomi sempre di più dalla porta del locale, cercando di darmi un contegno, ma finendo, inevitabilmente, per sembrare completamente fuori di testa.
Forse è meglio entrare, mi dico, ma non lo faccio, pensando che il gestore mi avrebbe riconosciuto e avrebbe capito quanto stupido potevo essere a presentarmi ad un appuntamento un'ora e cinque minuti prima.
Così cominciai a camminare in tondo, ma neanche quella mi sembrava una soluzione e, mentre gli avventori mi scrutavano sempre più preoccupati dalle ampie vetrate del negozio, iniziai a maledire me stesso in tutti i modi e con tutti gli epiteti che riuscivo a trovare.
Alla fine, quindici minuti dopo, decisi di camminare intorno al quartiere in cui si trovava il bar, sentendomi comunque un idiota completo, ma un po' meno scemo, almeno.
Presi il mio lettore mp3 e decisi di sentire almeno un po' di musica che mi tenesse compagnia, subito partì una canzone di Lucio Battisti e la lasciai andare, riponendo di nuovo in tasca l'oggetto per non bagnarlo.
Dopo qualche giro però mi resi conto che camminare senza meta era da stupidi, come tutto ciò che, d'altronde, avevo fatto fino a quel momento, così decisi di accennare una corsetta leggera, per convincere almeno i passanti che ero soltanto un giovane amante del fitness e non un pazzo completo.
Sudavo copiosamente da ormai dieci minuti, quando realizzai, che non potevo mettermi a correre. Avevo un appuntamento con il resto della classe, non potevo presentarmi sudato e puzzolente!
Mi diedi dello stupido e cominciai a correre verso casa, guardando l'orologio che segnava ormai le otto e quaranta, vi arrivai che erano le 8 meno dieci e il temporale era finito da almeno cinque minuti. Non era possibile essere così sfigati, mi dico, non è possibile.
Mi fiondo contro la porta, di corsa, tentando di aprirla e di entrare in fretta, un po' come fanno sempre nei film, ma questa non si apre e io mi ritrovo con il didietro sull'originalissima scritta “ Welcome” del tappeto, vecchio e pungente, fuori casa mia. Questo nei film non succede mai, però, eppure dovrebbero farlo accadere, altrimenti stupidi come me cercano di imitarli e si ritrovano col culo a terra e questa insopportabile espressione da ebete.
Guardo la porta alcuni secondi sbattendo gli occhi, confuso.
Non può essere.
Mia madre non può già essere partita.
Guardo il vialetto e il ciglio della strada e constato che effettivamente la sua auto non c'è. Ma mia sorella dovrebbe esserci.
Mi alzo e comincio a picchiare sulla porta e ad urlare il suo nome:
“Laura APRI SUBITO QUESTA PORTA! LAURA!”
Dopo un minuto buono che continuavo a urlare e picchiare disperatamente sul legno chiaro cominciai a sentire un dolore insopportabile alle mani, così decisi di smettere di tentare di sfondare infruttuosamente la porta o di svegliare, impresa ancor più disperata, mia sorella.
Corro velocemente intorno a casa mia e vedo, distrattamente, i vicini sbirciarmi scandalizzati attraverso le fessure delle tende ancora tirate alle finestre.
Raggiungo il retro di casa mia, controllando disperatamente tutte le serrature, non trovandone, come al solito, nessuna minimamente indebolita. Mi ritrovo a maledire mia madre e la sua paranoia sui ladri e i malviventi.
Mi arrendo sconsolato, scivolando lentamente contro il muro, la fronte appoggiata accanto alle mani. Improvvisamente sento il mio orologio suonare, avevo impostato l'allarme la sera prima, in un momento in cui l'unica cosa che riempiva la mia mente era l'incontro dell'indomani con una certa persona, incapace quindi di fare qualsiasi cosa non vi fosse collegata.
Mi riscuoto, aggirando nuovamente casa mia e cominciando a correre. Sento la porta dietro di me aprirsi e con orrore vedo mia sorella che, stropicciandosi gli occhi mi guarda intontita dal sonno.
Blocco la corsa voltandomi con uno sguardo, devo ammetterlo, degno di un serial killer, urlo con quanto fiato ho in gola un “VAFFANCULO!” e mentre sento confusamente Laura urlarmi dietro uno sconvolto “ Hai detto... LO DICO A MAMMA!” mi volto di nuovo e corro a perdifiato verso il punto d'incontro, partendo già con cinque minuti di ritardo e affibbiando uno “stupido!” a qualunque cosa vedessi o mi si parasse d'innanzi.
Sono scattate, inesorabilmente, le nove e venti quando riesco ad arrivare al bar col fiato corto. Vedo che gli altri sono già dentro, ridono e scherzano attorno ad un tavolo e c'è anche lei. Mi guardo: sono ovviamente impresentabile, come era prevedibile, e sono anche in ritardo.
Per di più sono fradicio e non so come spiegare agli altri questo piccolo particolare, dato che non piove più da diverso tempo.
Mentre maledico qualunque cosa mi capiti a tiro a denti stretti entro nel bar salutando allegro. Gli altri mi accolgono con un sorriso e Marco non si risparmia “ Alla buon ora, mia principessa sul pisello! Dormito bene?”
Lo ignoro bellamente lanciandogli uno sguardo di fuoco, evidentemente capisce che non è il caso di scherzare questa mattina, così lascia perdere le battute e mi fa cenno di sedermi.
Mi accomodo e proprio davanti a me c'è lei, Beatrice. I capelli biondi, più chiari dei miei, lunghi e morbidi, di fianco a lei Paola, la sua migliore amica da prima ancora che nascessi, ( e non è un modo di dire, loro sono nate a Gennaio, io a Dicembre e sono state sempre insieme perfino nella culla, dato che le rispettive madri erano molto amiche) la sta ad ascoltare concentrata mentre l'altra le racconta di chissà quale emozionante avventura estiva.
Bea è sempre stata invidiata da tutti per gli itinerari estivi a cui prende annualmente parte con la famiglia, questa volta era andata in Spagna, mi parve di capire. Paola invece non è come lei, è più tranquilla e anonima, è brava a scuola, ma non brilla come Beatrice che per ogni domanda ha una risposta.
Ha i capelli piuttosto corti e neri, come i suoi occhi, è bassa e mingherlina e non parla molto. Niente a che vedere con l'espansività dell'altra, i suoi occhi azzurri, le sue gambe lunghissime, il suo viso armonioso... Mi accorsi di stare a fissarla come uno scemo solo quando Marco mi assestò, piuttosto discretamente, devo dire, una gomitata nelle costole, facendomi voltare verso di lui.
“Ehi!” disse quasi urlando “ ma sei zuppo! Che diavolo hai fatto stamattina? Non piove più da tipo le otto e mezzo!”
Giuro che se il locale non fosse stato pieno di avventori, che fino a quel momento non avevo notato, distratto com'ero dalla ragazza di fronte a me, l'avrei strozzato. Sul serio.
“Ehm... Marco... Ma che dici! È una tua impressione, non sono affatto zuppo!”
“ Amico, sei zuppo eccome, sgoccioli!” Si intromette con fare ovvio Luca, precedentemente mio compagno di scuola, ora nemico mortale in cima alla mia personalissima lista nera.
Marco sembra intuire la situazione, la mia goffaggine e sfortuna gli è ben nota e mi guarda quasi dispiaciuto. Quasi. Sì, perché in realtà vedo come stia godendo, sotto sotto delle mie disgrazie.
“Ecco, io ho dovuto fare qualche giro... in giro... spesa! Per mia mamma!”
“ Alle 8, mentre piove e a piedi? Ma tua madre non ha la macchina?”
Luca MALEDETTO!, mi ritrovo a pensare, così forte che credo sia possibile udirmi.
“Aveva da fare.” Scandisco con sguardo di fuoco.
Non riesco a pensare ad altro se non alla figura che stavo facendo con Bea.
Più volte tento di guardarla di sottecchi, ma ho paura che anche lei mi stia guardando e non ho il coraggio di incrociare il suo sguardo, soprattutto ora.
“Ma...”
Sferro un violentissimo calcio sotto il tavolo in direzione di Luca, per mia sfortuna non sono un asso con le gambe e il tavolo circolare non aiuta la mia percezione, cosicché il mio disperato tentativo di far tacere l'acerrimo nemico viene vanificato da un banale, e stupidissimo, errore di bersaglio. Il mio piede va a colpire la gamba di Paola, che, accidenti, con tanto posto e con gambe tanto piccole, proprio lì dove calciavo io doveva metterle??, cacciò un urletto sorpreso girandosi a guardarmi shockata.
Solo allora mi rendo conto che lei e la sua migliore amica, soprattutto lei, non stavano affatto seguendo il crescendo inesorabile del mio dramma, intente ancora in quella fitta conversazione.
“Sei stato tu a colpirmi?” Chiede, anche abbastanza calma, rabbuiandosi.
“Oh Dio... Scusa! Sai a volte mi prendono questi 'scatti'” enfatizzo gesticolando il concetto “ alle gambe! Sono terribili!... Oh ma non preoccuparti! Succede solo ogni tanto, anzi molto raramente!” Aggiungo quando vedo che tutti spostano un pochettino indietro le sedie e che anche Marco, traditore!!!, si discosta leggermente da me.
Mi guardo intorno imbarazzatissimo, mentre il rosso del mio volto contrasta in maniera indecorosa col biondo dei miei capelli.
Non resisto e guardo Bea, ha un'aria annoiata, probabilmente per l'interruzione alla conferenza che stava tenendo con il mio imprevisto bersaglio.
Nel momento in cui distolgo lo sguardo da lei mi accorgo dell'anormale silenzio che regna nella stanza. Non mi volto ma so con certezza che diverse paia d'occhi sono puntati sulla mia schiena ed io, il viso rossissimo, resto a fissare le intaccature nel finto legno del tavolino.
“ Accidenti, se sono così rari sono stata fortunata ad essere vittima di uno!”
La voce flebile di Paola rompe il silenzio, mentre alzo lo sguardo incredulo. Ha un sorrisetto ironico stampato in faccia, ma non sembra volermi schernire, ma solo allentare la tensione.
E ci riesce, producendo una breve risata generale.
Marco prende la palla al balzo, cercando, alla buon'ora!, di aiutarmi:
“ Ahahah! Andrea è il solito! Un uomo pieno di sorprese!” ridacchio per niente divertito, ma convinto sia quella la migliore e meno catastrofica delle risoluzioni, alcune delle quali contemplavano una trave, una corda e un nodo scorsoio.
Tutti cominciano a tirare fuori i libri, e a sfogliare le pagine. A quanto pare si inizia da matematica. Mentre, depresso, faccio roteare la penna nella mano, lancio ripetute occhiate a Beatrice che, mentre chiacchiera con Paola, a dire la verità la prima parla e la seconda ascolta, scribacchia distrattamente sul quaderno.
Inevitabilmente mi ritrovo a fissarla e a non riuscire a staccare gli occhi dalla sua figura. È veramente bravissima, riesce benissimo a scuola, in tutte le materie, senza il minimo sforzo!
Io, invece, sono tutto il contrario.
Quando mi impegno rosicchio a malapena quella sufficienza mai sufficiente per i miei genitori, quando non mi impegno, il che capita molto più spesso, sono costretto a chiedere, in lacrime, l'aiuto al mio amico cervellone e studioso che, di fianco a me, scrive numeri dopo numeri in un'odissea di operazioni algebriche senza fine.
Durante uno dei miei tentativi di lanciare un'occhiatina verso la ragazza subito di fronte a me, vedo Paola alzarsi con una smorfia strana sul viso, diversa dalla solita faccia tranquilla e anonima, noto con orrore che zoppica leggermente mentre si dirige in bagno con aria del tutto indifferente.
Mi alzo di scatto mentre tutti mi guardano, compresa lei, sono indeciso, resto un momento a ciondolare come un idiota, quindi, per provare ancora di più la mia stupidità, mugugno frettolosamente qualcosa che potrebbe lontanamente passare come un “... bagno...” e mi avvio. Il bagno del bar era costituito da un'anticamera e poi da due cubicoli, uno per gli uomini e uno per le donne. Trovo Paola nella suddetta anticamera, con la gamba sul piano in ceramica del lavello e la schiena poggiata alle piastrelle bianche, a controllarsi con un cipiglio assorto la caviglia destra, presumibilmente nel punto in cui l'avevo colpita.
Qui si stendeva un livido violaceo, abbastanza esteso.
Resto sulla porta come uno stupido, a guardarla a bocca aperta, inorridito. Non avevo idea di averle fatto così male, lei stessa non aveva detto una parola al riguardo e, anzi, era stata bendisposta a buttarla sul ridere e a perdonarmi.
Quando lei finalmente si accorge della mia presenza, svelta si ricopre il segno con i jeans, inutilmente però.
Pare capirlo perché esordisce:
“ Hai un calcio micidiale, mai pensato di giocare a calcio? Mio fratello ci gioca e non ha la tua potenza di fuoco!”
“A dire il vero sono abbastanza scoordinato e lento, inoltre non riesco a colpire la palla.”
Lo dico serissimo e con una faccia da funerale, benché avessi perfettamente capito che il suo intento era di fare un po' di spirito, ma io mi sento un fallito e un imbranato, buono neanche per sdrammatizzare.
“Mai dire mai” dice con un sorriso un po' incerto. Credo stesse decidendo se li avevo tutti i neuroni in testa, immagino che un anno non fosse bastato per deciderlo, in fondo non è che ci parlassi così spesso. “ Mi pare che il bagno sia libero”.
Mi supera con leggerezza e torna dagli altri. Non ero mai stato un tipo cavalleresco, per così dire, non avevo mai aperto la porta alle ragazze o altre cose del genere, né seguivo le regole del galateo a tavola e tutte le altre stupidaggini, ma picchiare una ragazza mi sembrava sbagliato per motivazioni del tutto diverse che neanche io riuscivo a ben identificare.
Poi se Beatrice lo fosse venuta a sapere sicuramente ce l'avrebbe avuta con me.
Mi decido a tornare dagli altri con un sospiro e il muso più lungo che l'intera fauna terrestre avesse mai visto, facendo concorrenza a cavalli e formichieri.
Mi risiedo con malagrazia e resto per il resto della mattinata a guardare distrattamente il foglio, imbronciato; di tanto in tanto Marco prova a inserirmi nella conversazione ma capisce ben presto che non è giornata per me, così lascia perdere senza farsi troppo pregare.
Arrivano le dodici in punto e la mia testa è tanto vuota di nozioni matematiche quanto lo era il giorno precedente alla stessa ora.
Tutti si alzano e si salutano, mi accorgo quasi distrattamente che nel gruppo c'erano anche altri tre compagni di classe: Silvia, un'oca bionda, Giulia, amica di Silvia in qualche modo, e Donatella, l'unica anima pia che mi eguagliava nelle materie scientifiche e letterarie. In compenso era un genio in arte e aveva un futuro già segnato.
Seguo con lo sguardo Beatrice che esce dal locale seguita da Paola che, con mio sollievo, noto che non zoppica più.
Saluto tutti distrattamente rimettendo con calma i libri inutilizzati nello zaino. Marco mi aspetta seduto sulla sedia, pulendosi gli occhiali sulla maglia.
“Che casino hai combinato oggi!” Accenna distrattamente.
Con un sospiro chiudo la zip e capisco che vuole gli racconti cosa è successo stamattina, non ho la benché minima voglia di parlarne e glielo faccio capire chiaramente, mettendomi lo zaino in spalla e avviandomi alla porta. Mentre, però, aggiro i tavoli inciampo sulla valigetta di uno degli altri avventori e rischio di finire con il muso per terra, ennesima figuraccia della giornata sventata da Marco che mi afferra per la maglia rimettendomi in piedi e spingendomi, poi, frettolosamente fuori.
“Hai ancora la felpa bagnata...”
“Stamattina ero qui davanti dalle otto in punto, ma non sapevo cosa fare così ho cominciato a camminare qui intorno, poi a correre, sotto la pioggia, così ricordandomi che però avevo appuntamento con... voi, ho deciso di correre a casa a cambiarmi per non presentarmi in queste condizioni, mamma però era già andata a lavoro, papà idem e mia sorella si degna di aprirmi alle nove e cinque quando io sto correndo già verso il bar e non ho tempo per cambiarmi.”
Racconto le mie sventure senza riprendere fiato e, dette così, sono davvero meno onorevoli e più umilianti di come me le ricordavo.
Sento dietro di me un silenzio eloquente, so che il mio amico si sta sforzando per non ridere e, se da una parte lo apprezzo, dall'altra non sono dell'umore adatto per litigare con lui.
“È anche peggio di quel che mi aspettavo!”
Ridacchio anche io: “ Già! Ma non è la cosa peggiore che ho combinato!”
E mentre camminiamo ridiamo delle mie sventure, sebbene dovessi esserne addolorato e non divertito!

Arrivo a casa mezz'ora dopo, apro distrattamente la porta con un mezzo sorriso sulle labbra ricordando ancora le mie mille disavventure, nonostante io sia un completo disastro almeno non mi manca l'autoironia!
Sento improvvisamente una strana atmosfera e violentemente mi tornano in mente le vicende con quella mattina e le parole urlate a mia sorella che, scommetto, lei non ha esitato a raccontare a mamma.
E infatti:
“ANDREA VIENI QUI, SUBITO!”
Con un gemito che aveva ben poco di eroico e abbastanza di disperata preghiera a non si sa quale Dio, salgo le scale con passo stanco e chiudo a chiave la porta dietro di me.
“ NON CHIUD...”
“Sisi, la porta, lo so, è chiusa, tranquilla!”
Rispondo con fare annoiato.
“ANDREA SCENDI SUBITO!”
Oh-oh...
Questo era mio padre.
Non mi aspettavo tornasse così presto, mi affretto a aprire la serratura e a scendere al piano di sotto, mentre mia madre guardava con disapprovazione papà.
“Non dovesti comportarti come se la tua autorità fosse superiore alla mia!” mamma si lamentava “ e tu siediti, Laura mi ha raccontato quello che hai detto stamattina! Non è questo il modo di comportarsi e poi i vicini...”
A questo punto smetto di ascoltarla per guardare interessato il muro dietro di lei con aria annoiata. Quella stupida di mia sorella aveva davvero esagerato, sembrava essere nata per rompere le scatole a me! Perché non rompeva a qualcun altro? Alle sue bambole, ad esempio?
Incrocio per errore lo sguardo di mio padre e rabbrividisco: mi guarda fisso e l'ultima volta che è successo non ho rivisto i miei fumetti, tutti quanti, per tre mesi, e così la mia paghetta.
Decido che quella dell'armistizio è la soluzione migliore.
“Si, scusa mamma, ho capito che ho sbagliato, non lo farò più!”
Mamma si blocca a metà della sua filippica e mi guarda sconvolta, la bocca ancora aperta. “Oh... Ok, però niente paghetta questa settimana”
Sto per sbuffare, ma mi rendo conto che come compromesso non è male, alzo quindi le spalle e mi rassegno.
Per quel giorno, quello, era sicuramente il minore dei mali.
Questione di sfiga, suppongo, ma non avevo intenzione di lasciarmi abbattere dalla sfortuna che, da circa 15 anni, mi perseguitava, mi sarei ribellato!




Il secondo capitolo! diciamo che ci troviamo ancora nella fase introduttiva del personaggio, a breve, però, la storia prenderà una forma e si comincierà a capire dove si va a parare! Spero sia piaciuto, e spero abbia divertito quei pochi che leggeranno!:)
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: FlyingEagle