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Autore: evenstar    15/06/2006    10 recensioni
Al via la seconda storia con un episodio di vita comune visto con gli occhi di Tonks: credete che preparare una cena per quattro persone sia una cosa semplice? Credete che fare dei tortelli in brodo e una torta al cioccolato non comporti rischi? Sì...? Buon per voi allora, ma non siamo tutti così fortunati.
Genere: Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La vita secondo Tonks'
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Voglio ringraziare AleLupin, Cucciola83, Calime e Tonkseremus4ever (giuro che appena ho tempo corro anche a commentare le tue storie, è un periodo un pò frenetico per me) per il commento alla precedente avventura. Vi ricordo che queste storie sono tutte one-shot con lo scopo di mostrare un semplice episodio di vita vissuta, non è che proprio "finiscano" nel concetto classico di fine che abbiamo leggendo una storia, finito l'episodio lascio Tonks e Remus a fare quello che vogliono, fino al prossimo evento...

Ringrazio anche Bridget Jones ( e la sua " mamma"  Helen Fielding) per l'ispirazione.

 

Una cena quasi perfetta

 

A tutti coloro che ritengono di essere fortunati quando non fanno bruciare il misero ovetto che si sono preparati per pranzo. 

 

 

Ninfadora Tonks era depressa.

Lanciò uno sguardo afflitto alla stanza che la circondava, pensando che, se all’onorevole età di un quarto di secolo, non era in grado di preparare una cena informale per tre amici senza distruggere la cucina, era davvero preoccupante.

Tutto era iniziato in una maniera assolutamente normale: dopo mesi e mesi passati nel suo nuovo appartamento, promettendo un giorno sì e l’altro pure ai suoi amici che avrebbe dato una cena di inaugurazione appena si fosse sistemata, quei traditori avevano preso in mano la situazione, autoinvitandosi per il sabato sera successivo.

Questo evento, di per sè perfettamente normale, aveva scatenato un iniziale moto di rabbia nella giovane, che si era vista incastrata nell’appuntamento, senza poter fare altro che annuire, seguito poi da puro panico, rendendosi conto che avrebbe dovuto cucinare per bene quattro esseri viventi che, in quanto tali, erano potenzialmente avvelenabili dalla sua stentata abilità di cuoca.

Aveva provato ad offrire in alternativa una pizza acquistata alla pizzeria di fronte al condominio, recapitata direttamente in casa, in modo da non alterare la tradizione ma non correre neanche il rischio di finire i suoi giorni ad Azkaban, ma i suoi amici erano stati irremovibili.

Avrebbe dovuto cucinare lei, o la cena avrebbe portato sfortuna all’appartamento. E Merlino sapeva quanto la catastrofica Tonks avesse poco bisogno di ulteriore sfortuna.

E per questo motivo adesso era in piedi, con addosso un grembiule da cucina rosa fluorescente, coperta di farina da capo a piedi, le mani e il viso, che si era appena sfregata in un moto di rabbia, impiastricciati di impasto al cioccolato, sull’orlo delle lacrime, circondata da pentole sporche, scarti di alimenti e contenitori vuoti. Conoscendo le sue abilità aveva pensato di stare sul semplice: una minestra per usare il brodo del bollito, bollito e una torta al cioccolato. Molto lineare, apparentemente semplice, in realtà potenzialmente mortale. Una persona normale non si rende conto di quanto una cucina possa essere letale per un’ingenua persona che ci si trovi bloccata dentro.

Ci sono contenitori di vetro, contenenti una quantità inverosimile di generi alimentari disparati, ma con la comune costante di essere viscidi e scivolosi, che possono sfracellarsi a terra; tazze di ceramica che sembrano fatte apposta per scivolare dalle mani unte di burro fuso, usato per imburrare la teglia della torta;  affilatissimi coltelli per i quali il Ministero dovrebbe stabilire regole di utilizzo preciso, come per le maledizioni senza perdono.

Tonks, provetta Auror specializzata in mimetizzazioni, si era ritrovata improvvisamente ad affrontare orde di fragilissime uova, scivolosissimi pezzi di carne cruda e litri di brodo bollente che minacciavano la sua, ancor giovane, vita.

Prese la pentola con il brodo dal fuoco, girandosi per appoggiarla sul tavolo e si rese conto solo troppo tardi che questo era occupato dall’impasto della torta. Borbottò qualche maledizione a mezza voce, provocando l’involontaria esplosione di un barattolo di cipolline sott’aceto di fianco a lei. Tornò ad appoggiare la pentola sul fuoco, miracolosamente senza ustionarsi, prese la teglia con la quasi torta e l’appoggiò momentaneamente per terra, riprese la pentola e l’appoggiò sul tavolo, tirando un sospiro di sollievo quando questa fu al sicuro, felice di essere ancora viva dopo una tale impresa. Si guardò intorno, le mani appoggiate sui fianchi, cercando di programmare la mossa successiva, cominciando a vedere una luce alla fine del tunnel, in fondo la torta doveva solo essere infornata e il bollito riscaldato, poi tutto sarebbe stato pronto per l’arrivo degli amici.

Fu interrotta nei suoi ragionamenti dal campanello della porta.

E fu il panico.

Tonks fissò atterrita l’orologio appoggiato sul piano della cucina, vi soffiò sopra, sollevando una nuvola di farina, e lesse l’ora. Mancavano ancora due ore, due intere ore, all’ora prevista per l’arrivo degli ospiti, chi, per tutti i maghi e le streghe passati per Hogwarts e dintorni, poteva essere così inopportuno da interrompere il suo delicatissimo lavoro.

Il suono si ripetè e Tonks non riuscì  più ad ignorarlo, si mosse verso la porta, finendo per mettere un piede nell’impasto che giaceva per terra, di cui si era giustamente dimenticata, mulinò le braccia cercando di non perdere l’equilibrio, afferrò il manico della pentola con il brodo, appoggiata sul bordo del tavolo, e questa cadde fragorosamente al suolo.

Rimase paralizzata, incapace di dire o fare qualunque cosa non fosse scoppiare a ridere come una pazza, mentre i capelli le viravano in un giallo limone.

Fu così che la trovò Remus Lupin, affacciandosi alla cucina, con uno sguardo notevolmente preoccupato. Tonks si girò verso di lui: come al solito quando si trovava in ambienti babbani, indossava comuni vestiti, in quel caso un completo grigio chiaro con la cravatta allentata, sul volto, notò con gioia la giovane strega, aveva stampato un sorriso, non una risata di scherno, né un cipiglio severo, un semplice, tranquillo, rassicurante, sorriso.

- Ciao, - le disse.

- Come sei entrato? – sbottò lei, rendendosi conto di non essere riuscita ad arrivare alla porta dato il piccolo incidente di percorso.

- Non aprivi, ho sentito un rumore…, - rispose lui, come se il fatto di ritenerla in potenziale pericolo fosse una scusa sufficiente per piombarle in casa sorridente e rassicurante.

- Oh, sì, beh, ciao comunque, - rispose infine Tonks, vedendo i capelli girare, come al solito in presenza di Remus, ad un rosso accecante. – Sto… cucinando.

- Lo vedo.

- Dei miei amici vengono a cena. Tre amici. Alle 8. Sta sera, - riprese lei, alternando lo sguardo da Remus, che rimaneva sulla porta, le braccia incrociate al petto, appoggiato allo stipite, alla zona disastrata che era stata la sua cucina, al suo piede, ancora incastrato nell’impasto della torta.

- Sì, immaginavo qualcosa di simile.

- Tu perché sei qui? – chiese lei, maledicendosi nell’accorgersi di essere stata nuovamente scortese con lui.

- Passavo di qui, volevo vedere come stavi. Come stai? – chiese sinceramente interessato.

- Una meraviglia, grazie. Spero altrettanto per te.

- Oh sì, va tutto bene.

Tonks fissò malinconica il suo piede, poi la cucina e infine l’orologio infarinato, sospirando.

- Tonks.

- Dimmi Remus.

- Vuoi una mano?

- Uhm non saprei. Non hai da fare?

- Mah, - rispose lui, pensieroso guardandosi in giro. – No, non credo di avere impegni per sta sera.

- Sai cucinare?

- Non credo di essere esperto come te, ma un po’ me la cavo.

- Ok allora… ehm grazie.

- Di niente, - disse lui staccandosi infine dalla porta e avvicinandosi alla ragazza, allungando la mano verso di lei.

Tonks afferrò la mano che le veniva porta, rabbrividendo al contatto tra la sua pelle impiastricciata e appiccicosa e quella di lui, fresca e asciutta, mentre i capelli ritornavano ad un rosa brillante.

- Mi piaci con i capelli rosa, credo che sia il mio colore preferito.

- Oh, - mormorò lei, uscendo finalmente dalla torta e scivolando sul pavimento bagnato per il brodo, ormai freddo. Remus la tenne in piedi saldamente, impassibile, come se vedere una persona uscire dall’impasto della torta per scivolare nel brodo fosse cosa da tutti i giorni nel mondo magico.

- Può sembrare una domanda azzardata ma… che cosa volevi preparare per cena?

Tonks aggrottò le sopracciglia, allungò la mano con l’indice proteso e cominciò impassibile ad elencare. – Allora c’è il brodo, in cui volevo cuocere dei tortelli, poi il bollito, per secondo, - specificò fissando gli occhi chiari in quelli di lui. – E infine la torta al cioccolato. Ti piace vero il cioccolato?

- Oh sì, mi piace molto, - sorrise lui, fissando l’impasto con l’impronta del piede di Tonks, per terra.

- Se mi aiuti a finire qui considerati pure invitato a cena.

- Grazie, ma non vorrei disturbare..

- E’ la cena inaugurale per la casa, un amico in più non può che portare bene.

- D’accordo allora, grazie, - rispose Remus slacciandosi la cravatta per poi toglierla e appoggiarla, insieme alla giacca, sul divanetto della sala. Si rimboccò le maniche della camicia, fissando poi, mentre si allacciava un grembiule blu elettrico alla vita, Tonks.

La ragazza lo stava guardando a bocca socchiusa, non perdendosi una mossa, dimenticandosi di respirare, troppo presa a cambiare colore dei capelli passando quasi tutti i colori noti e ritornando infine al rosa. – Tutto bene? Mi sembri un po’ spaesata.

- No… no, no. No sto bene, benissimo. Mai stata meglio. Davvero.

- Bene. Si comincia?

- D’accordo.

- Allora… - cominciò Remus guardandosi intorno con sguardo critico, passando in rassegna il campo di battaglia che una volta era stata una volta una banalissima cucina. – Che facciamo per primo?

- Direi di, - cominciò Tonks, fermandosi poi con la bocca aperta , espellendo l’aria dai polmoni. – Magari potremmo, - disse indicando il bollito, unico piatto ancora integro. – Potremmo andare alla gastronomia dietro l’angolo?

Lupin la fissò scuotendo la testa bonariamente, facendo un sorriso ma dicendo, con cipiglio molto professionale. – Non si può, porta male, lo sai. La cena inaugurale deve essere preparata dal padrone di casa… padrona, nel tuo caso, ovviamente.

Tonks sbuffò, passandosi una mano, ancora sporca di farina, sulla fronte, finendo di dipingersi il volto di un bianco latte, che faceva notevolmente contrasto con i capelli fluorescenti. Remus allungò la mano verso di lei, Tonks seguì il movimento dell’arto, concentrandosi sulla sgradevole sensazione di freddo umido che le arrivava dal piede, ancora impiastricciato di impasto al cioccolato, per evitare di avvinghiarsi a quel braccio, stritolando il suo proprietario in un abbraccio che avrebbe potuto risultargli fatale. Lupin le pulì le tracce di farina dal volto, facendo emergere dal bianco una guancia paonazza, senza dare segni particolari del coinvolgimento emotivo che stava invece scuotendo la sua compagna, se non forse un lieve tremito, che non venne comunque colto, mischiandosi ai violenti tremiti di Tonks.

- Sì… allora, dicevamo… cosa fare…cosa stavo facendo? A sì, certo, la cena.

- Direi che potresti decidere di non fare i tortelli, credo che il bollito non sopporterebbe un'altra ora in pentola, - disse Lupin fissando, discretamente incuriosito, la carne pallida che giaceva abbandonata in un piatto da portata.

- Sarebbe una saggia decisione da parte mia, decisamente.

Lupin annuì vigorosamente mentre un leggero sorriso gli increspava le labbra sottili. 

- Bene. Allora, ho deciso che per primo farò… ehm… farò…

- Una pasta? – chiese l’uomo meditabondo.

- Certamente, era proprio quello che volevo fare. Sei sicuro di non essere un legilmens Remus?

- No, non mi risulta di avere tale qualità, si vede che siamo in sintonia noi due.

Tonks annuì, facendo ondeggiare i capelli, impegnati in quel momento in una notevole imitazione di un arcobaleno.

- Per secondo, - ricominciò a dire, ma fu interrotta da Lupin.

- Il bollito!

- Ehi, è vero, siamo in sintonia. Bollito, con la salsa, quella l’ho comprata ma credo che vada bene lo stesso… no? – mormorò incerta, angosciata dalla possibilità di una risposta negativa che avrebbe comportato un’altra missione impossibile, quella ovviamente di preparare una salsa in meno di un’ora e venti.

- Mah, - cominciò lui, perplesso, ponderando seriamente la questione salsa. – Sì, credo che vada bene ugualmente - disse alla fine, dopo una rapida, ma eloquente, occhiata alla cucina.

- Perfetto, - esultò felice la ragazza, facendo anche un saltello di gioia, scivolando poi sul piede impastato e rischiando di cadere. Lupin la prese al volo, di nuovo,  poi, puntandole la bacchetta alla gamba, fece scomparire le tracce del dolce dalla sua estremità inferiore e anche dalla teglia, che giaceva completamente ignorata a terra.

- Oh, ti ringrazio.

- Figurati, dovere.

- Infine, credo che il dolce non sia più molto disponibile, dopo il tuo intervento.

- Credevi di poterlo ancora usare in qualche modo? – chiese Lupin, obiettivamente interessato alla risposta e leggermente contrito dall’eventuale danno provocato.

Tonks sorrise mentre Lupin le faceva l’occhiolino. – No, non ti preoccupare.

- Facciamo così: tu metti a bollire una pentola d’acqua per la pasta, io invece faccio un budino al cioccolato.

- D’accordo, - annuì la ragazza andando a prendere una pentola e riempiendola d’acqua.

Lupin la osservò con un sopracciglio alzato, domandandosi segretamente se non stesse chiedendo troppo alla ragazza, ma poi scosse la testa sorridendo fiducioso.

Ed ebbe ragione a riporre la sua fiducia in Tonks, sotto la sua calma e tranquilla supervisione riuscirono, nel tempo record di cinquanta minuti, a preparare la pasta, il bollito ( con tanto di salsa ) e il budino.

Apparecchiarono infine la tavola, rompendo solo un piatto, che scivolò dalle mani di Tonks mentre lo stava prendendo dalla credenza, prontamente riparato da un gesto naturale della bacchetta di Remus, che sembrava fatta apposta per eseguire perfetti incantesimi di riparazione.

- Bene, abbiamo finito, in largo anticipo, - fece notare Remus, guardando di sfuggita l’orologio della cucina, ormai pulito.

- Non avevo dubbi che ci sarei… ehm, volevo dire, ci saremmo riusciti. Posso anche andarmi a fare una doccia e cambiarmi. Aspettami pure di là in salotto, sarai stufo di stare in cucina immagino.

Remus, che si stava togliendo il grembiule blu e srotolando le maniche della camice, si fermò con le mani sulla la cravatta, bloccandosi nell’atto di riallacciarla. Le lanciò uno sguardo intenso, e piuttosto preoccupato. – Sei sicura di non aver bisogno di una mano anche per quella? – le chiese infine, ridendo quando la vide diventare paonazza.

- Oh, - mormorò lei, sentendo ogni centimetro di sé stessa, anche parti che non sapeva potessero essere percepite, avvampare.

- Tonks…

- Ehm…

- Tonks…

- Cioè…

- Tonks!

- Sì? - rispose alla fine, con il tono di voce tipico di chi ha appena succhiato un intero limone.

- Scherzavo.

 

 

  
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