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Autore: Himitsu87    09/10/2011    1 recensioni
La verità mi aveva colpito come uno schiaffo e io ero rimasto immobile, contratto, mentre il suo abbraccio mi rivelava ciò che lui non avrebbe mai osato dirmi…
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la conclusione della storia... spero comunque leggiate anche l'epilogo che pubblicherò presto. 



6 - Autunno

 

Fu poco tempo dopo il ritorno dal nostro viaggio. Il caldo torrido dell’estate se ne stava andando, eppure lui stava ancora poco bene. A volte dormiva per tutto il giorno e mangiava pochissimo. Lo vedevo fissare immobile il soffitto, troppo stanco per muoversi o forse solo privo di un motivo.

Lo pregai di andare da un dottore, più volte cercai di trascinarlo con me per farlo visitare, ma lui mi disse che ci era già stato e che era solo un po’ di influenza, qualcosa di passeggero. Non sapevo cosa pensare. A volte sembrava stare così male da non riuscire a parlare, altre sembrava voler girare tutta la città. Ero felice quando si riprendeva, ma poi inevitabilmente stava di nuovo male.

Vederlo lì disteso era una sofferenza. Mi sdraiavo accanto a lui, cercando di convincerlo ad andare in ospedale. Gli accarezzavo i capelli e lui mi sorrideva, dicendomi che il medico gli aveva detto che presto sarebbe passato tutto. Me lo diceva con quegli occhi sinceri e io non potevo fare altro che sorridergli e baciarlo, sentendo le sue labbra morbide sotto le mie.

Uscivamo la sera, per poco, in genere per prendere una boccata d’aria e per far passeggiare il suo cagnolino. Tutto quel tempo in casa per lui, per il suo carattere, era una tortura incredibile e mi si stringeva il cuore quando tornavo da lavoro e vedevo la stessa espressione afflitta sul suo volto e su quello del suo cucciolo.

Fu un giorno di Settembre che mi chiese qualcosa che mi sconvolse. Voleva che trovassi una nuova famiglia per il suo cane. Non potevo credere che lo volesse dare via, ci era molto affezionato, lo sapevo bene.

«Starà meglio con dei bambini! Sono sicuro! I bambini giocano di più coi cani e li amano di più. Sono sicuro che altri si prenderebbero meglio cura di lui!» mi disse solo.

Di nuovo non riuscivo a capirlo. Tentai di convincerlo ma era deciso più che mai.

Disse che ormai non aveva più bisogno di lui, che ormai non era più solo. Ora aveva me. Non sapevo cosa rispondere e decisi di accontentarlo. Lo diedi ad un collega. Aveva dei figli ed un giardino. Stava proprio pensando di comprare un cucciolo per i suoi piccoli. Rimase incredibilmente contento di come era stato addestrato il cane.

Quando gli diedi la notizia lo vidi sorridere triste. Aveva perso un grande amico e io non sapevo perché. Volevo capire! Volevo scoprire il perché di quei segreti ma non sapevo come. Perché non si confidava con me? Perché?

Quando tornai un giorno a casa, pronto a raccontargli l’ennesima avventura del cagnolino, che mi aveva riferito il mio collega, trovai la casa vuota. Era uscito? Cercai un biglietto che mi avvertisse, ma nulla. Era strano.

Mi guardai intorno. Senza di lui quella casa sembrava così vuota, fredda. Tornò quella sensazione che prima di incontrarlo provavo sempre, tornando a casa. Tornò a non piacermi, a sembrarmi solo un freddo buco in cui rintanarmi la notte. Non una casa, solo un luogo in cui dormire. Mi sentii a disagio, molto a disagio. Era così vuoto.

All’improvviso squillò il telefono, era l’ospedale. Dissero che mi stavano cercando da ore, che dovevo andare subito. Si era sentito male e l’avevano portato via in ambulanza.

Lui che chiamava un'ambulanza? Cercai di immaginarlo. Non voleva mai andare da un medico e ora chiedeva aiuto, doveva stare molto male. Iniziai a preoccuparmi seriamente.

Mi chiesero di portare i suoi “soliti” medicinali, per confrontarli con quelli della sua cartella clinica e vedere se c’erano tutti.

I suoi “soliti” medicinali? Chiusi il telefono come in trance.

Soliti”?

Senza rendermene conto mi ritrovai davanti all’armadio. Vidi la scatola. L’aprii e trovai medicine, tante medicine. Antidolorifici perlopiù ma anche altre che non avevo mai visto.

Prendeva medicine. Era malato.

Corsi in ospedale, un’infermiera prese la scatola e mi condusse alla sua stanza…nel reparto oncologico…tra i malati terminali.

In attesa del medico, mi lasciò con lui. Era lì, disteso, con una flebo per braccio e una maschera che lo aiutava a respirava, il volto segnato da una sofferenza durata troppo a lungo. Sembrava così piccolo, così fragile.

Mi avvicinai e lo vidi aprire gli occhi e guardarmi. Gli occhi erano velati di lacrime.

Il vetro si era rotto, il segreto era stato rivelato. I suoi pensieri filtravano nella mia mente senza più l’ostacolo delle bugie.

Due lacrime scesero ai lati del viso e tentò di allungare una mano verso di me, timoroso.

Gli sorrisi e gliela strinsi, sentendone il calore.

«Sono qui!» dissi solo. Iniziò a piangere, sorridendo, stringendomi debolmente la mano. Piangeva felice che non l’avessi abbandonato, felice di non essere più solo in quella stanza. Io lo sapevo, sentivo i suoi pensieri finalmente. Ero collegato a lui come avevo così spesso voluto, ma quanta sofferenza stavo percependo e quanta ne provavo io stesso.

«Sono qui! Non vado via!» dissi, sedendomi accanto a lui.

Il medico mi disse ciò che lui mi aveva sempre tenuto nascosto. Pensava sapessi già qualcosa e io glielo lasciai credere. Mi disse del tumore e della impossibilità ad operare. Mi disse quanto aveva sofferto, quante cure avevano provato e della sua decisione, alla fine, di lasciare l’ospedale per godersi i suoi ultimi giorni. Mi disse che era incredibile quanto avesse lottato e quanto ancora stesse lottando. Mi disse che sarebbe già dovuto essere morto. Piansi a lungo quella notte. Non davanti a lui ovviamente, ma piansi per la prima volta in vita mia. Piansi il dolore e l’amore per quella persona che aveva lottato così tanto in silenzio per stare insieme a me. Piansi per la mia impotenza e per la mia incapacità a capire.

Grazie alle cure riuscì a respirare presto senza bisogno dell’aiuto di macchine. Sorrideva spesso. Passavo le mie giornate con lui, del resto del mondo non mi importava nulla.

«Mi perdonerai, vero?» mi disse un giorno.

Di cosa? Di essere entrato nella mia vita e di avermi fatto scoprire il mondo? Di avermi amato senza dirmi nulla? Di avermi dato speranza per poi abbandonarmi?

Di quante cose gli ero grato eppure non sapevo se l’avrei mai perdonato se mi avesse lasciato solo in quel mondo che detestavo.

«L’autunno è bellissimo, vero?» mi disse un giorno, guardando l’albero fuori dalla finestra. Le foglie erano ormai completamente rosse e pronte a cadere.

«Si, ma malinconico!» risposi, guardando il suo bel viso. Come quel giorno… di quanto tempo prima? Un anno? Un giorno? Un secolo?

«È bellissimo proprio perché è malinconico! È tutto così cadente e tutto è tinto dal rosso del sangue della terra. Fra troppo poco sarà tutto così freddo. Eppure nonostante tutto, è così bello che non sembra che stia per finire. Non sembra che la terra stia per morire!» disse piano, come quella volta. Ma adesso capivo.

Lo strinsi forte a me. Lo feci per non piangere, per tenerlo legato a me, per fargli sentire il mio amore e la mia presenza.

Quella notte restai nel suo letto. Lo strinsi a me, cercando di trasmettergli il mio calore, la mia forza vitale, per infondergli quella vita che era troppo presente in me e così poco in lui. Sebbene più pallido, più magro e debole, non mi sembrò mai bello come in quella notte, sudato, con gli occhi chiusi, mentre tratteneva il fiato sotto di me. Cercai il suo calore, cercai di imprimere la mia vita in lui perché rimanessimo legati sempre.

Pochi giorni dopo peggiorò. Riusciva a malapena a respirare. Era accanto a lui giorno e notte, cercando di vivere ogni suo respiro.

Dopo un paio di giorni, mi sentii stringere la mano. Mi svegliai e mi ritrovai appoggiato col busto al suo letto. Mi dovevo essere addormentato mentre gli stavo vicino.

Lui mi guardava, sorridendo. Lo fissai intensamente.

Mi fece cenno di levargli la maschera che gli dava ossigeno. Lo baciai intensamente.

«Avrei voluto vivere di più!» disse piano.

Lo baciai e lo strinsi a me. Non volevo lasciarlo andare, volevo restasse ancora con me, per me.

Lo strinsi forte.

Anche quando sentii il suo corpo rilassarsi.

Anche quando arrivarono i medici.

   
 
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