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Autore: Asu_chan    09/10/2011    1 recensioni
Un ragazzino silenzioso e un uomo che passa le suo notti a fissare un soffitto. Una notte stellata e un vento salato, e onde d'oceano che si riversano sulla spiaggia per poi ritirarsi e scomparire, come i pensieri.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Aveva sentito lo scricchiolio leggero del legno di una sedia in salotto. Naturalmente non stava dormendo, si può dire piuttosto che la sua mente si era rifugiata in se stessa per svagarsi con i propri pensieri fino al sorgere del sole, e quel lieve sussurro l’aveva richiamata. Per un brevissimo istante fu indeciso: restare steso sul materasso fissando il soffitto e lasciare che la sua mente tornasse indietro, come un’onda risucchiata nel mare, o alzarsi e andare a controllare. Era raro che Kyran si alzasse in piena notte. Non che dormisse bene, nemmeno lui, e spesso quando Addik era entrato nella sua camera a verificare il suo sonno l’aveva visto chiudere gli occhi all’improvviso, per non farsi scoprire. Era un bravissimo ragazzo, non si era mai lamentato delle notti insonni, anche se l’uomo sapeva che ne passava molte a fissare il soffitto come lui –non tante quanto le sue, certo.
  Socchiuse la porta bianca della propria camera di una fessura appena, per sbirciare nel salotto senza che Kyran, nel caso fosse davvero lì, se ne accorgesse. E il ragazzo era effettivamente nella stanza. Addik fissò la sua figura scura contro la luce pallida, pensando che sembrava solo un bambino, poco più grande di com’era quando l’avevano trovato, di nove o dieci anni al massimo. La porta a vetri del terrazzo era spalancata e lasciava entrare una brezza viva e frizzante, salata. Le tende bianche sventolavano ai lati del ragazzo, scurite dalla notte e dal cielo nero oltre la stoffa semitrasparente, e imperlate dell’argento dei raggi lunari. Kyran aveva le braccia leggermente sollevate dai fianchi, le dita spalancate e i palmi rivolti alla spiaggia, per accarezzare il vento. Il bordo luminoso della sua maglietta bianca si muoveva appena attorno alle spalle e al torace, così come i pantaloncini blu gli sfioravano le gambe. Aveva i piedi nudi e i capelli sciolti creavano un’aureola sottile e soffusa.
  Istintivamente, vederlo in un atteggiamento diverso dal solito star seduto immobile o guardarlo con tacite domande negli occhi lo rallegrò in modo impercettibile e tentò di creare un sorriso sulle sue labbra. Ma svanì subito, prima di potersi formare. Era da molto tempo che non gli vedeva fare qualcosa di normale, di umano, da ragazzino, e si sentì in colpa. Accostò di nuovo la porta per tornare a fissare il soffitto. Un passo silenzioso, invisibile, che cambiava di tonalità dalla soffice moquette rossa alle mattonelle grigio ghiaccio del terrazzo. Addik tornò a guardare nell’altra stanza, mentre Kyran si muoveva lento verso l’esterno, la testa china forse per controllare dove stesse andando –o che stesse davvero camminando. Si chiese se non dovesse sentirsi preoccupato, dopo tanto tempo, che Kyran si facesse male, che sapesse cosa stava combinando. Lo fissò in silenzio voltarsi verso le scale, quelle lisce e umide scale che portavano alla spiaggia, quelle dove poteva scivolare e uccidersi. Non si mosse, ascoltando il quasi impercettibile suono dei suoi piedi contro la pietra, anche dopo che fu sparito dalla sua vista e finché non lo vide riemergere nel riquadro della porta, giù, sulla spiaggia. Si era fermato per contemplare la sabbia asciutta che scavava con le dita dei piedi, come alla ricerca di quella fresca e umida sotto quella rovente nelle giornate più torride dell’estate.
  Nell’attimo in cui il vento si attenuava, e le tende si riabbassavano a coprire la porta, Kyran iniziò a correre, con energia, alzando deciso le gambe e pestando i piedi nella sabbia con forza. Addik scattò fino alla porta, afferrando lo stipite con le mani e bloccandovi contro le tende, per un attimo terrorizzato ed euforico. Kyran si bloccò al limitare delle onde dell’oceano, e fece un salto all’indietro quando uno spruzzo d’acqua gli bagnò le dita. Fissava la schiuma nera sulla sabbia bagnata come un animale mitologico, un evento inconcepibile nel mondo razionale. Avanzò di un passo, rabbrividendo quando l’onda gli fece affondare il piede per ritirarsi fulminea. Poi prese coraggio e ricominciò a correre, sollevando alti schizzi d’acqua salata e scura, luccicante, finché non gli arrivò alla vita e il solo movimento delle onde bastava per minacciare il suo equilibrio. Rimase per qualche tempo immobile, assaporando quella sensazione di essere cullato da una forza potente, infine si lasciò andare all’indietro e, trascinato dalla corrente, galleggiò verso riva. Quando i talloni sfiorarono il fondo sabbioso si alzò di scatto, ritrovandosi quasi sulla spiaggia, con l’oceano che gli copriva a malapena le gambe, nella sua posizione inginocchiata. Si alzò di nuovo, un po’ più tremante e un po’ meno deciso, e tornò al punto precedente, e poi qualche passo avanti ancora. Le tende furono liberate dalle mani scarne che le trattenevano e si sollevarono nel vento mentre Addik afferrava il ragazzo per le spalle, prima che si allontanasse troppo, prima che finisse dove la corrente l’avrebbe trascinato via. O trascinato giù.
  Kyran lo guardò con autentico terrore negli occhi, scuri e pieni di stelle riflesse, e di colpevolezza. Sapeva che cosa voleva comunicare, e nascondere, quello sguardo. Ma Addik non l’avrebbe rimproverato, non l’avrebbe riportato a riva, non gli avrebbe tanto meno imposto di non farlo mai più. Gli si avvicinò e gli strinse le braccia attorno alle spalle, trafitto dolorosamente dalla sensazione che gli trasmetteva il respiro spaventato del ragazzo contro il petto. Kyran ricambiò la stretta, in modo disperato, tremando più di quanto il vento freddo e i vestiti e i capelli bagnati appiccicati alla pelle potessero giustificare. Quando lo lasciò, Kyran tenne lo sguardo basso e si girò verso la riva, per dimostrare la sua diligente obbedienza –o il suo ben più comune distacco solitario.
  Addik, invece, gli afferrò una mano, stringendola con delicatezza, con appena un accenno della sua forza, per rassicurarlo senza fargli male. Poteva sapere che avrebbe dato qualsiasi cosa, qualsiasi cosa, per vederlo comportarsi in quel modo ogni giorno? In quello o in qualunque altro modo. Probabilmente no, non lo sapeva, era ancora troppo giovane –e troppo separato- per rendersene conto, per vederlo nei suoi occhi ogni volta in cui abbassava la guardia. Gli strinse la mano e fece un passo indietro, verso l’oceano aperto, immenso, infinito e terrificante. Kyran lo guardò senza capire, spostando lo sguardo da lui alla distesa magnifica, nero su nero con un solo velo d’argento a dividerla.
  «Se sei con me, puoi anche allontanarti un po’» lo rassicurò, indietreggiando di un altro passo.
  Kyran gli afferrò anche l’altra mano, sollevando il mento quando l’acqua gli arrivò alle spalle, avvertendo –solo ora- il terrore di affogare, di respirare liquido salato invece di aria umida. La stretta delle dita di Addik gli trasmetteva tranquillità, sicurezza. Prese un respiro profondo e cercò il suo equilibrio nell’oceano, galleggiando davanti all’uomo che ancora toccava il fondale.
  «Non devi preoccuparti. Non ti lascerò andare».
   
 
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