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Autore: L_Fy    10/10/2011    36 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*** NOTE DELL'AUTRICE: Scusate se non rispondo ad personam alle recensioni, ma questa settimana prioprio non ho il tempo materiale... le ho lette e apprezzate tutte, giuro!! Ma non me la sentirei di rispondere a uuna si e a una no, quindi mando un sincero ringraziamento e un bacio cumulativo a tutti, sperando di poter fare meglio la prossima volta... Grazie, grazie davvero!! ***




Tebaldo Santandrea della Torre era di pessimo umore: questo singolare evento era evidenziato dal fatto che il suo solito sorrisetto sardonico era stato sostituito da un’espressione arcigna e cupa. Qualcuno votato al suicidio avrebbe potuto fargli presente che così somigliava in maniera pazzesca a sua bisnonna Veronica, ma nessuno osava avvicinarsi a Re Tebaldo quando era di cattivo umore. E quel giorno lo era, palesemente.
Tebaldo quindi passeggiava per il corridoio in perfetta e funerea solitudine quando una figuretta esile sbucò dall’angolo e, vedendolo da lontano, esclamò con voce concitata:
“Tebaldo!”
Qualche incauto passante trattenne il respiro a quella chiara violazione delle norme di sopravvivenza nr. 10/A, ovvero non respirare nemmeno nella direzione di Re Tebaldo quando questi è arrabbiato; altri si defilarono semplicemente, troppo sensibili alla vista del sangue reale o metaforico che stava per essere versato; altri ancora si prepararono allo spettacolo pirotecnico, rimpiangendo la mancanza di popcorn e bibita d’intrattenimento.
Tebaldo al suono della voce si girò lentamente in quella direzione, la faccia di pietra e gli occhi verdi duri e accesi come diamanti. La figuretta esile si aggiustò i capelli e in barba alla corsa affannata di poco prima, si avvicinò a Tebaldo con andatura elegante.
“Ciao Tebaldo” sospirò Maria Beatrice con la voce gutturale che lei pensava essere sexy e che risultava invece maschile e vagamente inquietante “Ti posso parlare un secondo?”
Allungò persino una mano per posarla con confidenza sul braccio del giovane.
Gli occhi glaciali di Tebaldo si posarono su quella mano e Maria Beatrice la tolse di colpo, come se si sentisse bruciare.
“No.” rispose poi Tebaldo con voce pericolosamente fredda.
“Ti prego, è importante.”
Insistere non era mai una decisione saggia, meno che meno in quel momento: infatti scrollando le spalle, Tebaldo lanciò a Maria Beatrice un tale sguardo da farla letteralmente rabbrividire.
“Ho da fare.” scandì deciso, ma Maria Beatrice non era intenzionata a demordere: anzi, più Tebaldo le sfuggiva, più le veniva istintivo stringere la corda, nonostante questa fosse legata al proprio collo.
“Devo chiederti di ieri sera” lo ignorò quindi parlando rapidamente, incurante di quelli che li ascoltavano più o meno sfacciatamente “Non che abbia davvero bisogno di conferme… cioè, già il fatto che tu sia venuto a cercarmi a casa è più che sufficiente a smentire quella gallina… ma in fondo sei rimasto appena un’ora, insomma te ne sei andato subito dopo… cioè, era assurdamente tardi e lo so che hai voluto fare il gentiluomo e non trattenerti troppo per non disturbare i miei… ma vedi, quella infame vipera… oh, inutile parlare come una lady! Quella grandissima zoccola di Maria Lucrezia vuole farmi credere che sia andato anche da lei ieri sera. Capisci? Quella stronzetta invidiosa! Come se pensassi che tu ti possa abbassare a stare con una insulsa come lei, cioè…”
Ridacchiando istericamente, Maria Beatrice lanciò un’occhiata ansiosa a Tebaldo aspettando la sua smentita, ma lui continuava ad avere gli occhi duri come diamanti e la bocca serrata senza nemmeno una parvenza di sorriso. Quella che venne dopo, invece, fu una dichiarazione secca e arrogante, definitiva come una sentenza di morte.
“Mi piacerebbe indagare su quale ovarico e misterioso impulso ti abbia spinta a questa umiliante sparata, ignorando la mia palese repulsione per la tua presenza: ma vedi, non ho tempo e meno che meno voglia di ricordare perché ieri sera sia stato così devastato dalla noia da venire a cercare te e la tua degna compagna. Tenendo poi conto del fatto che non mi siete state utili, prometto che la prossima volta lascerò che la noia mi uccida piuttosto che scatenare di nuovo il vostro oppressivo interesse.”
Maria Beatrice, evidentemente disorientata, non aveva capito una parola di quanto Tebaldo aveva detto, ma il tono di voce la fece nebulosamente insospettire.
“Stai dicendo… stai dicendo che è vero? Stai sul serio affermando che ieri sera sei stato con me… e poi sei andato a anche con quella gallina?!?!”
Al pubblico che seguiva la diatriba quel succulento particolare piacque parecchio e qualcuno accennò sospiri eccitati.
“A dire il vero l’ordine cronologico non lo ricordo bene” sbuffò Tebaldo per niente scalfito dall’isteria generale “Siete così simili che non mi ricordo chi è l’una e chi è l’altra.”
Maria Beatrice recepì abbastanza chiaramente l’ultimo insulto.
“Sei un porco!” strillò quindi saggiamente.
“Lo ero ben prima di ieri sera, e tu ne eri perfettamente conscia” ribatté Tebaldo tranquillo “Ora che ti sei sfogata possiamo concludere questa tediosa conversazione? Avrei da fare.”
Maria Beatrice non aveva nessuna intenzione di concludere: prese fiato e aprì la bocca per protestare quando accadde qualcosa che le strozzò le parole in gola. La faccia di Tebaldo si animò di interesse e perse un po’ del suo smalto perfido quando una anonima e insulsa ragazzetta dai capelli color topo e il resto circa lì sbucò dall’angolo del corridoio, arrivando come lei in precedenza trafelata e alla chiara ricerca di Tebaldo.
“Tebaldo!” sfiatò infatti la ragazza ignorando Maria Beatrice che rimase interdetta da quello scandaloso e incivile comportamento “Ti ho trovato finalmente!”
“Ciao agnellino” rispose questi prontamente “Qual buon vento ti porta?”
Maria Beatrice si girò a guardarlo a bocca aperta, letteralmente senza parole: che Veronica, causa aneurisma o qualsiasi cosa le stesse succedendo, prestasse orecchio alla voce del volgo era un conto, ma che lo facesse anche il freddo, supersnob, spocchioso Tebaldo le risultava assolutamente inconcepibile. Lo stesso dovevano pensare gli astanti che dopo la smerdata pubblica a Maria Beatrice e l’apparente dialogo con una persona del basso proletariato, da Tebaldo si aspettavano di tutto, da un improvviso numero di tip tap allo sterminio tramite bazooka opportunamente estratto da un cappello a cilindro.
“Ho bisogno di parlarti” disse la villica continuando sfacciatamente ad ignorare Maria Beatrice “Possiamo… in privato?”
“Ma certamente” chiocciò Tebaldo vagamente divertito “Se la cosa non spaventa te: io ho disponibili due orecchie grandi… per ascoltati meglio, bambina mia.”
“Non mettermi ansia” sbottò la ragazza guadagnandosi la stima del pubblico “E’ importante. Vieni?”
Tebaldo la seguì senza aggiungere parola: Maria Beatrice rimase impalata nel mezzo del corridoio guardandoli andare via, la villica e l’imperatore. Dai meandri scandalizzati del suo subconscio cominciarono ad arrivare le domande importanti, tipo: chi diavolo era quella tizia? Quando aveva conosciuto Tebaldo? Di che cosa doveva parlare con lui? Ma soprattutto, la domanda che le fece accantonare il momentaneo livore nei confronti di Maria Lucrezia per correre a cercare da lei la risposta: quel color topo dei capelli era naturale o era l’ultima tendenza per la nuova stagione?!?
*          *          *
Quando Veronica arrivò al canile aveva il cuore talmente alto in gola che quasi faceva fatica a respirare. Si toccò i capelli e controllò per la millesima volta se il look andava bene. Si era arrovellata per ore nel dilemma su cosa indossare per un incontro con Bianchi al canile: ovviamente non poteva affidarsi a una delle sue collaudate camicie, decisamente fuori luogo in mezzo a quel miasma infernale. La location purtroppo inficiava qualsiasi velleità sexy, ma Veronica era riuscita comunque ad apparire moderatamente raffinata ed elegante con un paio di calzoni scozzesi di Vivianne Westwood abbinati a preziosi anfibi in daino verde scamosciato e a una maglietta altrettanto verde di cachemir che faceva risaltare i suoi occhi. Aveva optato per una morbida e alta coda di cavallo non tanto perché le valorizzava gli zigomi, quanto perché la schifava l’idea che i capelli si impregnassero di quel vomitevole odore di sterco canino. Comunque, si sentiva a posto, disinvolta come Grimilde ma semplice come Gladi.
Apparentemente quindi era serena e tranquilla: internamente, in realtà, si sentiva come se stesse ballando bendata sull’orlo di un precipizio. Socialmente stava decisamente tentando il suicidio: le tre Marie erano ancora troppo sconvolte dall’accaduto per raccapezzarsi, ma presto avrebbero realizzato che Veronica Scarlini della Torre aveva accettato un appuntamento al canile con un rigurgito umano come Paolo Bianchi. Compresa la portata di questo evento alieno, l’avrebbero attaccata, sbranata e risputata a pezzettini grandi come francobolli per poi relegarla con sprezzo fuori dal cerchio dorato che le divideva dalla plebaglia.
Veronica ne era ben conscia e se dentro di lei Grimilde tremava, alla Gladi che le cresceva in petto non importava poi un gran che. Quando si concedeva di abbassare un po’ la guardia e riusciva a guardare al di là del vecchio ermo colle del proprio orizzonte, Veronica riusciva persino a comprendere che scendere dal trono di Grimilde non era poi tutta questa gran tragedia. Perla prima volta da che c’era dentro, intuiva con stupore che il cerchio che la divideva dal resto del mondo forse non era poi così dorato ed esclusivo,  ma rosso e soffocante, e che vivere con tre sorridenti avvoltoi uncinati alle spalle poteva anche non essere l’unico modo di passare l’adolescenza. Anche se questo la riempiva di meraviglia e di elettrizzante aspettativa, era comunque spaventata a morte; frenata dai dubbi ma con i piedi pronti a ballare. E chissà perché, l’unica persona con cui avrebbe voluto parlare per condividere quella ridda confusa di pensieri, era Tebaldo. Dopo aver inutilmente lottato contro quella lampante consapevolezza, Veronica aveva concluso che il perché di quel suo assurdo istinto era dovuto al fatto che Tebaldo era l’unico a poter comprendere e spiegare in termini a lei comprensibili il motivo del suo nuovo orientamento. Lei e Tebaldo parlavano la stessa lingua, usavano la stessa ironia, analizzavano gli eventi dagli spessi punti di vista: in mezzo a quello sbatacchiamento emotivo che la sconvolgeva, le mancava il punto fermo della voce altezzosa del cugino che le spiegava la natura delle cose. Dopo il loro ultimo furioso litigio era impensabile che lei si abbassasse a chiamarlo, naturalmente, ma ciò non toglieva che Tebaldo era l’unica persona che avrebbe voluto vicina, in quel momento. Probabilmente avrebbe demolito i suoi pantaloni scozzesi e l’avrebbe fatta sentire una stupida con qualche battuta salace: ma sarebbe stato lì, e lei non si sarebbe sentita così fragile e spaventata.
“Veronica!”
Bianchi sbucò da dietro una gabbia e le apparve davanti con la sua solita aria goffa e impacciata: indossava un camice dal dubbio colore grigiastro che gli stava come a uno spaventapasseri e aveva le guance rosa ciclamino che la dicevano lunga su quanto fosse rilassato in quel momento, in piedi davanti alla temutissima Grimilde senza nemmeno la scusa delle lezioni di fisica.
“Ciao Paolo.” riuscì a dire Veronica nonostante l’ostruzione esofagea dovuta al panico.
“Ecco, sei venuta davvero” balbettò lui e sembrava ancora più impanicato di lei “Bene bene, ecco, vero, bene bene… Senti, ah!, so che ti sembra strano come posto per parlare, ma ecco… è che mi devi dare una mano, è successo un casino e hanno bisogno… puoi degnarti di fare la volontaria per cinque minuti, vero? Solo… solo cinque. Anzi, due.”
“Posso degnarmi.” rispose Veronica, intenerita dalla sua evidente confusione.
“Oh, bene, sono contento” borbottò e invece di contento sembrava… deluso? Continuava però a non guardarla in faccia quindi Veronica non poteva leggergli i laghetti azzurri e capire cosa stesse pensando “Allora vieni, anzi no, aspetta, prima il camice.”
“Il camice… sul cachemir?”
Ma Bianchi non aveva colto il tono oltraggiato della sua voce e con sacrosanto zelo le porse un camice se possibile ancora più grigiastro e più dubbio di quanto lo fosse il suo.
“Devi metterlo” borbottò allungandole il camice sempre con gli occhi conficcati a terra “Non mi perdonerei mai se ti sporcassi uno dei tuoi indumenti da un milione di dollari. E dovrai mettere anche la cuffia.”
Subito”, avrebbe risposto Gladi.
Nemmeno decapitata!” avrebbe risposto Grimilde.
“E’ proprio necessaria?” sfiatò Veronica incerta.
“Si, si tratta solo di qualche minuto, ti giuro… Coraggio, non ci guarda nessuno. Di che hai paura?”
Di non piacerti.” avrebbe risposto Gladi.
Di niente!” avrebbe risposto Grimilde.
“Di sembrare ridicola” ammise invece Veronica mestamente “Non sono abituata a… queste cose.”
“Già, lo so” farfugliò Bianchi azzardando un fuggevole sguardo “Continuo a chiedermi perché tu lo stia facendo, adesso.”
“Non è evidente?” rispose Veronica col cuore che le batteva altissimo in gola.
Bianchi le fissò le iridi concentrato per un pezzo, come se si stesse davvero sforzando di leggerci dentro la risposta.
“No, non è affatto evidente” rispose alla fine sfiancato distogliendo lo sguardo “Tieni la cuffia. Andiamo.”
“Dove?”
Ma Bianchi era partito a passo di marcia e Veronica gli corse dietro ficcandosi alla bell’è meglio la cuffia in testa, una patetica sacca verde a fiorellini rosa stile anteguerra sbiadita dai lavaggi.
“Allora, dove…?”
“Metti anche i guanti” le suggerì Bianchi porgendole un paio di guantoni di gomma rosa culetto di neonato “E’ qui, ci vuole solo un secondo.”
Si era fermato davanti a una gabbia apparentemente vuota e dolorosamente piena di guano canino, con due grosse cucce di legno a un lato.
“Qui?” chiese incerta Veronica alzando lo sguardo su Paolo: aveva una strana sensazione addosso e stava concentrando tutte le proprie energie nel tentativo di non ascoltare la voce di Grimilde che borbottava incessantemente dai meandri della sua psiche.
“Qui” confermò Bianchi sempre con lo sguardo basso “Prego, dopo di te.”
Veronica entrò a passo incerto, conscia che gli anfibi di daino scamosciato non sarebbero usciti vivi da quell’esperienza. Poi, quando fu dentro, capì, prima ancora di udire il cigolio della porta metallica della gabbia che si chiudeva alle sue spalle.
*          *          *
Non può essere.” bisbigliò Gladi esterrefatta.
Lo sapevo!” ruggì Grimilde, infuriata.
Veronica non pensò niente: rimase rigida e immobile mentre il chiavistello veniva chiuso dalle mani maldestre di Bianchi e due enormi cani evidentemente imparentati con la famiglia dei brachiosauri uscivano incuriositi dalle gabbie e iniziavano a girarle intorno, annusandole i preziosi anfibi.
“Non sono pericolosi” disse la voce di Bianchi alle sue spalle “Sono solo molto invadenti, ma non ti faranno mai del male. Ragazzi! Potete uscire.”
Due teste sbucarono da dietro una gabbia e l’intuito di Veronica arrivò a identificarli prima ancora di vederli a figura intera: Francesco Colasanti e Pasquale Caputo, i due secchioni invisibili che con Bianchi facevano parte della congrega degli scherzi di natura. Dopo, non fu difficile intuire anche il perché della loro presenza: vendetta.   
Veronica, sempre immobile, si concesse di chiudere gli occhi per un secondo mentre il mondo le crollava intorno. Doveva aspettarselo, in fondo: il comportamento sconclusionato di Bianchi era stato fin troppo evocativo e se solo avesse lasciato parlare Grimilde per un secondo, avrebbe capito tutto prima di finire impantanata in quella gabbia a subire le ovvie conseguenze. Doveva proprio aspettarselo, dannazione.
Ciononostante, quasi lo sentì realmente il rumore come di un ramoscello secco, mentre il suo cuore, quell’organo debole e neonato che aveva preso a batterle nel petto da così poco tempo, si spezzava.
“Bene bene.” chiocciò la voce di Francesco mentre si avvicinava.
“Grimilde dietro le sbarre” sospirò Pasquale con voce tremula “Pensavo che sarebbe stato un sogno impossibile poter vedere questo spettacolo, e invece… Paolo, tanto di cappello, giuro che d’ora in avanti sarai il mio Maestro Jedi.”
Paolo, occhi bassi e faccia determinata, non guardò nessuno.
“Era una cosa che andava fatta” disse con tenace autoconvinzione “Veronica, guardami: capisci perché sei qui, vero?”
“Perché sei una strega cattiva” rispose Francesco, dal momento che Veronica sembrava ignorare completamente la loro presenza “E tutte le streghe prima o poi finiscono male. Ci vuole solo un po’ di pazienza e bisogna saper cogliere al balzo le occasioni. Bianchi, sei stato geniale! Pasquale, tira fuori il cellulare e spara un video su tutti i social network su cui riesci a collegarti.”
Veronica continuò a rimanere immobile mentre Francesco e Pasquale armeggiavano concitati con i loro rispettivi aggeggi elettronici. Ancora non c’era dolore: c’era una sorta di anestesia post trauma dove tutto aveva contorni irreali, ovattati.
Stava accadendo qualcosa di terribile, anche se ancora non quantificabile: ma d’istinto sapeva che se avesse giocato bene le sue carte e fosse riuscita a sopprimere Gladi prima della fine dell’anestesia, magari sarebbe anche riuscita a non soffrire. Chissà. Quello non era comunque il punto principale all’ordine del giorno: la cosa più urgente era affrontare il fatto che Bianchi, il piccolo, plebeo, pidocchioso Bambi delle favole con l’aiuto di quei troll malriusciti dei suoi amici stava buttando Grimilde giù dal piedistallo per trascinarla nel fango. E se ormai non poteva più impedire la caduta, per lo meno doveva fare in modo di cadere in piedi, a qualsiasi costo!  
Lanciò quindi a Bianchi e compari uno sguardo da sopra la spalla e lo sorprese rosso in viso che teneva i pugni chiusi ficcati in tasca.
“Oh” disse con voce neutra “Le cose stanno così.”
“Certo che stanno così” ribatté Bianchi mentre Pasquale e Francesco smettevano un attimo di armeggiare per ascoltarli “Perché, come dovevano stare le cose? Con Grimilde che demolisce il povero nerd con l’ennesimo tiro mancino?”
“Tiro mancino?” chiese educatamente Veronica.
“Si, tiro mancino” continuò Bianchi, febbrile e esagitato “Cosa credi, che non l’abbia capito che Gladi non esiste…?”
“Gladi?” sussurrò Francesco a Pasquale, ricevendo per risposta una dubbiosa scrollata di spalle.
“Oh, certo, ci stavo quasi per cadere con i piedi e le scarpe… L’hai recitata proprio bene quella parte! Ma anche un deficiente come me alla fine arriva a capire l’ovvio: a un certo punto le cose cambiano anche nella vita reale, Grimilde carissima.”
“Spiegami cos’è che avresti capito.”
“Il vostro sporchissimo gioco!” strillò Bianchi esternando tutta la propria frustrazione “Tu e il tuo degno cugino... ma chi credete di essere? Quanto pensate di poter giocare con i sentimenti, anzi, con la vita stessa delle persone? Io non lo so cosa vi spinge a tramare in questa maniera, né che razza di divertimento possa essere quello di far credere allo sfigato di turno che una come te provi interesse per lui… arrivare a inventarsi una segretaria per demolirmi meglio, per arrivare a ferire più in profondità… come puoi pensare che io me la beva, dopo tutti questi anni di grimilditudine da parte tua?”
“Già” rispose Veronica tranquilla mentre i due cani discendenti di brachiosauri continuavano a girarle intorno, sbavandole sui pantaloni scozzesi e sollevando nuvole di polvere di guano da terra “Come potevo pensare che tu mi credessi sincera?”
“Sincera! Ti sei inventata di sana pianta una persona che non esiste… hai speso dei soldi, hai persino mangiato le frittelle di mia nonna! Se ci penso, mi viene la nausea. Sì, Grimilde, l’aggettivo giusto per te è proprio questo: nauseante.”
Franscesco e Pasquale stavano a testa china, inconsciamente imbarazzati. Veronica non commentò: era molto pallida mentre uno dei due brachiosauri, presa confidenza con la nuova arrivata, iniziava a saltellare per attirare la sua attenzione, insozzandola di cacca e facendola vacillare pericolosamente. Quando anche il secondo mastodonte le abbaiò contro agitando la poderosa coda e saltandole praticamente sulla spalla con le zampe anteriori, Veronica capì che doveva capitolare.
“Molto bene” disse quindi con voce arrochita “Avanti allora, fate quello che dovete fare e tiratemi fuori di qui: devo ovviamente andare dal parrucchiere, dopo questa pagliacciata.”
Era così completamente Grimilde in quel momento che Bianchi e soci non si fecero scrupolo a impugnare i loro cellulari e a immortalare la scena impietosamente. Veronica attese pazientemente, il mento alzato e lo sguardo fiero nonostante la cuffia, i guantoni, il camice, i cani e la cacca che volava dappertutto.
“Fatto” approvò Franscesco dopo un tempo sufficientemente lungo che a Veronica sembrò eterno “Già pubblicato, anche. Comincio già a vedere dei contatti!”
“Che roba!” si esaltò Pasquale “Sono proprio tutti in rete, in questo momento!”
“Se posso consigliarvi” intervenne Veronica pacata “L’impatto sarebbe sicuramente più incisivo se metteste anche una gigantografia a scuola. Però dovreste intaccare il vostro gruzzolo da pezzenti pro università, e forse non ne vale la pena per una banale smerdata pubblica.”
“Potresti finanziarci tu.” ribatté Bianchi aggressivo: gli rodeva da morire che Grimilde nonostante tutto sembrasse sempre una reginetta snob e rimanesse ancorata a quel maledetto piedistallo con le unghie e coi denti… non rientrava nell’ordine naturale delle cose. Anche il fatto di non provare nessun senso di trionfo o di gioia ma che anzi di sentirsi una merda completa per quello che stava facendo non rientrava nell’accurato piano che aveva progettato per l’umiliazione pubblica di Grimilde.
“Effettivamente i soldi non mi mancano” meditò Veronica, quasi tra sé e sé “Ma per esperienza so che non possono comprare il rispetto. Cosa che invece tu, a differenza di quei molluschi dei tuoi colleghi, avevi in abbondanza e assolutamente gratis. Ovviamente, con questa tua infantile ripicca te lo sei giocato tutto… posto che ti interessasse mantenerlo.”
“Mi interessava avere il rispetto di Gladi” ringhiò Bianchi con insolita forza “Lei era… lei mi piaceva. Era onesta, genuina, semplice, simpatica. Per lei ho persino lasciato la mia ragazza. E poi… poi niente, in realtà Gladi non esiste. Che barzelletta! Proprio da morire dal ridere. Spero solo che vi siate fatti abbastanza risate per compensare lo spreco di risorse.”
Con un fischio ordinò ai due brachiosauri di andare a cuccia, poi aprì il cancello con mosse stizzite, allontanandosi di qualche passo e aspettando che Veronica uscisse dalla gabbia: Pasquale e Franscesco fecero due passi indietro, come aspettandosi che Grimilde potesse balzare fuori e sbranarli come una leonessa..
Lei usci; si tolse la cuffia, i guanti, il camice; con una rapida occhiata, si accorse che i pantaloni scozzesi e gli anfibi erano da buttare, ma il maglione di cachemir si era salvato; toccò la coda di cavallo che si era un po’ abbassata, ma sopravviveva ancora indomita.
Sopravviveva. Indomita.
“Sai Bianchi” disse con voce calma e ispirata ignorando volutamente i due pavidi compagni “In fondo sono contenta: credevo di essere stronza perché ho tutti questi soldi e sono una privilegiata, ma tu mi hai dimostrato che si può essere totalmente stronzi e meschini anche senza avere un soldo in tasca. Te ne sono davvero grata.”
“Io non sono stronzo” reagì Bianchi arrossendo “Sei tu a esserlo per due. Questa non è una vendetta, è che a forza di spargerne in giro, finalmente di sei sporcata anche tu con la tua stessa merda.”
Veronica non replicò, limitandosi a fissarlo negli occhi: scavando nell’azzurro terso, si accorse che oltre la rabbia e la confusione, Bianchi in fondo stava soffrendo. Fu quello a far iniziare il processo di disgelo: sentì le punture di spillo della circolazione che si riattivava intorno al suo povero aborto di cuore, il respiro di fece discontinuo e rotto e gli occhi iniziarono a bruciarle come tizzoni ardenti.
Era ora, per Grimilde, di ritirarsi nei propri regali appartamenti.
“Spero che tu abbia avuto quello che volevi” disse quindi rapidamente con voce metallica “Dopotutto, te lo sei proprio meritato. Lascia solo che ti dica una cosa, a cui non crederai, ma che mi sembra doveroso farti sapere: quel bacio, ieri, era vero. Anche Gladi era vera. Solo che si chiamava Veronica.”
Aspettò una risposta che non venne: allora alzò il mento altezzoso e se ne andò via senza girarsi indietro, chiedendosi come faceva un cuore così piccolo e atrofico e inesistente a pesare come un maledetto macigno.
*          *          *
“Pallaaaa!”
Tum!
“Allora bastaaaa! Tu e la tua stramaledetta palla, se la lanci ancora una volta contro la parete giuro che te la faccio ingoiare intera, capito?”
“Pà ha detto che posso giocare un pochino.”
“Un pochino, saranno due ere geologiche che ci scassi i coglioni con quella cazzo di palla!”
“Uè, signorina, vedi di non usare certe parole, capito?”
“Ma nonna, palla si può dire!”
“Ma taci, Dante!”
“Io non taccio e ascolto solo Pà perché è grande, tu invece sei una sorella piccola e quello che dici non conta niente. E poi al mattino ti puzza il fiato.”
“Ma che stronzo!”
“Signorina, il linguaggio!”
“Nonna, perché non vai a fare delle lasagne, eh?”
“Palla!”
Tum!
“Alloraaaaaa porco cazzoooo!”
“Santo cielo, Paolo, vuoi dire qualcosa ai tuoi fratelli?”
Paolo Bianchi si decise a distogliere lo sguardo dal muro e a fissarlo sulle facce congestionate dei suoi consanguinei: il suo pallore superò l’ostico muro della cecità della nonna che gli si avvicinò premurosa.
“Santo cielo,che faccia! Hai il vomito? Ti faccio una camomilla?”
“Che ti è successo?” si intromise subito Silvia, più per curiosità che per amore fraterno: Paolo, a sorpresa, le rispose subito e anche sinceramente.
“Succede che mi sono comportato da stronzo per la prima volta nella mia vita dopo averlo sognato da sempre e mi ritrovo a sentirmi uno schifo quando pensavo che mi sarei finalmente sentito bene e fiero di me invece mi sento una cacca spiaccicata anche se non capisco perché visto che obbiettivamente se lo meritava eccome, dopo tutti quegli anni a subire e a pensare che se solo avessi potuto fargliela pagare e che prima o poi sarebbe capitata l’occasione giusta, e infatti è capitata ma lei con quella sua dannata spocchia non ha fatto l’isterica per niente, sembrava Giovanna d’Arco sul rogo, solo che Giovanna d’Arco è una martire e anche se Grimilde non lo è di sicuro continuo a sentirmi sporco e deficiente e se tornassi indietro, anzi vorrei proprio poterlo fare perché ecco io… non lo rifarei.”
La sparata di Paolo ebbe il miracoloso effetto di placare gli animi dei presenti: nonna Adalgisa e Silvia si scambiarono uno sguardo perplesso mentre Dante, la bocca aperta e la palla sottobraccio, sembrava concentrato nello sforzo abnorme di cavare un senso dalle parole sconclusionate del fratello.
“Pà non ho capito” si arrese alla fine corrucciato “Chi è questa Giovanna? Una tua compagna di scuola?”
“Tolta la parte quando hai ammesso di essere stronzo, cosa che penso anche io con tutto il cuore, il resto non l’ho capito neanch’io.” confessò Silvia allegramente.
“Meno male che non avete capito nemmeno voi” sospirò la nonna con voce querula “Pensavo di essere rimbambita tutto in un botto per colpa di quella roba tedesca, lo Jagermeister…”
“Tu no hai né l’Alzheimer né lo Jagermister, nonna” ribatté Paolo con un pallido sorriso “Anche se adesso come adesso sarei tentato di chiedertene un goccetto.”
In quel momento, con un gran sbattimento di porte e urletti scandalizzati, arrivò Laura trafelata col viso rosso e congestionato e la coda di cavallo tutta storta.
“Tu!” strillò puntando il dito contro il fratello “Cosa… hai… fatto…?”
“Ha messo Giovanna sul rogo” spiegò Dante soddisfatto “Giovanna è una sua compagna di scuola. Ma Pà, che cos’è un rogo? Una specie di tavolo?”
“Cos’è successo?” si animò Silvia.
“E’ successo che quel facciadaculo di nerd di nostro fratello insieme a quegli aborti dei suoi amici hanno pubblicato su Internet un video orribile su Veronica!”
“Ma non era Giovanna?”
“Oh, zitto tu! Giovanna d’Arco era una metafora.”
“Povera Veronica…”
“Un’anfora…? Giovanna? E Ve-honica cosa c’entra?”
“Cosa? Chi? Di chi state parlando? Paolo, sei sicuro che non ho lo Jagermeister, vero?”
“BASTA!”
Il tono era stato perentorio e definitivo: Paolo si era alzato in piedi e la sua esasperazione traboccava da ogni poro tanto che la nonna e le sorelle con aria colpevole si fecero piccine piccine. Invece Dante sembrava di nuovo intento a meditare dolorosamente sui discorsi appena fatti.
“Pà, secondo me non sei davvero arrabbiato con noi” concluse alla fine di tanto titanico sforzo “Non so se sei arrabbiato con Ve-honica o con l’anfora amica tua, ma tu mi dici sempre che bisogna parlare per farsi passare la rabbia. Adesso, non so come farai a parlare con un’anfora… io infatti parlerei con Ve-honica che non è per niente un’anfora, ne sono sicuro! A proposito, quando torniamo a casa sua? C’è un giardino bellissimissimo e Aldo che gira nudo dappertutto!”
Laura e Silvia alzarono gli occhi al cielo: evidentemente il resoconto di Dante sulla Favolosa e Inimmaginabile Visita a Casa Scarlini della Torre se lo erano già sorbite centinaia di volte e non intendevano ripetere l’esperienza.
“Ti sei semplicemente comportato da schifo” riassunse Laura lapidaria “Quando ho saputo della merdata che avete fatto, è stata la prima volta che mi sono vergognata di averti come fratello.”
Le gemelle girarono le spalle e sparirono, in silenzioso accordo: Dante fece spallucce e trottò via anche lui, già pronto a buttare la palla contro qualsiasi muro; nonna Adalgisa meditò un po’ in silenzio, la faccetta rugosa ben concentrata.
“Faccio i cannelloni.” decise alla fine ciabattando poi via con aria soddisfatta.
Paolo Bianchi tornò a guardare il muro, relegando gli strepiti ormai lontani dei famigliari a rumori di fondo: aveva pensato che parlare di quello che era successo e di come si sentiva in quel momento avrebbe potuto aiutarlo a stare meglio, ma l’unica cosa che aveva ottenuto era di stare peggio.
“Avrei dovuto saperlo” pensò amareggiato “Alla fine sta a vedere che chi vince è comunque  sempre lei… maledetta Grimilde!” 
*          *          *
Veronica si decise a riaccendere i vari cellulari solo la mattina successiva, mentre l’automobile con autista la portava a scuola. Aveva passato una serata solitaria e strana, bizzarramente subacquea. Gladi era morta e la sua vocetta acuta aveva smesso di tormentarle le meningi; al contempo, Grimilde aveva smesso di ruggire e l’anomalo silenzio l’aveva avvolta come un grembo materno per ore e ore di inusuale inattività. Niente cellulari, quindi niente Marie a cicalarle inutilmente nelle orecchie. Niente Tebaldo a sparare commenti all’acido muriatico. Niente Inocencia, che aveva preso in gestione i pantaloni scozzesi senza azzardare un verbo e che le aveva portato la cena in camera, composta da un leggero brodo vegetale con cubetti di tofu. Il pasto di quando era ammalata, notò Veronica con segreto affetto.
Un po’ Inocencia aveva visto giusto: distesa sul prezioso copriletto di seta, per la primissima volta in vita sua, Grimilde era stata male. Male davvero, come solo un’adolescente ferita può stare. Male come chi si presenta alla vita con la guardia abbassata, piena di speranze e di aspettative, e… puah, nemmeno in un momento schifoso come quello riusciva a cucirsi addosso qualche svenevole lirismo adolescenziale! L’autocommiserazione non era fatta per lei: aveva passato il pomeriggio a elaborare più che altro la rabbia e lo sconcerto, entrambi rivolti a sé stessa per essersi comportata da perfetta mentecatta. La cotta per Bianchi le aveva offuscato i sensi: col senno di poi si rendeva conto di aver servito agli scherzi di natura l’occasione per ferirla su un piatto d’argento. Aver inventato Gladi era stata una mossa decisamente infelice, anche se doveva ammettere che essere lei le era piaciuto, le aveva fatto respirare una boccata d’aria di novità e libertà a cui non avrebbe voluto rinunciare. Cosa che però era assolutamente necessario fare: Gladi non poteva sopravvivere nel mondo di Grimilde, punto e basta. Veronica non avrebbe mai più permesso che qualcuno potesse andare di nuovo oltre il suo coriaceo mantello da strega e potesse farla soffrire o umiliarla… o anche solo toccarla.
Nessuno. Mai più.
Quando era giunta a quella conclusione, il resto era venuto da sé. Non si sarebbe vendicata di Bianchi. Non avrebbe cambiato né scuola né identità e nemmeno, per l’amor del cielo!, colore di capelli. Avrebbe semplicemente affrontato la situazione con addosso uno splendido abito di Chanel adattissimo, nero e severo con un colletto di pizzo ecrù che all’acquisto le era sembrato molto gran dame, ma che era perfetto per quella nuova, dignitosa Grimilde che voleva presentare al mondo. Senza gioielli o girocollo di perle? No, niente perle… troppo signora di mezza età. Anche se dentro si sentiva emotivamente morta, esteriormente aveva ancora 18 anni, che diamine! Meglio non esagerare, aveva pensato quella mattina fieramente dritta davanti allo specchio.
In macchina, quindi, aveva riacceso i cellulari ma il continuo stridio elettronico dei centinaia di messaggi ricevuti le diede così fastidio che li tornò a spegnere subito. Arrivata davanti alla scuola, scese con la solita alterigia anche se le gambe le erano diventate pesanti come macigni. Ignorò volutamente gli studenti intorno a lei, alzò il mento e sforzandosi di mantenere un passo elastico e rilassato entrò nell’edificio. Impossibile non sentirsi addosso il peso di centinaia di occhi puntati su di lei: tutti la guardavano. Tutti. Bisbigliavano e la guardavano, alcuni la indicavano col dito senza nemmeno preoccuparsi di nascondersi. Evidentemente, non vedevano l’ora di sputtanare pubblicamente quell’antipatica di Grimilde, pensò Veronica amaramente.
In quel momento si sentiva così sola che se avesse avuto un cuore collegato ai dotti lacrimali avrebbe pianto.
“Bel vestito” disse improvvisamente una voce nota alle sue spalle “Indubbiamente d’effetto, il colletto di pizzo fa molto eroina vittoriana . Ma non è il look che ti si addice di più e sono certo che il buon vecchio Dante Bianchi sarebbe d’accordo con me nel preferire una di quelle tue deliziose camicie trasparenti.”
Tebaldo. 
Veronica si girò a fronteggiarlo e sconcertata si rese conto di provare il fortissimo e malsano impulso di scoppiargli a piangere sulla spalla. Inimmaginabile! Piuttosto avrebbe preso un gancio da macellaio e si sarebbe autosgozzata nel bel mezzo dell’atrio della scuola.
“Ciao cugino” mormorò a voce bassa per non far sentire che tremava “Se proprio ti piacciono tanto, te ne posso regalare un paio delle mie camicie: sono certa che le porteresti con estrema disinvoltura, visto quanto sei abituato a portare in giro senza vergogna la tua faccia da deretano.”
Tebaldo fece un fischio mentre gli occhi gli scintillavano divertiti.
“Accidenti, Grimilde, hai proprio in canna le munizioni pesanti! Vorrei però ricordarti che non è a me che dovresti rivolgere i tuoi missili telescopici, ma al tuo caro e candido Bambi e gli altri caprioli amici suoi.”
“Tranquillo che ognuno avrà quel che si merita” tagliò corto Veronica duramente “A parte te che invece di stare qui a godere delle disgrazie altrui meriteresti un bel bagno in una vasca di guano molle.”
“Cosa che a quanto pare hai meritato anche tu” ribatté Tebaldo piacevolmente “Sarebbe bello sapere il perché di tanto livore nei miei confronti. Posso giurare con assoluta buona fede di non aver mai e poi mai istigato il branco di cerbiatti ad attaccare la strega cattiva, anche se chiunque avesse visto il film di Biancaneve avrebbe potuto prevederlo…”
Veronica avrebbe voluto ribattere sfogando almeno in parte la tensione che le stringeva le viscere, perché dopotutto interagire con Tebaldo, per quanto l’interazione fosse molto simile a un litigio, era comunque camminare su un terreno conosciuto… ma fuggevolmente, con la coda dell’occhio, individuò un terzetto intento a confabulare e le parole le si bloccarono in gola. Le tre Marie, le riconobbe Veronica con una improvvisa accelerazione dei battiti cardiaci.
“Ecco” le sfuggì quindi dalla bocca con voce flebile “Sono arrivate le orche assassine. Mettiti pure in un angolo a goderti lo spettacolo: scommetto che dopo esserti scompisciato con il video degli scherzi di natura, vedere il branco di orche che mi fa a pezzi sarà qualcosa che ti renderà luminosa la giornata. Non trattenerti sull’applauso finale, mi raccomando.”
“Sempre la solita prevenuta” sospirò Tebaldo con aria dispiaciuta “Quando col senno di poi vorrai chiedermi scusa strisciando, sappi in anticipo che ti perdono per la tua insulsa cafonaggine.”
“Quanto sei magnanimo.” ringhiò Veronica.
Ma era distratta dal pensiero delle tre Marie a pochi metri da lei: prima o poi doveva affrontarle, pensò battagliera, ed era meglio prima che poi. Via il dente via il dolore, no? Quindi decise di alzare coraggiosamente una mano per attirare la loro attenzione.
Ecco, l’avevano vista; ecco, confabulavano sottovoce fissandola come i coyote fissano le prede prima di azzannare; ecco, partivano in gruppo compatto avvicinandosi a lei. Tebaldo sembrò dileguarsi nel nulla: Veronica se ne accorse anche senza guardare perché le mancò il conforto della sua presenza alle spalle. Posto che fosse confortante avere un cobra velenoso alle spalle, ma era quello che le aveva sempre passato il convento.
Maria Beatrice, in pole position rispetto alle altre due, era ormai a pochi metri da lei. Veronica poté vedere i suoi occhi scintillare eccitati, ma non abbassò lo sguardo: aspettò fieramente, metro dopo metro, che Maria Beatrice la raggiungesse, tallonata da Maria Vittoria quasi ansimante e da Maria Ludovica, pigramente ultima.
“Veronica!” squittì Maria Beatrice a voce altissima.
“Buongiorno.” Rispose Veronica con le labbra insensibili: stava aspettando la prima, micidiale domanda con tutti i nervi tesi e il viso pallidissimo. Fu per questo che subito non capì bene quando Maria Beatrice, eccitatissima, sparò a trecento decibel tutta la sua ammirata curiosità:
“Adesso mi dici come hai fatto a convincere il cantante X-Aj a fare con te e Tebaldo quella meravigliosa pubblicità con i cani!”
  
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