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Autore: MartynaEchelon    10/10/2011    4 recensioni
Sarah è una ragazza inglese che ha passato tutta la sua vita a sognare LA, il successo e soprattutto, i suoi idoli, quei tre uomini di Marte che le cambieranno la vita in tutti i sensi. Finchè non decide di partire per Los Angeles con la sua migliore amica Alex. Qui,non otterà il successo sperato, ma Jared Leto non sarà più un sogno lontano, ma rimarrà parte concreta della sua vita e qualcosa o qualcuno, legherà i due per sempre. Ma la loro, sarà solo 'una bella bugia', una relazione di quelle che ti rimangono per sempre dentro ma che non possono durare.
Ho in mente questa FF da un bel pò di tempo ma non ho mai avuto il coraggio di cominciare a scriverla anche se le idee nella testa sono molte e una vocina mi diceva sempre "Scrivi! Scrivi!" poi c'è anche la mia cucciola Miky che mi spinegva a scriverla quindi eccomi qui.
La storia prende spunto da un sogno che ho fatto un pò di tempo fa ed è completamente inventata. La protagonista non sono io ma lei rappresenta una sorta di mio "alter-ego" infatti molti aspetti del suo carattere saranno simili al mio.
Nessuno dei personaggi della storia mi appartiene, non li ho mai conosciuti e il modo in cui li descrivo non è reale ma sono descritti così come me li immagino.
Detto questo spero vi piaccia la storia e il mio modo di scrivere. Si accettano anche critiche.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jared mantenne il suo impegno, così, il giorno seguente, finite le riprese, i due salirono in macchina insieme diretti verso casa di lui.
Sarah non stava più nella pelle, avrebbe visto come lavoravano, come riuscivano a rinchiudere tutte quelle emozioni, quegli stati d’animo, quella passione, quell’arte, tutto in un solo singolo CD.
Quanto gli erano mancati? Aveva passato il suo tempo a domandarsi cosa stessero facendo lì a Los Angeles, domandosi se stessero lavorando a qualcosa, o se si stessero semplicemente riposando. Ci sarebbe stato un nuovo album. E sarebbe forse stato il più doloroso, quello che sotto porta le ferite di guerra di tre uomini ai quali viene impedito di fare quello che più amano: creare. Ma nessuno di loro sapeva ancora quale sarebbe stato il prezzo da pagare per quel disco.
Durante il tragitto dal set delle riprese a casa di Jared, non mancò occasione di parlare della giornata lavorativa, del lavoro che ancora c’era da fare, non mancò occasione di ridere, di sentirsi ancora complici l’uno con l’altra.
Finalmente furono giunti a destinazione, di nuovo lì, in quella casa semplice ma meravigliosa, luogo di nascita della maggior parte dei capolavori della band, luogo d’ispirazione per  Jared, la mente della band.
Quando entrarono, Tomo e Shannon erano già lì, insieme ad un po’ di gente, alcuni tecnici, produttori, tutti buoni amici, gente di cui i ragazzi si fidavano.
“Sei in ritardo fratellone.” Esclamò Shannon che era steso sul divano giocando con una bacchetta.
“Le persone importanti di fanno attendere.” Gli rispose altezzosamente Jared.
“Già, l’importante è essere convinti, mio fratello lo è, e anche troppo.”
Sarah era divertita, ogni discorso dei due fratelli la faceva ridere di gusto.
“Sarah, ti presento Tomo, chitarrista, tastierista e altro componente essenziale della band.”
Tomo gli porse la mano guardandola incuriosito.
“Hey, aspetta un secondo. Tu sei la ragazza del ristorante.”
“Ehm, beh… Si, lo ero in realtà, mi sono licenziata.”
“Quanto è piccolo il mondo. Mi ricordo benissimo di te, eri impacciata al massimo quel giorno. Cosa ci fai qui?” Le disse divertito.
“Ehm, già. I-io ero molto stressata in quel periodo e… “
“E sta lavorando con me al film di Mike, è la protagonista femminile. Adesso possiamo cominciare a metterci a lavoro?”
“A gli ordini capo.” Rispose Tomo giocando e aiutando Shannon ad alzarsi dal divano.
Dovevano  cominciare a registrare la musica per una canzone che si chiama “Night of the hunter”.
“E’ una canzone che parla di vendetta, di quella vendetta amara e cruenta.” Così l’aveva descritta Jared.
“Beh, si capisce molto bene dal testo.” Gli aveva risposto lei giocando.
Aveva davanti i testi, gli accordi, gli arrangiamenti, le idee per quel nuovo album. Non sapeva se lei, avesse potuto sapere tutte quelle cose, eppure, ce le aveva davanti, aveva davanti ai suoi occhi tutto il lavoro svolto fino a quel momento, tutte le idee di Jared scritte su carta. Lei era la prima Echelon a sapere di quell’album, la prima che ne avrebbe letto i testi e ascoltato le canzoni.
Non aveva nemmeno idea di come avrebbe dovuto sentirsi in quel momento, vedendo tutta quella gente che lavorava, vedendo quei tre eroi che lavoravano per milioni di persone come lei.
In quello studio, c’erano tantissimi strumenti differenti, strumenti di ogni genere, macchinari che lei non riusciva nemmeno a capire come funzionassero, pieni di bottoni e manovelle, ognuna di queste regolava un suono, uno strumento; tastiere, chitarre, microfoni, percussioni, cavi elettrici sparsi ovunque, computer, registratori, casse, amplificatori; quanto lavoro c’è dietro una singola canzone? L’impegno di quante persone ci vuole per un singolo brano? Nessuno forse ci pensa mai, nessuno si concentra ad ascoltare i suoni più nascosti di una canzone, i suoi dettagli, i suoi particolari. In sala di registrazione è tutto differente, ogni suono viene registrato singolarmente, anche quello a nostro parere più stupido ed insignificante, tutto è fondamentale affinché il pezzo venga fuori così come il suo ideatore l’ha immaginato.
Jared, lui aveva immaginato ogni singolo suono nella sua testa, ogni singola nota, ogni singola pausa.
Vedere tutto questo per Sarah, era molto più che eccitante. Se ne stava lì, seduta con i gomiti appoggiati sul tavolo, le mani sulle guance e gli occhi rossi che avevano voglia di lacrimare. Stava lì, immobile, guardando l’impegno e la dedizione di tutte quelle persone, la passione di quei tre uomini straordinari. Lei sapeva già quanto fossero meravigliosi, l’aveva sempre saputo, ma vederli così, lavorare alla loro musica, dedicarsi a quello che più amavano fare, li rendeva ancora più meravigliosi di quanto non lo fossero mai stati.
C’era un casino assurdo di strumenti in quella parte dea casa di Jared, un casino assurdo di suoni. Lui era lì, il solito perfezionista  che correggeva ogni minimo errore, che si arrabbiava con se stesso se le cose non uscivano fuori come lui le aveva immaginate. Indossava un camicia a quadroni bianchi e neri, con le maniche piegate sopra ai gomiti, la barba folta e i capelli lunghi legati in un tuppè arrangiato.
Dirigeva il lavoro, faceva in modo che tutto andasse come se l’era prefissato nella sua testa. Ogni tanto guardava il Blackberry, scriveva appunti  o rispondeva a qualche telefonata che lo agitava e dopo ritornava ancora più nervoso ed esausto ad occuparsi del suo lavoro.
Quando decideva che tutto andava bene, era allora che era il suo momento, quello di cantare, di registrare la sua voce che era l’armonia più soave in mezzo a quel disordine di suoni e strumenti.
Quella che dava forma e colore a mille parole scritte su un foglio bianco.

Era già troppo vederlo cantare ai concerti, dalla prima fila, dalla seconda, la terza o dal fondo della platea, ma vederlo cantare così, dietro ad un vetro, così vicino, era troppo.
Troppo per gli occhi.
Troppo per le orecchie.
Avrebbe cominciato a piangere a dirotto se fosse rimasta lì, si emozionava troppo facilmente, così si alzò di scatto e si diresse correndo in giardino. Si fermò piegata su sé stessa, appoggiando le mani sulle ginocchia, poi scrutò una sedia di legno che era lì vicino al tavolino, si sedette, chiuse gli occhi e sospirò, cercado di riprendersi.
Jared era così impegnato a svolgere il suo lavoro, che nemmeno si era accorto che lei era andata via, ma  qualcun'altro invece si.
“Hey, tutto ok?”
Lei si girò di scatto.
“Si, si… Tutto ok. Io, avevo solo bisogno di prendere un po’ d’aria.”
“Sei andata via di corsa…”
“Ti ho appena spiegato il motivo Shannon.”
“Certo.” Le rispose un po’ deluso, prendendo una sedia e sedendosi vicino a lei. Il sole era quasi tramontato su LA.
“Fermarsi a guadare tramonti così ti fa stare molto meglio, ti fa rilassare e dimenticare tutto.”
“Già, quello che dovrebbe fare Jared, Ma che ha? Voglio dire, è sempre così? E’ agitatissimo e si agita ancora di più quando riceve una telefonata.”
“Lui è così, adora il suo lavoro e vuole che tutto sia perfetto. Quando fa una cosa, o la fa per bene o non la fa.”
“Si, lo immaginavo…”
“Inoltre, è un po’ incazzato perché la casa discografica ci sta dando un po’ di problemi per questo nuovo album.”
“Problemi? Di che genere?”
“Del genere che tu non puoi capire. Adesso, se no ti dispiace, ti lascio per tornare al mio lavoro.”
Lo lasciò andare via senza dire niente. Preferiva non risponderlo piuttosto che risponderlo male. Shannon certe volte sapeva essere davvero odioso senza neanche accorgersene.
Lo guardò andare via limitandosi a fargli una smorfia dietro e rimase lì, da sola, ad osservare quel cielo che, piano piano, era diventato roseo mentre si sentivano ancora suoni e le urla di Jared provenire dal’interno dell’edificio.
Stava per chiudere gli occhi, quando scrutò una chitarra che era lì appoggiata alla parete bianca della casa;
una Gibson Maestro, quella che Jared suonava durante le perfomance in acustica.
I suoi occhi si illuminarono.
Si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paragi, quando finalmente ne fu certa, si alzò e si avvicinò allo strumento, prese in mano quella meraviglia, si sedette di nuovo sulla sedia dov’era prima e cominciò a strimpellare qualcosa toccando quelle corde con molta delicatezza, un po’ per non farsi sentire, un po’ per paura di rovinarla o scordarla.
Stava suonando una delle chitarre di Jared Leto.
“Oh mio Dio!” Esclamò una voce conosciuta.
La ragazza si fermò e rimase con gli occhi sgranati, troppo impaurita per girarsi e rendersi conto che qualcuno l’avesse sgamata.
Si fece coraggio e si girò.
Jared era lì che la la fissava, in piedi con le braccia incrociate.
“Sc-scusa Jared, I-io no-non volevo. L’ho vista lì e non so nemmeno io perché l’ho fatto e…”
“Perché non continui invece di parlare tanto.”
“Come?”
“Si, mi piaceva. Su, continua!”
“E meglio di no.” Ripose ancora intimidita posando la chitarra dove l’aveva trovata.
“E perché no?”
“Perché non sono abbastanza brava e non ho mai suonato davanti a nessuno.”
“E chi ha deciso che non sei abbastanza brava se nessuno ti ha mai ascoltato suonare?”
“Beh, l’ho deciso io.”
“Hai un’autostima di te stessa pari a zero.  Perché ti butti giù in questo modo?”
“Non lo so, vorrei solo essere migliore.”
“Migliore in cosa?”
“In tante cose. Suonare, disegnare, fare foto, amare…”
“E cosa ti fa pensare che tu non lo sia?”
Lei odiava quando le faceva tutte quelle domande.
“Io, non lo so. Ma di una cosa sono certa, c’è un fuoco dentro questo cuore ed una ricolta che sta per esplodere in fiamme.”
Lui le sorrise.
“Beh, allora lasciala esplodere. Chi ti ha insegnato?”
“Mio padre. Ma non lo chiamerei nemmeno ‘suonare’ quello. Io strimpello un po’ le corde.”
“Qualunque cosa sia, era buona.” Prese di nuovo la sua chitarra, poi prese una sedia e si sedette vicino a lei porgendogliela di nuovo.
“Non posso.”
 “Si che puoi. Lo hai già fatto prima. Vuoi che questa rivolta esploda si o no?” Le disse sorridendo e alzando un po’ le spalle.
Un po’ scocciata, la prese e cominciò a toccare delicatamente le corde.
“Devi solo aggiustare un po’ la posizione della mani… Ecco…”
Il cuore di lei cominciò a battere come non aveva mai fatto prima appena le mani di lui si posarono sulle sue mentre lui le prendeva e le riponeva con delicatezza sulla chitarra. Non sapeva se fosse possibile che il cuore potesse battere davvero in quel modo. Era vicinissimo a lei, le guance ruvide per la barba quasi toccavano le sue pallide, lisce gote. Lei lo fissava, lui era impegnato a muovere quelle dita esili sulla sua chitarra.
“…Così va meglio.” Disse, poi si girò per guardarla. Si fissarono per un po’.
Lei rimase come ipnotizzata da quegli occhi senza la minima imperfezione.
Cosa stava succedendo?
Non poteva succedere davvero che le loro labbra stessero per  conoscersi per la prima volta, per sfiorarsi.
Un soffio di vento mosse i  lunghi capelli castani di lei sul suo viso.
Lui allungò una mano per spostarli via affinché le labbra della ragazza fossero libere da ogni vincolo. Poi le posò la mano sul viso.
Non poteva essere vero.
Erano troppo vicini da poter sentire ognuno il respiro dell'altro.
Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre.
Ma il Blackberry di lui suonò, facendoli distaccare di scatto. Riportandoli alla realtà.
Lei abbassò lo sguardo un po’ delusa mentre lui si prestava a rispondere alla chiamata.
“Pronto! - si alzò dalla sedia e cominciò a camminare a bordo piscina con una mano sul fianco, mordendosi le labbra - Hey Mike, dimmi, ti ascolto.”


Allora, scusate se ultimamente vi faccio aspettare troppo per i capitoli.
Dato che la storia si svolge nel periodo di registrazione di "This Is War", se volete meglio immaginarvi il Jared che vi descrivo, ricordate quello che si vede in "Artifact".
Non ditemi che la fine del capitolo vi ha delusi :D

Molte cose ancora devono succedere.
Continuate a seguirmi :3
Un bacio.
-Marty

  

 

  
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