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Autore: Melanto    10/10/2011    1 recensioni
[Seconda classificata e vincitrice del Premio 'Città' al "Windy Town Contest" indetto da Rubysage]
“Brad guidava nella notte che era calata sulla strada con passo inesorabile. Le ruote scivolavano sulla foschia che si apriva l’attimo prima che la gomma potesse toccarla. Dopo il passaggio, tornava a richiudersi e Brad si sentiva un novello Mosè, peccato non ci fosse stato il Mar Rosso davanti a lui, ma solo le vette, ora invisibili, degli Appalachi.”
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per il contest: “Windy Town” indetto da Rubysage sul forum di EFP.
Lo scopo del contest era quello di scrivere una storia che avesse come prompt: ‘una città’ e ‘il vento’.

Buona lettura! :D

 

The road for Windy Town

 

He say: "Do you remember?" /
Lui dice: “Te lo ricordi?”
He say: "Do you recall?" /
Lui dice: “Ne hai memoria?”
I say: “Yeah, I remember, oh, I remember it all”/
Io dico: “Sì, ricordo, oh ricordo tutto.”
Every time that cold wind blows /
Ogni volta che questo vento freddo colpisce,
every time I hear that sound /
ogni volta che sento quel suono,
late night trains shunting down by the river /
treni a tarda notte smistati lungo il fiume,
I remember windy town /
ricordo Windy Town.

 

Il primo a riprendere conoscenza fu Brad.
Ebbe percezione di sé stesso e del proprio corpo ancor prima di dare forma alla realtà attraverso la vista. Sentiva la faccia, spiaccicata contro il volante, intorpidita lungo la mascella e la guancia. L’airbag non si era azionato e, a dirla tutta, non era nemmeno sicuro che quel modello di auto ne avesse uno.
Non si chiese da quanto tempo fosse fermo in quella posizione e ignorò la presenza di eventuali fratture. Il dolore era ovattato ma sembrava arrivare da lontano in maniera inesorabile.
Piano aprì le palpebre di uno spiraglio. Non cambiò nulla, da principio, perché non riusciva a mettere a fuoco. Le sbatté a rallentatore, gli occhi bruciarono e le lacrime portarono via anche il velo grigio che oscurava la vista.
Liz era in una posizione simile alla sua, ma con la fronte contro il cruscotto. Perdeva sangue dal punto in cui aveva sbattuto. Era un filo sottile che scivolava lungo la linea del naso e poi, dalla punta, diveniva goccia in caduta libera.
Per fortuna che indossavano entrambi la cintura. Se non le avessero avute, l’impatto li avrebbe sbalzati fuori dal parabrezza.
Aprì gli occhi completamente. Dalle labbra partì solo il rantolo di uno sbuffo nemmeno troppo energico. A stento aveva la forza per respirare. Il secondo tentativo uscì meglio del precedente, ma, ancora, i suoni rimasero serrati in gola. Risalivano adagio, un po’ alla volta.
Brad decise di provare a toccare la ragazza, ma la faccenda si rivelò più ardua del previsto. Il cervello era intorpidito come la mascella e non sembrava comprendere nemmeno i comandi più semplici come: muovi il braccio, sollevalo, allunga la mano.
Mentre si sforzava fino a far diventare rosse le guance, pensò che non erano fuggiti di casa per fare quella fine del cazzo, su quella strada sperduta solo Dio sapeva dove e spiaccicati contro un albero perché era spuntato un fottuto cervo dal nulla. Se non avesse avuto quel dannato spirito da animalista fallito non avrebbe sterzato di colpo e, a quest’ora, si sarebbero ritrovati solo con il cofano un po’ ammaccato e il parabrezza spaccato dal peso dell’animale.
Quando riuscì a toccarla, temette per un attimo che Liz fosse morta: non si muoveva, non gli pareva nemmeno che respirasse. Ma d’improvviso la ragazza ebbe un sussulto.
«Brady…»
«Ehi… bellezza…» La voce uscì, e non pensò che potesse addirittura fare una battuta. Sforzò un sorriso e poi diede fondo a tutte le energie per staccare la faccia dal volante. Emise un sonoro mugolio quando appoggiò la schiena al seggiolino e si volse a guardare il mondo al di fuori del vetro.
L’albero non si era rotto nell’impatto, ma il cofano si era aperto di schianto e il parabrezza era scheggiato, seppur non in frantumi. Gli era andata meglio del previsto, dopotutto. L’unica cosa era verificare se la macchina fosse ancora in grado di camminare. Restare a piedi in mezzo a quel nulla fatto di boschi e bassa foschia non era l’ideale e avrebbe di sicuro segnato la fine della loro fuga.
«Mi fa… male la testa…» farfugliò Liz. Sentiva qualcosa scivolarle lungo la fronte e vi passò il dito. La vista del sangue la spaventò, Brad lo capì dal tono che raggiunse la soglia del pianto in un attimo. «Oddio…»
«Shhh, va tutto bene, Lizzy. È solo un graffietto.» Si tolse la bandana che aveva sempre al collo e le tamponò piano la ferita, cercando di rassicurarla. La cintura di sicurezza lo stringeva ancora come filo di spago attorno a un pezzo di carne. Si liberò alla meglio e con gesti quasi rabbiosi.
«Mi fa male! Mi fa male!»
«Tranquilla, non è niente. Guarda? Non sanguina già più. Hai solo preso una brutta botta-»
«Voglio uscire da qui! Fammi uscire! Adesso
«Sì, sì! Ora ci penso io, ma tu smettila di agitarti, dannazione!»
Avere meno di vent’anni, per lui aveva sempre significato avere poca pazienza e un carattere instabile ereditato dal suo vecchio; per Liz era la stessa isteria della madre quando non era tanto ubriaca da non capire niente. I lati peggiori dei peggiori genitori.
Con uno sforzo, la portiera della Buick Skylark, rubata dall’officina di suo padre, si aprì di schianto.
Brad barcollò quando tentò di mettersi in piedi. La testa gli girò come dopo un’overdose da otto volante. Si tenne all’auto e si guardò attorno. La lunga strada asfaltata era giusto dietro di loro, sgombra, con il guardrail sfondato e con una leggera foschia che cominciava a salire dai boschi circostanti.
Non c’era nient’altro per chilometri, lo si poteva intuire anche da lì e non ricordava nemmeno quanto distasse la città più vicina. A dire il vero, non ricordava nemmeno se avesse visto un cartello prima dell’incidente. Ma c’era ancora luce, potevano sperare di rimettersi in viaggio o avrebbero finito col trovarli.
Brad girò attorno al posteriore della vettura per raggiungere Elisabeth. La sua portiera era incastrata e dovette faticare per riuscire ad aprirla; con lei che strillava, poi.
Liz si precipitò fuori dall’abitacolo tenendosi la stoffa premuta contro la fronte. Barcollò, ma la fretta di uscire dalla claustrofobia dell’auto la fece cadere in ginocchio nell’erba. Vomitò lì. Un paio di conati, dovuti alla paura dell’incidente e all’ansia accumulata da che erano scappati, e riversò l’intera cena piluccata mentre erano in viaggio.
Brad le girò attorno in passi lenti, incerto su quello che avrebbe dovuto fare. Con le mani ai fianchi la guardava con la coda dell’occhio, aspettando che il momento di crisi passasse.
«Ti senti meglio?»
«Fanculo…» piagnucolò la giovane. Tolse con gesti rabbiosi i capelli appiccicati alla fronte e rimase carponi ancora per qualche attimo, voleva essere sicura che non avrebbe vomitato di nuovo una volta in piedi perché sentiva lo stomaco accartocciato, un po’ come le lamiere del muso della Buick.
Elisabeth le guardò di sottecchi, fissò il loro unico mezzo per la fuga affondato nel tronco.
Le venne da piangere, ancora, questa volta in maniera seria. Poi sapeva che sarebbe finita a urlare, ma al momento la sua attenzione era concentrata tutta lì, nella consapevolezza che chissà se avessero potuto continuare o sarebbero stati costretti a tornare indietro.
«Come faremo?»
«Come vuoi che faremo? Spostiamo la macchina e vediamo il danno. Sono pur sempre figlio di un fottuto meccanico, qualcosa l’ho imparata anche io a dispetto di quello che dice il mio vecchio.»
«Se non ripartisse?»
«Non mi sembra sia messa così male.»
«E se lo fosse, invece?!» Ecco che l’isteria si insinuava nei suoi meccanismi di difesa, oscurando ciò che era davvero importante, in favore della frustrazione.
«Che cazzo vuoi che ne sappia?! Se non mi aiuti a spostarla non lo sapremo mai, hai capito?!»
Liz si chiuse a riccio. Nascose la testa tra le mani e le maniche troppo lunghe del maglione che stava indossando e si sedette sui talloni. Singhiozzò più forte.
«Non urlare così…»
Brad ingoiò la rabbia. La rivide indifesa come l’aveva incontrata la prima volta. Ferita, spaventata e problematica, proprio come lui. Troppi problemi per un’età troppo giovane.
Se ne era innamorato nel momento in cui era piegata nel proprio dolore, perché anche lui ne aveva uno che lo faceva contorcere allo stesso modo.
La raggiunse e si accoccolò al suo fianco. Le carezzò le spalle e i capelli. Lo scatto d’ira assopito di nuovo nell’instabilità costante.
«Scusami… ma tu non piangere, ok? Andrà tutto bene, nessuno ci farà tornare indietro. Nessuno.»
Le aveva promesso che avrebbero ricominciato altrove, che avrebbero potuto finalmente vivere senza più doversi preoccupare di genitori che non si curavano di loro, ma che li rendevano schiavi e vittime della propria inettitudine. Avrebbero ricominciato dove nessuno li avrebbe incolpati di essere la causa dei fallimenti altrui.
«Ora però aiutami e vediamo di andarcene da qui.»
Elisabeth si spalmò il nero sbavato della matita un po’ su tutta la faccia, ma non se ne curò. Tirò su col naso e raggiunse il giovane che stava dando una prima occhiata alla macchina.
«Guida tu.» Le disse. «Fai retromarcia, io la spingo da davanti.»
Liz obbedì e si mise al volante. Lui si appoggiò ai bordi del cofano aperto: era un po’ un casino, lì dentro; doveva esserci stata qualche perdita d’olio, forse in seguito all’urto, e le lamiere erano ammaccate, ma il motore non sembrava danneggiato. Se si fosse messa in moto, sarebbero riusciti di sicuro a riprendere il viaggio.
Con la mano fece cenno a Elisabeth di iniziare a girare la chiave e dopo i primi tentativi a vuoto il motore ruggì con voce cupa, riuscendo a partire.
Brad tirò un profondo sospiro di sollievo mentre, con uno sforzo, richiudeva il cofano; le ammaccature non gli permettevano di aderire perfettamente e quindi una parte rimase leggermente aperta.
«Fai retromarcia!» ordinò a Liz. Lui rimase a spingere. Si appoggiò al tronco dell’albero per fare perno. Le gomme slittarono sulle foglie cadute, ingolfando le ruote, e il giovane fu costretto a dare fondo praticamente a tutte le energie per riuscire a farla indietreggiare il necessario da uscire dal pantano.
Con un suono grattante, la Buick si mosse con uno scatto brusco, tanto che Liz urlettò impaurita prima di riuscire a riprenderne il controllo. La fermò nei pressi del guardrail sfondato.
Brad si inginocchiò per dare una rapida occhiata al semiasse. Non era messo bene; quando erano usciti fuori strada e avevano impattato con il metallo del guardavia, l’auto doveva essersi impennata quel tanto che bastava a storcere l’asse delle ruote. Avrebbe dovuto cercare di ripararlo una volta arrivati in città o non sarebbero andati troppo lontano.
Sospirò, quella non ci voleva proprio.
«Dai, forza, ci penso io ora.» Velocemente prese il posto di Liz e lei fu ben lieta di tornare a essere un semplice passeggero. Senza farselo ripetere scivolò nel seggiolino accanto, infilandosi, con cura e attenzione, la cintura di sicurezza.

La Buick faceva uno strano rumore, simile a un gorgoglio, però camminava.
Potevano ritenersi fortunati e anche un po’ miracolati, visto che non si erano feriti gravemente, a parte qualche graffio e bernoccolo.
Brad guidava nella notte che era calata sulla strada con passo inesorabile. Le ruote scivolavano sulla foschia che si apriva l’attimo prima che la gomma potesse toccarla. Dopo il passaggio, tornava a richiudersi e Brad si sentiva un novello Mosè, peccato non ci fosse stato il Mar Rosso davanti a lui, ma solo le vette, ora invisibili, degli Appalachi.
Sulla strada non c’erano lampioni o catarifrangenti. La foresta di conifere e querce rendeva ancora più buia l’oscurità, ma non se ne lasciò impressionare. Da qualche parte, prima o poi, sarebbe comparso un dannato cartello per una città qualunque. Avrebbero sostato, riparato i danni e dormito in un letto, se i soldi glielo avrebbero permesso. Il giorno dopo sarebbero ripartiti ancora, per andare il più lontano possibile da lì, ma in quella notte senza meta e senza luci, il West Virginia gli parve più infinito di quanto non fosse.
Elisabeth, al suo fianco, dormiva. Rannicchiata sul seggiolino e con la coperta tirata quasi fin sopra la testa sembrava ancora più piccola. Respirava senza fare rumore e questa cosa lo aveva sempre spaventato, fin dalla prima volta che avevano dormito insieme. Spesso, quando lui si svegliava di soprassalto nel cuore della notte convinto d’aver sentito echi di porte sbattute e schiocchi di cinghia, rimaneva lì a osservarla a lungo per convincersi che stesse davvero respirando.
Aveva imparato a farlo per necessità e autodifesa, gli aveva raccontato Liz, e per ricordare il meno possibile a sua madre di esistere; anche se alle volte tornava talmente ubriaca che seppure le avessero svaligiato casa, non se ne sarebbe accorta.
Liz era convinta che la donna avrebbe scoperto la sua fuga nel momento in cui si sarebbe trovata al verde. Solo allora, quando non avrebbe potuto comprarsi da bere, si sarebbe ricordata di potersi sfogare su di lei ma questa volta non l’avrebbe trovata.
Brad tornò a fissare la strada.
L’idea della fuga era stata presa di comune accordo, sebbene la proposta vera e propria fosse partita da lui. Avevano racimolato i soldi necessari per allontanarsi il più possibile, o almeno così speravano, e, una volta al sicuro, avrebbero trovato qualcosa da fare. Lui sapeva smanettare con i motori, avrebbe fatto l’apprendista in officina, mentre Liz aveva già lavoricchiato come cameriera e le tavole calde cercavano sempre qualcuno. Si sarebbero adattati, in un modo o nell’altro. Lo facevano da una vita intera, ormai: si adattavano al mondo attorno a loro, nella speranza, un giorno, di riuscire a ritagliarsi un angolino adatto alla loro forma. Brad sperava che l’attesa non dovesse essere pari a un’altra vita, perché non sapeva se avrebbero avuto tutto quel tempo per aspettare.
Nel frattempo, di fuori il vento si era levato all’improvviso.
Lui lo vedeva nelle fronde le cui sagome oscillavano con forza appena le illuminava con i fari, lo sentiva nell’aria che ululava nelle vie di fuga della macchina, negli spigoli della sua aerodinamicità, lo percepiva nella difficoltà di guidare, nella forza che sembrava opporsi a loro senza però riuscire a fermarli.
Accelerò ancora un po’ perché non aveva paura di correre controvento. Aveva solo fretta di arrivare, non sapeva dove, ma era sempre stato convinto che lo avrebbe capito una volta che avesse raggiunto la sua meta.
Quando era stato più piccolo e aveva dovuto prendere delle decisioni, non sapendo quale fossero quelle più giuste, sua madre aveva sempre detto che gli animali scoprivano le risposte ai dubbi semplicemente attraverso l’istinto. E visto che anche l’uomo era un animale, anche lui sarebbe stato capace di riconoscere le risposte al momento giusto. Lei aveva capito quando era arrivato il tempo di morire e se n’era andata senza una lacrima o un lamento. I pianti li aveva lasciati a lui, facendogli consumare gli occhi.
Ma il vento mal sopportava chi lo affrontasse con troppa spavalderia, così gli lasciò un avvertimento: il grosso ramo piovve di schianto al centro della carreggiata, dopo che una folata più forte lo aveva spezzato di netto dal tronco principale.
Lentissimamente, seppur non fossero altro che centesimi di secondo, Brad lo vide cadere e toccare l’asfalto e nell’attimo preciso in cui fu a terra riuscì a sterzare per evitare di finirci contro. Le ruote stridettero nella frenata.
«Merda!»
Elisabeth si svegliò di soprassalto. I capelli spettinati, l’aria assonnata e stanca di ricevere brutte sorprese, che per quella sera ne avevano già avute abbastanza.
«Che succede?» impastò, mentre vedeva solo una chiazza verde scomparire nel flash dei fari. Realizzò che l’auto aveva appena sbandato e fu solo questo picco di lucidità a farla sedere più compostamente sul seggiolino.
«Niente. Per un pelo.»
«Cos’è stato?!» Liz si volse per guardare direttamente dal vetro del lunotto posteriore, ma l’oscurità aveva già divorato qualunque cosa si fosse frapposta lungo la loro strada. «Un altro cervo?»
«No, un ramo.» Brad si sporse per guardare meglio attraverso il parabrezza, sia mai qualche altro avesse deciso di fargli lo stesso scherzo del cazzo. Il piede era stato sollevato dall’acceleratore. «Questo vento ha cominciato a tirare come un dannato!»
«Beh, tu vai più piano!»
«Più piano di così, devo solo scendere e spingere!»
Elisabeth abbandonò la discussione, perdendo lo sguardo nel mondo oltre il finestrino, talmente nero da non distinguerne nemmeno i contorni. Si strinse un po’ di più la coperta.
«Ancora nessun cartello in vista?» domandò, in un sospiro esausto.
«No.»
«Non sei stanco?»
Brad sbuffò, infastidito per il commento di prima e per quel fottuto ramo che per poco non l’aveva fatto uscire fuori strada per la seconda volta, nemmeno fosse stata una congiura.
Nemmeno fossero dovuti morire lì, quella notte.
«Certo che lo sono, che domande fai?! E’ dall’ora di pranzo che guido e qui non spunta ancora un cazzo! Possibile che Weston sia così lontano dal confine?! Dovremmo aver visto una qualche fottuta indicazione per Point Pleasant già da un sacco di tempo! Che cazzo, l’Uomo Falena se l’è mangiata nella notte?!»
E non era l’unica città che sembrava essere sparita dalle mappe stradali. Avrebbero dovuto incrociare i cartelli per New Milton e Blandville, e anche per Weste Union e Greenwood, ma da quando avevano passato Camden ogni altro paese sembrava essere scomparso. Tutto scompariva lungo la County Road 9, quel susseguirsi di curve, boschi e nulla per miglia e miglia. A stento si riusciva a scorgere qualche casa isolata tra gli alberi, bisognava aguzzare la vista e direzionarla proprio nel punto giusto. Bisognava sapere a priori che ce n’era una, da quella parte.
Lui non sapeva niente, ignorava tutto di quelle strade; anche se si era studiato l’itinerario per la fuga giorno e notte, non aveva la minima familiarità con quei luoghi. Sembravano tutti uguali ai boschi attorno Weston.
Anche per Elisabeth erano sconosciute, ma fintanto che avrebbero continuato ad avere l’aspetto della loro città, avrebbe continuato a sentirsi meno perduta, ma ancora in trappola.
Poi, dal nulla, quel cartello sembrò comparire quasi a comando, richiamato dalla frustrazione di Brad. Avrebbe creduto a un miraggio, se non si fossero trovati di notte a migliaia di chilometri dal deserto.
Windy Town.
Brad rallentò, fin quasi a fermarsi, proprio davanti alla grande freccia che segnava lo svincolo, la via da prendere per raggiungere il primo centro abitato dopo ore. Il problema era che nessuno dei due l’avesse mai sentito nominare.
«Windy Town?» Brad lo sillabò adagio, saggiando la consistenza delle parole. In questo modo sembrava più reale.
«Paese Ventoso.» Liz era molto più entusiasta di lui e aveva addirittura ritrovato il buon umore, dimenticando il modo brusco in qui le aveva risposto. «Direi che gli sta bene come nome.»
«Io non l’ho mai sentito.»
«Andiamo, Brady, non fare il guastafeste. Proprio ora che possiamo scendere da questa cavolo di macchina ti viene in mente di essere polemico?»
«Non sono polemico!» risposte piccato, ma non conoscere quel paese lo mise a disagio. Eppure non c’erano alternative, chissà quanto distava la città successiva e con l’indicatore della benzina rotto – che aveva continuato a segnare sempre mezzo serbatoio da che erano ripartiti dopo l’incidente – non potevano rischiare di restare a secco nel mezzo del nulla.
Diede un po’ più gas e svoltò. Si inoltrarono per circa tre chilometri lungo una strada dall’asfalto smozzicato. I fari illuminavano le buche permettendogli di schivarle solo all’ultimo momento. Possibile che non si fossero decisi a rifarlo? Era in condizioni pietose, di totale abbandono.
Windy Town comparve alla fine di quelle montagne russe senza rotaie aprendosi in una zona pianeggiante, da quello che riuscirono a capire.
E apparve buia nel buio.
Silenziosa, ogni luce era spenta, ogni insegna, nessuna auto in movimento oltre la loro, nessun lampione acceso.
Sembrava stesse dormendo.
Brad rallentò fino a camminare a passo d’uomo tra le sue strade vuote.
Windy Town era piccola, più piccola di quanto avessero mai potuto pensare. Quella che stavano attraversando doveva essere senza dubbio la via principale, la più larga, e tagliava l’intera cittadina. La passarono in pochi minuti e non gli parve vero, a nessuno dei due.
«Tutta qui?» domandò Liz quando vide che non c’erano più case e le altre se le stavano già lasciando alle spalle.
«Non mi piace. Forse dovremmo andarcene.»
«Brady, non ce la faccio più! Voglio scendere da questa cazzo di auto, ok?! Adesso torna indietro e cerchiamo se tra quelle quattro case ci sia anche un motel!»
Brad fece retromarcia e in poche ma lente manovre tornò in città. L’unica strada per lasciarla era quella da cui erano venuti.
«Non vorrai andartene, spero.» Liz lo guardò di traverso.
«Certo che sì, non vedi? È una città fantasma!»
«Fantasma o non fantasma voglio dormire in un letto, stanotte! Fermati!»
«Non essere sciocca-»
«E tu non essere vigliacco!»
Brad la fulminò con lo sguardo. Inchiodò di colpo.
«Fai come cazzo vuoi» sibilò.
Elisabeth non si curò d’averlo ferito, anche se ne era consapevole. Scese in fretta, stringendosi nel maglione.
I fari della Buick illuminavano solo per pochi metri e i contorni tornavano a dissolversi nell’oscurità.
Liz si fermò dove Brad potesse vederla. Con lo sguardo cercava qualche possibile movimento, anche il più piccolo, che potesse dirle che non erano da soli. Ma l’unico rumore era quello del vento che, insidioso, fischiava tra i vicoli e sollevava i capelli.
«C’è nessuno?» chiamò a gran voce. Non importava se era notte e tutti dormivano; nel caso qualcuno avesse protestato, si sarebbero potuti giustificare dicendo di non essere del posto. «C’è nessuno qui?»
Ma nessuno rispose, nessuna luce si accese, nessuna finestra si aprì.
«L’avevo detto che era una città fantasma.» Brad comparve alle sue spalle. Le mani nelle tasche dei jeans e le spalle strette. «Non c’è niente per noi-»
«Proviamo a entrare?»
Quando Elisabeth si impuntava, non c’era verso di farle cambiare idea. Anche lui lo sapeva, ma storse ugualmente il naso per il modo in cui l’aveva ignorato. Con movimenti bruschi si mosse prima che fosse lei a farlo. Se credeva che avrebbero trovato delle porte aperte come se niente fosse stato era solo un’illusa.
Ma quando l’ingresso di quello che sembrava un negozio si spalancò a una leggera pressione, l’unico a sentirsi un illuso fu solo lui.
«A quanto pare non hanno paura dei ladri, qui!»
Liz lo superò incurante della sua espressione; in quel momento desiderava solo ripararsi dal vento. Provò ad accendere la luce ma senza risultati.
«Oh, si direbbe che non ci sia corrente. Tu che ne pensi?»
Brad non riusciva a pensare. Per lui non c’era nulla che avesse un minimo di senso in quel posto e si sentiva a disagio.
Liz, invece, era contenta, su di giri, non le importava di trovarsi in mezzo a una città abbandonata dove ogni porta era aperta e non c’era un’anima. Non ci trovava niente di strano, di sbagliato.
Solo a lui appariva irreale.
«Brady, mi stati ascoltando? Ti ho chiesto che ne pensi! Puoi cercare la centralina e vedere che si può fare per tutto questo buio? Va a finire che rompiamo qualcosa se non stiamo attenti.»
L’unica luce era quella dei fari della Buick, ma puntava in un’altra direzione e tutto quello che riuscivano a carpire da lì erano sagome. In quel negozio ce n’erano tante. Tante forme che non si riuscivano a distinguere.
Liz ne era affascinata. Allungò una mano per toccare qualcosa e sentì solo la morbidezza d’un tessuto.
«Vado a prendere la torcia.»
Lei lo seguì con lo sguardo mentre usciva. A Brad quel posto non sembrava piacere, mentre lei si trovava a proprio agio lontano dalla gente che la guardava di sottecchi, le squadrava i lividi sulle braccia che non sempre riusciva a coprire e non capivano, ma la giudicavano lo stesso. Più di una volta aveva sentito che la chiamavano ‘drogata puttanella’. Peccato che i lividi fossero segni lasciati da sua madre e non dagli aghi e che l’unico ragazzo con cui aveva fatto sesso era stato Brad.
In qualsiasi posto sarebbe arrivata, avrebbero continuato a giudicarla. Occhi sconosciuti si sarebbero sostituiti a quelli di volti noti ma la storia sarebbe rimasta la stessa. Quella città, invece, sembrava essere stata messa lì apposta per lei.
Brad rientrò poco dopo e anche se la torcia non era molto potente, in quell’oscurità sembrò illuminare a giorno.
I tessuti erano ovunque, avvolti attorno a grossi rotoli. A una prima occhiata, Liz pensò che fosse il negozio di una sarta. Sorrise.
«Anche la centralina non funziona.» Brad s’era messo a smanettare dietro al bancone, dove c’era il quadro della corrente elettrica, ma nonostante avesse più volte alzato e abbassato le leve, non era successo nulla.
«L’intera centrale deve essere spenta. Vado a dare un’occhiata. Tu aspettami qui.»
«Ok.»
Brad si fermò di colpo sulla soglia. S’era aspettato di doverla convincere, s’era aspettato di sentirla pregare perché non la lasciasse da sola e invece non aveva nemmeno finto di protestare.
La guardò: era incantata dalle stoffe che poteva solo toccare, ma di cui non riusciva a distinguere colori e fantasie. Era contenta così.
«Vedi che ho bisogno della torcia, rimarrai al buio…»
«Allora andrò fuori a vedere le stelle» rispose pronta. «Tanto si tratta di pochi minuti, che vuoi che mi succeda? Ci siamo solo noi.»
Brad non replicò e insieme uscirono dal negozio, lui con passo stranamente incollerito e lei come se stesse passeggiando.
Salì in auto e osservò, investita dalla luce dei fari, la figura di Elisabeth che si sedeva sul marciapiede e sollevava il volto. Si era messa davvero a guardare le stelle.

Nel momento in cui Brad si fu allontanato con l’auto tutto tornò infinitamente buio.
Non si vedeva niente neppure a un palmo dal naso, nemmeno le forme.
A Liz il buio non aveva mai fatto paura, anzi. Era stato il suo migliore alleato fin da quando per sua madre il bere era divenuto l’unica ragione di vita accettabile.
Nel buio, si poteva nascondere meglio; poteva fingere di essere invisibile. Lo faceva spesso per sfuggire alle mani della donna quando andava a cercarla con l’intento di dargliele.
Ma lì non aveva bisogno di nascondersi perché non c’era nessuno.
Le venne da sorridere: c’erano tantissime stelle nel cielo, immobili come fossero state disegnate. Nemmeno quel vento, che era capace di spezzare rami e ululare, era in grado di spostarle. Se ne avesse vista cadere qualcuna, però, avrebbe potuto esprimere un desiderio. Dentro di sé era sicura che stavolta si sarebbe avverato.
Poi, Windy Town s’accese come un enorme luna park.
I lampioni lungo la strada, le insegne, le luci dei negozi e delle abitazioni, le vetrine. Si illuminò tutto, dando finalmente colore e nomi a quelle che, fino a qualche momento prima, non erano state che sagome e scritte illeggibili nell’oscurità.
Liz aveva la meraviglia negli occhi. S’alzò in piedi e prese a girare su sé stessa come una trottola. O come una bambina che era appena entrata nel più grande negozio di caramelle del mondo.
La bottega in cui erano entrati al loro arrivo era davvero una sartoria, come aveva immaginato. Adesso poteva vedere i colori dei tessuti, le loro fantasie. Corse dentro per toccarli e guardare un po’ tutto ciò che c’era. Un manichino per le misure, bottoni ed elastici, forbici.
A lei sarebbe sempre piaciuto imparare a cucire. Quando era piccola, diceva a suo padre che sarebbe diventata una stilista famosa e che si sarebbe creata da sola il suo abito da sposa. Ma nessuno le aveva mai insegnato come fare. Sua madre non sapeva nemmeno far passare il filo nella cruna dell’ago. Per la maggior parte delle volte, non la vedeva nemmeno la cruna.
Suo padre, invece, aveva sempre riso con divertimento e anche un po’ di orgoglio.
Era da tanto che non pensava a lui. Che non lo ricordava in maniera così insistente. Da quando se n’era andato via, dopo il divorzio, s’era chiesta infinite volte perché non l’avesse portata con sé, perché l’avesse lasciata con quella fallita di sua madre, talmente incapace di prendersi cura di sé stessa ma che non perdeva occasione di dare la colpa agli altri. Forse anche per lui era solo un peso, ma nonostante tutto non riusciva a odiarlo. Non voleva farlo, per poter ancora credere d’avere avuto davvero qualcosa di bello, almeno una volta nella vita. Inoltre, ora c’era Brad e anche se andavano avanti tra alti e bassi, tra litigate isteriche e carezze delicate, sapeva che erano legati in maniera profonda. Perché condividevano lo stesso peso.
«Ma che razza di posto è mai questo?»
Brad era tornato proprio in quel momento. L’espressione sempre incredula di chi non riusciva a capire cosa diavolo ci facesse lì, in mezzo a una città abbandonata, ma dotata addirittura di centrale elettrica funzionante.
«Forse è un vecchio set cinematografico, che ne sai?» Liz era uscita dal negozio, pronta per ispezionare anche gli altri. Era così curiosa.
«Un set? Così grande?!» batté un pugno contro il muro di un’abitazione. «E fatto con edifici in mattoni?! Naaah, non è possibile!»
«Vuoi smetterla di credere di sapere sempre tutto? Che ti frega di cos’è! E’ tutta nostra! Godiamocela!»
Elisabeth la faceva troppo facile, a suo dire, ma era anche vero che per quella sera non si sarebbero mossi oltre, doveva ancora riparare la macchina. Lo avrebbe fatto il giorno successivo, di primo mattino. Sempre che fosse riuscito a trovare qualche pezzo di ricambio.
Brad sbuffò e decise di seguire la giovane senza controbattere. Insieme, camminarono lungo il marciapiede della via principale.
Guardando quegli edifici bassi, Brad non poté non avvertire uno strano senso di familiarità, di conoscenza. Gli parve di essere già stato in quel posto, ma non riuscì ad associarlo a nulla in un primo momento. Eppure più lo guardava, più ne era sicuro: lo aveva già visto.
Intanto, a mano a mano che camminavano, notò che quella città aveva tutto. Tutto quello che poteva servire, che poteva renderla perfettamente abitabile.
C’era la tavola calda, il bar, la lavanderia, negozi vari di abbigliamento e scarpe. Un supermercato.
Brad sgranò gli occhi: come poteva esistere un alimentari se ogni prodotto doveva già essere andato a male da tempo?
«Ho fame» esordì Elisabeth, indicando la tavola calda. «Andiamo a vedere cosa c’è?»
«Non è nemmeno detto che sia commestibile, la roba. Non dimenticare che siamo stati noi ad attaccare la corrente, i frigoriferi saranno di sicuro vuoti. Al massimo avranno scatolame.» E non era sicuro nemmeno di quello. La città doveva essere stata abbandonata da non molto tempo, perché non era in stato di decadimento, eppure… allo stesso modo dovevano essere anni che nessuno ci viveva più. I modelli delle auto parcheggiate non erano certo dei più recenti. Alcuni di quelli ricordava di averli visti in giro quando era bambino.
Nonostante tutto, Elisabeth volle entrare lo stesso nel locale e lui si limitò a seguirla.
L’ambiente era grande, confortevole e dall’arredamento nuovissimo, a occhio e croce.
Brad si sedette al bancone, guardandosi attorno. Ebbe l’impressione che, da un momento all’altro, fosse dovuta comparire una cameriera e invece chi gli si fece dappresso fu solo Liz.
«Cosa ti porto?» scherzò, fingendo di prendere l’ordinazione, ma lui non era proprio dell’umore giusto. Non voleva abbassare la guardia, quella città non lo aveva ancora convinto.
Elisabeth sbuffò un po’ annoiata dal fatto che non volesse partecipare a quello che per lei era diventato quasi un gioco, così andò in cucina per vedere se c’era da mangiare.
La tavola calda aveva un grandissimo frigorifero e una cella capiente. Liz li aprì più per scrupolo, di sicuro dovevano essere stati svuotati. E dire che aveva proprio voglia di un bel-…
«Pollo!»
Lo esclamò con una certa incredulità. Non si sarebbe mai immaginata di trovarne sul serio, invece sia il congelatore che il frigorifero erano pieni di roba. Fredda e congelata.
«Brad! Brady, vieni a vedere, corri!» chiamò a gran voce e il giovane fece un balzo dallo sgabello.
Aveva fatto bene a non abbassare la guardia, si disse, muovendosi verso la cucina, ma quando trovò Elisabeth con quel grosso pollo congelato tra le mani non seppe cosa replicare.
«La roba è tutta fresca. Il frigo è pieno. Ci deve abitare per forza qualcuno qui.»
«Sei sicuro che non sia andata a male?! Come può essere che il congelatore abbia potuto ghiacciare così in fretta? La centrale elettrica era spenta!»
«Ne sono sicurissima. Ho fatto la cameriera, non ricordi? E spesso sono stata in cucina, so riconoscere quando il cibo non è buono e questo è perfettamente conservato.»
Brad controllò subito entrambi gli elettrodomestici, continuando a rimuginare sulla situazione. «Devono essere collegati a qualche generatore secondario, magari a batterie…»
Liz lo lasciò alle sue indagini e si rimboccò le maniche per preparare una bella cenetta.

A fine pasto, Brad fu costretto ad ammettere che il pollo era ottimo, anche se l’aveva mangiato con una certa riluttanza.
Non era ancora riuscito a capire la cosa dei frigoriferi né tantomeno come fosse possibile che il cibo non fosse andato a male, ma aveva già cominciato a perdere la necessità di dover dare una spiegazione a tutto. Iniziava a prendere le cose per quello che erano, in quella città: ovvero senza senso.
Dopo che ebbero sistemato, decisero di fare una passeggiata, per continuare a esplorare Windy Town. O, meglio, fu Liz a convincerlo: voleva riscoprire il piacere di poter camminare per le strade in tutta tranquillità senza avvertire occhiate di disprezzo a ogni passo. Forse era diventata paranoica, ma lei sentiva i loro sguardi quasi come se avessero potuto toccarla.
Camminarono per un po’ fianco a fianco. Il vento faceva loro compagnia fin da prima di arrivare. Sembrava quasi essere l’unico abitante di Windy Town e nonostante fosse freddo, non era una presenza fastidiosa. Girarono per le stradine secondarie, osservarono le palazzine basse che avevano al massimo due piani. Poi Liz lo prese per mano in un gesto spontaneo. Ora che non c’era nessuno a sputarle dietro d’essere una ‘puttanella’, poteva finalmente comportarsi come desiderava. Era bello essere liberi. Era bello davvero.
D’un tratto si fermò, le orecchie tese.
«Lo senti anche tu?»
Brad si fermò dietro di lei, il viso leggermente girato di lato e lo sguardo concentrato.
«Sembrerebbe acqua» decise, alla fine.
«Vieni, andiamo!»
Camminarono controvento senza nascondere i visi al suo soffio deciso. Alla fine delle case, non troppo distante dalla centrale elettrica, c’era un ponte sotto il quale scorreva un fiume.
«Oh! Guarda, Brady!»
Elisabeth lo lasciò andare, correndo avanti. I suoi passi risuonarono sul legno del ponte con un rumoroso ‘toc toc toc’.
Lui la raggiunse con più calma, le mani nelle tasche e l’espressione che non perdeva il piglio serioso.
E così Windy Town aveva anche un ponte.
Il senso di déjà-vu si rafforzava, diveniva quasi un tarlo che lo scavava dentro per cercare di arrivare fino in fondo.
Elisabeth era affacciata alla ringhiera dove il metallo dei piloni si intrecciava al legno della passeggiata e saliva su, in alto, in travi cui erano collegati i cavi d’acciaio che reggevano l’intera struttura affinché non crollasse.
Piano, la giovane si sedette, infilando le gambe tra i vuoti del ferro per farle penzolare nell’aria. Brad prese posto al suo fianco.
Rimasero ad ascolare l’acqua che scorreva. Aveva un bel gorgoglio, quasi musicale.
«Non ti sembra il West Fork?»
Elisabeth lo domandò d’un tratto, mentre lanciava un sassolino tra il metallo del parapetto. La pietruzza scomparve quasi subito e non fece nemmeno rumore.
«Sì.»
«Papà mi ci portava spesso, quando ero piccola. Restavamo sulla riva e mi diceva che sarei diventata una bellissima principessa.» Un altro sasso andò a fare compagnia al precedente, questa volta il ‘pluff’ fu abbastanza forte da essere udito. «Mi diceva che non avrei mai dovuto dimenticare le cose belle che avevamo. E che mi avrebbe sempre voluto bene.»
Liz non gli parlava spesso di suo padre, tranne quando esclamava: ‘se ci fosse stato lui, le cose sarebbero state diverse’. Era la frase che ripeteva sempre dopo averle prese, quando riusciva finalmente a scappare dalla finestra o dalla porta per correre da lui.
«Penso che avesse voluto ripulirsi la coscienza perché sapeva che se ne sarebbe andato e mi avrebbe lasciato con lei.» Lei, sua madre. «L’ho capito quasi subito, ma non volevo accettare che mi avesse detto solo bugie. Preferisco pensare che mi abbia amato davvero. Tanto tempo fa.»
Con la punta delle dita, tutto ciò che spuntava dalle maniche del maglione oversize, si tirò indietro la lunga ciocca di capelli che il vento le aveva fatto scivolare lungo il viso. Aveva preso a spirare più dolcemente, ora, le carezzava la testa ed era piacevole.
La giovane gli sorrise, e quando Elisabeth sorrideva Brad perdeva tutta la sua instabilità.
«Perché non mi parli un po’ di tua madre? Non lo fai mai.»
«Che c’è da dire? È morta.» Si strinse nelle spalle. Poi guardò il fiume, le cui acque erano nere ora che non c’era il sole a illuminarle. «All’inizio, papà disse solo che era partita. Aveva preso l’ultimo treno per andare a trovare un’amica molto, molto lontana. Non sarebbe tornata per un po’. Pensai che fosse strano che la mamma non mi avesse salutato. Di solito lo faceva sempre quando andava da qualche parte.»
Lui al funerale non c’era andato. O, meglio, non ce lo avevano portato; suo padre non l’aveva voluto. Il loro rapporto s’era spezzato lì. Il resto era stato solo una strada in discesa con l’auto in folle.
«Per molti mesi, mi andavo a rifugiare al fiume. Uscivo di casa appena mio padre si addormentava e mi mettevo proprio dove passa la ferrovia. Andavo a sentire il treno di mezzanotte, l’ultimo in arrivo, e mi domandavo se la mamma fosse su quello. Se stava tornando.» Aveva pianto ogni notte. «Sapevo che non l’avrei più rivista, ma anche io, come te, non volevo accettare una realtà peggiore dell’illusione. Ho cominciato a dire che era ‘morta’ e non ‘partita’ solo quando ormai ero divenuto troppo grande per poter credere ancora alle favole.»
Alla fine più che parlare di sua madre, gli aveva parlato di sé.
«Brad?»
Liz esordì dopo un lungo silenzio, durante il quale erano rimasti a sentire il rumore del fiume.
«Anche a te Windy Town ricorda Weston?»
Sì, gliela ricordava, e il senso di déjà-vu si sciolse nella consapevolezza di averlo capito già da un po’.
Avevano le stesse strade, le stesse abitazioni. La stessa ‘struttura’. Avevano il fiume e quando udirono il fischio in lontananza spezzare la notte capì che avevano anche il treno.
Windy Town era la Weston dei loro ricordi, quella in cui erano stati felici. Era la casa che non avrebbero mai potuto dimenticare anche se faceva male. Era le radici che appartengono a ogni uomo e anche se marciscono lentamente non te ne puoi disfare. Era il posto dove avrebbero voluto ricominciare, il posto solo loro, ma non potevano rimanere perché troppo vicino alla vera Weston.
Non potevano rimanere perché era troppo irreale per essere reale davvero.
«Sì.»
Quella notte scelsero di dormire nell’appartamento sopra al negozio di tessuti. A Elisabeth piaceva perché era piccolo, su misura per loro due. Non si domandarono perché sotto i cuscini c’erano due pigiami della loro taglia.
Rimasero stretti nel buio al calore dei loro corpi e delle pesanti coperte senza raccontarsi altro, senza domandare. Si addormentarono senza la paura d’essere trovati.

«E anche questo è a posto.»
Brad lanciò lo straccetto sporco di grasso sul lato passeggero.
Quella mattina si era alzato presto per riparare i danni alla Buick. Windy Town era stata generosa anche in quello: aveva un’officina con l’occorrente che faceva al caso suo.
Aveva cambiato il faro rotto e il vetro scheggiato del parabrezza. Aveva controllato il motore, sostituito l’olio e un paio di candele che l’urto aveva danneggiato. Col semiasse aveva fatto un vero miracolo. Per ultimo si era lasciato l’indicatore della benzina, ora perfettamente funzionante.
Abbassò nuovamente la testa sotto al volante per mettere a posto i fili.
«Ma non sarebbe meglio prendere direttamente una macchina nuova?»
Liz comparve accanto alla portiera aperta. Le mani reggevano almeno sei buste ciascuna. Sembravano piene di abiti.
Lui la squadrò, inarcando un sopracciglio.
«Credi sia semplice falsificare un libretto di circolazione che, tra le altre cose, nessuna delle auto qui in città possiede?»
«Hai già controllato?»
«Certo.» Uscì dalla vettura e la affiancò. «Chiunque abbia portato queste auto non ce le ha messe perché affrontassero grandi viaggi. Qui dovevano conoscersi tutti. Secondo me non avevano nemmeno la patente.» Poi accennò col capo in direzione delle buste. «Inoltre, credo che abbiamo rubato già abbastanza.»
Lei si illuminò. «Avevamo bisogno di qualche abito nuovo! Guarda cosa ti ho preso!» Dai tanti pacchi cavò un bel maglione che gli appuntò sul petto per valutare la taglia. «Ti sta a pennello! Ti piace? Ho preso anche delle t-shirt e un paio di pigiami. E le sciarpe!»
Brad rise nel vederla così su di giri, felice. Si stava divertendo. Non sapevano nulla di quel luogo, di cosa ne sarebbe stato di loro, di quanto sarebbe durata la loro fuga, ma non le importava, andava bene così ed era felice.
«Hai svaligiato l’intera Windy Town?»
«Preso in prestito.» Ci tenne a sottolineare. L’entusiasmo scemò. «Non sono una ladra.» Senza guardarlo negli occhi mise via il maglione.
«Lo so, nemmeno io.»
Cercavano solo di riprendersi la loro libertà. Non era reato rubare qualcosa che gli era sempre appartenuto, no?
«Mi piace molto quella maglia.» Cercò il suo sguardo ed Elisabeth glielo concesse. Verde, tra capelli scuri che ricadevano sul viso. Glieli spostò piano dietro l’orecchio, stando attento a non sporcarla troppo con le dita che puzzavano di olio per motori.
Lei si sollevò un po’ sulle punte e lo baciò. Un tocco a fior di labbra.
Era in queste piccole cose, in quest’intimità delicata, che si sentivano più adulti. Perché il loro amore non era la necessità di avere qualcuno accanto su cui scaricare le frustrazioni, ma la certezza di potersi fidare e mettere a tacere il dolore.
«Vai a fare le valigie. Ripartiamo dopo pranzo.»
«E’ proprio necessario? Non possiamo restare qui un altro po’?»
«Siamo ancora troppo vicini a Weston… ci troverebbero subito.»
Elisabeth non replicò. S’allontanò da lui in direzione di casa o quella che, per una sola notte, era stata ‘casa’ per loro.

Pranzarono col pollo avanzato dalla sera prima. Liz preparò dei tramezzini per il viaggio e altre cose da piluccare qualora avessero avuto fame.
Ripartirono come programmato, percorrendo a ritroso la stradina sterrata e piena di buche.
La County Road 9 si presentò come la sera prima: silenziosamente sgombra. Sembrava che nessuno fosse transitato da quelle parti oltre loro.
Brad s’accorse di come Liz guardasse il cartello per Windy Town, nello specchietto laterale, fino a che non scomparve. Dopo alcuni chilometri anche il vento si dissolse in un saluto.
Guidò in silenzio come in silenzio rimase Elisabeth, perduta con lo sguardo fuori dal finestrino, solo la radio passava una vecchia canzone. Nel cielo, il sole non era già più visibile, nascosto dai rilievi che continuarono a essere sempre uguali come la strada: un’unica via dritta senza bivi né cartelli. La County Road 9 era divenuta infinita.
«Quando ci fermiamo, Brady?» Liz lo domandò tra veglia e sonno, rannicchiata sul seggiolino.
«Alla prima stazione di servizio. Dovrà pur essercene una, che diavolo!»
L’occhio gli cadde sull’indicatore della benzina: segnava sempre il serbatoio pieno anche ora che stava calando la sera. Si era rotto di nuovo. Gli parve assurdo visto che quando lo aveva riparato funzionava alla perfezione.
«Non la troveremo mai.» Liz aprì e chiuse gli occhi. «Non troveremo mai nulla. Non esiste nulla oltre queste montagne.» Si strinse nella coperta e non aggiunse altro.
Lui avrebbe voluto replicare ma qualcosa gli disse che forse era proprio così. I paesaggi tutti uguali, la strada che non aveva fine, nessuna macchina oltre la loro, nessun’altra persona.
Stavano girando in tondo: andavano avanti, ma era come tornare indietro.
Poi rallentò quando, sull’asfalto, i fari illuminarono meglio i lunghi segni di una frenata che si infrangevano contro un guardrail spezzato, aperto verso la boscaglia.
Déjà-vu.
L’indicatore della benzina fisso, immobile come il tempo che scorreva uguale lungo i giorni.
La voce di Elisabeth emerse un’ultima volta prima di addormentarsi.
«Quanto è lontana Windy Town?»
Windy Town.
Tutto ciò che avevano trovato su quella strada senza fine. Un’intera città solo per loro che avrebbe potuto essere la loro città.
Liz lo aveva capito per prima perché gli animali comprendevano le cose per istinto e l’istinto era più veloce del ragionamento che lui s’era sforzato di usare nel tentativo di dare risposte a domande di cui, in realtà, non gli importava nulla. In quel cercare di capire non s’era accorto che il loro viaggio era già finito.
Brad le prese la mano, sorrise.
«Arriveremo non appena s’alzerà il vento. Ormai manca poco.»
In lontananza attese di scorgere il vivo oscillare delle fronde.

 

No car for kissing and nowhere to go /
Nessuna auto per baciarsi e nessun luogo dove andare,
Except inside each other and I loved you so /
Tranne l’uno dentro l’altro e ti ho amato così.
I held your face as you shivered in the rain /
Ho preso il tuo volto appena hai tremato nella pioggia.
Girl I'll always love you and I'll love you again /
Ragazza ti amerò per sempre e dopo ti amerò ancora.

Oh everytime, everytime /
Oh, ogni volta, ogni volta.
Every time that cold wind blows /
Ogni volta che quel vento freddo colpisce,
every time I hear that sound /
ogni volta che sento quel suono,
late night trains shunting down by the river /
treni a tarda notte smistati verso il fiume,
I remember windy town /
io ricordo Windy Town.

Chris ReaWindy Town

Fine


Note Varie:

Weston esiste davvero. Così come esistono New Milton, Blandville, Weste Union, Greenwood e Camden.
Esiste Point Pleasant e la leggenda del suo Uomo Falena.
Esiste la County Road 9.
Esiste il West Fork River.
Esiste la Buick Skylark (XD)
L’unica cosa: è che per Weston non passa la ferrovia <3, ma il fiume sì.
Città e luoghi si trovano tutti nel West Virginia.
La canzone mi è piaciuta così tanto che mi ha ispirato varie cose presenti nella storia: il nome della città immaginaria di Windy Town, in primis XD, poi la citazione sui treni notturni lungo il fiume e altre cosette! :D

Ringrazio moltissimo Rubysage per aver indetto questo concorsino e per la pazienza (XD questa storia mi ha fatto un pochino sudare)!

   
 
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