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Autore: benzodiazepunk    11/10/2011    2 recensioni
Uno scorcio di vita quotidiana, una ragazzina che osserva e vive; scuola, amici, autobus.
E poi un qualcosa... qualcosa che può accadere se non conosci le persone ma le vorresti conoscere...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 1 - Un giorno come tanti
 
Ore 07:33
L'autobus arriva, lo vedo in fondo alla strada.
Mi stacco dal muro a cui sono appoggiata, nelle orecchie "The Kill" dei 30 Seconds to Mars; mi avvicino al bordo del marciapiede e sporgo con gesto meccanico il braccio. Dietro di me si muovono anche gli altri, parte della mia bus-famiglia. Ci vediamo tutte le mattine, lottiamo per il posto tutti i giorni, camminiamo insieme quando il bus non passa. Finiamo per conoscerci un po' anche se non sappiamo i nostri nomi e non ci siamo mai parlati.
Il 2 mette la freccia e si ferma.
In mezzo, appoggiato alla porta, c'è quel ragazzo.
L'ho già visto molte volte, è un altro che prende sempre l'autobus con me, è di famiglia.
Bus-famiglia.
Deve avere sui quindici anni, capelli scuri, cuffie come me, sguardo che vaga e si fissa, come il mio.
Mi attrae nel senso che ne sono incuriosita.
Mi chiedo come possa chiamarsi, o che classe possa frequentare. Che sia della mia scuola lo so già dato che l'ho visto in giro per l'istituto qualche volta.
Entro spingendo perchè non c'è posto stamattina, il pullman è più pieno del solito e le porte faticano a chiudersi dietro di me. Mi appoggio alla plastica nera e infilo una mano di fianco per tenermi alla sbarra della porta.
Davanti a me un tizio rozzo e volgare mi si appoggia addosso con lo zaino; normale quando c'è tanta gente, non ci faccio caso più di tanto.
Il ragazzo di fianco a me si appoggia con la spalla alla porta, lo sguardo perso fuori. Si appoggia col fianco alla mia mano... mi volto e lo guardo ma lui non si accorge. Ha occhi scuri, ciglia folte e nere come i capelli lisci e coperti dal berretto, una sciarpa nera come quella che ho anch'io a casa, grosse scarpe nelle quali scompaiono i jeans. Le maniche della felpa, che lascia intravedere una maglietta colorata e dalla stampa insanguinata, coprono parzialmente le mani nel tentativo di scaldarle.
Io ho i miei guanti tagliati che non sono molto più efficaci in realtà.
Si appoggia alla mia mano sempre di più, sento il suo peso contro di me.
Le canzoni cambiano nelle mie orecchie: Attack, Forgotten children, Otherside.. anche lui prende il telefono e cambia la sua musica.
L'autista non apre più le porte, ha visto che siamo già troppi qui, anche solo un'altra persona e l'autobus potrebbe esplodere.
Il ragazzo non riporta le mani nelle tasche, si appoggia lievemente al mio fianco sinistro con la mano ma non mi guarda. All'inizio è così lieve il suo tocco che non me ne accorgo nemmeno, guardo gli altri; ma poi mi volto e lo sento, il suo peso contro la mia mano, la mia gamba che è quasi tra le sue, il suo piede distrattamente contro la mia scarpa, la sua mano sul mio fianco; siamo vicini, ma c'è tanta gente ed è normale.
Alla fine arriviamo al teatro, la fermata in cui il bus si svuota.
Le porte si muovono a fatica e lui mi appoggia una mano sulla spalla mentre si aprono dietro di me, come per scostarmi, come per proteggermi forse?
Scendiamo entrambi per far scendere gli altri, risaliamo che è vuoto o quasi. Lui si appoggia nell'angolo sinistro delle porte, io nel destro di fronte a lui.
La stazione è la fermata capolinea, quella obbligatoria dove il 2 si riempie di nuovo. Una massa umana ci allontana, ma io mi riavvicino a fatica per tenermi alla sbarra, lui sempre contro le porte di nuovo di fronte a me.
Ma la prossima è la mia fermata, il liceo scientifico.
Suono.
Si ferma.
Scendo.
Lui si scosta per farmi passare, io me ne vado senza guardarlo.
Ecco che inizia una nuova giornata. Angelica è seduta dietro la colonna e mi sorride, come tutti i giorni; Amedeo parla con sua sorella, la campanella suona, dentro Natasha e Valeriya ci aspettano.
E poi in classe, 4° G, primo piano.
Mancano ancora dieci minuti abbondanti all'inizio effettivo delle lezioni, poi abbiamo latino per ben due ore.
"Ho visto la Pittaluga al cinema ieri sera, a vedere Jane Eyre"
"I verbi di inglese non li so. Più o meno sì ma tutti no"
"Andiamo in centro a fare colazione oggi che usciamo alle 11:00?"
"Ma dovremmo studiare scienze..."
Suona la campanella che ci zittisce tutti o quasi.
Noia per due ore, devo tradurre e non sono capace. Ma la prof è brava, mi aiuta, mi barcameno nella costruzione e tra i nomi delle proposizioni, ne esco indenne. E la prof ora parla, parla, parla parla parla parla, ma è logorroica; e io intanto scrivo.
Ciò che segue sono giusto dieci minuti di intervallo che non basteranno mai per riposare davvero, e poi inglese. Chiacchieriamo io Naty e Ange, Vale vuole fare un giro tra i corridoi.
La prof entra stanca, non sta molto bene, eppure l'ora passa svelta e, strano ma vero, si va già a casa.
Penso ancora a quel ragazzo. Strano, davvero strano. Magari domeni lo rivedo, e chissà che non gli chieda quanti anni ha. O come si chiama.
Ma magari non c'è più, è questione di famiglia.
Quelli davvero di famiglia ci sono sempre, gli altri stanno un po' e poi non li vedi più e non si può mai sapere chi rivedrai e chi no fino a quando non inizia una nuova mattina.
 
  
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