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Autore: Vattelapesca    11/10/2011    5 recensioni
Ho scritto tante cose, ma questa è la mia prima FanFiction in assoluto. Ero curiosa di provare.
La guerra è finita ed il mondo magico è finalmente libero. Ma il dolore per i caduti sembra qualcosa destinato a non finire. Dal primo capitolo: E lui, Harry, in prima fila assieme a tutta la famiglia, addirittura prima di zia Muriel, non poteva sentirsi più estraneo. Era a mille miglia di distanza da tutto e da tutti, dal pianto disperato di Molly Weasley, dallo smarrimento sulla faccia pallida di Lee Jordan, dal dolore soffocato di Fleur e Bill, da quello puro di George, dalle mani intrecciate di Ron e Hermione e dal viso duro di Ginny che lo fissava fiera con gli occhi lucidi di lacrime.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ps: ho riformattato i primi capitoli dal 3/1/12, la storia non cambia di una frase, si tratta solo di forma.


1. A thousand miles away
 
Molto probabilmente Hogsmeade non era stata mai così affollata, o, meglio, forse lo era stata solo in un'altra occasione. Ed anche molto simile, in effetti.
Se non fosse stato per la tragicità che aleggiava sul motivo di tutti quegli avventori Madama Rosmerta non avrebbe potuto essere stata più felice, non solo aveva riempito tutte le stanze disponibili in un batter d'occhio, ma aveva anche incrementato follemente gli incassi. Ormai, infatti, non si potevano più contare tutti i clienti che ogni giorno le riempivano il locale, consumando litri di burrobirra e dando fondo alle sue migliori riserve di Whiskey Incediario.
Il fatto che un certo ragazzo occhialuto con una cicatrice in fronte avesse soggiornato per un giorno in una delle stanze, poi, aveva quadruplicato l'affluenza, anche se in realtà nessuno era riuscito a vederlo.
Harry Potter aveva davvero preso una stanza da Rosmerta, raccomandandole una massima discrezione che, però, non era stata proprio rispettata. Fuggendo a gambe levate dalla miriade di ammiratori, aveva fatto velocemente i bagagli e si era smaterializzato direttamente nel salotto di Aberfoth Silente, meritandosi un gran numero delle sue migliori imprecazioni, ma salvo.
Seduto sul materasso sfondato e, stando alle esperienze della Cooman, molto probabilmente pieno di pulci, Harry si chiese perché mai era arrivato con tanto anticipo. La cerimonia si sarebbe svolta da lì a due giorni e lui si sarebbe potuto materializzare davanti ai cancelli di Hogwarts anche solo un minuto prima dell'inizio. Non aveva nessun motivo a giustificarlo, certo, Hogmsmeade era piena, ma di curiosi che speravano di vedere qualcuno di importante, di famoso, qualcuno come lui.
Si era andato a cacciare dritto dritto nella tana del lupo, come aveva fatto a non prevederlo? Lo tormentavano da quando era nato, figurarsi ora che aveva dimostrato di essere davvero il Prescelto.
Stropicciandosi gli occhi da sotto le lenti tonde si buttò con la schiena sul letto, producendo un sinistro cigolio di molle.
Volevi fuggire, gli disse una vocina dentro la testa. Volevi fuggire perché non riesci più a sopportare tutta quella tristezza.
Si ricordava perfettamente lo scoppio di gioia che aveva accompagnato quell'alba, ormai più di un mese prima, la gente che si abbracciava in preda ad una felicità convulsa, quasi disperata, e poi feste ogni dove, maghi che giravano per le strade senza preoccuparsi di vestirsi da babbani, il ministero della magia appena riformato che non riusciva ad arginare la situazione, che non voleva arginare la situazione. “Proprio come l'ultima volta” diceva chi ci era stato, con un'unica differenza, però, quella volta era finita, era finita davvero.
Ma tutto quel dolore, sarebbe mai finito? Perché il dolore era presto arrivato, aveva spazzato via la gioia in un unico colpo, inarrestabile, il dolore per i caduti, amici, mariti, genitori e figli. Come Fred.
Harry rammentava il vento leggero che faceva ondeggiare i cipressi del cimitero di Ottery St.Catchpole in quel giorno tiepido di metà Maggio, quando Fred Weasley fu sepolto sei piedi sotto terra, per sempre.
La tomba spiccava bianca in mezzo a tutte le altre, incrostate di muschio e con le incisioni erose dal tempo, portavano tutte il nome Weasley in quel lato del cimitero. Harry non c'era mai stato prima, quel posto gli ricordava terribilmente il piccolo cimitero di Godric's Hollow dove, assieme alla famiglia di Silente, riposavano i suoi genitori.
La vista dei Weasley era un misero spettacolo: la signora Weasley, scossa dagli stessi singhiozzi che non l'abbandonavano da giorni, si sorreggeva al marito e a suo figlio Charlie, Bill e Fleur stavano vicini in silenzio, il volto di lei era rigato dalle lacrime ma l'espressione era controllata in una smorfia non ben riuscita, Ron era rimasto in piedi, rigido come un manico di scopa per tutto il tempo, con un'espressione accigliata, finché il sacerdote non aveva estratto la bacchetta ed aveva inciso sulla lapide contrassegnata dal simbolo che riconosceva lo stato di eroe di guerra il nome di Fred e la data di morte e lui non aveva più retto, scosso da brividi aveva cominciato a piangere senza ritegno, allora Hermione, borbottando qualcosa di molto simile a “per l'amor del cielo”, si era asciugata il volto bagnato di lacrime e aveva afferrato la mano di Ron con tanta decisione da sembrar di volergliela staccare. Lui l'aveva abbracciata con forza, facendo sparire il volto nella sua spalla e continuando a piangere, in silenzio.
Harry si era sentito così estraneo al tutto da desiderare di voler correre a gambe levate, si sentiva talmente in colpa da riuscire a malapena a guardare Ginny. Era bella con quel serio vestito nero, era bella anche con quei segni lividi sotto gli occhi rossi e gonfi di lacrime, per lui era bella ed avrebbe voluto dirglielo. Ma non avrebbe mai osato, come avrebbe potuto, in quel momento. Avrebbe anche voluto andare lì da lei e, semplicemente, passarle un braccio attorno alle spalle, ma non lo fece.
Gli ci sarebbero voluti solo pochi passi, ma era rimasto lì, fermo imbambolato ad osservare la bara che calava nella terra.
Lo spettacolo più terribile, era senza dubbio George. Aveva insistito ad non indossare il nero come tutti, quel giorno. Indossava un completo magenta, e non poteva apparire più misero di così.
La sua espressione era puro dolore, faceva male a guardarlo, Harry pensava di non aver mai provato un dolore così forte come quello di George in vita sua. Nessuno aveva saputo cosa dirgli, tentare di consolarlo sarebbe quasi stato offensivo, solo Percy stava vicino a lui. Inspiegabilmente era stato l'unico a stargli accanto in tutto quel tempo, ed era l'unico anche ora, nel giorno dell'estremo addio.
E lui, Harry, in prima fila assieme a tutta la famiglia, addirittura prima di zia Muriel, non poteva sentirsi più estraneo. Era a mille miglia di distanza da tutto e da tutti, dal pianto disperato di Molly Weasley, dallo smarrimento sulla faccia pallida di Lee Jordan, dal dolore soffocato di Fleur e Bill, da quello puro di George, dalle mani intrecciate di Ron e Hermione e dal viso duro di Ginny che lo fissava fiera con gli occhi lucidi di lacrime.
 
E poi i giorni si erano fatti ripetitivi; i pasti silenziosi alla tana, qualche isolato scoppio di gioia seguito dal senso di colpa, i racconti del loro viaggio, e poi, un'altro funerale, ed un'altro ancora e ancora. Lupin e Tonks, sepolti accanto, loro figlio in braccio alla nonna che rideva, ignaro che sarebbe cresciuto senza di loro. Il piccolo Colin Canon ed altri innumerevoli studenti che lui conosceva a malapena. Non era riuscito a rifiutare gli inviti, non erano riusciti a rifiutare gli inviti. In quel periodo sembrava che lui, Ron e Hermione non facessero altro che andare ad un funerale. La loro vita si era trasformata in quello.
E poi, infine, Piton. Quello più difficile.
Era stato ad Hogwarts, poco lontano dalla tomba di Silente. Harry aveva insistito così tanto che alla fine gli avevano dato retta. La cerimonia era stata corta e vuota, loro tre, che sapevano, e pochi altri che avevano saputo, ma che non avevano capito.
Tutte quelle tombe bianche con quel simbolo, quella ghirlanda intrecciata ad una H – l'h di eroe – ed a una bacchetta, l'aveva perseguitato nei sogni per settimane, anche ora se chiudeva gli occhi poteva vederle.
Così se ne era andato, aveva preparato i bagagli e, mancandogli il coraggio di dirlo di persona alla signora Weasley o ai suoi amici, aveva lasciato un biglietto con scritto che aveva alcuni affari da sbrigare e che si sarebbero rivisti tutti a Hogwarts di lì a qualche giorno.
Ma adesso cosa avrebbe fatto? Uscire era impensabile e non aveva alcuna voglia di rimanere rinchiuso lì tutto il tempo. Nella mente gli balenò l'immagine del numero dodici Grimmauld Place, ma scartò la possibilità immediatamente, quel posto l'avrebbe solo aiutato a deprimersi ancora di più, se possibile. Certo, prima o poi ci sarebbe dovuto tornare, ma il momento gli sembrava collocato in un futuro incerto e lontano. Un'altra cosa ,però, gli venne in mente a proposito della casa che aveva ereditato dal suo padrino. Si alzò di scatto dal letto, provocandosi un giramento di testa, e quasi in un sussurro chiamò.
“Kreacher!”


 
  
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