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Autore: mysticmoon    18/06/2006    5 recensioni
Anno 1998.
Il mondo è cambiato molto dal giorno in cui un ragazzino dai capelli scuri scoprì di essere un mago destinato a Hogwarst.
Il sangue di molti maghi è stato versato.
Voldemort è ancora su questa terra.
Il tempo della scuola è finito.
Ed anche il tempo dell'amicizia.
Cosa è accaduto a Harry, Ron e Hermione?
Come ha potuto un'amicizia così salda andare in frantumi?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Vi Odio

Vi Odio

Tutti Quanti

 

Una breve introduzione prima di lasciarvi alla lettura di questa fanfiction.

E’ nata all’improvviso e non so neanche come sia venuta fuori in questo modo, ma questo è il risultato finale di una strana ispirazione del primo sabato davvero libero da parecchie settimane.

Questa piccola nota serve  per permettervi di capire meglio i cambiamenti dei caratteri di scrittura che incontrerete nella storia: le parole scritte in grassetto corsivo sono scritti  i fatti e i dialoghi avvenuti nel passato tra Harry e degli altri personaggi; mentre ciò che è stato scritto in corsivo grassetto sottolineato sono i discorsi particolari tra due personaggi.

Capirete in seguito perché ci tengo che a colpo d’occhio appaiano diversi dagli altri discorsi.

Aspetto con ansia i vostri commenti.

Ah, aggiungo che questa storia è stata scritta dopo la lettura dei primi cinque volumi della serie, quindi vi chiedo di perdonare gli eventuali “morti viventi” o errori che sono tali alla luce dei fatti del sesto libro.

 

Scostò le tende con cautela, quasi queste potessero ferire le sue mani già coperte di candide bende e la tenue luce di quell’uggioso pomeriggio fosse in grado di danneggiargli la vista.

-         Piove…

La sua voce atona cadde nel vuoto di quelle quattro pareti.

-  Anche quel maledetto giorno pioveva… oppure ricordo male?

Altro silenzio accolse le sue parole.

Non c’era più nessuno in quella casa.

Lo sapeva che lì non c’era più nessuno.

Il problema era che sperava di aver sognato tutto ciò che aveva rovinato la sua vita.

- Vi odio!

- Vi odio tutti quanti!

- Vi odio!

- Non voglio mai più vedervi!

- Andatevene e non tornate mai più!

- VI ODIO!

- VORREI NON AVERVI MAI INCONTRATI!

Quella voce aspra e piena di rancore risuonò nuovamente nelle sue orecchie.

Tutti i giorni risuonavano quelle maledette parole.

Quei “Vi Odio” che gli avevano ferito gli orecchi.

Quei “Vi Odio” che il suo maledetto carattere gli aveva fatto pronunciare in quel pessimo momento.

Guardò il piccolo quadro appeso accanto alla parete.

All’interno della cornice c’era una foto magica.

Risaliva a qualche mese prima.

Quando l’aveva appesa per la prima volta, in un luogo ed in un tempo che sembravano lontani una vita, non era una foto che lo ritraeva seduto ad una lunga tavolata completamente solo.

Prima erano tutti a tavola, riuniti nel giardino di casa Weasley.

Ron, Hermione e Ginny, uniti in un abbraccio, scherzavano e ridevano in primo piano, mentre Grattastinchi correva sullo sfondo, inseguendo uno gnomo.

Leotordo vorticava in aria, inseguendo una scocciata Edvige e infastidendo la signora Molly, che serviva patate arrosto ai presenti.

Il marito chiacchierava con Bill e Fleur Delacour, teneramente abbracciati, mentre Charlie e Remus Lupin osservavano incantati gli effetti delle Pastiglie Sputafuoco dei gemelli.

C’erano ancora Percy e Malocchio Moody.

Non si erano mai trovati in accordo e nella foto si sfidavano con lo sguardo.

Nella realtà, in quel preciso momento, giacevano in due fosse, poco distanti l’una dall’altra, nel cimitero magico di Dedham.

Alastor Moody era ridotto ad un ammasso di carne quando l’avevano ritrovato, vivo ma ormai condannato.

Per quanto riguardava Percy.... Percival Weasley era morto per proteggere la madre dall’attacco del Lestrange.

In quella foto erano tutti felici.

Erano tranquilli.

Erano uniti.

Ora nella foto non c’erano altri che lui, Harry Potter, seduto in un cantuccio, che masticava controvoglia le patate della signora Weasley.

Quanto era passato esattamente dal momento in cui era stata scattata?

Un anno?

No, molto meno.

Guardò il calendario appoggiato sul tavolo polveroso.

Tre giorni dopo sarebbero stati otto mesi esatti da quello scatto.

Era una foto scattata in marzo, per le festività pasquali.

Tutti gli anni, per ogni Pasqua della sua vita da mago, c’erano state risate e uova di Pasqua fatte dalla signora Weasley, i sorrisi di Ron e le raccomandazioni di Hermione per gli esami che le apparivano imminenti a dieci settimane di distanza dal loro svolgimento.

Adesso cosa gli era rimasto?

Un ceppo che ardeva nel camino parve rispondere al suo interrogativo.

Ora non aveva nulla, se non quella casa.

Un salotto ed una cucina, un’abitazione spoglia e piena di spifferi, con i vetri sporchi e le tende tarmate, il caminetto con poca legna ed un fuoco morente che mandava riflessi sanguigni sulle pareti, coperte da una carta da parati verde scuro, sporca e scollata in più punti.

Era lì che abitava.

Era quello il suo unico rifugio.

La casa dei Dursley… neanche a parlarne.

La Tana… non dopo quel “vi odio”.

Hogwarts… non più.

Non c’era nessuno che si recasse da lui per sapere come stava.

Nessuno, mago o gabbano, aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a quel tugurio.

Gli umani ne avevano paura perché credevano che vi abitasse un disadattato drogato, magari un estremista pronto a qualche folle gesto.

I maghi invece non immaginavano che il celebre Harry Potter abitasse in quella casa.

Nessuno voleva più saperne di lui e lui ricambiava l’interesse.

Li aveva insultati.

Li aveva feriti.

Aveva detto chiaramente che li odiava.

Ma era vero?

Harry Potter si specchiò sul vetro del quadro.

Vedeva la pallida cicatrice a forma di saetta, irritata come non mai da quando aveva sfidato Voldemort l’ultima volta.

Vedeva i capelli neri, lunghi e più ingarbugliati che mai, talmente sporchi da puzzare.

Vedeva i suoi occhi.

Ricordava le foto che ritraevano sua madre Lily.

In ogni foto i suoi occhi brillavano.

I suoi erano opachi.

Era così da quando aveva fatto del male alle uniche persone che avesse mai amato.

- Expelliarmus!

-  Harry… no!

- Impedimenta!

-  Basta Harry!

-  Tarantallegra!

-  Harry smettila!

-  Rictusempra!

-  Harry… Harry…

-  Serpensortia!

-  Harry caro…

-  State lontani!

-  Harry…

-  State lontani o lo aizzo!

-  Harry!

-  Andatevene!

-  Harry…

-  Vi odio!

Poi tante grida di terrore.

Ed uno solo di dolore.

Il giovane colpì il muro con un violento pugno.

Immediatamente le bende della mano destra si tinsero di rosso.

Harry Potter… gli amichetti… salvare… proteggere gli amici di Harry Potter…

-  Vi odio.Vi odio tutti quanti. Vi odio con tutto il cuore! Vorrei non avervi mai incontrato! Voglio solo che stiate alla larga da me! Alla larga!

 

Guardò la foto che avevano scattato otto mesi prima alla Tana.

L’aveva appoggiata sulla scrivania, dove poteva guardarla più spesso.

C’erano tutti… tranne Harry.

Lui se n’era andato quel maledetto giorno.

Quelle parole le avevano fatto più male di quel morso.

- Vattene, sporca Mezzosangue!

Il grande serpente scattò.

Un forte dolore le attraversò la gamba destra come una scarica elettrica e gridò.

Sentì a malapena il dolore del suo corpo che crollava a terra.

Udì da grande distanza le grida orripilante dei presenti.

Vide il mondo divenire sempre più sfocato.

Poi il buio ed il  nulla…

-  Sono stata davvero fortunata- disse ad alta voce, guardando i sorrisi di coloro che animavano la foto- Sono stata molto fortunata. Ma allora perché mi sento così triste?

-  Vi odio!

-  Per lui?

-  Vi odio.

-  Perché per lui?

-  VI ODIO!

-  Perché l’ha fatto?

-  VI ODIO!

-  Perché l’ha fatto?

-  VI ODIO!

-  Perché l’hai fatto, Harry?

-  VI ODIO! VORREI NON AVERVI MAI INCONTRATO! VI ODIO! VI ODIO TUTTI QUANTI! NON VOGLIO AVERE NULLA A CHE FARE CON VOI! STATE ALLA LARGA DA ME!

-  Harry… perché? Perché ci hai fatto questo?

Hermione Granger portò le mani al viso e ve lo nascose.

Calde lacrime scendevano sul suo volto e bagnavano le sue mani e le ciocche di capelli che erano finite tra le dita.

Lacrime di dolore.

L’adorato Grattastinchi balzò con leggerezza sulla scrivania e strofinò il muso contro le sue mani, ma neanche lui era in grado di lenire quel dolore.

Un ritmico picchiettare la riscosse dai suoi pensieri.

Una candida figura la osservava dall’altra parte del vetro.

-  Edwige…- sussurrò Hermione, poi si accasciò sul piano di legno chiaro e continuò a piangere come se non potesse mai più trovare consolazione.

La civetta scostò la finestra semiaperta ed andò a posarsi sul trespolo che la ragazza aveva posizionato in un angolo, con la sua lettera ancora legata alla zampa.

 

-  Vi odio.

PAM!

Un serpente che appare dal nulla.

PAM

-  Vi odio.

PAM

Il serpente fissa Hermione con i suoi piccoli occhi, gialli e freddi.

PAM

-  Non voglio più vedervi.

PAM

Hermione cade a terra, con la gamba morsa dall’animale.

PAM

-  Non tornate mai più.

PAM

Hermione al San Mungo, che giace inerme in quel letto e gli sorride debolmente mentre lui, rosso fino alle orecchie, le porge un mazzo di orchidee.

PAM

-  State alla larga.

PAM

-  VI ODIO TUTTI QUANTI!

PAM

- Sono io che odio te, Harry Potter!

Un grido di pura rabbia fuoriescì dalle labbra del sudato ragazzo che stava prendendo a pugni un sacco sul retro della sua povera abitazione.

Suo padre gli aveva consigliato di sfogarsi con quel tipico metodo babbano e Ron Weasley trovava che aveva perfettamente ragione.

Immaginare che quel sacco pieno di sabbia fosse Harry Potter lo aiutava a sfogare tutta la rabbia che covava dentro da più di sei mesi.

Non l’avrebbe perdonato.

Di questo era certo.

Aveva aizzato quel serpente contro la loro migliore amica e c’era mancato davvero poco che lei non perdesse la vita.

-  Il veleno è già in circolo… non sappiamo come reagirà alle cure… è un veleno davvero potente... faremo il possibile per aiutare questa ragazza… non vi  promettiamo nulla… tenteremo il possibile…

La fortuna aveva voluto che Hermione reagisse bene.

Adesso Hermione era a casa ma non l’aveva più vista da quando era uscita dal San Mungo.

Aveva usato uno strano attrezzo dal nome bizzarro, chiamato feletono per contattarla, ma lei non era mai in casa.

Aveva persino affidato ad Edwige, che era passata alla Tana per un motivo sconosciuto, un messaggio per lei.

Sapeva che Hermione era la persona che si curava di lei dopo quel maledetto giorno.

Con rabbia, colpì nuovamente il sacco.

Odiava Harry Potter!

Lo odiava e mai e poi mai l’avrebbe perdonato.

 

Hermione srotolò con timore il piccolo pezzo di pergamena.

 

Ciao Hermione!

Come stai?

Ci manchi tanto.

Ti va di venire qualche giorno qui alla Tana?

Ci divertiremo.

Inoltre… ho bisogno di parlarti.

Per favore, non dire di no.

Con affetto, Ron

 

Poche righe, scritte in fretta dalla calligrafia un po’ pasticciata di Ronald Weasley.

Hermione lesse quelle poche parole, poi gettò nel cestino della carta straccia il foglietto.

No.

Non sarebbe andata alla Tana.

Non avrebbe rivisto Ron.

Non era ancora pronta ad affrontare di nuovo il mondo della Magia.

Non in quel momento.

Non dopo quello che era accaduto.

Dopo il San Mungo aveva troncato ogni contatto con quel mondo.

In soffitta, in un baule chiuso a chiave, c’era tutto il materiale che aveva usato ai tempi della scuola.

Tutto ciò che ancora la legava alla magia, oltre a quella foto sulla scrivania, erano Edwige e Grattastinchi.

Ma loro due erano animali, esseri viventi con dei sentimenti, che lei amava dal profondo del cuore.

No.

Non avrebbe risposto a Ron.

Non sarebbe andata alla Tana.

Non avrebbe più avuto nulla a che fare con la magia.

 

***

 

La porta della sua modesta abitazione balzò via dai cardini a grande velocità e colpì il muro a pochi centimetri da Harry, svegliandolo di soprassalto.

Era accaduto tutto all’improvviso.

Sulla soglia c’era una persona che Harry, essendo miope, non riusciva a riconoscere con la poca luce che quell’ora offriva.

- Ti abbiamo trovato, Potter.

 Dalla voce Harry riconobbe Kingsley Shacklebolt, con la bacchetta puntata davanti a sé, illuminato dalla fioca luce di una lampadina.

Altre tre persone erano dietro di lui, ma non riusciva a distinguerle senza gli occhiali.

Kingsley guardò il divano su cui Harry, appena svegliato dal fracasso, lo guardava, intontito e con un’aria sorpresa dipinta in volto.

-  Sei in arresto, Harry Potter- continuò l’uomo- Dacci la bacchetta magica e non tentare gesti che potrebbero costarti caro.

Il volto di Harry s’indurì.

-  Accio bacchetta!- gridò all’improvviso e, prima che i tre potessero fare qualcosa, il giovane attaccò.

-  Expelliarmus!

Le quattro bacchette magiche volarono via in un istante, giusto il tempo perché Harry pronunciasse il secondo incantesimo.

-  Serpensortia!- disse Harry, provando contemporaneamente una grande fitta alla cicatrice.

Un enorme serpente apparve davanti ai quattro auror.

Harry lasciò andare la bacchetta, che rotolo sulle lenzuola, e si portò le mani alla fronte.

Hermione che giaceva pallida sul pavimento.

Harry Potter… gli amichetti…

Il serpente iniziò a strisciare verso di loro.

Harry iniziò a cercare con una mano la bacchetta perduta mentre l’altra premeva sulla cicatrice.

Il sangue macchiava il pavimento della Tana.

Harry Potter… salvare gli amici… Harry Potter vuole … amici…

- BASTA! BASTA! BASTA! – gridò, furioso, impugnando nuovamente la bacchetta - Finite Incantatem! FINITE INCANTATEM!

Prima che Shacklebolt, rimasto impietrito fino a quel momento, potessero fare qualcosa, Harry Potter li guardò con rabbia poi cadde a terra privo di conoscenza.

 

Il dolore alla cicatrice era completamente sparito al suo risveglio, ma il luogo non gli piaceva affatto.

Era in una stanza che sembrava un infermeria, senza bacchetta, con gli occhiali su una piccola cassettiera alla sua destra e la mano sinistra legata magicamente alla testiera del letto su chi era stato adagiato.

-  Dove sono?- si chiese, guardandosi attorno.

L’avevano depositato in una stanza dotata di finestra e all’esterno poteva vedere il sole splendere con un’intensità falsa.

Come poteva brillare in quel modo se era dicembre inoltrato?

Improvvisamente un pensiero lo colse e costrinse a fare un paio di calcoli.

Non sapeva esattamente che giorno fosse, ma supponeva che il Natale ormai fosse imminente.

Notò all’improvviso il vischio che ornava la porta alla sua destra.

Sì, le festività dovevano essere imminenti.

E lui era solo.

No, si ricordò, non era solo.

Era stato catturato dagli auror del Ministero della Magia ed ora, pensò, la solitudine sarebbe sempre stata lontana.

Sapeva cosa gli sarebbe accaduto.

Azkaban ed i Dissennatori lo aspettavano.

Non sarebbe più stato solo.

I Dissennatori gli sarebbero stati accanto e avrebbero risucchiato ogni grammo di felicità.

Sempre che avesse ancora qualcosa che potesse definirsi felicità.

Forse non avrebbero avuto effetto su di lui, data la situazione.

Oppure l’avrebbero reso più pazzo di quanto già si ritenesse.

Improvvisamente la porta si aprì ed apparve il Ministro della Magia.

Harry lo trovò cambiato solo nei capelli, più radi dell’ultima volta e venati da fili argentei.

-  Salve Harry.

-  Buongiorno signor Ministro.

-  Ti abbiamo catturato.

-  Sono stato colto da malore, altrimenti non sareste mai riusciti a prendermi. Avete impiegato quasi un anno per trovarmi e, se non sbaglio, avete avuto bisogno di ben quattro auror per affrontarmi. Questa non la considererei una vittoria, se fossi in lei- disse lui, sorridendo malignamente all’uomo che gli stava di fronte.

Il Ministro sospirò, poi posizionò meglio gli occhiali sul suo naso, quasi quel gesto lo aiutasse a trovare le parole e recuperare in credibilità.

-  Sei felice di essere un fuorilegge?

-  Lei non immagina neanche quanto sia divertente il nascondersi dai vostri Auror.

-  Non ti capisco proprio perché ti comporti in questo pessimo modo, Harry. Avevi molt amici. Avevi una famiglia che ti amava…

-  Da quanto in qua i Dursley provano affetto nei miei confronti? Secondo loro la cosa migliore che potessi fare era andarmene da casa loro e sono stati accontentati quando ho deciso di andarmene da quel postaccio.

-  Parlavo di noi, Harry. Hai sempre saputo che per me e Molly sei come uno dei nostri figli.

-  Io non mi mischio con dei babbanofili come voi e non vi insulto solo per la carica che state ricoprendo, Arthur Weasley- disse Harry, tagliente- Sono consapevole che voi sarete colui che deciderà della mia vita.

-  Spiegati, per favore- disse l’uomo, sedendosi sul letto di Harry.

-  Cosa vuole che le spieghi?

-  Perché ci hai fatto tutto questo?

-  Ho finalmente aperto gli occhi e capito quale abisso c’era tra me e voi.

-  Mi rifiuto di crederti.

-  Ci creda, signor Ministro. Non sono più il ragazzino che frequentava Hogwarts. Sono cambiato e voi non potrete mai farmi tornare indietro.

-  Harry…

-  E non dica Harry in quel tono lamentoso!- sbottò il giovane, mettendosi seduto.

-  Harry…

Il volto dispiaciuto del signor Weasley che appare davanti ai suoi occhi.

Gli amichetti…

-  No!

-  Harry caro…

Grandi lacrime scorrevano lungo le guance paffute della signora Weasley.

Lui vuole bene…

-  NO!

-  Harry…

Il volto di Ron, che lo implora in ginocchio di non fare pazzie.

Gli amichetti di Harry Potter…

-  NO! NON E’ VERO!

-  Harry…

Il volto pallido di Hermione che scivola nelle tenebre.

Gli amichetti a cui Harry Potter…

-  NO! LA SMETTA! VADA VIA! VADA VIA, BABBANOFILO DA STRAPAZZO! VADA IMMEDIATAMENTE VIA, MINISTRO WEASLEY!

L’uomo si alzò, irritato, e lasciò da solo il giovane, che adesso era seduto sul letto, piegato su se stesso e con le mani che affondavano con forza nei suoi capelli e coprivano la cicatrice che l’aveva reso tanto famoso.

Harry Potter non è cambiato…

-  SBAGLI! SONO CAMBIATO! SONO CAMBIATO, MI HAI SENTITO! LI ODIO! LI ODIO! LI ODIO TUTTI QUANTI INDISTINTAMENTE!

Si voltò e colpì la testiera del letto con la testa fino a quando non cadde stordito sul cuscino, con un grosso bernoccolo in fronte e la rabbia che ancora bruciava nel suo petto.

Chiuse gli occhi e ricacciò indietro le lacrime che, prepotenti, volevano scorrere sul suo volto.

E’ dolore fisico Potter? Oppure sei…

-  Smettila! Smettila!- gridò, colpendo con tutte le sue forze la testiera del letto.

Il dolore che provò fu forte, ma lo sentì solo per un istante, prima di svenire, mentre una piccola chiazza di sangue macchiava le candide lenzuola.

 

Harry si svegliò di soprassalto.

Stavolta il dolore alla testa non era svanito e non si trovava più nella stanza in cui si era svegliato la prima volta.

Era in una stanza buia, disteso su un divano.

Di fronte a lui era seduto un uomo alto, dai lunghi capelli argentei e occhi cerulei che spiccavano dietro gli occhiali a mezzaluna.

Sorrideva paternamente al giovane che lo osservava.

-  Sono felice che tu stia meglio, Harry.

-  Professor Silente… dove sono? E cosa ci fa lei qui con me.

-  Arthur mi ha chiesto di sorvegliarti. Non vuole che tu ti faccia male nuovamente.

-  Cosa importa a lui se cerco di spaccarmi la testa come se fosse un’anguria?

-  Non risponderò a domande di cui già conosci la risposta, Harry Potter.

-  Allora diciamo che a me della mia testa non importa.

-  Non credo che sia così.

-  Cosa crede, allora?

-  Credo che tu abbia un problema e che Azkaban possa solo peggiorare la situazione.

-  Quando mi giudicheranno?

-  Tra poche ore. E quel bernoccolo non ti aiuterà ad essere giudicato positivamente.

-  Si mette in discussione la mia sanità mentale?

-  Anche.

-  Non dovrebbero sbattermi al San Mungo come i Paciock?

-  Non se ti sei comportato in modo violento anche quando non eri in preda a dei raptus.

-  Il caso Granger.

-  No. Il tuo attacco agli Auror. Per il caso Granger…

-  Non voglio parlarne.

-  Dovresti.

-  No che non devo.

-  Harry, non so se ti rendi conto di quanto dolore ai causato. Avevi la nostra fiducia e…

Lo sguardo del giovane mago era fisso e distante, lontano nello spazio e nel tempo.

Le lacrime sui volti dei Weasley…

- Harry…

La delusione di Remus Lupin…

- Harry, mi senti?

Le grida di Tonks…

- Harry, ti senti bene?

Il pallore mortale di Hermione…

- Harry, riesci a sentirmi?

-  Harry caro…

La signora Weasley fa un passo verso di lui e tende una mano per toccarlo.

E la sua voce.

Un incantesimo che non riesce a capire.

- Harry, credo che sia meglio chiamare un Guaritore.

La signora Weasley che carambola sul terreno, colpita in pieno stomaco.

La disperazione che, negli occhi di Ron, si tramuta in vero e proprio odio.

Odio nei suoi confonti.

Ti odiano! Ma tu… tu vuoi… bene… Ed io…

-  BASTA! NON E’ VERO! NON E’ VERO! TU MENTI! MENTI! VATTENE! VATTENE! VATTENE VIA! VATTENE VIA!

-  Harry… chi deve andarsene?

Gli amichetti…

-  VATTENE!!!!!!! VAI VIA DA QUI!

-  Harry… è lui?

Silente… proteggi Silente? E gli amichetti?

-  NO! SE NE VADA, PROFESSORE! STO BENE SE LEI NON C’E’! E’ LEI A FARMI DEL MALE! VADA VIA IMMEDIATAMENTE! SPARISCI!

-  E’ questo che vuoi?

-  Sì!

Con uno schiocco, Albus Silente se ne andò, lasciandolo nuovamente da solo con i suoi pensieri e con quella voce gelida che strisciava nella sua mente.

 

Harry non si guardò attorno.

Conosceva quell’aula sotterranea.

C’era già stato per ben due volte.

La prima era stata durante una sua intromissione nel Pensatoio di Silente, che vi aveva depositato quel ricordo, mentre la seconda era stata quando, a quindici anni, era stato processato perché aveva usato un Patronus per liberarsi di due Dissennatori che avevano attaccato lui e suo cugino poco lontano da casa loro.

Da quel giorno erano trascorsi poco più di tre anni, ma Harry si sentiva come se da quel giorno fossero passati almeno tre secoli.

Non era più lo spaventato quindicenne che aveva sperato di non essere espulso da Hogwarts perché si era difeso.

Adesso era un mago maggiorenne, un pericolo per la comunità dei maghi con lunghi capelli neri e lo sguardo spento, legato con le catene a quel magico sedile.

Somigli a lui… Sirius Black…

No. Lui era un povero bambolotto in mano di Silente. Io non sono affatto come lui.

Lo sei… ma non vuoi più accettarlo… tu non sei cambiato… sei ancora una marionetta in mano a un mago molto più potente di te…

- Lei è il signor Harry Potter?

Non sono più sotto l’influenza di Silente.

Infatti… tu sei mio…

Io non sono di nessuno!

Sì… hai paura… gli amichetti…

- Le ho chiesto se lei  è il signor Harry Potter.

Smettila!

No… io sono il serpente che striscia nel tuo cuore… sono il tuo Io nascosto…

Taci!

- Signor Potter, non siamo qui per perdere tempo. Vuole rispondere sì o no?

Harry lanciò uno sguardo di rabbia a colui che l’aveva chiamato.

Era un mago basso, dai lunghi e sottili capelli biondi che contrastavano con la sua pelle olivastra.

Era colui che quel giorno avrebbe avuto il compito di mettere a verbale il suo processo.

- Sì, sono Harry Potter, e lo sapete perfettamente grazie a questa cicatrice- rispose il giovane, scostando rabbiosamente la frangia sporca che copriva la cicatrice lasciata diciotto anni prima da Lord Voldemort- Smettetela con le formalità ed iniziate a processarmi. Non voglio perdere tempo.

Un noto tossicchiare lo fece voltare di lato.

Solo allora Harry notò che durante il suo colloquio interiore il professor Silente si era accomodato su una poltrona che aveva materializzato al suo fianco.

-  Il mio protetto ha ragione. Ha già passato una pessima notte e voglio che venga a riposare nel suo nuovo alloggio. Credo che voi non abbiate nulla in contrario se propongo per lui un soggiorno a tempo illimitato a Hogwarts, naturalmente sotto la mia più stretta sorveglianza.

-  Albus, sei sicuro di volere con te questo giovane uomo? Si è macchiato di più di un crimine contro il mondo magico- chiese il Ministro della Magia.

-  Garantisco io per lui.

-  Ne sei sicuro?- chiese Arthur Weasley, guardando il giovane che lo fissava con rabbia.

-  Sì. Ho la massima fiducia in Harry Potter quindi ti chiedo, in caso la mia richiesta venisse accolta, di permettermi di portarlo a Hogwarts seduta stante.

-  Ci chiedi, in pratica, di mettere ai voti la possibilità di chiudere questo ragazzo in una scuola piena di studenti che potrebbe influenzare in modo negativo o ai quali potrebbe fare del male- disse una donna dai capelli corti e ricci, di una tonalità molto accesa di castano.

-  Ho già detto, madama Stobkins, che sarà sotto la mia stretta sorveglianza.

-  Sappiamo tutti per cosa questo giovane mago deve essere processato. Ha usato sortilegi contro gli Auror del ministero e altri maghi e si è nascosto da noi per diversi mesi. Tra le sue malefatte c’è anche l’aggressione ed il ferimento della strega di origine babbana Hermione Granger. Adesso vi chiedo: volete che vada a Azkaban oppure desiderate che venga affidato al qui presente professore Albus Silente?

Silente potrà anche salvarti dai Dissennatori, ma chi ti salverà da me, giovane Harry Potter?

Taci, Serpente!

 

-  Credi che non ti conosca, Harry James Potter?

Il giovane guardò con rabbia l’uomo che pochi minuti prima l’aveva tirato fuori dai guai.

-  Non guardarmi in quel modo… non ci credo.

-  Lei sbaglia. Io sono così.

-  No che non sei così. E presto mi darai ragione anche tu. Adesso andiamo.

-  Andiamo?

-  Sì. Fino a prova contraria sono io che garantisco per te, quindi devi seguirmi a Hogwarts.

-  Io non torno a Hogwarts!

-  Guarda che non devi studiare- disse l’anziano, ridacchiando sotto la folta barba.

-  Non vengo.

-  Paura?

-  No. Odio.

-  Su Harry! Non fare il capriccioso.

-  Non vengo con voi.

-  Che strano… in aula mi sembravi disposto a tutto pur di restare libero… vorrà dire che dovrò ritirare la mia proposta e lasciarti in balia dei Dissennatori.

Harry Potter rivolse un altro sguardo furioso al preside di Hogwarts, poi sibilò, guardandolo con rabbia crescente:

- Accetto, professor Silente.

L’uomo si mise a ridere di gusto ed il giovane si limitò a sbuffare.

 

***

 

Un educato bussare e la luce che filtrava tra le imposte lo svegliarono.

- Avanti- biascicò, con la bocca ancora impastata dal sonno, mentre si infilava gli occhiali e toglieva dal viso i capelli disordinati e dalla frangia molto lunga, certamente utile per nascondere il più unico dei suoi segni particolari ma assai scomoda quando si dovevano usare gli occhi.

Il professor Silente entrò nella stanza, seguito da un grande vassoio trasportato dall’elfo domestico più vestito che Harry avesse mai visto.

Aveva indosso un grande maglione marrone, dono di Ron durante il loro quarto anno a Hogwarts, con sopra altri quattro maglioni, che spuntavano uno sotto l’altro da un panciotto scolorito.

Alle gambe aveva un paio di pantaloni di velluto, pieni di buchi, un paio di bermuda e dei buffi slip decorati con boccini, scope e bolidi, che si illuminavano al ritmo di una musica che proveniva da un paio di stivali dall’aria molto calda ma dai denti affilatissimi, dai quali spuntavano almeno quattro paia di calzini per piede.

Per finire, sul capo indossava una cuffia da bagno a tema floreale, coperta parzialmente da un copriteiera ed un paraorecchie vaporoso di colore rosa confetto che non riusciva a nascondere le grandi orecchie da pipistrello.

-  Salve Harry Potter signore! Come sta? Dobby sta benone!- disse Dobby, gioioso.

Il giovane gli rivolse uno sguardo inceneritore e questi si sbrigò a lasciare il vassoio sopra al piccolo tavolo al centro della stanza e lasciare soli Harry e Silente.

- Harry… vorrei parlarti di ciò che è accaduto ieri notte al Ministero della magia- disse, sedendosi su una poltrona, in attesa che anche il giovane mago si accomodasse.

-  Grazie per la colazione, professor Silente, ma non ci tengo a parlare con un uomo che mi tiene prigioniero in una puzzolente scuola e crede di sapere tutto sul mio conto- disse lui, gelido, prendendo una fetta di crostata ai mirtilli per poi sedersi di fronte all’anziano preside.

-  Perché reagisci così, Harry?

-  Io la odio.

-  Non ci credo.

-  Ci creda- disse, prendendo un biscotto coperto di zucchero da un piatto- Io non sono più quel ragazzino che potevi manipolare a tuo piacimento, Albus Silente. Adesso sono un mago adulto.

-  Questo non ti obbliga a mostrarti sempre così coraggioso, Harry.

-  Coraggioso?

-  Credi che non lo sappia?

-  COSA?- chiese Harry con rabbia crescente.

-  Tu lo sai ed io lo so. Non possiamo parlarne apertamente e tu non lo vuoi fare, ma siamo coscienti entrambi che non sono stupido e che sono in grado di vedere i segni.

-  Se ne vada- disse Harry, freddo come il ghiaccio- Lei non sa nulla. Non mi conosce e non sa chi sono io. Questo che vede è l’unico Harry Potter che esista. E adesso se ne vada da questa stanza.

-  Io vedo, Harry. Manderò un elfo a prendere il vassoio tra un’ora, quando verrai nel mio studio.

-  Il suo studio?

-  Come garante è mio obbligo tenerti d’occhio. Non preoccuparti, non tenterò nuovamente di parlarti ma, se ti fa piacere, potrai consultare la mia biblioteca privata o fare qualcosa che non ti faccia annoiare. Non puoi rifiutarmi questo, oppure…

-  Lo so. Se non obbedisco c’è sempre Azkaban con i suoi Dissennatori ad attendermi.

-  Harry, volevo solo dirti che in caso contrario questa sera ti avrei negato il dolce.

Harry lo guardò con rabbia e strinse i denti con rabbia crescente.

- Harry, io lo so che non sei più un ragazzino spaventato che non sapeva nulla della magia e sono anche consapevole del fatto che ho perso il mio particolare ascendente su di te, ma vorrei ricordarti che sono stato amico dei tuoi genitori e che a volte trovo giusto parlarti anche a nome loro. Lily e James non vorrebbero che ti isolassi. Questo è l’unico mondo che sembra capirti ed amarti, e questo ti è stato chiaro sin dal primo giorno che hai messo piede a Hogwarts. La prossima volta che cercherai di ferire qualcuno, pensa a loro più che a tutti gli altri morti. Tu non li hai conosciuti ma sono certo che sai cosa vorrebbero che facessi in caso di pericolo.

Detto questo l’uomo se ne andò, lasciandolo solo, con la colazione ancora calda sul tavolo.

 

La giovane dai lunghi capelli rossi bussò timidamente alla grande porta di solido legno.

-  Avanti. E’ aperto

Ginny scostò con noncuranza una ciocca di capelli dal volto ed entrò.

Silente era seduto alla scrivania.

Aveva i gomiti sul piano e la testa poggiava sulle mani, unite a formare un sostegno per essa.

La lunga barba era appoggiata al tavolo ma non era in grado di nascondere il lieve sorriso che increspava le labbra dell’anziano uomo.

Accanto al camino c’era una persona che, affondata in una comoda poltrona con un libro aperto sulle ginocchia, fissava le fiamme e le dava le spalle.

-  Mi ha fatto chiamare, professor Silente?

-  Sì Ginny. Per favore, siediti.

La giovane obbedì.

-  Se ha ospiti…

-  Non preoccuparti. E’ proprio del mio ospite che volevo parlarti.

-  Cosa c’entro io con il vostro ospite?

-  Siete pregati di non parlate di me come se non ci fossi. E smettetela di definirmi un ospite. In questo luogo sono un prigioniero.

Harry, chiudendo di scatto il libro che stava consultando, si voltò e guardò con rabbia la più giovane esponente della famiglia Weasley.

-  Cosa ci fa LUI qui, Preside?!- chiese Ginny, indignata, riconoscendo Harry Potter.

-  E’ proprio di questo che volevo parlarti. E’ sempre di pessimo umore- continuò Silente come se stesse parlando di una persona assente.

-  Ed io cosa c’entro?

-  Dovresti passare un po’ di tempo con lui.

-  Neanche per un milione di galeoni, professor Silente- rispose Ginny, lanciando una nuova occhiata di puro odio in direzione dell’uomo seduto in poltrona- Non voglio più avere a che fare con questo individuo.

-  Ed io non voglio avere a che fare con quel genere di persone disgustose, Silente- disse Harry.

-  Qui l’unica persona ad essere disgustosa sei tu!- ribattè Ginny, balzando in piedi come se fosse spinta da una molla- Sei stato tu a rovinare tutto, non noi!

-  Io mi sono solo liberato di un peso inutile.

-  Noi eravamo un peso inutile?! Ma chi ti credi di essere!

Harry tacque di fronte a quelle parole.

Ginny gli chiedeva chi era.

E lui, per la prima volta in quei lunghi mesi, ebbe il coraggio di accettare quel che era e dirlo ad alta voce.

-  Io sono un reietto.

-  Tu hai voluto essere tutto questo!

-  Infatti non mi sto lamentando!

-  Dovresti vergognarti, invece!

-  E di cosa?

-  Hermione è quasi morta per colpa tua!

Le parole di Ginny, dette mentre si accendeva una luce pericolosa nei suoi occhi scuri, distrussero all’istante ogni altro pensiero di Harry.

Hermione aveva rischiato la vita?

Quel serpente che lui aveva aizzato contro di lei, senza realmente volerlo, era davvero così velenoso?

-  Come sta?- chiese, per la prima volta da parecchi mesi palesemente interessato alla sorte delle persone che gli erano state vicine.

-  Non meriti una risposta, Harry Potter, ma te la darò. Hermione ha lasciato il mondo della magia. Non vuole più vedere nessuno di noi. Non risponde alle lettere e si fa anche negare al telefono. Non vuole più vederci. E tutto questo è accaduto per colpa tua.

Harry sentì qualcosa spezzarsi nel suo cuore ma non voleva che altri lo vedessero, perciò tornò freddo come lo era stato negli ultimi mesi.

-  Ben gli sta a quella mezzosangue.

Un ceffone accese la guancia sinistra di Harry, poi un’onda di capelli rossi attraversò la stanza ed uscì.

-  Se vuoi che loro ti perdonino dovresti evitare certi commenti offensivi- gli disse Silente, guardandolo intensamente.

-  Li odio tutti. Ed odio anche voi, professor Silente.

-  Io non mi scompongo per una frasetta simile, Harry Potter. E, come ben sai, non ci credo.

-  Prima o poi sarà costretto farlo.

Detto questo, anche il mago si alzò e lasciò la stanza in tutta fretta.

 

***

 

Quella notte Hermione sognò.

Non le accadeva da parecchio tempo.

Nel pieno della notte le sembro di sentire un suono in lontananza e le parve di percepire il materasso piegarsi, come se qualcuno si fosse seduto accanto a lei e le parlasse.

Non riusciva a capire che cosa le stesse dicendo, ma si sentiva al sicuro, come se qualcuno le stesse accarezzando i capelli mentre la tranquillizzava.

 

Hermes, il gufo che fino a qualche mese prima era stato di Percy Weasley, planò leggero all’interno dell’abitazione e si posò sul braccio dell’alto uomo dai capelli rossi che sedeva al tavolo della cucina, porgendogli la zampa perché la sua missiva fosse rimossa ed al suo posto fosse legata la lettera indirizzata alla sua attuale padrona.

Ron non aprì la lettera fino a quando lo splendido animale non fu fuori, diretto a Hogwarts per la quotidiana lettera diretta all’ultima dei sette fratelli Weasley a frequentare la scuola di magia.

 

Caro Ron, come stai?

Io malissimo.

Papà ti ha detto cosa ha fatto Silente?

Oppure sono l’unica che era ancora all’oscuro di tutto?

Non so se lo sai, così te lo dico io.

Oggi ho visto Harry Potter.

Qui.

Quel maledetto si trova a Hogwarts e credo che ci resterà per parecchio tempo.

Silente mi ha addirittura chiesto di fargli compagnia… come ha potuto chiedermi una cosa simile?! Harry ha cercato di farci del male e lui adesso mi chiede di fargli compagnia perché lui non può uscire da qui?

Sono davvero furiosa.

Ed ha avuto persino il coraggio di chiedermi come sta la povera Hermione… che rabbia!

Per il resto… qui va tutto bene.

Scusami, ma non ho voglia di scrivere altro stasera.

Mi dispiace, ma non sono in vena.

Ti voglio tanto bene.

Tua sorella Ginny

 

Ron Weasley gettò nel fuoco la lettera.

E così Harry Potter era di nuovo a Hogwarts…

La rabbia che in quello stesso istante scorreva nel sangue di Ginny aveva già iniziato a scorrere anche nel suo, a velocità massima.

-  Papà, sai per caso qualcosa di nuovo su Silente?- chiese il giovane con la voce che tremava, mentre osservava il padre che leggeva una nuova proposta di legge per la limitazione del dilagante fenomeno delle Automobili Svicolatraffico usate dai maghi abitanti nei grandi centri urbani.

-  No Ron. Come mai me lo chiedi?

-  Potter non è ad Azkaban.

Arthur Weasley guardò il figlio e scosse la testa, poi rispose.

-  Sì, lo sapevo.

-  Perché non me l’hai detto?

-  Io ho provato a dirtelo.

-  Allora perché non l’hai fatto?- gridò Ron, balzando in piedi con rapidità- Non credi che avrei voluto sapere che quel terrorista si trova nello stesso luogo in cui studia mia sorella?

-  Ronald Weasley, abbassa il tono!- lo ammonì Molly, entrando nella stanza.

-  Tuo marito non mi ha detto che Potter è a Hogwarts!

-  Guarda che noi abbiamo provato a dirtelo…

-  ALLORA PER QUALE MOTIVO NON L’AVETE FATTO?

La guancia sinistra di Ronald Weasley divenne dello stesso colore dei suoi capelli mentre una furiosa signora Weasley lo colpiva con un poderoso ceffone per poi scoppiare a piangere come una fontana sulla sua spalla, sussurrando una serie di “Perdonami piccolo mio” tra i numerosi singhiozzi.

-  Ron… quando abbiamo provato a farlo sei balzato su come una molla dicendoti che non te ne importava nulla di quello che faceva Harry Potter- disse il signor Weasley con calma, guardando dritto negli occhi il figlio con aria di rimprovero.

-  Scusate…- sussurrò lui, abbassando il capo e abbracciando la piccola madre- Ho perso completamente il controllo e mi dispiace essermela presa con voi. E’ solo…

-  Lo so. Neanche noi crediamo che Silente stia facendo qualcosa di saggio, ma lui non ha mai sbagliato in tutti questi anni, quindi dobbiamo avere fiducia.

-  Papà, Silente è umano, quindi non infallibile. Chi ci assicura che questa non sia la volta in cui la sua saggezza viene annebbiata dall’affetto che prova per il suo protetto?

I signori Weasley tacquero e Ron si limitò a lasciare andare la madre e salire nella sua stanza.

 

***

 

Erano trascorsi tre mesi da quando Harry Potter era stato processato e liberato, tre mesi durante i quali l’anziano preside di Hogwarts aveva continuato a fare due chiacchierate al giorno con il giovane mago, una per colazione e l’altra nel pomeriggio, lasciando che consumasse i pasti nella sua stanza e leggesse ogni libro che desiderava.

Ora, disteso nel comodo letto che Albus Silente aveva messo a sua disposizione, stava riflettendo su ciò che era diventato un anno dopo l’ultima Pasqua trascorsa con i Weasley.

Nella mente del mago dagli occhi verdi, nei giorni precedenti, si era fatto largo un nuovo pensiero, qualcosa che lo faceva stare sempre peggio.

Lui si sentiva più debole e vulnerabile nei confronti di quella voce che parlava nella sua testa, una voce che lo minacciava sempre più spesso.

Eppure si sentiva, allo stesso tempo, anche più forte di quanto non lo fosse stato prima proprio per via di quella sofferenza, quel senso di colpa che gli attanagliava il cuore e lo faceva sentire il più sporco dei banditi.

Cosa aveva ottenuto?

Lui continuava a parlare nella sua mente e le persone che amava erano lontane da lui ma non al sicuro.

Lo sentiva spesso imprecare contro il Ministro della Magia e Albus Silente, giurando vendetta.

Un anno prima quello stesso essere lo aveva convinto a farsi passare per un folle perché se lontani da lui si sarebbero salvati, ma se quel bastardo continuava a tramare per far loro del male, perché lui li allontanava ancora?

Perché cercava di proteggere con gli insulti coloro a cui voleva bene?

Fu allora che decise che era giunto il momento tanto atteso da Albus Silente, ossia quello della confessione.

Nonostante la tarda ora, scese dal letto e si diresse nella stanza del mago senza neanche indossare qualcosa per proteggersi dai gelidi spifferi del grande castello.

 

Era notte fonda quando Albus Silente fu svegliato da un ritmico bussare alla porta della sua stanza.

Assonnato, s’infilò la vestaglia e ciabattò fino alla porta.

Trovò davanti a sé un Harry Potter uguale a quello che aveva salvato da Azkaban: i lunghi capelli neri erano arruffati e le labbra erano ridotte ad una fessura impenetrabile, ma questa volta nei suoi occhi brillava una nuova luce, qualcosa che ricordò all’anziano mago il bambino impacciato che si era avvicinato alla McGranitt per essere smistato.

- Giovane Grifondoro, hai scelto di obbedire al tuo cuore?

Harry lo guardò negli occhi ed annuì.

- Entra pure.

Harry si accomodò sulla poltrona che l’uomo gli indicava e rimase a guardarlo mentre faceva apparire magicamente due tazze di the fumante e un vassoio di biscotti.

-  Dimmi pure tutto, Harry- disse l’uomo seduto davanti a lui, prendendo in mano la tazza con il the.

-  Avevate ragione quella sera al ministero, professor Silente. Lui è qui, nella mia mente, e non posso più scacciarlo. Neanche l’Occlumanzia è in grado di dividere la mente mia e di Voldemort. Siamo una mente sola, aperta da entrambe le parti.

-  Lo immaginavo. E’ per questo che ti ho protetto quel giorno. Saresti impazzito se ti avessero rinchiuso ad Azkaban. Lui ti avrebbe distrutto.

-  Lo so. Gli ho permesso di distruggere la mia vita ma adesso ho capito che ho sbagliato a tenermi tutto dentro. Adesso sono un reietto, un rifiuto della società dei maghi.

-  Sbagli. Puoi fare molto. Tu conosci i suoi ordini. Sventa le malefatte dei suoi Mangiamorte. Salva coloro a cui tieni e spiega loro che cosa ti ha spinto a comportarti in quel modo orrendo. Non perdere la speranza, figliolo. Tu sei il predestinato. La profezia di Sibilla Cooman è chiara su questo argomento: tu e lui non potete vivere se l’altro è vivo.

-  Sconfiggere Voldemort. Ed essere finalmente libero.

-  Sì.

-  Lo farò. Lo affronterò. E morirò.

-  No, non morirai.

-  Sì che accadrà, ma neanche lui sopravvivrà. Tra una settimana affronterò Lord Voldemort. Una sfida che  in qualsiasi caso sancirà la fine della mia tortura.

L’anziano mago guardò con affetto quel giovane uomo che sorseggiava con calma il the caldo dalla tazza che aveva appena preso in mano.

Ricordava quando il padre di quel ragazzo, James, lottava contro lo stesso nemico che il figlio era destinato ad affrontare.

Era il più coraggioso di tutti e non si tirava mai indietro, neanche quando la moglie, Lily, era in attesa del piccolo Harry.

-  Lo faccio perché lui abbia un futuro felice- gli aveva detto poco meno di diciannove anni prima, un paio di mesi prima che Harry venisse al mondo- Harry non deve vivere in un mondo in cui sono le tenebre a regnare.

Harry, in quel momento, aveva espresso lo stesso desiderio: lui desiderava che le persone che amava smettessero di soffrire e se la sua morte era il prezzo perché ciò accadesse, lui era pronto a farlo.

-  Tra una settimana affronterò Voldemort. In questi sette giorni, se non le spiace, vorrei chiedere a tutti quelli che ho deluso e ferito, di rifugiarsi qui a Hogwarts. Non c’è luogo più sicuro in tutto il nostro mondo.

Silente sorseggiò il poco liquido che era rimasto nella tazza, poi annuì.

- Grazie di tutto.

 

***

 

Prima che Hermione potesse fare qualcosa, vide un uomo incappucciato avvicinarsi a sua madre e puntarle al cuore la bacchetta magica.

-  Hermione Granger…- sibilò l’uomo, fissando la ragazza che, terrorizzata, osservava inorridita la scena- sei pronta a morire, giovane strega?

Con dei rumorosi schiocchi apparvero altri tre Mangiamorte, che ridevano di gusto di fronte al suo terrore.

-         Cosa c’è Granger? Senza San Potter non sai fare nulla?

Draco Malfoy tirò via il cappuccio con una mano, mentre l’altra era puntata contro l’inerme Hermione, che arretrò fino a trovarsi con le spalle al muro.

- Come mai così silenziosa? A Hogwarts non stavi zitta neanche pagandoti… Cosa ti è successo? Il serpente ti ha mozzato la lingua?

La risata sguaiata dei due compagni, che la giovane riconobbe come Tiger e Goyle, le fecero accapponare la pelle.

Era sola.

Era inerme.

La sua bacchetta magica era di sopra, in un baule, e non sarebbe mai riuscita ad averla in mano prima che quei tre la attaccassero.

Uno schiocco imprevisto fece voltare i quattro Mangiamorte.

Dal lato opposto della stanza, nell’ombra, stava un mago, anche lui incappucciato e vestito di nero, che puntava la bacchetta verso gli aggressori.

Dalle dimensioni, doveva essere anche lui piuttosto giovane.

- Fermi!

- Lord Voldemort non mi aveva avvertito che sarebbe arrivato un nuovo apprendista, altrimenti avrei atteso prima di sferrare l’attacco- disse l’uomo, avvicinandosi al nuovo venuto- Di chi sei figlio, ragazzo?

-  Expelliarmus!- tuonò, facendo volare con precisione le quattro bacchette nella sua mano sinistra, pronta a riceverle.

-  Che cosa?! Chi sei, piccolo traditore? Riferirò a Lord Voldemort…- sibilò l’uomo, avvicinandosi al nuovo arrivato con furia crescente.

-  Taci! Lui lo sa. Lui sa tutto quanto.

Detto questo, si avvicinò alla signora Granger e la colpì con la bacchetta.

La donna cadde a terra e la giovane Hermione corse al suo fianco, preoccupatissima.

-  Cosa le hai fatto?- chiese con le lacrime agli occhi.

-  Prendi questa e va a prendere la tua bacchetta e tutto ciò che riguarda la magia, poi porta i tuoi genitori a Hogwarts con questa- disse, mettendole in mano un sacchetto che certamente conteneva della Polvere Volante.

La giovane stava per parlare quando lui le disse, con tono duro:

-  Non discutere, Hermione.

-  Chi sei?- chiese, cercando di vedere qualche particolare del volto di colui che aveva protetto lei e sua madre.

-  Lo saprai fin troppo presto. Adesso fa quello che ti ho detto.

-  Come…

-  Dopo capirai- disse lui, secco, mettendole in mano la bacchetta magica di Malfoy.

Hermione scelse di eseguire gli ordini che le erano stati impartiti dal nuovo arrivato e corse di sopra, mentre i quattro Mangiamorte restavano immobili per via del giovane che li mirava.

 

-  Chi sei?- chiese Draco Malfoy per la sesta volta.

Il giovane incappucciato non rispose per l’ennesima volta.

Con uno schiocco sette Auror apparvero e, presi in custodia i Mangiamorte, svanirono.

 

-  Chi sei?- chiese Hermione, guardando il giovane appena apparso dal camino gettarsi su una morbida poltrona dell’ufficio di Albus Silente.

-  Non le hai detto nulla sul tuo conto?- chiese l’anziano mago, guardando sbalordito la figura che si accomodava sulla poltrona.

-  Per scatenare una crisi isterica come quella Ginevra Weasley? No, grazie. Per ora un ceffone mi basta e avanza, professor Silente.

-  Perché mai dovrei avere una crisi isterica? Hai salvato la vita a me e ai miei genitori!

-  Non basta.

-  Vi lascio soli. E spero che non continuerai a dire ciò che hai detto nelle ultime settimane.

Hermione, sorpresa, guardò l’uomo uscire dalla stanza.

-  Dimmi chi sei.

-  No.

-  Perché no?

-  Mi odieresti.

-  Come potrei?

-  Puoi. Te lo assicuro.

-  Ti prego…

-  Ti prego… Harry.

Il giovane guardò colei che lo stava guardando.

Aveva le lacrime agli occhi e il labbro inferiore le tremava.

Era triste.

Triste come quel giorno.

Harry sorrise tristemente mentre l’immagine di una Hermione di un anno più giovane si sovrapponeva alla ragazza del presente.

-  Non posso dirti di no quando mi guardi in quel modo. Ma sappi che sei stata tu a volermi vedere.

Harry si alzò ed avvicinò a Hermione, poi si tolse il mantello ed attese ad occhi bassi che Hermione gli riversasse addosso tutto l’odio che nutriva nei suoi confronti.

-  Harry…- sussurrò, avvicinandosi a lui.

Le mani di Hermione si posarono sulle sue gote e gli sollevarono il viso.

Harry impallidì quando vide che, tra le lacrime, sul suo viso brillava un sorriso di pura gioia.

Fu come se il ghiaccio che l’aveva avvolto si fosse sciolto nel giro di un millesimo di secondo ed ora il suo cuore fosse tornato a battere.

-  Mi hai salvata.

-  Affatto. Ho fallito.

-  Cosa vuoi dire?

-  Hermione, quel giorno ho fatto tutte quelle cose orribili per un motivo.

-  Quale?

-  Ormai è privo d’importanza. Sappi però che non era mia intenzione spingere quel serpente ad attaccare. Ti giuro che quello è stato solo un incidente.

-  Ti credo.

-  Come puoi fidarti di me in questo modo? Ti ho quasi uccisa.

-  Hai appena detto che non volevi.

-  Non importano le intenzioni, ma il risultato.

-  Io credo che invece sia l’opposto. Tu hai detto che l’hai fatto per un motivo specifico che ora non ha più importanza e a me questo basta per perdonarti. Adesso dimmi per quale motivo l’hai fatto.

-  Credevo che ci saresti arrivata in fretta- disse Harry, sorridendo.

-  Io ho una mia ipotesi, in effetti, ma non credo che possa essere questo il motivo per cui tu ci hai attaccato.

-  Perché?

-  E’ sciocco e inutile. Inoltre ne avresti parlato a Silente e ti avrebbe spinto a riprendere le lezioni di Occlumanzia con il professor Piton.

Harry si liberò dalle mani di Hermione ed indietreggiò fino alla poltrona che occupava di solito.

Era voltata verso il fuoco, in questo modo dava le spalle ad Hermione, che lo guardava triste.

-  Sono stato uno sciocco, Hermione.

-  Era per questo… Voldemort, vero?

-  Sì. Ormai lo sento sempre. Non ci sono più limiti tra la mia mente e la sua. Parla… ordina… penetriamo l’uno nella mente dell’altro come se nulla fosse. Per questo ho deciso di allontanarvi da me. Ero una minaccia per la vostra incolumità. Perfino adesso, mentre parlo con te, lui mi maledice e mi minaccia di uccidervi tutti quanti.

-  Harry… non dovevi. Noi siamo qui per aiutarti…

-  No. Non voglio più che nessuno mi aiuti. Presto anche la famiglia Weasley e gli altri componenti dell’Ordine verranno qui ad Hogwarts. Quando sarete tutti al sicuro… allora potrò andarmene e sapere che state tutti bene, al sicuro tra le mura di Hogwarts.

-  Hai avuto sempre paura per noi, quindi.

-  Secondo te perché mi sarei nascosto in un buco di casa, solo e senza contatti con le persone che più mi volevano bene? Hermione, sono morte troppe persone per mano di Voldemort e i suoi scagnozzi. E’ ora di finirla.

-  O di farla finita?- chiese lei, diventando improvvisamente tagliente- E’ questo quello che vuoi fare, vero? Vuoi distruggere la Spia, ossia te stesso.

-  Da morto non potrò più tradirvi e sarete liberi di agire liberamente. Potrete sconfiggere Voldemort.

-  Non ricordi la profezia? Sei tu l’unico che può annullare Voldemort!- gridò Hermione.

-  Ma sono anche l’unico che potrebbe farvi del male.

-  No…

-  Sono già stato posseduto, e non permetterò che accada di nuovo. Non farò del male a nessuno di voi. Non voglio e riuscirò a farcela.

-  Ma…

-  I ma non servono Hermione. Farò di testa mia.

-  Lo dirò a Silente.

-  Lo sa già e ha accettato che io attacchi per primo.

-  Ma non vuole ucciderti!

-  No, ma ha anche capito che devo affrontare Voldemort da solo per vendicare i miei genitori e tutti coloro che sono morti o hanno sofferto a causa sua. Ha fiducia in me e dice che vincerò. Io non credo che possa essere possibile, ma devo farlo ugualmente. In un modo o nell’altro, Voldemort non potrà più farvi del male attraverso me e non potrà usare le mie paure a mio svantaggio se voi sarete qui, il posto più sicuro del mondo.

La giovane strega si portò di fronte a lui, poi gettò al collo del mago dai capelli scuri e l’abbracciò, singhiozzando disperata sulla sua spalla.

Harry strinse a sé Hermione con tutta la forza che aveva in corpo, sapendo che la disperazione che le stava dilaniando il cuore era simile a quella che per tanto tempo aveva sentito lui.

Accarezzò con dolcezza quei capelli castani, ora accesi dalle fiamme crepitanti, ed aspirò il profumo che emanavano, sperando che quel momento di pace potesse essere eterno.

-  Mi sei mancata tantissimo…- sussurrò Harry, con la voce rotta dalla commozione – Ho avuto davvero paura quando ho saputo del tuo ricovero al San Mungo…

-  E’ passato…

-  Sono stato io a farti del male.

-  Hai detto più volte che non volevi.

-  Ma l’ho fatto. Non posso cancellare ciò che ho fatto.

-  Io non provo rancore nei tuoi confronti, quindi non ti angustiare, Harry.

-  Meritavo davvero Azkaban.

-  Non è vero.

-  Ho fatto molto male, Hermione. Ho tradito i miei amici, attaccato degli Auror e anche trattato male le persone che volevano solo aiutarmi.

-  Questo non vale una detenzione a Azkaban.

-  Per me sì. Soprattutto per quel maledetto serpente che ti ho aizzato contro. Avrebbe potuto ucciderti.

-  Te l’ha detto Ginny?

-  Sì.

-  Ha esagerato.

-  No. Non ha esagerato Hermione.

-  E’ il passato, Harry, ed io non voglio più parlarne. Adesso a me basta sapere che stai bene e che finalmente sei tornato da noi e ci hai spiegato cosa stava accadendo.

-  Non riesco a credere che tu sia così comprensiva nei miei confronti. Prima non me l’avresti fatta passare così liscia.

-  Cosa vuoi dire?

-  Mi avresti fatto una predica lunga da qui a domattina, come minimo.

-  Quella posso sempre fartela domani.

-  Preferirei di no. Domani mattina arriverà la famiglia Weasley al completo. Non credo che avrò molto tempo da dedicarti quando saranno qui.

Hermione balzò su come se l’avessero fulminata.

-  E no, non puoi chiedermi di essere con me quando li affronterò. E’ qualcosa che devo fare da solo, Hermione.

-  Sei sicuro di riuscire ad affrontarli, Harry?

-  Certo. Io ho fatto il danno e devo essere il solo che deve riparare. Non preoccuparti, non morirò.

-  Harry, tu sai che Ron…

-  Ron dovrà capire. E’ ora di finirla sia con questa storia che con l’altra.

-  Quale altra storia?

Harry aveva negli occhi una strana luce, ma null’altro poteva essere letto sul suo volto acceso dalle fiamme.

-  La tua, Hermione. Avanti, non dirmi che non hai notato quanto Ron tenga a te.

-  Sì, ma con questo…

-  Hermione, Ron è cotto. Di te.

-  Ron… ma cosa stai dicendo?

-  Non l’hai capito perché mi odia così tanto? Lui ce l’ha con me perché ti ho attaccata.

-  Harry- disse, alzandosi in piedi e frapponendosi tra lui ed il fuoco- Lo avrebbe fatto per qualsiasi amica.

-  Hermione, lui è innamorato di te. Guarda in faccia la realtà: era geloso di te e Victor Krum…

-  Quella è storia vecchia.

-  Era geloso di Gilderoy Allock…

-  Questa storia è ancora più datata.

-  E odia me perché ho tradito la vostra fiducia ed ho attaccato te.

-  Harry, ma è naturale!

-  Allora sei tu a non essere naturale, Hermione Granger. Perché mi hai perdonato così facilmente? Perché hai tenuto una foto che mi ritraeva in camera tua, nonostante il male che ti ho fatto?- chiese lui, ormai nervosissimo.

-  Harry…

-  Scusami- disse lui, riprendendo il controllo- Deve essere stata l’emozione o lo stress a farmi straparlare. Dimentica ciò che ti ho detto.

Dopo di ciò, Harry si alzò ed uscì dalla stanza, lasciando nello studio soltanto Hermione, adesso attanagliata dai dubbi che Harry le aveva instillato.

 

I Weasley guardarono il giovane che stava ritto davanti a loro, avvolto in un mantello scuro e con i capelli che gli arrivavano alle spalle.

Una lunga frangia copriva la sua fronte e la cicatrice che l’aveva reso tanto famoso, mentre gli occhi li osservavano attraverso un paio di occhiali da vista dalla montatura sottile, verdi e vivi come un tempo.

Nessuno dei componenti della famiglia si mosse fino a quando il giovane uomo cadde in ginocchio e, appoggiati i palmi sul gelido pavimento, si prostrò di fronte a loro.

Fu allora che Ron scattò e, con un calcio in bocca, ferì Harry Potter.

-  Ron!- gridò la signora Weasley, scandalizzata.

Fece per correre dal giovane dai capelli scuri, ma il marito l’afferrò per un braccio e le fece cenno di attendere.

Ron guardava, con il volto contratto dal disgusto, Harry Potter che, nonostante il volto sanguinante, continuava a rimanere in quella posizione, come in attesa.

-  Bastardo!- gridò Ron, dando un nuovo calcio a Harry, questa volta sul collo.

-  Sei un maledetto bastardo Harry Potter!- gridò, mentre pestava con rabbia gli occhiali che erano volati poco distante.

Nella sala risuonavano solo le grida di Ron, che continuava a colpire Harry senza pietà, e il singhiozzare della signora Weasley, che si stringeva al marito che, pallido, non riusciva a muoversi per la sorpresa di vedere suo figlio in quella versione così violenta.

Harry finì con il volto a terra, pesto e dolorante, ma non reagì mentre Ron continuava a colpirlo selvaggiamente e ben presto cominciò a  sentire sempre meno il dolore.

-  Fermati Ron! Così lo ammazzi!- gridò qualcuno spalancando la porta e catapultarsi nella stanza.

Ron alzò gli occhi e vide Hermione, simile ad un tornado castano, correre verso Harry.

Quel giorno aveva lasciato i capelli liberi di ricadere sulle spalle ed indossava un maglione di lana rossa e dei blue jeans.

-  Harry, come stai?- chiese preoccupata, gettandosi sul pavimento.

-  Non farmi curare- sussurrò Harry, voltando la testa nella sua direzione- Non voglio che queste ferite siano guarite magicamente. Voglio guarire come un qualsiasi Babbano da tutto questo. Me lo sono meritato.

Detto questo perse conoscenza.

Hermione, lentamente, lo mise supino per constatare i danni.

Molly Weasley trasalì quando vide il volto pesto ed insanguinato del giovane mago, che adesso poggiava la testa, privo di sensi, sulle gambe di Hermione, macchiando i jeans di sangue.

La giovane guardò tristemente colui che l’aveva ferito, poi gli disse:

-  Ron, per favore, aiutami a portarlo in infermeria.

Dal suo tono, notò Ron, non sembrava irritata, ma lui era rimasto male quando aveva visto con quanto slancio era corsa in aiuto di quello che doveva essere la persona che più doveva detestare.

Annuì e fece un cenno ai suoi fratelli, che lo aiutarono a portare Harry da Madama Chips.

 

Harry riaprì gli occhi lentamente, trovandosi a guardare il volto preoccupato di Hermione.

Si passò la lingua sulle labbra, che sentiva secche, e riconobbe il sapore di sangue, il quale non aveva ancora abbandonato la sua bocca.

-  Harry, come ti senti?

-  Gonfio. Dove sono i Weasley?

-  Madama Chips non vuole che ci sia troppa gente a disturbarti. Ha permesso a me di rimanere solo perché Silente è il preside e lui ha intercesso per me.

-  Va bene. Allora adesso mi alzò- disse, tirandosi faticosamente a sedere- e vado a parlare con loro.

-  Mi spiace, ma non posso permetterti di farlo. Ha detto che devi restare a letto per qualche giorno…

-  Allora falli venire.

-  Harry… è notte fonda. Dormono.

-  E tu perché non dormi?

-  Non posso dormire se sono preoccupata.

-  Non dovresti.

-  Non ricominciare con questa storia- disse lei, esasperata- Sono tua amica e mi preoccupo per la tua salute quanto mi pare e piace, chiaro?

-  Io non voglio che tu lo faccia. Non voglio lasciare nessun dolore quando sarò…

-  Non dirlo neanche per scherzo!- gridò Hermione.

-  Piano!- sibilò- Vuoi svegliare Madama Chips?

-  Io sono preoccupata per te, Harry. Nonostante tu stia cercando di farti perdonare, sei ancora strano.

-  Sono pieno di odio per Voldemort, Hermione, ma so che questo quasi sicuramente non basterà per permettermi di sconfiggere Voldemort. Guarda la realtà, Hermione.

-  E tu abbi speranza, Harry. Non andare da solo, se non ti senti sicuro.

-  Hermione… ho già accordi con Silente…

-  Fregatene! Dimostrati sincero con te stesso, Harry! Fai qualcosa!

-  Cosa vuoi dire?

-  Non tenerti tutto dentro. Dimmi apertamente…

-  Io non devo dirti nulla, Hermione- disse lui, improvvisamente freddo.

-  Come mai adesso usi questo tono? Cosa ti succede?

-  Non succede nulla.

-  Non è Voldemort, di questo sono sicura. Allora di cosa si tratta? Cosa mi nascondi?

-  Cosa ti fa pensare che ti nasconda qualcosa?

-  Il tuo negare che qualcosa non va ogni volta che cerco di sapere cosa ti rende così nervoso. Non ti fidi di me?

-  Non è questo.

-  Allora di cosa si tratta?

-  Hermione, non voglio essere rimpianto- disse lui, pianissimo.

-  E’ questo? Per questo, ogni volta che tento di avvicinarmi un pochino di più, tu mi respingi? Perché non vuoi che qualcuno possa toccare il tuo cuore e che qualcuno possa essere toccato dal tuo?

-  Io l’avrei detto in altri termini… ma è esattamente ciò che hai detto.

-  Mi spiace, ma non puoi. Io già ti voglio bene e poi ci sono i Weasley, Silente, i componenti dell’Ordine della Fenice e l’intero mondo magico. Harry, tu hai già lasciato la tua traccia nel mondo, che ti piaccia oppure no.

-  Hermione, sei unica- disse Harry, sorridendo, poi si sdraiò di nuovo sul letto e chiuse gli occhi.

-  Buonanotte Hermione.

-  Buonanotte Harry- disse lei, prendendo una mano del giovane tra le sue, per poi arrossire e sussurrare- E non preoccuparti del pericolo. Questa notte ci sono io a proteggerti. Nessun Voldemort o Ron Weasley potrà toccarti.

Harry sorrise, godendosi il calore di quel piccolo contatto.

Sarà la prima a morire.

Non la toccherai mai. Ti sconfiggerò perché tu non possa mai farle del male.

Glielo farai tu. Morirai e lei starà male, ma non preoccuparti, perché ti raggiungerà appena avrò attaccato Hogwarts.

Non avrai nessuno. Io vincerò. Tu morirai ed io sopravviverò. Questo è sicuro.

Non cantare vittoria tanto facilmente, Harry Potter.

Sei tu quello che non deve fidarsi così tanto delle sue capacità, Tom Orvoloson Riddle.

 

Harry, sostenuto da Hermione perché ancora piuttosto debole, arrivò di fronte alla grande porta e si fermò.

-  Devo entrare senza l’aiuto di nessuno- disse piano, guardandola negli occhi- Mi dispiace.

-  Non preoccuparti. Lo so.

Hermione aprì la porta al giovane ed attese che varcasse la soglia, poi lo seguì.

 Nello studio di Silente, assieme all’anziano mago, l’attendevano gli otto esponenti della famiglia Weasley, tutti e nove seduti su delle comode poltrone.

Quella più vicina al fuoco e quella alla sua sinistra erano libere, mentre alla destra c’era Silente.

-  Buongiorno- disse Harry a voce bassa, chinando il capo per nascondere il volto ancora tumefatto.

Hermione quella mattina l’aveva fatto specchiare ed aveva potuto vedere che il suo volto era più simile a una polpetta che a qualcosa di vagamente umano, con quegli occhi cerchiati di nero ed il naso gonfio e violaceo.

-  Buongiorno Harry- disse Silente, avvicinandosi per aiutarlo a camminare.

-  Non c’è bisogno che si scomodi, professore. Ce la faccio- disse Harry, avvicinandosi faticosamente alla poltrona di fronte al fuoco, quella che Silente aveva riservato per lui.

Hermione, solerte, lo aiutò a sedersi, sotto lo sguardo diffidente di quattro dei sei fratelli Weasley, poi si accomodò sulla poltrona alla sinistra di Harry, accanto al signor Weasley, che le sorrise amichevole.

-  Sono felice che tu stia meglio- esordì Silente, osservando il volto tumefatto di Harry senza lasciar trasparire il minimo disgusto per la situazione di quel viso.

-  Professore… non vorrei essere scortese, ma è meglio che io metta in chiaro subito le cose con la famiglia Weasley- disse Harry, passando il suo sguardo su ognuno di loro.

-  Mi dispiace avervi fatto soffrire così tanto ed avervi offeso. Mi dispiace avervi insultato in quel modo ma l’ho fatto perché era meglio così.

-  Cosa mai potrebbe giustificare il tuo comportamento?- disse Ron, furioso- Ci hai insultati e derisi, ci hai attaccato ed hai quasi ammazzato Hermione!

-  Ron, adesso non mettermi in mezzo!- protestò Hermione- Io ho già parlato con Harry e l’ho perdonato. Dovresti ascoltarlo prima di condannarlo.

-  Perché l’hai perdonato? Lui ti ha attaccato con un serpente velenoso!

-  Non voleva farlo. Harry ha detto che è stato un incidente ed io gli credo.

-  Come fai a credere a quello che ti ha quasi uccisa!

-  Mi ha salvato la vita. Se lui non fosse intervenuto, io e la mia famiglia saremmo stati sulla Gazzetta del Profeta in quanto nuove vittime di Voldemort.

-  Non è possibile! Lui…

-  Smettila Ron- disse Arthur, guardando Harry- Voglio sapere come mai hai fatto del male a tutti noi, Harry.

-  Voldemort.

-  Eri controllato da lui?- chiese Fred, improvvisamente attento.

-  No.

-  Allora come mai dai la colpa a lui?- sibilò Ron con rabbia.

-  Perché quel bastardo è qui!- gridò Harry, a dir poco furioso- La vedi questa cicatrice? Lui ci sente e ci vede. Sa tutto di tutto. Sa anche che il modo migliore per sconfiggermi è ferire le persone che amo. Volevi davvero essere usato come esca da quel pazzo, Ron?

Ron impallidì.

-  E’ questo allora. Per questo quella volta hai avuto una crisi isterica. Non eri pazzo.

-  No. Stavamo… litigando. Ormai lui è sempre qui.

-  E tu?

-  Anche io sono con lui, per questo ho potuto sapere dell’attacco dei mangiamorte a casa Granger. Io e lui ormai non possiamo più avere segreti. Lui sa ciò che conosco io e viceversa. Neanche l’Occlumanzia funziona più.

Molly Weasley si coprì la bocca con le mani, trattenendo a stento il dolore.

-         Lo so che è orribile, ma è stato molto più orribile il mio comportamento nei vostri confronti. Per questo vi chiedo scusa per ciò che vi ho fatto.

-         No.

La risposta, fredda come una lama, trapassò il cuore di Harry.

Il volto di Ron era una maschera di pietra.

-         Non ti perdonerò mai. Io mi fidavo di te… eri il mio migliore amico… eri quasi un fratello… e ci hai pugnalati alle spalle per che cosa? Per una voce nella tua testa.

-         E’ stato per proteggerci, Ron!- ribattè Hermione, furiosa.

-         Non ci credo.

-         Fa come vuoi- disse Harry, alzandosi- Mi spiace, ma sono stanco e vorrei tornare in infermeria.

Silente fece per alzarsi ma Charlie Weasley fu più rapido.

Si alzò e passò un braccio di Harry sulla sua spalla.

-  Lo aiuto io. Voi restate qui.

-  Io vado con loro- sibilò Hermione, indignata, seguendoli a qualche passo di distanza.

 

-  Io ti credo, Harry- disse Charlie Weasley, aiutando il ferito a rimettersi a letto- E Ron è solo un idiota. Vedrai che presto capirà che l’hai fatto per il nostro bene.

-  Non proverei rancore per lui se non riuscisse a perdonarmi. Ho fatto del male a tutti voi, Charlie.

-  L’hai fatto perché credevi che ci avrebbe salvati. La decisione che hai preso è stata molto coraggiosa.

-  Sono stato pavido, non coraggioso. Va, è meglio che tu stia con la tua famiglia. E anche tu dovresti andare con lui, Hermione. Qui non puoi fare nulla.

Hermione, con aria seria, prese una sedia e, dopo averla appoggiata accanto al suo letto, vi si sedette.

-  Sei sempre maledettamente testarda- commentò Harry, mentre Charlie usciva dalla porta.

-  Voglio aiutarti. Ora posso farlo, mentre in futuro…

-  Vivrò, non preoccuparti.

-  Cosa? Fino a ieri…

-  Ieri ero ancora uno stupido. Non credevo che sarebbe mai accaduto… ma adesso sono certo che vincerò- disse Harry, mettendosi a sedere- Hermione, ti giuro che io riuscirò a sconfiggere Voldemort.

-  Cosa ti ha detto?- chiese lei, pallida, spostandosi sul letto di Harry.

-  Vuole uccidervi tutti quanti. Lui vuole prendere Hogwarts ed eliminare tutti i suoi occupanti. Inoltre mi ha promesso che tu sarai la prima che ucciderà. Questo non deve accadere e non accadrà mai, perché io ti proteggerò. Io batterò Voldemort e lui non potrà più torcere un capello a nessuno.

-  Grazie Harry- sussurrò Hermione, mentre piccole lacrime iniziavano a scorrere lungo il suo volto.

-  Non piangere- disse Harry, con lo stesso volume di voce, asciugando le lacrime della giovane con le mani- Non devi piangere.

-  Perché?

-  Perché è una bella notizia. Io adesso sono certo che batterò Voldemort. E tutto questo lo devo all’affetto che provo per voi tutti.

-  Io non voglio che tu muoia per proteggerci.

-  Non morirò, te l’ho già detto. E se lo dovessi fare per salvare te… Hermione, quella sarebbe la morte migliore che io possa chiedere.

-  Harry… è anche questo, vero? La questione tra te e Ron a cui non volevi accennare l’altro giorno e dalla quale mi hai sviata.

-  Non capisco che cosa tu voglia dire.

-  Lui è geloso di me, e questo è chiaro. Ma tu? Che cosa provi tu nei miei confronti, Harry?

Harry rimase in silenzio per qualche istante.

E’ inutile che tenti di nasconderlo… sei un ingenuo. Io lo vedo chiaramente…

-  Tu sei l’amica più cara e più saggia che abbia mai avuto, Hermione.

Il pallido sorriso che lei gli rivolse non riusciva a celare la sua reazione a quelle parole, ma Harry decise di non fare domande e lei, con uno sbrigativo bacio sulla guancia, lo salutò.

La ucciderò per prima… e tu non morirai subito. Sarà più divertente vederti morire per due volte.

 

Il sole non era ancora sorto dalle colline quando un’invisibile figura scivolò fuori dal castello di Hogwarts attraverso un passaggio segreto.

Sapeva che non poteva Materializzarsi dall’interno delle mura della scuola, così era sgusciato fuori di nascosto, diretto alla botola che si trovava sotto Mielandia.

Da lì si sarebbe materializzato nel luogo dove Voldemort lo attendeva.

Essendo in contatto, era stato facile trovare un luogo che entrambi i maghi potessero raggiungere.

Era una brughiera, zona priva di nascondigli e spopolata, per venire incontro sia al desiderio di Voldemort di avere uno spazio aperto in cui il suo avversario non si sarebbe potuto nascondere sia a quello di Harry, il quale non voleva che ci fossero vittime innocenti in quello scontro che, sapeva, sarebbe stato l’ultimo per almeno uno di loro.

-  Salve Harry- disse l’uomo, guardando il giovane appena apparso davanti a lui- Hai dormito bene?

-  Smettila con il tuo pessimo senso dell’umorismo. E’ ora di mettere fine a questa storia, Voldemort.

-  Sì, hai ragione. Appena tu non sarai più in circolazione sarò libero di distruggere il tuo insulso mondo e le persone che tanto ami.

-  Io non te lo permetterò.

La voce di Harry non era rabbiosa o piena di sicurezza: era semplicemente la constatazione di qualcosa che sembrava essere già una realtà.

-  Sei uno sciocco se credi di poter vincere. Bene… vediamo di finirla in fretta. Avada Kedavra!

-  Un fascio di luce verde attraversò l’aria rapidissimo, diretto al giovane Potter, che si gettò a terra e rotolò via.

-  Impedimenta!

L’incantesimo di Harry mandò a gambe all’aria l’esperto mago ma non gli impedì di attaccare.

L’incantesimo Sectumsempra colpì di striscio il giovane mago, aprendo un profondo taglio nella gamba sinistra e facendolo cadere a terra.

Harry sentì la sua mano aprirsi e la bacchetta rotolò via, lontano dalla sua portata e vicino al suo nemico.

-        Sei lento, piccolo Potter.

-        Taci!- ringhiò il mago, guardando il pallido volto del suo nemico, maschera distorta del bel volto che aveva conquistato uomini e donne e che, assieme al suo carisma, lo aveva aiutato a divenire il mago più temuto di tutti i tempi.

Lo vide chinarsi e prendere la bacchetta di Harry, poi iniziò ad  esaminarla con falso interesse.

-  Bella bacchetta…. – sussurrò, stringendo la sottile striscia di legno tra le dita della mano sinistra- Davvero molto bella.

Lasciò cadere la bacchetta in terra, poi vi pose sopra il piede e fece pressione, spezzandola e rivelandone l’anima di piuma di fenice.

-        Odio distruggere le buone bacchette- sussurrò- ma non posso permetterti di reagire. Non oggi. Oggi, caro il mio amico, si fa sul serio.

-        Privo di ogni difesa ma non ancora sconfitto, Harry si alzò in piedi.

-        Credi di impressionarmi?- chiese Voldemort, stavolta senza alcun sorriso in volto.

-        Io non mi arrendo.

-        Dovrei aver paura di un mago diciottenne che ha perso la sua unica difesa? Adesso ti faccio vedere una cosa… Expelliarmus!

L’incantesimo di Disarmo lanciò in aria il giovane, mandandolo a gambe all’aria.

-        Ed io dovrei aver timore di te? Di un mago poco più che adolescente che non ha fatto altro che nascondersi negli ultimi mesi? Dovrei aver paura di un codardo che ha cercato di nascondersi dietro di me per giustificare le sue malefatte?- sibilò, avvicinandosi a lui con un sorriso malefico dipinto in volto- No, non ti temo. Ho smesso di aver timore di te il giorno in cui è morto quel traditore, quel purosangue di nome Sirius Black. Non sei in grado di capire quanto sia stato facile usare le tue paure, Harry Potter? Sei prevedibile come tutti gli altri adolescenti, pieno di ormoni in tumulto, sogni di gloria e inutili ideali. Il tuo amore è stato ciò che ha condannato le tante persone che ti hanno amato e sarà anche la tua condanna a morte. Stavolta non c’è la mamma a salvarti la pelle, vero? No, oggi non c’è nessuno che morirà per te. Da oggi in poi nessuno più penserà a te come “il Bambino Sopravvissuto” o “il Prescelto” o “il Folle”. D’ora in poi sarai “lo Sciocco che Credeva di Poter Sconfiggere Voldemort”.

Harry vide la bacchetta di Voldemort sollevarsi lentamente, quasi l’uomo si divertisse nel vederlo inerme, incapace di difendersi, ed attese che la Maledizione Senza Perdono alla quale era sopravvissuto quando aveva solo un anno lo uccidesse.

-        Expelliarmus- gridò una voce a lui familiare.

Voldemort, colto alla sprovvista, lasciò che la sua bacchetta volasse via mentre Harry guardò il giovane mago che era giunto in suo soccorso.

I capelli rossi di Ronald Weasley brillavano alla luce del sole sorto da poco e lo facevano apparire come un guerriero dai capelli di fuoco.

-        Ron!- sussurrò, incredulo di fronte all’aiuto che gli era stato appena offerto da quello che era stato per anni il più caro dei suoi amici, che adesso era apparso al suo fianco.

-        Tu… piccolo bastardo…

-        Accio bacchetta!- gridò Harry, ma fu anticipato dal legittimo proprietario dell’arma.

Voldemort li guardò con rabbia.

Le sue narici adesso erano divaricate e respirava in modo rumoroso, segno della collera che cresceva sempre più, rendendo i suoi occhi sempre più pericolosi.

-        Non mi hai sconfitto, traditore dei purosangue. Ed ora te lo dimostrerò.

Accadde tutto in un attimo: Voldemort scagliò il suo Avada Kedavra contro il giovane Weasley nel momento in cui Harry, dopo aver strappato la bacchetta dalla mano di Ron e spinto via l’amico, lanciava la stessa maledizione a Voldemort.

Una volta gli avevano detto che lui non sarebbe mai stato in grado di scagliare quel maleficio, ma lui lo fece.

In quel momento pensò a tutti coloro che avevano sofferto a causa di quel mago oscuro: i genitori che non aveva mai potuto conoscere… la famiglia Paciock, devastata dalla crudeltà dei suoi mangiamorte… Sirius, ucciso dalla sua stessa cugina… i Weasley, che avevano perso un figlio… Malocchio Moody, che nella lotta contro i Mangiamorte aveva perso parti del suo corpo… ed alla fine Hermione, che aveva rischiato di perdere la sua famiglia a causa del suo essere una strega…

La luce verde accecò Ron Weasley.

Oggi non c’è nessuno che morirà per te.

Non importa. Neanche tu hai qualcuno che ti protegga.

Harry sorrise, poi il suo mondo divenne verde e sentì il calore del colpo attraversare la cicatrice sulla sua fronte.

 

***

 

La luce del sole baciava il viso del pallido paziente che riposava nell’infermeria di Hogwarts.

Sulla sedia alla sua destra stava una strega dai lunghi capelli castani, che stringeva con forza un paio di occhiali e osservava preoccupata il giovane che giaceva su quel letto privo di sensi.

Erano trascorsi quattro giorni dal gioioso giorno della morte di Voldemort ma al castello di Hogwarts c’era molta preoccupazione per la sorte del ferito.

-        Harry…- sussurrò, guardando la foto che avevano scattato un anno prima e che adesso stava sul piccolo mobile accanto al letto.

Adesso nella foto c’erano tutti quanti.

La gioia dominava in quel piccolo spaccato di vita, con Ron,Ginny e Hermione che, abbracciati in primo piano, sorridevano in direzione del giovane mago che mangiava di gusto le sue patate e sorrideva in direzione di Molly Weasley.

La porta si aprì e la professoressa Minerva McGranitt si affiancò alla strega.

-        Come sta?

-        Non si sveglia.

-        E’ stato un brutto colpo.

-        Non è stato il colpo. E’ stata la sua morte… non se lo perdonerà mai. Era il suo migliore amico.

-        Lo so… ma era anche il tuo.

-        Ma io… io… io gli ho parlato. Con me si è confidato. Ma lui… Ron non ha potuto neanche dirgli che l’aveva perdonato.

-        Lui l’ha capito. Ron ha rischiato la vita per salvarlo.

-        Ma non c’è riuscito! Harry è morto! E’ morto! Io conosco benissimo Ron… non potrà perdonarselo. Voleva davvero aiutare Harry… voleva che fossero di nuovo amici…

-        Non è colpa sua. E tu devi aiutarlo a capire questo. Harry non vorrebbe che Ron soffrisse per qualcosa di cui non ha colpa.

Hermione annuì ed abbassò gli occhi su quegli occhiali vecchi e riparati più volte grazie alla magia, l’ultimo ricordo del ragazzo prescelto che era stato il suo migliore amico.

Inarrestabili lacrime le rigarono il volto senza che potesse fermarle, grandi e salate.

-        Mi aveva promesso che sarebbe tornato- sussurrò, mentre la voce le si spezzava in gola- Aveva promesso che sarebbe sopravvissuto anche questa volta. Aveva detto che non sarebbe morto!

Hermione portò le mani al viso e pianse, sotto gli occhi lucidi della professoressa McGranitt.

 

***

 

L’aria calda dell’estate baciava i corpi di Ron e Hermione, distesi sull’erba, poco lontani dalla Tana.

Erano separati da una candida lapide sul quale erano state incise le parole “Non ti dimenticheremo mai”.

I membri dell’Ordine della Fenice avevano concordato sul fatto che Harry non volesse riposare in un cimitero babbano ed avevano scelto il terreno sul quale sorgeva l’unica casa che lui potesse considerare tale, con una lapide che ingannasse la maggior parte della popolazione magica.

-        Dopo una vita di celebrità indesiderata è giusto che riposi in modo anonimo, senza gli sguardi dei curiosi- aveva detto Ron il giorno della sepoltura.

La notizia della morte di Harry Potter, data un mese dopo la sua dipartita, aveva sconvolto l’intero mondo della magia ed ancora quel giorno, due mesi dopo l’annuncio, la Gazzetta del Profeta continuava a scrivere articoli che lo riguardavano.

-        Allora hai deciso?- chiese Ron, guardando l’amica.

-        Sì.

-        Non posso farti cambiare idea?

-        No. Non dopo quello che è successo.

-        Non è la scelta giusta.

-        Lo so, ma è quello che desidero.

-        Hermione, tu sei una strega.

-        No. Io sono solo Hermione.

-        Sei la migliore strega che io abbia mai conosciuto. Non sprecare tutto quanto solo per me.

Hermione e Ron balzarono in piedi e si guardarono attorno.

Alle loro spalle stava Harry, argenteo e trasparente come solo un fantasma poteva essere.

-        Harry…- sussurrò Ron, senza fiato.

Hermione non riuscì a parlare.

Guardava il fantasma e i suoi occhi lasciavano scorrere le stesse grandi lacrime della chiacchierata con la McGranitt e del funerale.

-        Faccende in sospeso- disse semplicemente Harry- Voi due siete gli ultimi e vi prego, come ho già fatto per gli altri, di non raccontarlo.

I due annuirono.

-        Hermione… sono stato uno sciocco a non dirti che mi ero innamorato di te. Non volevo che Voldemort ti usasse e ti facesse del male.

Lei annuì.

-        E tu, Ron… ti voglio bene. Sei il mio migliore amico e lo sarai per sempre. Noi tre staremo sempre insieme, anche se io non sono più tra i vivi.

-        Resterai un fantasma?- chiese Ron.

-        No- disse subito Hermione, continuando a piangere- Svanirai appena finirà la nostra chiacchierata, vero?

Harry annuì.

-        Ci mancherai.

-        Lo so, Ron. Hermione… non lasciare la magia solo per quello che mi è successo. Devi vivere. Io non posso più ma tu sì. Non nasconderti soltanto perché se non fossi stato un mago non sarei mai morto. Io non vi avrei mai conosciuto senza la magia… non avrei mai scoperto la verità sui miei genitori e su che cosa ero… e non avrei mai avuto amici come voi. Sono felice di essere stato un mago e di avervi protetto. Aveva ragione Silente… l’ho sconfitto e l’ho fatto grazie a ciò che Tom Orvoloson Riddle non capiva: l’amore. Vi ho amato moltissimo e non mi pento della mia scelta. Addio Hermione. Addio Ron. Siate felici.

Il sorriso di Harry svanì in un colpo del sottile vento estivo, lasciando due amici accanto alla lapide bianca dell’amico di mille avventure che adesso era, dopo quasi diciotto anni, di nuovo con i suoi genitori.

 

 

  
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