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Autore: _Frame_    12/10/2011    4 recensioni
Mio padre morì il 28 gennaio 2010. Era un poliziotto. Mia madre il 14 febbraio 2011. Lei era un'ex attrice e modella. Entrambi erano seppelliti nel cimitero a due passi da casa. Questo era tutto ciò che sapevo dei miei genitori all'età di cinque anni. Anzi, questo era tutto quello che volevano farmi sapere.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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21. BIANCO (RYUZAKI)

 
2023
 
Gli anni delle elementari passarono in fretta.
Mi piaceva molto andare a scuola, anche se, a volte, mi annoiavo.
Tutto, per me, era estremamente semplice e , in certe occasioni, andavo avanti da solo con il programma per cercare qualcosa di più stimolante con cui mettermi alla prova.
Mia nonna era fiera di me.
Diceva che, standomi vicina, era come se mio padre non se ne fosse mai andato.
Ed ero certo anch’io che lui sarebbe stato altrettanto fiero.
Alle medie, la situazione era rimasta pressoché invariata.
I professori avevano grandi progetti per me, ma a me tutto ciò che interessava era finire la scuola il più in fretta possibile, per poter entrare nella polizia.
Essendo nipote adottivo di ben quattro agenti, qualcuno avrebbe potuto sentire puzza di raccomandazione ma, fra tutti, io ero quello che ne avesse meno bisogno.
 
-Ma no, non è questo! Io ci sto attento, in classe! Ma, diamine! Di quella roba non ho capito proprio un tubo!
 Guardai divertito, e un po’ dispiaciuto, il mio compagno in piena crisi di autostima.
La matematica non era di certo il suo forte.
Camminavamo lungo il viale, travolti da una pioggia di petali di ciliegio.
La primavera, quell’anno, era arrivata in anticipo, ed era piacevole, una volta usciti da scuola, incamminarsi verso casa immersi in quel paradiso rosa.
-Se vuoi, Shimura, posso darti una mano io domani.
Il mio compagno mi si piazzò davanti, afferrandomi le mani con le lacrime agli occhi.
-Oh, grazie, Yagami! Sono sicuro che un genio come te saprà farmi entrare in testa quel macello molto meglio di quell’incapace che siede dietro la cattedra!
 Entrambi, ora, ci ritrovavamo avvolti da un soffice ed innocuo velo di petali.
Dietro di noi si era materializzato un piccolo gruppo di studentesse in divisa marinaresca, anche loro reduci dalle lezioni mattutine.
Ci passarono di fianco quasi correndo, travolgendoci con i loro squillanti chiacchiericci, perennemente presenti sulle loro bocche.
Le vedemmo dissolversi in lontananza, insieme ai loro farfugliamenti.
Ma due di loro si fermarono.
Le conoscevo di vista, perché frequentavano la classe proprio di fianco alla nostra, e mi capitava spesso di incrociarle nei corridoi.
Erano sempre insieme.
Una di loro portava un taglio a caschetto, con i capelli castani a cui erano legati due nastrini rossi, all’altezza delle tempie.
Ero certo che si chiamasse Mayumi.
Era molto popolare nella scuola, tutti i maschi stravedevano per lei, anche se i loro sforzi per farsi notare, a quanto pare, si erano sempre dimostrati vani.
Non l’avevo mai vista insieme ad un ragazzo, e non mi era mai sembrata interessata ad intraprendere un rapporto con qualcuno di loro.
L’altra ragazza era un po’ meno appariscente alla vista.
Molto minuta, con i capelli lunghi fin sotto alla schiena, che emanavano riflessi color ebano.
Ogni tanto, quando si alzava il vento, alcune ciocche le coprivano parte del viso.
Lei mi sembrava si chiamasse Nami.
Era decisamente più timida, rispetto a Mayumi, e si piazzò davanti ai miei occhi, con lo sguardo seminascosto dalla chioma corvina, sforzando un sorriso, spinta dall’amica che, dietro di lei, sghignazzava qualche  parola di incoraggiamento.
-E…ehm…R-Ryuzaki…
La fissai, tentando di apparire il più gentile possibile, per cercare di non farla sentire a disagio.
Lei mi fece scivolare tra le mani un foglietto sudaticcio e mezzo stropicciato.
-…questo…questo è…è il mio numero…
Si voltò di scatto, coprendosi il viso con le mani.
Mayumi iniziò a ridere, tentando di trattenere la sua fuga, afferrandola per le spalle, ma Nami ormai era già partita in quarta verso la fine della stradina.
La ragazza, poi, si girò verso di me, ancora con un grosso sorriso stampato sulle labbra.
-Chiamala, mi raccomando.
Le sorrisi imbarazzato.
Non era la prima ragazza che mi esibiva una sceneggiata simile.
-Ah…già! Se per caso non dovesse funzionare…
Mi passò anche lei un biglietto, ma questo era piegato accuratamente, con un piccolo cuoricino rosso incollato sulla superficie.
Mayumi mi strizzò l’occhio.
-…hai il piano B.
Detto questo, si mise a correre in direzione di Nami.
Mi infilai entrambi i fogli dentro la tasca dei pantaloni, sicuro che non avrei mai fatto uso del loro contenuto.
Non ero interessato, alle ragazze.
Di solito, il tempo libero preferivo trascorrerlo sui libri.
Mi sentivo ancora troppo giovane, per qualcosa di serio.
Rivolsi nuovamente lo sguardo a Shimura, che aveva osservato la scena in maniera totalmente indifferente.
Un qualsiasi altro ragazzo sarebbe diventato verde d’invidia.
 -Ti aiuterei anche oggi, ma vedi…
Diedi un’occhiata all’orologio.
-…ho un appuntamento.
Shimura mollò la presa e si asciugò gli occhi.
-Tranquillo. Un giorno in più non fa la differenza.
-Già…allora ti saluto! A domani!
Corsi via, rischiando di scivolare più volte sul tappeto di fiori appena caduti.
Gli alberi ai bordi del vialetto erano abbastanza giovani, per cui non molto alti, e riuscii facilmente a strappare quattro rametti di boccioli non ancora del tutto fioriti dagli esili fusti.
Ora che ero cresciuto, mi sentivo più indipendente e responsabile, così avevo iniziato a recarmi al cimitero almeno una volta a settimana, da solo, per non sentirmi di peso nei confronti dei miei zii che, fino a qualche tempo prima, si erano rivelati i miei accompagnatori ufficiali.
 
Appoggiai i fuscelli sulle lapidi, rese tiepide dalla carezza del caldo sole primaverile.
-Scusatemi se è un po’ poco…ma oggi non ho trovato nulla di meglio.
 Strappai qualche fastidiosa edera dalla tomba di mia madre, che si trovava in una zona più ombrosa e, quindi, decisamente più umida.
-Sono molto belli però, vero? Quest’anno abbiamo avuto una fioritura meravigliosa.
 Rimasi ancora qualche secondo a contemplare il sepolcro, con i raggi del sole che mi solleticavano il naso.
-È un buon auspicio, giusto, mamma?
Ovviamente, non pretendevo di ricevere una qualche risposta dalla lapide, ma mi rasserenava il fatto di poterci parlare come se avessi di fronte la mia adorata mamma in carne ed ossa.
Imboccai la stradina sterrata che conduceva alla tomba senza nome.
Mi ero affezionato a quel sepolcro.
E, puntualmente, mi assicuravo che anche lui ricevesse la sua quantità settimanale di fiori.
In tutti quegli anni, non avevo mai visto nessuno fargli visita.
Mai un mazzolino, che non fosse il mio.
Mai un lume acceso.
Mai nessuno che si occupasse di mantenere pulita la croce di pietra.
Mai un misero saluto da parte di qualcuno.
Mi sentivo importante per lui.
Ero il suo custode.
Ed è per questo che, quel giorno, quando lo vidi per la prima volta, il primo sentimento che provai fu…gelosia.
Mi dava le spalle, fermo come una statua, con le mani in tasca, di fronte alla sua tomba.
A prima vista, rimasi quasi spaventato dal suo aspetto, così mi bloccai a qualche metro di distanza, per studiare quell’eccentrico personaggio immobile davanti ai miei occhi.
A bruciapelo, pensai che si trattasse di un fantasma.
Non era molto alto, a occhio e croce doveva aver avuto una ventina d’anni.
Era vestito interamente di bianco, con abiti che saranno stati di almeno due taglie più grandi del dovuto.
Ed i suoi capelli, color platino, lunghi fino alle spalle, mossi, con qualche ricciolo qua e là.
A pensarci bene, ora, più che un fantasma, pareva quasi uno di quegli angioletti che svolazzano nudi sugli affreschi delle cattedrali cristiane.
Mi avvicinai a lui, seppur ancora un po’ intimidito dalla sua immagine così insolita.
-È un suo parente?
Si voltò distrattamente verso di me.
Aveva dei grandi occhi color grigio metallizzato che quasi abbagliavano, mentre riflettevano la luce del sole.
Quando i nostri sguardi si incrociarono, lui fece un balzo indietro, rischiando di cadere di schiena.
Pensai di averlo spaventato con la mia apparizione improvvisa.
A volte capita, quando si è sovrappensiero.
Solo successivamente, capii che il motivo del lampo di terrore comparso nella sua espressione alla mia vista, era di tutt’altra natura.
Dovetti attendere per una manciata di secondi, prima di una sua risposta, e, durante quel lasso di tempo, rimanemmo immobili, a fissarci.
-N…no.
La mia presenza doveva costituire una notevole fonte di disagio per lui, perché ripose immediatamente lo sguardo sotto di se, rivolgendolo all’anonimo sepolcro.
-Diciamo…un conoscente.
Passata la prima scintilla di gelosia, mi sentii sollevato.
Davvero.
Era bello sapere che la persona su cui avevo fantasticato per tutto quel tempo non fosse del tutto sola al mondo.
Questa poteva rivelarsi un’ottima occasione per concretizzare le mie fantasie, ma non me la sentivo di porgergli domande, che potevano rivelarsi invadenti, riguardo la persona sepolta in quel luogo.
Avrei rischiato di sembrargli impertinente ed infantile.
Non sentivo, tutto sommato, il bisogno di associargli un’identità. 
Come mi aveva spiegato anni prima mio zio, probabilmente la sua scelta di anonimato non era casuale, ed io volevo rispettare la sua volontà.
Non nascondo, ovviamente, il fatto di essere stato soggetto, comunque, ad una naturale curiosità.
Ma, visto la mia giovane età, sarebbe risultato strano il contrario.
-Sul serio?
Rivolsi anch’io lo sguardo dinnanzi a me.
- È bello sapere che abbia avuto almeno qualche amico.
-Non fraintendere…
Lo guardai confuso, mentre si chinava, spostando delicatamente una manciata di terra soffice, creando una piccola fossa, come quelle che ti insegnano a fare all’asilo a lezioni di giardinaggio, quando devi piantare un bulbo.
Fece scivolare dentro alla rientranza quella che, a prima vista, sembrava proprio una zolletta di zucchero, ma il mio cervello scartò quasi immediatamente l’eventualità di questa ipotesi, giudicandola stupidamente inverosimile.
Risistemò accuratamente il terreno, dopodiché si rialzò, strofinandosi i candidi pantaloni, rimasti leggermente impolverati.
Fece cadere, poi, il suo sguardo sul ramo di ciliegio, che stringevo ancora tra le dita.
-Allora sei tu, quello che gli porta sempre i fiori.
Rimasi stupito.
Da questa sua affermazione, potevo capire che non era la prima volta che quell’individuo gli faceva visita.
Posai il fuscello gravido di boccioli che, in mancanza di linfa, si stavano già iniziando ad appassire.
-Non l’ho mai vista, qui al cimitero.
-Si…di solito mi reco qui in tutt’altro orario…
Prese una ciocca platinata tra le dita ed iniziò ad arricciarla.
-…ma oggi, ho fatto un’eccezione. Non pensavo che avrei trovato qualcun altro qui.
 Il suo sguardo non si spostava di un millimetro.
Sembrava quasi, che avesse paura a guardarmi negli occhi.
-Spero solo che non sia stato un peso, per te, venire a trovarlo per così tanto tempo. In fondo, è una bella responsabilità…
 Sorrisi, scuotendo la testa.
-Vede…io vengo qui ogni settimana per rendere omaggio ai miei genitori e a mio nonno. Non mi fa alcuna differenza portare qualche fiore in più, anzi…
 Arrossii debolmente.
-…ormai, penso di essermi affezionato pure io a questa persona.
Mi strofinai la testa, sorridendo imbarazzato.
-Ora lo troverà stupido, vero? Prendere così a cuore qualcuno di cui non si conosce nemmeno il nome.
 Si sfilò i capelli dalle dita, e questi rimbalzarono, andando a formare un piccolo boccolo.
-Affatto. A proposito…mi dispiace per i tuoi genitori. Sai, anche io so cosa significa crescere orfano.
-Grazie. Ma non è stato poi così difficile, per me. Vivo con mia nonna, che è una donna molto attenta e premurosa. E poi, posso sempre contare anche sui miei zii.
 Sollevai il capo, in direzione del cielo che si stava annuvolando poco a poco.
-Anche se non ho legami di sangue con loro, li ho sempre considerati i miei parenti più prossimi. Erano colleghi di mio padre e conoscevano molto bene anche la mia mamma. Si sono presi l’impegno di allevarmi e mi sono sempre stati affettuosamente vicino.
 Feci una pausa.
-Ed io voglio un mondo di bene a tutti loro.
L’individuo sospirò.
Sembrava quasi sconsolato.
Ed io, temetti di aver detto qualcosa che avesse potuto in qualche modo ferirlo, essendomi forse spinto un po’ oltre con i miei racconti personali.
-Sei fortunato…
Mi disse.
-…quando rimasi senza genitori, fui subito sistemato in un orfanotrofio. Certo, lì ebbi modo di affezionarmi in particolare ad una persona, ma mi è sempre mancato quell’amore che penso solo un genitore sia in grado di donare.
 Rabbrividii.
Non avevo mai pensato all’eventualità di un orfanotrofio.
Mi sentii incredibilmente fortunato ad aver accanto a me persone che mi volevano bene, e che so non avrebbero mai permesso che mi sbattessero in una di quelle pseudo prigioni infantili.
-E adesso, dov’è quella persona?
-È morta.
Mi morsi la lingua.
Avrei voluto sprofondare nel terreno, dalla vergogna.
Stupido.
-Purtroppo, però, anche se è venuto a mancare qui, in Giappone, il suo corpo è stato riportato a casa, in Inghilterra, insieme a quello di un altro compagno. E mi è impossibile andare a salutare entrambi. Il mio lavoro non mi dà molte libertà.
 Non gli feci domande sul suo lavoro.
Non volevo impicciarmi ulteriormente.
Avevo già fatto abbastanza danni, per il momento.
Si creò un silenzio imbarazzante, ma quell’aria tesa venne subito spezzata dallo squillo del suo cellulare.
Si sfilò dai pantaloni un grosso telefono, ricoperto di cavi, collegati a pulsanti che lui si preoccupò di premere in un ordine ben preciso prima di rispondere.
-Si?...Mmh…di nuovo? Ho capito…sono subito lì…
Si rimise il marchingegno in tasca e si rivolse a me, sempre senza guardarmi negli occhi.
-Scusa. Ti devo lasciare.
Rivolse un’ultima, profonda occhiata al sepolcro.
-Vienilo a trovare pure quando vuoi. Sono sicuro, che gli fa piacere.
Detto questo, si voltò dandomi le spalle.
-S…si. Grazie.
Nel vederlo andar via, mi svegliai come da un sonno profondo.
Parlare con quel ragazzo mi aveva messo un po’ a disagio.
Emanava un’aura stranissima, non mi era mai capitato di provare una sensazione del genere, stando con qualcuno.
Tuttavia, anche a me aveva fatto piacere parlare con lui.
In questo modo, sentivo di essermi avvicinato un po’ di più all’identità dell’uomo misterioso.
Posizionai le mani davanti alla bocca, facendo loro prendere la forma di un megafono.
Magari, così sarebbe stato in grado di ricontattarmi.
-A proposito! Il mio nome è Ryuzaki Yagami!

   
 
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