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Autore: valentinamiky    12/10/2011    1 recensioni
4^Classificata al "Cluedocontest" indetto da Tifa Lockheart90
Dal cap.1 "Arthur alzò gli occhi al cielo: possibile che il padre non avesse il minimo senso dell’umorismo?
-Stavo scherzando, ovviamente. Merlin è il figlio di Hunith-[...]
Uther lo guardò torvo.
-E tu come fai a conoscerlo?-
Arthur chiuse gli occhi, sperando pur sapendo di illudersi, che il padre non scatenasse un uragano dopo la sua semplice e schietta risposta.
-Viviamo insieme-"
Dal Cap.4 "-Arthur! No...no, vi prego! Sono innocente! Arthur, diglielo, ti prego! Non ho fatto niente, sono innocente!- Merlin continuò a urlare in preda alla frustrazione, disperato, voltandosi per quanto gli fosse consentito dalla morsa dei due agenti che lo stavano trascinando lontano, verso un loculo freddo e buio.
Aveva paura. [...]
Paura che, alla fine, anche l’ispettore lo abbandonasse al suo triste destino.
Fu proprio Arthur a riportarlo alla realtà: lo aveva afferrato per una spalla, rallentando così il percorso degli agenti. Lo aveva abbracciato, stringendolo a sé, protettivo.
-Giuro che ti tirerò fuori di qui, fosse l’ultima cosa che faccio...- aveva sussurrato, affondando il palmo nei suoi capelli scuri."
Genere: Commedia, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guilford Saga'
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Vorrei ringraziarvi tutte, per averla letta: ne sono felice!
Un grazie particolare a chi ha commentato! *_* Grazie, grazie, GRAZIE!
Per Marta: Ecco la foto incriminata (tanto per stare in tema) del faccialibro ;) Ok è photoshoppata per le scritte (e ho aggiunto l'effetto) ma per il resto no...*_____* Ammoriiiiii!


41 di sangue

 
Capitolo 1:
La caduta di Morgana


 

Merlin uscì dall’università con un sorriso soddisfatto: non aveva ottenuto il trenta predetto da Arthur, ma non si sarebbe certamente lamentato per un ventotto. Inoltre, i docenti erano stati più clementi del previsto, trattenendoli solo un mezz’oretta a testa, salvo alcuni alunni in difficoltà, ai quali i professori avevano preferito porre qualche domanda in più per la conferma del voto. Fortunatamente, avevano seguito l’ordine del registro, quindi il moro era stato congedato in breve tempo.
Ora lo aspettava una bella pedalata fino alla periferia: doveva recarsi al maneggio gestito dai genitori, aveva promesso di dar loro una mano e poi voleva assolutamente accertarsi che Kilgarrah, il suo cavallo, stesse meglio, visto che da qualche tempo non sembrava essere molto in forma.
Purtroppo, non poteva prendere la metro: da quando era piccolo, il moro soffriva di claustrofobia. Anche in inverno, preferiva evitare ogni tipo di mezzi pubblici, specialmente se troppo affollati. In effetti, era terrorizzato anche dal buio. Sorprendentemente, il moro era riuscito a mantenere il segreto per un anno, senza che il coinquilino ne venisse a conoscenza: inizialmente lo aveva fatto perché assolutamente certo che Arthur non gli avrebbe dato un solo istante di tregua e che, se avesse saputo una cosa del genere, non avrebbe esitato a fargli ogni genere di scherzo, all’occasione. Conoscendo meglio il biondo, però, aveva capito che oltre ad essere un idiota senza limiti, sapeva essere anche un vero amico. Quindi ora, oltre a vergognarsi incredibilmente per il suo disturbo, Merlin aveva paura che l’ispettore si arrabbiasse; sapeva perfettamente che prima o poi la verità sarebbe saltata a galla e che più tardi questo fosse accaduto, peggiore sarebbe stata la reazione del giovane Pendragon. Ma non sapeva davvero come affrontare il discorso e aveva paura di essere preso in giro da lui, come se le sue fobie non gli avessero già creato abbastanza problemi in passato, con i suoi coetanei.
Sospirò affranto e dopo aver accantonato i pensieri, si armò di tanta pazienza, avviandosi verso la casa in cui aveva trascorso l’infanzia e l’intera adolescenza.
Arrivò a destinazione verso le due e un quarto del pomeriggio e si fiondò in cucina per bere qualcosa: la lunga corsa in bici sotto al sole lo aveva quasi disidratato. Avrebbe tanto desiderato dormire, sentiva le palpebre pesanti. Ma aveva promesso di rendersi utile, quindi avrebbe volentieri rinunciato, soprattutto conoscendo la situazione economica infelice dei genitori.
Di recente, le iscrizioni al maneggio erano calate, così come i corsi. C’erano state delle lamentele, anche se Merlin non ne comprendeva il motivo. I loro cavalli (eccezion fatta per il proprio) godevano tutti di ottima salute, i loro alloggi venivano ripuliti quotidianamente, avevano un ottimo veterinario a loro disposizione, che dava indicazioni riguardo le quantità raccomandate di cibo e somministrava eventuali medicinali, in caso di necessità. Avevano anche un ampio campo in cui galoppare liberi o allenarsi con i fantini.
Abbandonò la bicicletta alla parete, come faceva ogni volta, senza nemmeno assicurarla con il lucchetto: nessuno l’avrebbe rubata in un posto simile, tutti i dipendenti si conoscevano tra loro. Si voltò sulla destra, osservando per un momento i campi verdi ed inspirando a fondo il profumo dell’erba, chiudendo gli occhi per apprezzare maggiormente il fresco venticello sulla pelle.
Soddisfatto, decise che prima di iniziare a lavorare si sarebbe almeno concesso un bicchiere di latte fresco, così da ristorarsi per la lunga pedalata.
Spalancò la porta alla sua sinistra, poco più avanti rispetto alla parete cui aveva appoggiato la bici, ritrovandosi in un piccolo corridoio. Da qui, si poteva facilmente accedere alle cucine andando a destra, ai distributori del latte sulla sinistra o all’ampio cortile, semplicemente andando dritti e superando un’altra porta. Svoltò quindi a sinistra, tastando i pantaloni alla ricerca della chiavetta da inserire nel distributore: facendo parte dello staff, aveva la possibilità di prelevarlo gratuitamente.
Inserì l’oggetto nell’apposita fessura, quindi si allontanò un momento per afferrare un bicchiere di plastica dalla mensola all’ingresso della sala, per metterlo sulla grata. Premette il bottone per l’erogazione del latte e dopo qualche secondo, poté gustare la bevanda fresca.
- Merlin! Amico, che bello vederti!-
Il moro sobbalzò, ricevendo una pacca improvvisa sulla spalla e sputacchiò un sorso di latte, tossendo furiosamente: per poco non si era strozzato per lo spavento!
- Will, mi hai fatto prendere un colpo!-
L’amico d’infanzia del ragazzo e addetto alla mungitura, ridacchiò, prendendo in giro il moretto per come lo aveva appena visto “saltare in aria”. I suoi capelli castani, grazie alla luce del sole, si erano tinti di riflessi dorati.
I due parlarono del più e del meno per un po’ e Will si congratulò per il bel voto che l’amico aveva ottenuto proprio quella mattina.
- Will, per caso sai come sta Kilgarrah?- domandò quindi il moro, con gli occhi blu velati di preoccupazione.
L’altro scosse la testa, dispiaciuto.
-Non bene, amico. Chissà, magari vedendoti si calmerà un po’-
Merlin annuì, poco convinto: forse, il suo cavallo era così agitato per via delle imminenti gare di selezione per i campionati regionali.
-Se non ti spiace, vado a trovarlo. Se vedi i miei, digli pure che li raggiungo tra un momento-
-Hunith  è di sopra, ma tra poco raggiungeremo Belinor all’EDR, oggi ci sono le selezioni femminili. Ora che ci penso! Tuo padre mi aveva chiesto di avvisarti che ha rimandato la mietitura a domani e che puoi fermarti qui, stanotte.-
Merlin lo ringraziò. Almeno, così avrebbe potuto trascorrere un po’ di tempo con il suo cavallo; doveva semplicemente ricordarsi di inviare un messaggio al coinquilino per avvisarlo del fuori programma, così da non farlo preoccupare.
Eppure, c’era qualcosa che non tornava.
-Will, capisco che i miei genitori si debbano recare all’ippodromo, in rappresentanza del maneggio. Ma per quale motivo devi andare con loro?-
Il castano bofonchiò qualcosa, visibilmente imbarazzato.
-Non è che devo, però...Morgana mi ha invitato-
L’amico sorrise, sinceramente contento.
-Allora, quand’è che ti deciderai? Sareste una coppia bellissima!-
-Beh, in realtà noi...stiamo già insieme... -
Merlin, incredulo, lo rimproverò per non avergli riferito subito la bella notizia, ma poi si congratulò con lui.
Will sorrise e si congedò dall’amico, uscendo in cortile dalla porta di servizio, vicino al bancone dei gelati.
Merlin lo vide allontanarsi, mentre finiva di bere il suo latte e dopo aver gettato il bicchiere nel cestino, si affrettò a raggiungere i box dei cavalli: dal cortile svoltò a destra, costeggiando il locale in cui lavorava Will, proseguendo fino in fondo al porticato esterno fino ad arrivare alla sua destinazione.
Si alzò in punta di piedi, sporgendosi per cercare con lo sguardo il suo splendido purosangue inglese dal manto bruno e lo trovò in fondo al box, in un angolo. Appena il moro richiamò l’attenzione dell’animale, lo sentì nitrire. Kilgarrah trotterellò nella sua direzione, sporgendo il muso leggermente più scuro del corpo per ricevere le carezze del padroncino che sorrise raggiante: era felice ogni volta che vedeva il suo carissimo amico, soprattutto ora che era costretto a stare lontano da lui per frequentare i corsi scolastici. Forse, anche questo fattore contribuiva al malumore del destriero.
-Perdonami, Kil. Mi piacerebbe tantissimo fare una galoppata con te, ma non ora- restò ancora per qualche minuto ad accarezzare l’animale poi, notando le condizioni del suo giaciglio, pensò bene di doverlo sistemare. Aveva già trascurato troppo il suo cavallo e se avesse continuato così, avrebbe perso la sua fiducia. Poteva concedersi una mezz’oretta per sistemare il suo box e avendo a disposizione un’intera giornata, avrebbe messo a tacere la stanchezza per un sano allenamento. Si attrezzò con un forcone, per governare il cavallo, quindi iniziò a scostare la paglia di buona lena, riponendo quella sporca in una carriola. Il purosangue lo osservava, colpendolo con il muso di tanto in tanto, come per attirare la sua attenzione e Merlin ridacchiò, gli occhi luminosi. Gli era mancato.
Kilgarrah, o semplicemente Kil, era nato al maneggio nove anni prima e da allora, lui e il ragazzo ne avevano passate di tutti i colori, insieme. Grazie alla sua vicinanza, Merlin aveva in parte superato le sue incertezze, acquistando una maggiore autostima. Si fidavano l’uno dell’altro e il moro confidava al cavallo ogni sua preoccupazione, ansia ma anche le cose più frivole e divertenti.
Quindi, mentre riempiva la vasca dell’acqua, iniziò a parlargli di Arthur e di come lo stesse portando sull’orlo della pazzia con le sue pretese da “principino”: quello era ormai il suo argomento preferito, tanto che il cavallo nitrì divertito, come per prenderlo in giro.
I suoi occhi neri sembravano dire: “Certo, certo. Perché semplicemente, non ammetti che gli vuoi bene?”.
Ma il moro non poteva vederlo, quindi seguitava con i suoi sproloqui riguardo l’ispettore Pendragon, ai suoi capricci e le sue pretese, la sua scarsa gentilezza e la pressoché nulla considerazione per gli altri. Tutto inutile, Merlin aveva i nervi a fior di pelle e tutto per la discussione che i due avevano avuto poco prima che uscisse di casa.
Nemmeno ricordava la ragione, in effetti. Era una sciocchezza, senza dubbio, come sempre del resto.
Una volta scaricata tutta la tensione, Merlin sbuffò: arrabbiarsi con Arthur lo affaticava terribilmente e la cosa peggiore era che, per quanto il biondo fosse uno zuccone, il più giovane non sarebbe mai e poi mai riuscito a tenergli il muso per troppo tempo. Tutto per il suo buon cuore, ovviamente.
Abbandonò le sue preoccupazioni, concedendosi una piccola tregua per ammirare il piccolo capolavoro che aveva compiuto: il box del suo Kil sembrava nuovo di zecca e anche il proprietario nitrì soddisfatto, prima di ringraziarlo andandogli incontro con fare festoso.
Il moro sorrise: forse, i suoi genitori e Will esageravano. Il cavallo non gli era parso minimamente nervoso.
-Ehi, Kilgarrah! Ci aspetta una settimana intensa, dobbiamo allenarci per le selezioni. Vero che sarai in forma smagliante?- domandò, come se il purosangue potesse davvero rispondergli.
Lo vide trotterellare in tondo, impaziente di uscire dal box e questo lo rincuorò oltre ogni immaginazione.
 
Arthur entrò in commissariato con un diavolo per capello: la giornata era iniziata davvero troppo bene, per i suoi standard e, ovviamente, le cose non potevano proseguire idilliache a lungo.
Merlin aveva fatto una scenata solo perché l’ispettore si era scordato di far partire la lavatrice e come se non bastasse, per colpa di un vecchietto che gli aveva tagliato la strada, aveva rischiato di finire direttamente in ospedale! A causa dell’increscioso incidente, il poliziotto era arrivato a Guilford con un abbondante quarto d’ora di ritardo ed ora sarebbe stato costretto a sorbirsi le lamentele del commissario e le battutine irriverenti del viceispettore Orkney.
Senza ombra di dubbio, quell’idiota avrebbe insinuato che il biondo aveva tardato a causa di una fantomatica notte in bianco, trascorsa tra le braccia di chissà chi!
Da quando lui e Gwen si erano lasciati (aveva sorpreso la cara ragazza in questione con un suo sottoposto, in atteggiamenti che andavano ben oltre la semplice attrazione e perfino un cieco se ne sarebbe accorto perfettamente), non aveva avuto né il tempo né l’intenzione di gettarsi in un’altra avventura amorosa: anche se agli occhi degli altri poteva sembrare esagerato, Arthur aveva sinceramente sofferto per quell’inaspettato tradimento.
Il lavoro poi, lo teneva distante sia dalle compagnie che dagli eventi in cui avrebbe potuto conoscere l’anima gemella. Inoltre, come affermava il suo coinquilino, non sarebbe bastata una santa per sopportarlo. Forse, la Dea della Pazienza avrebbe avuto una qualche chance, ma una comune mortale si sarebbe certamente arresa dopo un paio di giorni.
Lancelot Lake, l’agente attualmente fidanzato con Gwen, gli scoccò un’occhiata preoccupata dalla propria postazione: quando il suo superiore era attorniato da quell’aura omicida, era consigliabile mantenersi a debita distanza. Aveva saggiato sulla propria pelle le conseguenze e non ci teneva affatto a ripetere tale esperienza.
L’ispettore maledì le strade, i semafori e i vecchietti al volante che non rispettavano il rosso. Lanciò un’occhiataccia all’addetto del centralino, che ricambiò vagamente incuriosito.
-Chiamami un carro attrezzi, Leon. La mia macchina è appena stata mutilata- borbottò acido entrando nel proprio ufficio, dove squadrò incredulo le scartoffie sulla scrivania. Non era possibile: le aveva sistemate solo il giorno prima. Sembrava quasi che un folletto dispettoso le avesse centuplicate e buttate alla rinfusa sul tavolo durante la notte. Odiava il lato burocratico del suo lavoro.
Sbuffò, lasciandosi ricadere sulla sedia girevole con aria stravolta. Quella giornata era iniziata male e stava continuando anche peggio! Ne era sempre più convinto e ne ebbe la conferma quando la faccia strafottente di Gwaine, fece capolino dalla porta.
-Ehi, ispettore! Perché hai lasciato a casa il cagnolino?- ecco l’irritante voce del vice ispettore Gwaine.
-Aveva un esame- sbottò il biondo, con fare spiccio, raggiungendo l’ufficio del commissario e sparendo oltre la porta.
“Cagnolino” era l’irritante quanto buffo appellativo che i suoi colleghi avevano affibbiato a Merlin. Inutile dire che tutti lo vezzeggiavano e coccolavano proprio come fosse stato un adorabile batuffolo scodinzolante. O meglio, un dispettoso batuffolo di pelo che faceva l’angioletto con tutti ma ringhiava solo contro il padroncino allo scopo di farlo infuriare, vista la tendenza del moro a ribattere con ironia sottile ad ogni commento di Arthur. Inoltre, trattandosi di un ragazzo dolce e mingherlino, tutti i suoi colleghi nel conoscerlo avevano immediatamente provato un accorato istinto di protezione nei suoi confronti, cosa che all’ispettore dava parecchio fastidio. Come se ne avesse bisogno! Quel ragazzo sapeva perfettamente difendersi con la sua linguaccia biforcuta! Chissà se avrebbe mai imparato a tenerla a bada... in fondo, questa sua caratteristica gli aveva procurato non pochi guai, tendenza da non prendere alla leggera: spesso, l’ispettore si chiedeva preoccupato se, per caso, l’amico non fosse un lontano discendente della Signora Fletcher.
Sospirò di sollievo nel trovare l’ufficio del padre vuoto, anche se non ricordava di essere stato avvisato di un simile ritardo.
Decise che nell’attesa avrebbe terminato il rapporto su Mallory: un semplice caso di suicidio. La signora in questione era piena di debiti ed aveva deciso di farla finita gettandosi dal balcone del suo palazzo.
Accese il computer, inserì la password ed aprì il file che aveva lasciato in sospeso la sera precedente, troppo stanco per proseguire. Proprio mentre si azzardava a scrivere la prima parola, la suoneria del suo cellulare riempì l’aria con “Vongola Mafia theme”.
Leggendo il nome sul display, per poco non cadde dalla sedia: perché mai Morgana lo stava cercando a quell’ora?
-Che vuoi di prima mattina, arpia? Non dovresti essere a scuola?- rispose alla sorellastra in modo brusco, suscitando l’irritazione della giovane.
-Pendragon, so perfettamente che te ne sei scordato. Ma per puro altruismo fingerò di credere che tu non l’abbia fatto di proposito e ti rinfrescherò la memoria, contento? Oggi pomeriggio...-
-Lo so, Morgana- la interruppe l’ispettore, ricordandosi solo in quel momento di dove potesse essere il padre: attendeva quell’evento da un mese, era prevedibile che si fosse recato sul posto con largo anticipo. –Alle 15.00 parteciperai alle selezioni regionali di salto agli ostacoli all’EDR* ed hai prenotato un biglietto anche per me, costringendomi così a presenziare alla tua noiosa gara-
Non poteva vederla, ma la mora spalancò gli occhi verdi, piacevolmente sorpresa.
-Mi meravigli, Pendragon, te ne sei ricordato. A cosa devo questo onore?- domandò, senza preoccuparsi di velare il tono ironico.
-Scherzi? Non mi perderei il piacere di vederti ruzzolare dalla sella per niente al mondo. Credo che sia la sola ragione per cui mi precipiterò all’ippodromo, oggi!-sghignazzò in risposta.
Ma la sorellastra non si lasciò scoraggiare.
-Allora continua a sognare, caro Pendragon. Perché io salirò sul podio!- Morgana sorrise raggiante, sicura di sé, riagganciando prima che l’ispettore potesse replicare qualcosa.
Per questo, il ragazzo si ritrovò costretto a fare smorfie indirizzate a un cellulare ormai muto, per sfogare l’irritazione. Ma gli bastarono pochi secondi per ridarsi contegno: doveva terminare il rapporto e rimettere tutto in ordine prima delle 14.00, se non voleva che la sorellastra lo mangiasse per cena, inviperita dalla sua assenza!
Le tre del pomeriggio arrivarono in fretta e gli spalti dell’EDR iniziavano ad essere davvero affollati; tra gli spettatori più entusiasti, c’erano il commissario Uther Pendragon, accompagnato dalla splendida moglie Katrina, impaziente di vedere la figlia al’opera. Di fianco a loro un riluttante Arthur.
In realtà, i concorsi ippici lo divertivano parecchio, ma il fatto che Morgana fosse candidata a diventare campionessa, cambiava leggermente le cose: per pura ostinazione avrebbe finto di annoiarsi a morte, così da poterla prendere in giro a gara ultimata, dicendole di non aver seguito le sue eccezionali prestazioni. La sorellastra poteva anche arrivare prima, ma lui non avrebbe mai ammesso a nessuno di essere molto orgoglioso di lei, dell’impegno che aveva messo nei preparativi, dei sacrifici fatti, della dedizione per i cavalli.
Comunque sapeva che la mora non ne avrebbe avuto bisogno: il loro rapporto era perfetto così.
Lontano dal simpatico gruppetto, un altro ragazzo seguiva gli ultimi preparativi con emozione crescente, impaziente di veder gareggiare, a loro insaputa, proprio Morgana. I capelli castani risplendevano, illuminati dal sole, così come il suo sorriso: era assolutamente certo che la sua cavallerizza preferita avrebbe superato il concorso per la selezione e che avrebbe quindi ottenuto facile accesso alle Young Riders** regionali.
Lo speaker annunciò l’imminente inizio della gara, seguito dalle ovazioni generali di spettatori entusiasti ed impazienti. Le partecipanti furono chiamate a presentarsi al banco della giuria, per le ultime formalità.
Quindi, la prima cavallerizza montò in sella, salutò i giudici e si avviò alla linea di start.
Lo speaker parlava senza sosta: ricordò a tutti di non oltrepassare il tempo limite, pena la squalificazione e che il superamento del tempo massimo avrebbe previsto delle penalità. Per ogni partecipante, ricordava i punti forti e le debolezze che erano state evidenziate durante la ricognizione del pomeriggio precedente, il nome del cavallo, la sua provenienza, l’ippodromo che rappresentavano...insomma, un vero portinaio!
Neanche si fosse trattato delle finali mondiali!
Arthur sbuffò, chiedendosi quanto sarebbe durata l’attesa: ci teneva a tornare al distretto prima di notte, avendo una montagna di lavoro da sbrigare.
Comunque, ben presto dimenticò il dovere: le ragazze erano tutte bravissime ed estremamente preparate, in particolar modo una giovane ventenne dai capelli biondi, di cui l’ispettore riuscì a registrare solamente il nome, ovattato in mezzo a urla generali capaci di far impallidire perfino la voce gracchiante del cronista: Morgause. La ragazza aveva ottenuto un percorso netto, ma mancavano ancora una decina di contendenti all’appello, tra cui Morgana.
Appena lo speaker nominò la sorellastra, Arthur rischiò di diventare sordo per colpa dei gridolini eccitati di Katrina, e desiderò di sparire dalla vergogna quando entrambi i genitori iniziarono a gridare a destra e a manca “È  mia figlia! Quella è la mia bambina!”, commossi.
Il misterioso ragazzo castano si voltò verso di lui, con aria comprensiva e gli sorrise, suscitando la curiosità dell’ispettore quando tornò a concentrarsi sulla competizione, esultando.
-Vai, Morgana! Vinci per noi!-
Arthur si chiese chi potesse essere. Un compagno di classe di sua sorella? No, troppo trasandato per il college esclusivo da lei frequentato. Forse era un suo ammiratore o un conoscente.
Intanto, la giovane concorrente aveva salutato la giuria, soddisfatta per le espressioni interessate che erano state rivolte alla sua cara Priscilla: senza dubbio era un bellissimo cavallo, bianco e dal portamento fiero. Inutile girarci intorno, era certa che avesse fatto colpo sulla commissione di gara.
Ringraziò l’allenatore, che l’aveva accompagnata al percorso occupandosi personalmente di sellare il destriero e trottò sicura di sé fino alla linea di start. Attese con il massimo della concentrazione il suono della campanella, quindi partì, decisa a conquistare le prime posizioni della classifica. Un lampo di determinazione negli occhi verdi.
Nessuno si era accorto della cinghia della sella, irreparabilmente rovinata da un taglio verticale e ormai prossima a spezzarsi.
Morgana saettò verso la prima barriera, superandola con scioltezza. Con la stessa destrezza superò un’altra barriera, la croce e due oxer.
Le mancava solamente il muro e Priscilla non aveva dato alcun segno di incertezza, né si era rifiutata di saltare. Ciò poteva significare solo una cosa: poteva ancora ottenere un punteggio netto come Morgause, magari battendola addirittura sul tempo.
Arrivò al galoppo davanti all’ostacolo.
Riuscì quasi a sentire l’istante in cui gli zoccoli del suo cavallo si staccarono dal suolo.
Erano in assetto perfetto, e il peso di Morgana bilanciato al massimo.
La ragazza sognò ad occhi aperti quello stesso ippodromo, quelle stesse persone alle regionali.
Poi, l’imprevisto.
Priscilla atterrò oltre il muro, con l’eleganza che l’aveva distinta per tutta la gara.
Morgana la vide, dall’alto e si domandò per quale assurda ragione lei non fosse in sella; gli spalti le vorticarono attorno, sfocati. Infine, sopraggiunse un sonoro “Crack”, seguito dall’istantaneo dolore alla gamba.
Uther sbiancò.
Katrina, che aveva coperto gli occhi con le mani, per non assistere all’imminente scena, rischiò di collassare appena vide la figlia a terra, intontita dalla caduta.
Arthur cercò di capire come arrivare in fretta sul campo, ma tutto ciò che notò guardandosi intorno, fu una sorta di saetta che zigzagava tra uno spettatore e l’altro. Pochi secondi dopo, riconobbe in quel lampo il castano che aveva tifato per la sorellastra: l’aveva prontamente raggiunta, offrendole il proprio appoggio e sostenendola fino a bordo campo in attesa del pronto soccorso. Doveva ammettere che il suo intervento era stato davvero tempestivo!
Si affrettò a seguirlo, deciso a veder chiaro in quella faccenda: nello scompiglio generale gli era parso di notare qualcosa di strano.
-Morgana!- richiamò la sorella, che si sforzò di mantenere un’apparenza scocciata per nascondere il lieve malessere.
-Sei contento ora? Sono caduta, come avevi gufato! Non ti inviterò mai più!- sbottò, per sfogare la delusione.
-Stai bene?- l’ispettore si avvicinò, sinceramente dispiaciuto. Lo dimostrava il fatto che avesse sorvolato sui modi scontrosi di Morgana, che sospirò triste.
-Credo di essermi slogata la caviglia e mi gira la testa. Però sto bene- poi rivolse le sue attenzioni al misterioso ragazzo, forzando un sorriso. –Non preoccuparti, Will, posso sempre provarci l’anno prossimo-
Il giovane sospirò, comprendendo perfettamente lo stato d’animo della fanciulla: si era impegnata tanto e ora si sforzava per non far preoccupare i suoi amici. Ma lui sapeva perfettamente come si sentiva.
-Ma cosa può essere successo? Il tuo salto mi sembrava perfetto, non capisco!-
-Lo so io-
Arthur intervenne, stringendo qualcosa in mano, mascherando l’ira con calma professionale.
-Le cinghie di Priscilla sono state tagliate. Non è stato un incidente, Morgana. Qualcuno ha cercato di spezzarti l’osso del collo!-
-Chi diavolo può aver fatto una cosa simile? È un miracolo che stia bene!- il suo coetaneo divenne paonazzo per la collera e l’ispettore intuì che doveva essere molto legato alla sorellastra. Ma avrebbe riservato le domande a un momento più opportuno. Ora doveva concentrarsi sul colpevole di quel tiro mancino. Scrutò la cavallerizza con fare indagatore.
-Morgana, chi ha sellato Priscilla?-
La giovane indugiò un momento, nonostante gli sguardi pressanti dei due; fu il diretto interessato a rispondere.
-Ho preparato io il cavallo-
Arthur si voltò verso l’uomo: un quarantenne con lunghi capelli mossi, grigi, raccolti in una coda bassa e abbigliamento da cow boy, con tanto di cappello.
-Lei è?-
-Belinor Emrys, sono il proprietario del maneggio Wildwoods e allenatore della signorina le Fay.-
Arthur rimase stranito per qualche secondo: Emrys non era un cognome molto diffuso, possibile che quell’uomo fosse imparentato con Merlin? Un’altra domanda da lasciare in sospeso.
-Ha reciso lei le cinghie?- domanda diretta.
-Certo che no! Non avevo motivo di farlo, Morgana è la mia studentessa migliore!- cercò di difendersi e Morgana annuì.
-Posso confermarlo, ero con lui quando ha sellato Priscilla, poi mi sono allontanata un attimo per parlare con Will-
Arthur fissò il coetaneo, che confermò le parole della ragazza. Quindi si rivolse nuovamente all’allenatore.
-E lei?-
-Io sono stato tutto il tempo con mia moglie, abbiamo chiacchierato con alcune conoscenze per fare pubblicità al nostro ranch-
-Bene, allora se non le spiace vorrei sentire anche la sua versione dei fatti. Per il momento credo sia meglio sospendere la gara, prima di assistere ad altri capitomboli-
Belinor sembrava dispiaciuto, ma non si oppose quando il biondo spiegò di essere un ispettore di polizia, mostrando il distintivo.
Nel frattempo, il commissario Uther li aveva raggiunti e dopo aver parlato con il figlio si affrettò a dare direttive alla commissione, affinché sospendessero la competizione. Lo speaker parlava concitato come sempre, spiegando la situazione augurandosi che gli spettatori non lo sommergessero di verdure marce. Grazie a un’abile manovra, portò la loro attenzione sul fitto mistero che si era creato: chi aveva cercato di uccidere la bella signorina le Fay?
L’inviato del giornale locale prese subito spunto dall’avvenimento e si affrettò a prendere appunti per il suo prossimo articolo.
Katrina piangeva inconsolabile, sulla gamba ferita della sua piccola, provocando una tremenda emicrania al povero ispettore, che sperò di poter tornare il più rapidamente possibile nel suo ufficio.
Suo padre, al contrario, era più che determinato a trovare il colpevole di quell’atto scellerato, entro tempi brevi; posò un bacio sulla fronte dell’adorata figliola, lasciandola alle amorevoli cure della moglie, poi si allontanò, prendendo da parte Arthur.
-Voglio che questo delinquente finisca in prigione. Hanno attentato alla vita di Morgana, per di più sotto ai nostri nasi! È un atto di insolenza nei confronti della polizia locale e l’artefice deve essere fermato. Non voglio che la gente pensi che simili scherzi restino impuniti, sono stato chiaro?-
-Agli ordini, commissario- Arthur rispose solenne e formale come sempre, quando si trattava di lavoro: avevano pattuito sin dall’arrivo di Uther a Guilford che si sarebbero comportati da padre e figlio solamente al di fuori del distretto e dagli obblighi che la loro divisa implicava o, al massimo, nei rispettivi giorni liberi.
Quindi riportò la sua attenzione su Will e Belinor, domandando loro se, per caso, avessero dei sospetti.
Belinor annuì.
-Guardatevi intorno. Questo ippodromo è pieno di ragazze ambiziose e disposte a tutto, pur di superare la selezione. Può darsi che tra loro ce ne sia una capace di ricorrere a metodi non proprio ortodossi-
Uther annuì, conscio della veridicità di quelle parole. Inoltre, conosceva bene il signor Emrys ed era sicuro che non avrebbe mai fatto una cosa simile alla sua allieva; senza contare che Wildwoods stava attraversando un periodo di crisi a causa delle poche iscrizioni e una campionessa come Morgana avrebbe certamente contribuito a fare ottima pubblicità al ranch, come esempio per i giovani appassionati di equitazione.
La moglie di Belinor accorse trafelata, attirando su di sé le attenzioni di tutti, in particolare del giovane Pendragon che trasalì nel riconoscerla. Non credeva ai propri occhi.
-Hunith?-
Anche la signora sgranò gli occhi, sorpresa.
- Arthur, tesoro! Cosa ci fai qui?- la donna gli corse incontro, abbracciandolo con fare materno, quasi scordando la ragione della sua folle corsa. I due iniziarono a chiacchierare del più e del meno, davanti agli attoniti presenti: un perplesso commissario e un incredulo marito.
-Sono così felice di vederti, sono corsa qui appena ho potuto, ero in fondo agli spalti. Per caso hai visto come sta Morgana? Poverina, sarà così dispiaciuta...- commentò la signora Emrys, visibilmente scossa. –Se solo sapessi quanto si è impegnata, quanto è portata. Quella brutta caduta non ci voleva proprio. Non se la meritava, è una ragazza d’oro!-
-Hunith, ti sorprenderà, ma a casa è un’arpia- ghignò Arthur, per smorzare la tensione.
-Ma come? La conosci?- la donna si stupì, ma il biondo non poteva biasimarla. In fondo, la giovane aveva mantenuto il cognome del padre.
-È la mia sorellastra, purtroppo- alzò gli occhi al cielo, esasperato al solo pensiero.
La donna rimase a bocca spalancata dopo quell’improvvisa rivelazione e non trovando parole, decise di cambiare argomento.
-E dimmi, caro. Come sta Merlin?-
Belinor intervenne nella conversazione.
-Ma allora tu sei il famoso Arthur! Devi perdonarmi, mia moglie mi aveva parlato di te, ma non avendoti mai visto non ti ho riconosciuto. Quindi Merlin è con te, ora!-
Il biondino lo rassicurò, scusandosi per aver dubitato di lui, poi rispose alla sua consorte.
-Sta bene. Oggi era un po’ agitato, in effetti. Sono certo che se lo avessi visto, Hunith...lo avresti trovato adorabile! Cavolo, avrei dovuto girargli un video col cellulare!-
Tutti risero, interrotti dalla furia di Uther.
-Qualcuno vuole spiegarmi? Arthur, come fai a conoscere Hunith se non hai mai frequentato il loro maneggio? E perché non mi hai detto di aver preso un gatto? Non eri allergico?- Uther era esploso, sentendosi escluso da quella conversazione: troppi elementi erano sfuggiti al suo controllo. Da dove era spuntato questo “Merlin”?
Belinor rise.
-Ma no, Uther. Merlin non è un gatto! Anche se in effetti un po’ gli somiglia-
-Infatti è un segugio. Mi segue ovunque- scherzò Arthur.
-Un segugio? E dov’è?- Uther era sempre più confuso.
-Aveva un esame, questa mattina. Ma credo che ora sia a casa- spiegò Hunith.
-Il tuo cane fa degli esami e torna a casa da solo?-
Arthur alzò gli occhi al cielo: possibile che il padre non avesse il minimo senso dell’umorismo?
-Stavo scherzando, ovviamente. Merlin è il figlio di Hunith-
Il commissario boccheggiò, incredulo.
-Pensavo che voi due aveste solo una figlia, Freya-
Belinor scosse il capo.
-Freya è la nostra figlia adottiva, è arrivata qui dopo la morte dei Greller, i suoi genitori naturali. Anche loro gestivano un maneggio. Forse ti sei confuso, essendo stato lontano da Guilford per molto tempo. Ma il nostro primogenito è Merlin, ha la stessa età di Arthur e frequenta l’Università di Medicina Veterinaria. Giusto, Ispettore?- l’uomo calcò divertito sul grado del ragazzo, che però non si offese.
Al contrario, sorrise e confermò tutto.
Uther lo guardò torvo.
-E tu come fai a conoscerlo?-
Arthur chiuse gli occhi, sperando pur sapendo di illudersi, che il padre non scatenasse un uragano dopo la sua semplice e schietta risposta.
-Viviamo insieme-
 
* Epsom Downs Racecourse, ippodromo nella contea di Surrey tra i più famosi al mondo.
**Gare Equestri (partecipanti di età compresa tra i 18 e i 21 anni)

Avviso:

Nel precedente captolo, mi è scappato un "adottivi" nel punto sbagliato, nella presentazione di Merlin. Ora, il paragrafo è stato modificato e corretto. Non volevo crear confusione, non me ne sono proprio accorta >__< Il problema è che, così facendo, ho invertito Merlin e Freya! E' Freya ad essere stata adottata, non Merlin. Mi scuso nuovamente per lo sbaglio >.<

  
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