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Autore: Ella_Sella_Lella    12/10/2011    1 recensioni
Perchè non possiamo sempre parlare solo dei buoni.
Le cose brutte nella vita accadono, anche quelle belle, ma scommetteteci tutto quello che avete in tasca, che siano spiccioli, gomme da masticare o l’anello di fidanzamento più costoso del mondo, ai mezzosangue capitano sempre e solamente cose brutte. Prima di tutte e bene che spieghi alle vostre menti, di fragili, ingenui e ciechi, sopratutto ciechi, mortali cosa siano i mezzosangue, sono semplicemente una razza di creature, una spanna più alta degli uomini, una spanna più bassa degli dei, sono il frutto dell’amore proibito tra questi, dei e umani, simili in vizi e pregi, diversi in potere. I mezzosangue sono gli eroi della mitologia Greca, o Romana o Tuscia, alla fine qualunque religione politeista arcaica studierai, comprenderai che esistevano questi fantomatici Eroi, a cui i fumettisti si sono ispirati per descrivere quei divertenti machoman in calza maglia, fico no?
Buona Lettura
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Luke Castellan, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Bene, spero vi piaccia questo capitolo che davvero non voleva scriversi, non sto scherzando. Mi perderei in chiacchiere, rivelandovi che il finale di questo capitolo doveva essere tutt’altro ma per pigrizia è uscito fuori così.
Ringrazio piccolalettrice e Jishiku(ricordami che ti devo chiedere qualcosa) e tutti quelli che preferisco-seguono-leggono.
Buona lettura
Baci baci
EsL







La storia mai detta di Mary Uknow




L’utilizzo segreto degli ascensori





Panama. Odorava di carne essiccata al sole e salsa piccante, sui nachos bollenti, non diversa dalla mia Roma, al confine con il Messico. La città dello stretto era solo più tropicale e piovosa. Mi ero sentita rinata, quando ero scesa dalla macchina ed avevo posato i piedi su quel suolo, non che Phoenix fosse troppo differente, infatti anche Aziza aveva ispirato l’aria satura di fuoco latino, perché credetemi a Panama l’atmosfera latina e si era sentita anche lei a casa. La foresta tropicale faceva da sfondo ad un quadro così meraviglioso. Carlos aveva sorriso, “Estoy en casa” aveva esclamato, “E non avete ancora visto il meglio” esclamò malandrino Kenny, appendendosi sulle mie spalle e quelle di Az, che divenne tesa come una corda. Luke ci fissò per qualche istante, “Avremmo da fare!” ci tenne poi a precisare spazientito, veramente tanto. “Come tu ordini, capo!” esclamò Ken lasciando scivolare via le braccia da noi, aveva sorriso dolce, “La principessa Andromeda vi piacerà!” lo disse anche a Chaz, ai quali occhi si illuminarono malandrini, non disse nulla comunque. Kenny afferrò senza timori la mano di Aziza che divenne abbastanza rossa. Seguimmo tutti Luke, lungo la costa che fiancheggiava lo stretto e per la prima volta la vedemmo, una nave meravigliosa, da crociera, bianca, con una scritta blu, era enorme e sulla prua c’era una polena, che raffigurava una principessa urlante, sarebbe dovuto esser macabro, ma non lo era, non per me.


“Quella è la principessa Andromeda” presentò con sublimità Luke, indicandola, sembrava orgogliosa, “Luogo niente male in cui rimanere” esclamai io, ispezionandola con gli occhi in ogni dettaglio. Appena fummo sulla banchina da cui si estendeva la passerella per salire sopra, c’erano tre persone ad aspettarci. Un alto ragazzo, dallo sguardo annoiato, la pelle nera, i capelli scuri come il carbone e gli occhi di un colore altrettanto tetro, guardava intorno disinvolto come se non fosse realmente lì ad aspettarci, aveva qualcosa di particolare nel suo volto comunque. Accanto a lui c’era una minuta, quanto elfica, incantevole creatura, la quale faticai a credere fosse umana, di fatti scoprì poi che non lo era, come il ragazzo anche lei era un mora, con il volto tondo ed amichevole ed i capelli lisci, raccolti sulla nuca elegantemente, una frangetta che scendeva sugli occhi bruni, ricoperti da un trucco brillante, veramente meravigliosa, aveva nel volto un tocco leggermente orientale, come Aziza, stringeva amorevolmente le mani ad un bambino. L’infante non ci aveva visto, ma con i suoi occhi blu continuava a cercare qualcosa, poteva avere otto anni, era di pelle chiara, i capelli scuri e sembrava così carino da volerlo riempire di baci, era dolcissimo, alla fine avevo capito che tutti i bambini lo erano, anche se io non lo pensavo, non ero mai stata brava con i bambini, ma quello sembrava così carino. “Quello è Lenny, mio fratello” ci riferito subito Kenny, lasciando libera la mano di Az, che per un attimo sentì smarrita, correndo verso il bambino e chiamando a gran voce, il bambino svincolò via dalla presa della minuta elfica ragazza, corse verso il fratello, Kenny lo sollevò e se lo strinse al petto. Erano così carini. Se Jenny era l’ombra scura che attanagliava l’animo di Ken, Lenny era senz’alcun dubbio con Aziza, il più chiaro raggio di sole della vita dell’Indovino.


“Leonard, ti posso presentare queste due incantevoli signorine e Chaz?” domandò il veggente al fratellino, che annui con una timidezza inaudita, “Bene, la signorina con gli occhi di pioggia è Mary, questo ragazzetto è Carlos e questa fata è Aziza” enunciò Ken, “Invece lui è …” stava cominciando, “Leonard Troilo James” lo interruppe, presentandosi Lenny da se, con un sorriso amorevole ed una voce squillante, “Ma è un piacere” esclamai io, con un sorriso bonario.


Mentre noi ci facevamo ammaliare dagli occhietti dolci del più piccolo degli James, Luke aveva cominciato a parlare con il ragazzo bruno, mentre la piccola fanciulla non si era avvicinata troppo a noi, era rimasta un po’ sulle sue come se ci studiasse silenziosa. Kenny mise suo fratello per terra, scompigliandoli i capelli castani, erano così carini a guardarli vicini, Lenny era una piccola copia di Ken, solo con gli occhi blu. “Avete finito l’ora del tè?” domandò con una leggera punta di ironia la piccola mora, toccando appena il bracciò dell’indovino con delicatezza e confidenza, vidi chiaramente lo sguardo di Aziza diventare troppo curioso e forse anche abbastanza infastidito. Kenny guardò la ragazza con un sorriso malndrino, “Ken …” disse con un tono ricco di enfasi, “Ken …” rispose lei con il tono gemello, prima di appendere le sue braccia al collo dell’indovino, “Mi devi almeno un invocazione alla musa per cantar le mie gesta come bambinaia” disse lei, ridacchiando gentile. Il mio amico ridacchiò, prima di abbracciare l’altra Ken. “Cantami, o musa, le preziose e si spera ripetibili gesta della ninfa delle querce Kenya, nel occuparsi del più dolce dei bambini di questa terra …” esclamò l’indovino con finta devozione, Kenya commentò che poteva fare davvero di meglio, prima di ridacchiare e stampargli un bacio sulle labbra. Mi voltai verso Az, la quale espressione era indescrivibile, senza alcun dubbio sconvolta ed anche abbastanza indignata, mandò giù un groppo di salivo ed aggirò i due ragazzi, rivolgendosi a Luke, “Castellan che dobbiamo fare?” la voce era in un falsetto abbastanza irritato. “Saliamo” rispose asettico il biondo, prima di prendere la briga di presentare me, Chaz ed Az al moro, Samuel Seamuels, un indeterminato, “Preferisco Sam” aveva detto comunque il ragazzo, “Ed io Nya” si era intromessa anche Kenya, con un sorriso ilare. Quanto Nya poteva esser solare ed energica, tanto Sam era introverso e taciturno; Non so cosa pensasse ma passava giornate intere per conto suo a contemplare il silenzio più assoluto e a spiccicar pochissime parole e non per timidezza, come Chaz, ma per un desiderio proprio. Sam era così, prendere e lasciare. E vi assicuro che sapeva combattere ed averlo in battaglia che ti guardava le spalle era stato senza alcun dubbio molto utile, di fatti se una ironica e sarcastica figlia di Ares era ancora viva, lo doveva solo a Sam, che invece ora vive dove vivo io. Ma vi assicuro che da vivo era meglio averlo come amico.


“Saliamo” esclamò dopo le presentazione, Luke accennando alla passerella, che portava all’ingresso della nave, “Perfetto!” esclamò Nya, afferrando una delle mani di Lenny, mentre il ragazzino diede l’altra al fratello ed i tre salirono sulla passerella uno dietro l’altro, con le mani congiunte. Leggermente apatia Aziza, “Mary non capisco …” mi disse, la guardai confusa, “Perché ha detto quello che ha detto se aveva già una ragazza?” mi chiese, alzai le spalle, “Semidei, mortali, veggenti o dei, i maschi sono una cosa davvero strana” gli dissi, battendo una mano sulla sua spalla, Carlos sbuffò guardandoci, Luke e Sam ridacchiarono, per qualcosa che ancora una volta non potevamo capire. Come da programma. “Cosa c’è di divertente?” chiesi io, guardando in malo modo Luke, che per tutta risposta alzò le mani e come in ogni altra circostanza, non si sprecò a dare nessuna spiegazione, cominciando a salire sulla scaletta, seguita da Sam e poi da Carlos. “Tu lo conosci meglio” bisbigliai ad Az, passandoli una mano sulla spalla, lei sorrise appena, prima di incamminarsi sulla scaletta, seguita da me.


Gli ufficiali, i camerieri, l’equipaggio ed i mortali ‘‘comuni’’ erano come sotto uno strano incantesimo, anzi per la precisione era come se qualcuno come me continuasse a tenerli sotto una strana ipnosi. Ammetto che quando lì vidi, desiderai immensamente possedere un potere così ampio, da render tutti gli umani di una nave prostrati ai miei piedi. Eravamo per uno dei lussuosi corridoi degli ultimi piani, io, Chaz, Az e Luke. Io ero ammaliata dal vedere zombie umani, camminare accanto a mostri indicibili, come se non ci fossero stati, due dracenee civettuole avevano fatto all’elfo sfregiato sorrisi maliziosi, ma il biondo si era occupato solo di noi. “Prima di andare nelle vostre stanze dovete giurare su Crono” cominciò Luke, prima di fermarsi davanti la lussuosa suite del capitano, l’aprì e ci invitò, si fa per dire, ad entrare. Era la cabina più bella di tutte, si vedeva il mare era piena di drappeggi, con divanetti bianchi ed era meravigliosa, quanto aveva un lato inquietante, qualcosa di oscuro ed annidato lì, una bara d’oro brillante. Crono. “Paras los Orcos es est?” si lasciò sfuggire Carlos, “Dovete giurare sullo stinge la vostra lealtà” rispose al posto di Luke, una voce alle nostre spalle, ci voltammo, così potei incrociare gli occhi verdi intensi di Jazz. Lui sorrideva sbeffeggiante, lo guardai chiedendomi se avessi dovuto fargli un piccolo cenno, ma il ragazzo come la prima volta non sembrava essersi accorto della mia presenza. “Jazz ha ragione, inginocchiatevi e mettete una mano sul cuore” disse asettico Luke, prima di avvicinarsi alla bara d’oro massiccio, chinarsi e sussurrare qualcosa in greco antico, con un tono di voce bassismo. Crono era lì davanti a me, ridotto a pezzi in un a bara, “Ogni nuovo membro della nostra banda, aiuta Crono a riformarsi” esclamò con gioia Jasper. Io e gli altri due ci chinammo come il biondo aveva detto, “Ripete quello che vi dirò” ci ordinò Luke, scoperchiando appena la bara, da cui uscì una forte luce che mi impose – penso anche gli altri – di tener chiusi gli occhi. “Giuriamo sullo stinge di esser nella vita e nella morte fedeli all’unico vero signore di questo tempo, Crono che controlla il tempo” enunciò l’elfo biondo e noi ripetemmo tutto.


Eccoci, lì tutti vincolati da un suicida giuramento che ci avrebbe condotto tutti – o quasi – dritti tra le braccia di Thanatos.


Crono ci disse qualcosa, non lo ricordo, può sembrare stupido, ma non lo ricordo, ero rimasta più impressionata dalla voce oscura, profonda e vibrante, che dalle parole da esse pronunciate. Non importa se quella era stata effettivamente la mia condanna, che senza quel giuramento forse per la mia anima ci sarebbe salvezza, ma in quel momento in quell’atmosfera, tra quelle persone, io mi sentì sicura, non solo per la mia persona, ma anche di me e delle mie decisioni. Ho detto precedentemente di non esser stata dalla causa veramente presa, ma non in quel momento. Quando sentì la voce di Crono, io mi sentì davvero parte di qualcosa. Era finalmente l’ingresso all’ultimo atto della mia vita. La parte migliore, morte esclusa ovviamente. “Ora potete andare” ci disse Luke, prima di informarci di passare alla reception al quinto piano della nave, per avere un alloggio dove dormire, Jazz con un sorriso malandrino si era offerto di guidarci.


Presa alla reception la chiave della mia stanza. “Ti andrebbe di fare un giro occhi di pioggia?” mi domandò il figlio di Eris, il solo sentir il suono della sua voce mi portava i nervi a fior di pelle, “No, davvero, desidero solo andare a dormire” risposi asettica, abbandonando Jazz da solo. Per dirigermi al mio piano tramite l’ascensore dalla forte pressione. Dopo aver ricevuto le chiavi della mia stanza avevo perso di vista anche il piccolo Mendoza e l’afgana, per evitare l’irriverente figlio di Eris, credetemi se vi dicessi che Jazz è senz’alcun dubbio uno che non si arrende, neanche nell’aldilà. E sebbene la compagni di Jazz mi fosse gradita solo più di quella di Ian, il ragazzo si era presentato in aspetti positivi, tralasciando quando in allenamento cercava, volontariamente, di attentare la mia vita. Ma per Jazz e il suo lato positivo bisogna davvero aspettare. Le porte dell’ascensore si aprirono, lasciando entrare il ragazzo che lavorava nelle fucine, Trent. “Eccoti. Sorbetto alla fragola, giusto?” mi chiese lui con dolcezza, lo guardai, era il figlio di Efesto che avevo visto tramite messaggio di Iris alla stazione di servizio, “Si, sono io. Credo. Sei Trent, giusto?” risposi, accennando un piccolo sorriso, il ragazzo ridacchiò, “Cercavo proprio te” mi annunciò, lo guardai confusa. Il figlio di Efesto, così pallido da sembrare ricoperto di porpora bianca, si infilò una mano nella tasca larga dei pantaloni militari, estraendone una piccola scatolina rossa, “Questo lo ha commissionato Luke per te. La lama è fatta sia di bronzo celeste sia di ferro, contro mostri e mortali” esclamò abbandona domi la scatolina sulle mani e scendendo alla piano successivo. Aprì il cofanetto per trovarci un braccialetto rigido con delle perline viola ed argentate ed un piccolo pendente che raffigurava una spadina, con il manico con i ghirigori il destro si arrotolava verso la lama, il lato sinistro verso l’impugnatura, c’era una minuscola incisione che non riuscivo a leggere. Quella era la mia arma – camuffata ovviamente – costruitami apposta da Trent. Physis. La totalità.


Rimasi a guardare il braccialetto interrogandomi su cosa fosse, alla fine decisi di indossarlo sul braccio sinistro. Ero impegnata nell’allacciarlo che non mi accorsi neanche che le porte dell’ascensore si fossero riaperte e che qualcuno fosse entrato, e vi assicuro che quel qualcuno, non era un qualcuno qualsiasi, ma il mio Lui. “Serve una mano?” mi chiese una voce gentile e calda, alzai appena lo sguardo per vedere un paio di occhi scuri come il cioccolato fissarmi dolci, gli occhi erano incastonati sul volto latino di un ragazzo di almeno una testa più alta di me e le labbra più carnose che io avessi mai visto. Era il ragazzo più perfetto che avessi mai incontrato, forse non era così bello come Luke o Ian, fisicamente, anzi era diversissimo dai due, aveva i capelli scuri, abbastanza lunghi raccolti in un codino, la pelle latina, gli occhi castani. Ma per ogni cosa bella che potesse esistere al mondo, lui era fantastico. Pensai fosse addirittura un dio per primo pensiero. Rimasi a fissarlo dandomi della stupida per non riuscire a formulare neanche una frase (o dargli una risposta) ma la lingua si era annodata e la mente era partita per una strada tutta sua. Il ragazzo posò le sue mani sulle mie e mi legò il braccialetto al polso, senza aspettare che gli rispondessi, ero rossa in viso e riuscì finalmente a balbettare un grazie, cosciente che probabilmente era totalmente storpiato visto che da quando avevo incrociato quelli del ragazzo, “Prego” rispose lui, con tranquillità. Nessuna stranezza, nessuna malizia, niente di niente. Solo una ragazzo come tanti che aveva fatto un gesto gentile.


Cercai di riprendermi dallo stato in cui ero finita, eliminando violini e arcobaleni dalla mai testa, lasciando però le budella legate tra loro nello stomaco e di il cuore sul punto di esplodere e mi presentai: “Mary Unknown, figlia di Ate”, ero ancora più rossa, mi diedi immediatamente della stupida per aver detto chi fosse mia madre, “Chris Rodriguez, indeterminato” rispose semplicemente lui, rabbuiandosi un po’. Quello era il ChrissyBoy nominato da Ian, il Christopher di Lima di cui si doveva occupare Jazz ed anche il ragazzo indeterminato che Luke considerava come un fratello (che poi si scoprì essere effettivamente suo fratello, non che qualcuno avesse dubbi, era un po’ più calmo, ma era abbastanza elfico per essere un figlio di Ermes) e soprattutto era il mio Lui. Quello per cui ero morta, quello che più di ogni altro mi manca, ma che sono lieta che sia felice, anche senza di me. Quello per cui sarei voluta valere di più. Quello era il mio Chris ed è una gioia poterlo rivendicale come tale, anche se mai è stato mio. Le porte dell’ascensore si riaprirono di nuovo ed Az entrò, trovando me ed il ragazzo latino vicini con le mani congiunte, “Mary, eccoti, ma dove Ade eri finita?” mi domandò subito apprensiva, la mia migliore amica non notando neanche Chris, che al contrario le aveva sorriso raggiante, “Felice di rivederti anche io, ‘Za” disse malandrino, Aziza deviò lo sguardo su di lui, “Per tutte le divine ingiustizie. Rodriguez!” saltellò verso di lui, stringendolo in un abbraccio caloroso come quello che aveva dato a Luke appena l’aveva rivisto, Chirs si era stretto a lei dolcemente. Lui non era Luke, non rifiutava abbracci amichevoli. Sottolineava la differenza tra gli abbracci che dava, un conto erano quelli riservati a me, un conto erano quelli per gli altri.


Aziza e Chris si erano conosciuti al campo, erano stati buoni amici, vivendo stipati nella stessa cabina, spalla a spalla per anni, erano buoni amici. “Chi altro c’è di noi?” domandò Az, riferendosi al gruppo di persone con cui, scoprì inseguito, avevano vissuto di più, con cui avevano discusso di Luke e capito che non era così male la sua idea. “Direi Trent, Marjorie ed Owen non arriverà fino a dopo le vacanze” rispose il latino, guardando l’araba, lei sembrava così poco più bassa di lui a mio confronto. Az si morse il labbrò, “Marge e Trent? Perché già me li vedo avvinghiati in qualche buio angoletto dell’officina?” domandò maliziosa, facendo ridacchiare Chris, che alzò le spalle prima di commentare il tutto con un probabile. Rimasi a fissarli, “Ma Trent è quel ragazzo che lavora alle officine, quello che chiama la gente per cibi?” domandai, facendo tintinnare involontariamente il mio braccialetto, Rodriguez annui, rimasi un po’ interdetta, non me lo figuravo un tipo da avvinghiarsi con una ragazza in qualche angolo buio. Esternai i miei pensieri. Chris mi sorrise bonariamente, rivelandomi che effettivamente non avevo torto, “Però Mary tu non conosci Marge” mi aveva detto radiosa Az, con un sorriso divertito. O si, avevano ragione, quanto innocente e puro potesse essere Trent (sempre nei limiti di un semidio congiuratore) tanto era travolgente e lussuriosa Marge, erano così strani come coppia, eppure così perfetti. Il figlio di Efesto e la figlia di Ares.


Prima che arrivassimo al mio piano le porte si riaprirono di nuovo e quello che entrò fu tutt’altro che una persona comune. Era un ragazzo con gli occhi di uno strano colore, indefinito e caotico, i capelli castano scuro, quasi neri, con la pelle chiara come la polvere della luna, un sorriso bonario, vestito in maniera casual, “Salve” ci disse con tono allegro, accompagnando il tutto con un bel sorriso. Aveva un aspetto famigliare, specialmente nel sorriso. “Non ti ho mai visto prima …” constatò Chris prima di guardare noi, il latino era lì da un paio di giorni ed aveva conosciuto tutti, quel ragazzo era nuovo, magari pensava, o sperava, che noi lo conoscessimo. Lui sorrise ed ancora una volta mi parve terribilmente famigliare, “Lo so, ma io conosco voi, tutti e tre!” disse lui ilare, puntando gli occhi indefiniti e caotici su Az, che più di tutti noi era quella che era stata catturata dal giovane, con il sorriso affabile, “Chris, Mary ed Aziza” aggiunse, saettando gli occhi su di noi, appena pronunciato il nostro nome, “Sai che il tuo nome vuol dire Preziosa?” domandò guardando la mia amica. Az rimase in silenzio qualche minuto, non preoccupata come me che quel ragazzo gentile conoscesse i nostri i nomi, “Si, mio padre chiese a mia madre come si dicesse Preziosa nella sua lingua. Aziza. Perché io ero la cosa più preziosa per lui” rispose Aziza, dando sfogo a qualcosa di privato e personale ad un completo estraneo.


Il ragazzo le sorrise bonariamente, “Perché Ero?” domandò comunque lui riferendosi al passato, Az si morse il labbro inferiore, ma non rispose. Io e Chris fissavamo i due in un silenzio quasi sacrale, penso fossimo entrambi preoccupati ma in qualche modo incapaci di fare altro se non restare a guardare. “Sono, usa sono. Lo sei ancora importante” disse il ragazzo con amabilità, aveva usato un tono che non mi era nuovo, un'altra persona aveva parlato a me con lo stesso tono con cui ora quel ragazzo parlava ad Aziza ed era mio padre. “Lei … cioè tu sei Moros … vero?” domandò inverta la ragazza mezza mediorientale, piantando gli occhi miele sulle scarpe, il ragazzo sorrise, “Sei in gamba quando Soraya” rispose solamente, accarezzando i capelli di Aziza, che con coraggio alzò gli occhi e sorrise, il loro modo di sorridere era gemello. Io mi sentì un’intrusa in quell’atmosfera ed anche Chris, infatti appena ne ebbe l’opportunità mi trascinò fuori dall’ascensore ad un piano indeterminato, abbandonando la figlia del Destino ed il destino ai loro affari.


La mano di Chris era intrecciata alla mia. Non mi ero sentita a disaggio, neanche un po’, mi sembrò allora una cosa giustissima. “Scusami” disse imbarazzato il latino indeterminato sciogliendo la presa dalla mia mano, le gote bronzee erano si erano arrossate un poco, sorrisi di nervosismo mischiato ad imbarazzo. Mai nella vita nessuno ragazzo mi aveva indotto tanto imbarazzo, infatuazioni si ed anche angoscia ed inquietudine, ma nessuna persona aveva mai provocato in me una dolce sensazione come quella, simile a svolazzanti farfalle nello stomaco. “Non fa niente, la situazione lo richiedeva” dissi solamente io, con le gote in fiamme, Chris sorrise genuino, “Devo andare … Miley?” dissi poco convinto, “Mary” precisai io, leggermente adirata che non ricordasse il mio nome. Lui accennò un sorriso d’imbarazzo e di scuse e fece per andarsene, lo afferrai per il braccio, l’indeterminato latino si era voltato verso di me, i nostri occhi si erano incrociati, “Non dimenticarlo” sussurrai, aveva usato un tono licenzioso, come quando prima di tutta quella storia parlavo con Fred, ma era un ordine, non l’avrei mai potuto sopportare che lui non sapesse chi fossi. Non lo so perché, ma fu così. Ma vi assicuro che il mio ordine fosse del tutto inutile, io stessa mi sarei impegnata perché lui non si dimenticasse mai di me, che restassi per sempre nei suoi pensieri e così sarebbe stato, anche da morta Chris si sarebbe ricordato di me. Nel bene e nel male. E a tutti i ricordi a cui ero legata: la mia morte fra essi.


Lui andò via ed io restai nel corridoio e fissare lo spazio d’aria prima occupato dal grande ragazzo ispanico. “Una freccia di Eros, eh?” domandò una voce alle mie spalle roca e vibrante, Ian. Mi voltai per incrociare lo sguardo con quel del ragazzo dalle fattezze scultoree, “Come?” lo salutai, con una certa inquietudini, tutti i bei pensieri (violini ed arcobaleni compresi) erano scomparsi con la venuta del biondo che mi aveva gettato in una certa soggezione. Ian mi sorrise prima di allungare la mano verso di me, senza ripetere però la frase che non avevo compreso, “Non ci siamo presentati tramite messaggio. Io sono Ian Cox” si limitò a dire, con estrema maliziosità. Nel suo sguardo c’era come un desiderio assolutamente carnale, che mi spaventava abbastanza, strinsi comunque la mano, “Mary Unknown” mi presentai leggermente a disaggio. Lui sorrise famelico di un appetito che di certo non si sarebbe potuto saziare con il cibo e vi assicuro che questa non è solo una previsione, fu la mia impressione quando conobbi per la prima volta il figlio della vera progenie del male.
   
 
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