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Autore: Elena Rpattz    12/10/2011    0 recensioni
La classica storia di sue ragazzi che si amano... sono diversi? Sta a voi giudicare ;)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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                                                  Capitolo 6
Il giorno dopo caddi in una depressione ancora più profonda.
Quel giorno la avrebbero rimandata a casa e io non l’avrei rivista mai più.
Quando arrivai al suo piano mi chiesi se avesse detto a qualcuno del mio comportamento.
Probabilmente sì,mi dissi.
Mi sedetti.
Pensai che allora avrei preferito non vederla.
Non avrei sopportato che mi guardasse male o che il fratello mi attaccasse al muro.
Di colpo mi mancò l’aria.
Non avevo preso gli antidepressivi quella mattina.
Mi fermai,iniziai a guardarmi intorno,cercando di intercettare guardi e risate.
Non sembravano guardare me.
Cercavo di fare respiri profondi,ma era come se l’aria che mi entrasse nel corpo fosse già stata respirata.
Senza i farmaci non mi sentivo protetto,non ero al sicuro,mi sentivo spiato e osservato.
Più respiravo più mi batteva forte il cuore.
Corsi in bagno e mi chiusi dentro.
Non riuscivo a  controllare le mie emozioni,avevo degli spasmi e degli scatti improvvisi.
Mi sedetti per terra,appoggiai le testa sulle mani  e mi rannicchiai.
Poi mi sdraiai per terra e appoggiai la testa su un braccio.
Mi tranquillizzai pensando a mia sorella.
Pensai che lei non avrebbe mai avuto l’occasione di innamorarsi,non avrebbe mai avuto l’occasione di riuscire a chiudersi in un bagno da sola,e nemmeno di sdraiarsi a terra da sola… non potevo sprecare così una cosa bellissima.
Non potevo.
Avevo tre ore prima che venisse dimessa,dopo essermi sciacquato la faccia,mi precipitai nella sua stanza.
Lei,però,non c’era.
Chiesi con nonchalance dove fosse stata trasferita o se fosse stata dimessa.
L’infermiera mi guardò dall’alto in basso,e senza fare commenti mi disse la cicatrizzazione della ferita aveva proceduto lentamente e quindi dovevano rimuovere il liquido che si era creato.
Mi accasciai su una sedia.
Era colpa mia.
Non che fosse una cosa grave,ma mi sentivo comunque in colpa.
Se solo il giorno prima le avessi controllato la ferita come avrebbe fatto un infermiere che si rispetti…magari me ne sarei accorto e i medici avrebbero potuto fare qualcosa.
Mi sentivo stanco,come un drogato in astinenza.
Sarei svenuto se solo ne avessi avuto le forze.
Matteo non c’era.
Probabilmente non sapeva nemmeno che lei fosse in sala operatoria
Passarono venti minuti…i più lunghi della mia vita.
Sapevo benissimo che non era un’operazione lunga e nemmeno difficile.. e con il lavoro che facevo ne avevo viste ben peggiori,ma mi bastò sapere che al posto di tutte quelle persone,ci fosse lei.
È brutto dirlo,ma ero preoccupato per me,avevo paura di perderla,e quando una persona sente questo,è puro egoismo.
Era egoismo perché non avevo paura che Chiara morisse… lei sarebbe stata bene,avevo paura per me,avevo paura di come mi sarei sentito io se l’avessi persa.
Dopo quei venti minuti,in cui io stavo scivolando progressivamente dalla sedia verso il pavimento,sentendo un grande bisogno delle mie medicine,una fortissima voglia di piangere e una ancora più forte di dare una testata al muro e rompermi la testa,entrò un uomo.
Aveva sui trentacinque anni.
Un’espressione determinata e seria,senza la minima ombra di un sorriso.
Un fascino,un portamento e una voce affascinanti.
Tutte le donne in sala si davano gomitate,alcune avevano smesso di piangere, e lo stavano guardando.
Senza fermarsi né guardare nessuno in faccia,gridò.
-Mia sorella.
Nessuno gli si avvicinò o gli chiese chi fosse sua sorella o battute del tipo “Puoi portare a casa me,se vuoi”.
Non era il tipo a cui fare queste battute.
Non avrebbe riso,e non lo avrebbe trovato divertente…probabilmente in quel momento la avrebbe attaccata al muro e gli avrebbe dato una testata.
Sì,era violento,ma non se le andava a cercare.
Semplicemente non si regolava quando era agitato,e questo lo capirono tutti per fortuna.
La tensione era nell’aria.
Lui non si guardava intorno,non era imbarazzato per una potenziale figuraccia,e non era minimamente intimidito.
Mi avvicinai io.
-Se gentilmente mi può dire il nome di sua sorella…
Il suo sguardo non si addolcì.
-Chiara Fournier.
Lo disse senza il minimo sentimento,senza dolcezza,né amarezza,solo con decisione.
Io deglutii rumorosamente e gli dissi con un tono pacato.
-Al momento la signorina è in sala operatoria perché…
Non feci in tempo a finire la frase.
Ad un tratto non sentii più la terra sotto i piedi,solo una mano che mi stringeva la gola e che mi fece sbattere la testa al muro.
Strizzai gli occhi.
Ho scoperto in quel momento che non ero l’unico egoista.
Nessuno mosse un dito,nessuno si avvicinò,non ci fu una persona che alzò lo sguardo.
Cercavano di fare finta di niente,di fare finta di non aver visto.
Per non dover intervenire.
Lo ammetto,io non solo avrei girato lo sguardo,ma sarei proprio scappato via.
Una signora si mise a leggere il libro cha aveva in mano,un ragazzo fingeva di cercare qualcuno e un uomo,il più vicino tentò di interessarsi all’intonaco dei soffitti.
Lentamente lasciò la presa e io caddi per terra.
Mi alzai e mi ricomposi.
-Non credo sia il modo migliore per aiutare sua sorella.
Si girò e alzò un sopracciglio.
I miei muscoli erano tesi,pronti a fare qual cosa in caso di necessità…anche se non sarebbero serviti a molto.
Lui accennò un sorriso.
Ancora una volta,non era né imbarazzato,né sentiva un minimo di senso di colpa.
-Giulio.
Mi tese la mano.
-Michele.
Aveva una mano enorme e fortissima.
Lo guardai negli occhi.
E non potei fare a meno di sorridere.
Lui aggrottò le sopracciglia ma non chiese niente.
Non volle nemmeno sapere cosa fosse successo a Chiara,pensai che fosse un altro di quelli a cui non importava niente di lei,che parlavano al telefono mentre faceva una finta risata.
Mi sbagliavo.
Era lui il fratello maggiore di Chiara,quello che guardava da lontano i suoi fidanzati,come per scrutarli..per lei era una specie di padre,dato che non l’aveva.
E forse…sperava ancora che fosse vergine.
Quando uscì il medico, Giulio si precipitò a chiedergli qualcosa,io invece mi nascosi fuori dalla sua camera,che,come mi aspettavo,tornò subito,anche se ancora addormentata.
Le diedi un bacio.
Un bacetto innocente,come quelli che si danno i bambini sulla guancia quando si innamorano.
Un bacio talmente innocente che i ragazzi più grandi ridono di tenerezza.
Scesi al piano dove lavoravo e mi misi a fare qualcosa di utile,ma la mia mente era con lei,costantemente con lei.
Intanto Giulio era entrato silenziosamente nella stanza di Chiara.
Le fece una carezza sulla guancia,scosse la testa e sussurrò.
-Io l’ho sempre detto che non sapevi guidare…ma nessuno mi dà retta!Fosse stato per me,non ce l’avresti nemmeno la macchina.
Giulio iniziò a parlarle,conversava come se le stesse parlando da sveglia.
-Sono contento però che non stavi guidando con la tua macchina,almeno gliel’hai rotta a quel figlio di puttana la Porsche….si sono soddisfatto…almeno c’è un lato positivo….-
Le parlò del tempo che faceva a Parigi,dove lui viveva con la moglie.
Le raccontò della madre.
Le parlò per tantissimo tempo,tenendole la mano o accarezzandole i capelli.
Non le raccontò cose serie,non le disse che le voleva bene,non le disse nemmeno che voleva che si svegliasse,non voleva farle pressioni,voleva solo farle sentire che lui c’era.
Chiara si svegliò con uno scatto e cercò subito intorno a sé.
Forse cercò Matteo,forse Giulio,ma io speravo cercasse me.
Giulio si staccò immediatamente e le disse con un tono distaccato.
-Come stai?
Lei si stiracchiò,ma sentì tirare la ferita e lasciò perdere.
Si appoggiò come meglio poteva al cuscino moscio dell’ospedale e chiese che ore fossero.
Era ora di pranzo.
-Ho fame..
Sorrise innocentemente.
Lui alzò il sopracciglio e gli disse freddamente che non poteva ancora mangiare.
Si ristese sul letto e iniziò a mugolare.
Si dondolava,socchiudeva gli occhi e tirava fuori un'altra cosa che la disturbava,lui si era seduto e la guardava,non voleva costringerla a fare conversazione se non se la sentiva,voleva solo assicurarsi che stesse bene.
-Mmmmh…
Giulio alzò gli occhi al cielo.
Non era apprensivo per queste cose,perché era un medico e sapeva benissimo che non sarebbe successo niente,erano solo piccoli fastidi post-intervento.
-Cosa c’è?
Le chiese pazientemente.
-Ho la nausea.
Giulio sorrideva senza farsi vedere.
-Respira.
Le rispose semplicemente.
Con lui Chiara era sincera,non si preoccupava di non fargli vedere quello che provava,non sentiva il bisogno di nascondergli niente.
Forse proprio perché lui non giudicava,non faceva commenti e non la sgridava,lei si appoggiava a Giulio,per lei era come un padre.
Ne aveva bisogno,e sapeva che lui c’era,anche se non sempre glielo mostrava.
-Hai la nausea,hai fame…però riesci a parlare bene eh?
Lei non voleva ridere.
In quel momento voleva qualcosa,e lo voleva più dell’acqua o di qualcosa da mangiare.
Sentiva il bisogno di avere qualcosa,ma non c’era.
Si guardava intorno,ma non era lì.
E non poteva chiederlo.
                                        
  
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