CAPITOLO 17 - El
Cabildo
New
Orleans, 1766.
Sin dal primo giorno, Leslie aveva odiato Antonio. Non
perché fosse scortese o antipatico, ma perché non
era Francis. Leslie credeva
che Antonio lo avesse tolto dalle braccia del francese, incapace di
credere a
un abbandono da parte di quest’ultimo. Per questo aveva
sempre cercato di
toglierselo dai piedi, purtroppo vanamente.
Lo spagnolo era affabile, divertente, bello al punto di
mettere in moto nel ragazzo un ardore che non avrebbe mai voluto
provare.
Ma resisteva, tenacemente attaccato ai ricordi del passato,
fedele al suo bel francese.
Leslie continuava a progettare escamotages per liberarsi di
Antonio finché, stufo di sprecare tempo in congetture,
decise di passare
all’azione.
Col prezioso aiuto di sua sorella pianificò quella che
nella sua mente doveva essere la tanto agognata liberazione dagli
spagnoli;
quella che passò alla storia come un bagno di sangue.
Era tutto pronto. La popolazione era armata, gli organizzatori
si erano accordati sui dettagli della rivolta
e nell’aria già si avvertiva la
tensione.
Leslie, per tenere fuori dai combattimenti sua sorella,
l’aveva mandata a Baton Rouge ad intrattenere Antonio, come
solo lei sapeva
fare.
Molte donne si erano barricate in casa con i figli, mentre
gli uomini attendevano il momento giusto. Quando giunse, Leslie era in
mezzo ai
capi della rivolta, con il fucile in una mano e una sciabola
nell’altra, e una
furia omicida negli occhi.
Chiunque lo vide combattere quel giorno rimase stupito
dalla sua ferocia e l’assenza di misericordia che dimostrava
nei confronti dei
soldati spagnoli.
Quell’accozzaglia di cittadini male armati ma decisi a
vincere, armati soprattutto della propria determinazione, fece fuggire
il
governatore spagnolo.
Leslie, ebbro di sangue e violenza, festeggiò quella
inaspettata vittoria con una sbornia leggendaria, circondato dagli
abitanti di
New Orleans e alcuni visionari che credevano ora possibile restituire
la
Louisiana ai francesi.
Pochi giorni dopo, quell’illusione fu spazzata via
dall’arrivo di un reggimento di cavalieri spagnoli. Alla
testa dei soldati
c’erano due uomini, il governatore e Antonio,
quest’ultimo che portava sulla
sella una ragazza. Si trattava di Kaitlyn, legata e con una vistosa
fasciatura
su una coscia.
I capi della rivolta furono arrestati furono arrestati e
condannati a morte, mentre Antonio trascinava Leslie nelle cantine del
Cabildo.
Il creolo scalciava e tirava pugni, mentre gli sputava
addosso maledizioni in francese. Tutto ciò che ne
ricavò fu un pugno che gli
offuscò la vista, lasciandolo senza fiato e indifeso, tanto
che non riuscì ad
opporre resistenza quando lo spagnolo lo incatenò con le
braccia legate al
soffitto, strappandogli di dosso gli eleganti abiti parigini.
Leslie riacquistò la lucidità, trovandosi
immobilizzato e
nudo. Antonio gli era alle spalle, con un gatto a nove code tra le mani
e un
umore particolarmente nero.
-Così volevi liberarti di me, niño? Volevi
tornare da
Françis.- la sua voce, calma nonostante la rabbia che
provava, sarebbe bastata
per spaventare chiunque, ma non il ragazzo.
-Stai zitto. Non meriti neanche di nominarlo!- sibilò
Leslie.
-Non ne sono degno? Io e Françis siamo cresciuti insieme.
Se pensi di conoscerlo solo per esserti fatto scopare da lui, ti
sbagli. E lo
dimostra il fatto che ti ha venduto a me.-
La prima frustrata raggiunse il creolo sulle reni,
strappandogli un urlo di dolore.
Il sangue iniziò a scorrere copioso, formando una piccola
pozza di sangue ai piedi del giovane.
Leslie serrò i denti per non gridare, mentre la frusta si
abbatteva sulla sua schiena due, tre, quattro volte. Lo spagnolo
spostò la mira
prendendo a colpirlo rapidamente e ripetutamente sulle gambe. Il creolo
crollò
in ginocchio, sorretto solo dalle catene che pendevano dal soffitto.
-Françis non mi ha venduto. Lui mi ama!- non
c’erano
lacrime a rigare il volto del creolo, sostenuto dall’amore
che lo legava al
francese.
-Oh, certo. E ama anche Alfred, Matthew, Arthur,
Gilbert...me. Cosa c’è, non avrai davvero creduto
alla storia “Lui è il mio
migliore amico. Non ti tradirei con nessuno, figurati con
lui.”?- Antonio rise
a lungo, ma senza allegria. Leslie rimase con gli occhi sgranati, senza
credere
a quelle parole.
-Non ti credo.- rispose infatti, con la voce spezzata dai
rantoli di dolore.
-Problemi tuoi. Non mi interessa cosa credi. Sappi solo che
dopo questa notte, Françis perderà quel poco di
interesse per te che gli è
rimasto.-
Oltre l’annebbiamento causato dal dolore, quelle parole
raggiunsero la mente di Leslie facendo scattare un campanello
d’allarme.
Antonio gli girò intorno, fronteggiandolo, e fece calare la
frusta sul petto nudo del ragazzo. La sferzata fu inflitta con tanta
violenza
da lasciargli tagli profondi un pollice.
Stavolta Leslie, pur riuscendo a rimanere in silenzio,
crollò privo di sensi.
Fu nuovamente un’atroce sofferenza a risvegliarlo. La
ruvida parete gli scorticava la schiena massacrata, mentre un dolore
lancinante
gli infiammava le viscere. Sembrava come se il suo corpo si stesse
spaccando a
metà.
Le palpebre si riaprirono a fatica, rivelando qualcosa di
assolutamente bestiale. Antonio lo stava violentando con movimenti
violenti e
metodici, volti a infliggergli il maggior dolore. Lo sbatteva al muro
con
forza, facendo sanguinare le scudisciate alla schiena, togliendogli il
respiro.
Leslie iniziò a urlare, di dolore, di rabbia, di
umiliazione. Gli gridava di lasciarlo andare, perché lui non
era una puttana da
sbattere a proprio piacimento.
E continuò ad urlare finché non ebbe
più voce, quando sentì
la gola arsa e il sangue che ormai gli scorreva tra le cosce.
Allora rimase in silenzio, senza un gemito, concentrato a
ricacciare indietro le lacrime e ad evocare i migliori momenti passati
con
Françis.
Sentì Antonio abbandonarsi per alcuni istanti contro di
lui, scosso dai tremiti dell’orgasmo. Cercò allora
di sferrargli una
ginocchiata per liberarsi di lui, ma le gambe non si muovevano.
Lo spagnolo uscì dal suo corpo rapidamente, aprendo nuove
ferite sulla pelle pallida del creolo.
Leslie rimase lì, a terra, appeso come un prigioniero
medievale.
Non una lacrima era scesa dagli occhi castani e mai aveva
chiesto pietà.
Rivolse ad Antonio un sorriso beffardo per dirgli “Io non
mi piego”.
La mattina dopo, all’alba, lo trascinarono ad assistere
all’esecuzione
dei capi della rivolta. Leslie vi assistette in silenzio, senza mai
distogliere
lo sguardo, né una lacrima né una supplica
ruppero la sua imperturbabilità.
Mentalmente, però, pregava di avere la forza di resistere
alle violenze del
dominatore, così da non vanificare quelle morti.
Lo riportarono in cella, dove c’era ad attenderlo Antonio
con la frusta in mano. Il creolo chiuse gli occhi, immergendosi in una
dolce
nebbia di ricordi, mentre la frusta tornava ad incidergli nella carne
la rabbia
del suo possessore.
Solo, non c’era Françis a stringerlo a
sé mentre Antonio lo
violava.
Una deliziosa tenebra lo avvolse nel suo pietoso abbraccio,
lasciando allo spagnolo solo un corpo martoriato.
E di nuovo, sul giovane volto comparve quel sorriso di sfida.
-Giura che non ci proverai mai più, e tutto questo
finirà.-
Antonio gli parlava dall’angolo della cella, promettendogli
perdono.
Leslie rise, nonostante il sangue che sentiva in bocca.
-Lo rifarò, puoi starne certo. E un giorno
riuscirò a
mandarti via!-
Questa volta Leslie seppe il numero delle frustate, perché
lo spagnolo le contò a voce alta fino a fargli perdere i
sensi.
Il sangue gli scorreva addosso, formando come un manto
cremisi sulla porcellana che era la sua pelle.
Mentre la frusta sibilava sulla sua carne, Leslie rideva,
spezzando i nervi allo spagnolo.
Si sentiva già vincitore.
Il giorno seguente, il creolo si svegliò dolorante ma con
un soverchiante senso di vittoria. Sapeva che in nessun modo Antonio
sarebbe
riuscito a piegarlo.
Il soldato che faceva la guardia gli aveva molto
pietosamente infilato le brache e lo aveva fatto bere. Colpito da quel
gesto,
Leslie aveva guardato il soldato negli occhi, parlandogli in francese.
-Tu non sai cosa significa attendere per anni la persona
che ami.-
Il soldato non capì le parole, ma il senso della frase lo
raggiunse.
E fu la sua frase di conforto che sostenne il giovane negli
anni a venire.
-Ten
fé, su amado volverà.-
Passò una settimana intera, scandita solo dalle frustate e
dai ripetuti stupri. Ogni giorno Antonio se ne andava sempre
più frustrato,
mentre Leslie era stanco ma sfrontato.
Ma il tramonto dell’ottavo giorno, il creolo capì
di aver
perso. Lo comprese quando sentì la voce di sua sorella che
veniva trascinata lì
sotto da Antonio. Quando se la trovò davanti, spinta dallo
spagnolo e con una
macchia di sangue secco sugli abiti, perse il sangue freddo e
iniziò ad urlare
addosso ad Antonio.
-Lasciala andare, maledetto! Lei non c’entra niente!-
Antonio sorrise sadicamente, avvicinando il viso a quello
di Kaitlyn e stringendole il fianco con una mano, mentre con
l’altra le teneva
la bocca chiusa.
-Potrei fare a lei quello che ho fatto a te…e tu
guarderesti mentre mi diverto un po’.-
A quella minaccia Leslie impallidì e sentì le
gambe
cedergli.
-Va bene.- la voce era un sussurro, dietro la cascata
castana dei capelli che gli coprivano il volto.
-Va bene.- ripeté -Hai vinto tu. Lasciala andare.-
Antonio si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto.
-Come posso crederti?-
-Perché te lo giuro sul mio onore. Ti do la mia parola che
non mi rivolterò mai più contro di te.-
Antonio portò via Kaitlyn, lasciando il giovane a ingoiare
la vergogna che provava.
Fuori, la voce di sua sorella lo chiamava con grida
addolorate.
Negli anni che seguirono, Leslie non tentò mai
più di
ribellarsi. Rimase semplicemente ad attendere con rassegnazione che
Françis
venisse a riprenderselo. I segni delle scudisciate scomparvero dal suo
corpo,
come se non fossero mai state inflitte. Ma i segni delle catene sui
polsi gli
rimasero addosso per sempre, a ricordargli del giorno in cui, per
proteggere
colei che era la sua famiglia, aveva tradito la sua promessa di non
arrendersi
mai.
Antonio aveva vinto.
E Leslie, ancora una volta, era solo un bambino perduto,
indifeso contro la violenza del tempo.