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Autore: Sofi_Luthien    13/10/2011    3 recensioni
“Continuate a provare.” – suggerì, in risposta ai bronci delusi dei ragazzini, ancora convinti che maneggiare una bacchetta fosse un gioco divertente, e non una complessa disciplina.
Quando un coro di “Ooooohhh” si levò da un tavolo in mezzo alla stanza, Albus si avvicinò per ammirare l’opera di un piccolo serpeverde: il bicchiere era sparito, trasformato in una piuma soffice.
“Davvero ottimo lavoro, Tom!” – si complimentò Albus, sinceramente colpito.
Il ragazzino sorrise, trionfante, scambiando un’occhiata soddisfatta al Professore. La ferocia che brillava in quegli occhi minuti gli riportò alla mente un volto familiare, la lucentezza ambiziosa di Gellert.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'I giorni dei piccoli vecchi '
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Godric’s Hollow aveva un piccolo cimitero, appena vicino alla chiesa, dove riposavano maghi e strege dai nomi antichi e celebri.
Chi nutriva interesse anche minimo verso la storia magica, vi si recava sempre con un certo interesse reverenziale, come quando si è in presenza di un’autorità importante.
Negli anni non era cambiato quasi niente, a parte qualche tomba in più, qualche nome nuovo, qualche parente affranto che piangeva su di un pezzo di pietra.
Ci sarebbe stato così tanto da dire, da conoscere, su quel luogo straordinario.
Ma la dedizione quasi maniacale che si rivolge ad un progetto può svanire facilmente, se viene bruscamente messa alla prova dalla morte.  Quello si, che era un concetto su cui ci si sarebbe dovuti concentrare maggiormente. Si può dedicare la propria vita a qualcosa, in modo che anche la propria morte possa avere un senso?
Senza dubbio c’erano state persone che erano morte con valore. Ma la loro morte era servita? Era stata un esempio, aveva guidato qualcuno verso la via giusta?
 
Se il suo dolore fosse stato appena un po’ meno lacerante, forse si sarebbe risposto che si, la morte era necessaria, a volte. Forse era l’unico modo per far capire ai vivi l’importanza della loro esistenza.
Ma nemmeno l’intelligenza di Albus Silente, in quel momento, era di una qualche utilità. Tutta la conoscenza, la saggezza e il bagaglio culturale che aveva accumulato con fatica e dedizione, si era sbriciolato davanti alla tomba della piccola Ariana. E non perché la sua morte fosse inconcepibile. Proprio perché ne era pienamente consapevole, perché capiva con minuziosa precisione cosa significasse perdere qualcuno per sempre, sentiva, per una volta, di non avere la più pallida idea di cosa fare.
Ricevere un pugno sul naso da parte di Aberforth era stato inaspettatamente illuminante. Dubitava che il fratello lo odiasse più di quanto lui odiasse se stesso, e il senso di colpa non aiutava a reggere un lutto di tale portata. Ma Aberforth aveva agito, dato sfogo alla sua rabbia. Aveva avuto il coraggio di alzare quel suo pugno calloso e spiaccicarglielo in faccia con forza notevole, che unita alla totale inerzia di Albus, si era tradotta nella disfatta per il suo già poco simmetrico setto nasale.
Era atrocemente consapevole di ciò che aveva fatto. Aveva distrutto la sua famiglia e la vita di suo fratello che, ne era sicuro, avrebbe convissuto con lo stesso terribile dubbio che attanagliava lui in ogni momento.
 
L’ho uccisa io?
 
Qualunque fosse la risposta, Albus sapeva di esserne stato il principale colpevole. Era stato cieco, persino davanti all’evidenza. Aveva volto lo sguardo altrove, cacciando via ogni sospetto, ogni minimo dubbio sui buoni propositi di Gellert. E non riusciva a detestarlo quanto avrebbe dovuto.
 
Hai paura, Albus?
 
Ma non c’era più niente di cui aver paura, ormai. Non c’era più niente da perdere.
 
 
Restavo solo quell’inesauribile senso di vuoto con il quale avrebbe dovuto abituarsi a convivere, perché lo avrebbe portato dentro di se a lungo, forse per sempre.
Prima che Ariana morisse pensava che il tempo fosse sempre poco. Si lagnava silenziosamente di ogni ora buttata via in quella casa inutile, sognando a occhi aperti di cambiare il mondo, di usare il suo cervello infallibile per creare qualcosa di grande. Aveva odiato tutto di quel posto, aveva detestato l’ignoranza di Aberforth e quella sua ridicola fissazione per le capre. Aveva trattato Ariana con insofferenza, sforzandosi di non esprimere a voce alta quanto la ritenesse un ostacolo per lui e la sua carriera.
E ora, davanti quella piccola lapide, rimpiangeva con ogni fibra del suo essere il tempo che aveva creduto di buttare via. Rimpiangeva la fretta, la frenesia. Perché le ore, che prima sembravano scivolare veloci e irripetibili, ora erano solo un prolungamento della sua agonia. Tutto quel tempo non sapeva dove buttarlo, né come riempirlo. Era un dato inutile di cui non poteva disfarsi in alcun modo, una malattia.
Ma lui non era malato. Era in salute e agile. Poteva fare cose che la sua povera sorella non avrebbe mai conosciuto.
Chissà che cosa avrebbe detto, se lo avesse potuto vedere li. Forse lo stava guardando, proprio in quel momento. Perché di questo era certo, la piccola e dolcissima Ariana non era stata messa al mondo per morire così. Era ancora da qualche parte, e il fatto che non ci fosse più vita nel suo corpo non significava che lei fosse sparita.
 
Mi perdonerai, Ariana?
 
Si, lei era buona. Lo avrebbe perdonato, prima o poi.
 
 
Aberforth non si era più fatto vedere. Frantumargli il naso era stato il suo ultimo atto fraterno. Ora non restava nessuno.
Allontanandosi gli sfuggì l’occhio su un masso di pietra vecchio e logoro, una di quelle lapidi abbandonate li da troppo tempo. Con orrore vi intravide inciso il simbolo dei Doni della Morte che Gellert in persona aveva scoperto, quel pomeriggio in cui aveva ispezionato il cimitero.
 
Hai paura, Albus?
 
Gellert non si sarebbe fermato davanti a nulla e a nessuno. La morte di Ariana non aveva significato niente, per lui. Aveva solo perso un utile alleato, ma poco male, avrebbe proseguito da solo, determinato e irremovibile.
Si, Albus aveva paura. Gellert non si sarebbe fermato davanti a nulla e a nessuno…no, davanti a qualcuno avrebbe potuto fermarsi. Davanti a lui, avrebbe dovuto rendere conto di ogni segreto condiviso, di ogni debolezza scoperta.
Ma chissà che fine aveva fatto, dove si era rifugiato. L’ultima cosa che Albus voleva, ora come ora, era andarlo a cercare. Sapeva che, trovandolo, avrebbe potuto scoprire la verità, e non aveva mai temuto tanto di scoprire qualcosa quanto in quel momento.
 
Vorrei esserci, il giorno in cui ti pentirai di ciò che hai fatto, Gellert. Perché so che prima o dopo lo farai.
 
Con il corpo scosso da un insolito tremore, Albus si ritrovò a pensare che il suo vecchio amico avrebbe avuto molte cose di cui pentirsi. La maggior parte delle quali erano ancora da compiere.
 
Eppure attorno a lui regnava la stessa pace di qualche giorno prima. C’era la medesima quiete in quell’istante, in cui sapeva che il mondo era crollato, e lui inspiegabilmente stava ancora in piedi.


 

  
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