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Autore: _Shantel    13/10/2011    12 recensioni
Il sogno di ogni ragazza è stato sempre quello di incontrare il principe azzurro: bello, ricco, sensuale e fantastico, e quale migliore rappresentazione moderna di questo ideale c’è oggigiorno? Ma un calciatore, chi sennò?
Celeste Fiore non è d’accordo. Lei sogna l’amore, quello vero, quello epico e quello che ha smosso mari e monti per secoli. Non si sognerebbe mai di stare con un rinoceronte senza cervello.
Leonardo Sogno, invece, del calcio, ne fa la sua vita. È il bomber della Magica, l’idolo del momento, il ragazzo più sexy d’Italia. Ama divertirsi e non pensare al domani, ma soprattutto l’amore non sa nemmeno cosa sia.
Ma, ahimé, si sa che le vie dell’amore sono infinite e cosa succederebbe se Celeste e Leonardo, per un caso fortuito, si incontrassero?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 9

Betato da nes_sie

Leonardo Sogno non era mai stato nervoso in tutta la sua vita, nemmeno nel suo esordio in serie A.
Avevo sempre preso di petto le situazioni, ripetendomi quanto fossi imbattibile e tremendamente figo, e soprattutto avevo sempre puntato sul fatto che, se avessi fallito, avrei ricominciato daccapo, più determinato di prima. Sapevo di essere il più forte, me lo ripetevo tutte le mattine davanti allo specchio da quando avevo iniziato a farmi la barba – o, forse, anche prima – e crescendo con un padre che ripeteva ogni giorno quanto fosse orgoglioso del suo unico figlio, anch’io avevo cominciato a convincermene.
Quella sera, però, mi sentivo tremendamente agitato. L’avevo capito quando Ruben mi aveva fatto notare, per la decima volta, che i bottoni della camicia bianca di lino che avevo scelto di indossare erano stati allacciati storti, lasciando che un lembo di stoffa pendesse scomposto a un lato dei Levis’.
«S-S-Sta-Stai b-be-bene?» mi chiese preoccupato, ma come al solito tentai di tergiversare.
«Tutto apposto, man» ridacchiai, slacciandomi i bottoni e ricominciando tutto daccapo.
Mii ero rintanato di nuovo nella mia stanza e mi ero chiuso la porta alle spalle, sentendo una forte pressione alla bocca dello stomaco e il cuore che martellava forte nel petto. Celeste aveva accettato il mio invito, era corsa fino al ristorante dove stavo cenando con la squadra e mi aveva confessato di ricordare tutto finalmente, e mi aveva chiesto scusa. Lì per lì mi era parso logico fare un ulteriore passo avanti e le avevo chiesto di uscire.
Ci stai ripensando?
Il mio Ego tornava puntualmente a fare capolino nei momenti meno opportuni, soprattutto quando mi posizionai davanti allo specchio e, con mani tremanti, cominciai ad abbottonarmi di nuovo la camicia. Dovevo stare calmo, esaminare bene la situazione, non incappare in possibili gaffe o, ancora peggio, far scoprire il mio castello – anzi, ormai era diventato grande quanto la muraglia cinese – di bugie. Non sapevo nemmeno se io e Celeste stessimo insieme, non le avevo neanche richiesto il numero di telefono, visto che non avevo idea di come fare a confessarle di averlo cancellato, e la presenza di Annalisa, poi, non faceva altro che mandarmi ancor più fuori di testa. La Cavalli aveva insistito per potersi aggiungere a quell’appuntamento, trascinando con lei il Rosso e Ruben, insieme a quella strana ragazza mora che non avevo mai visto.
Annalisa sapeva il mio segreto, aveva capito che stavo mentendo a Celeste e che la biondina tutto pepe era un tipo che non sopportava le menzogne, allora mi domandavo per quale motivo non avesse ancora spiattellato tutto. In fondo, era chiaro come il sole che lei voleva mettersi col sottoscritto – e quale ragazza non lo desiderasse! –, ma di tutti i metodi subdoli che aveva architettato fino ad ora, quello della verità era il più ovvio.
È come una serpe in seno, aspetterà il momento più propizio e poi colpirà, agile e veloce.
Rabbrividii mentre l’ultimo bottone entrava nella sua asola, poi mi controllai allo specchio e finalmente constatai che non ero del tutto ubriaco. Infilai la camicia nei jeans, afferrai la giacca nera, e uscii dalla mia stanza dirigendomi verso il portone dell’ingresso.
Il punto di ritrovo sarebbe stato sotto casa di Celeste, vicino al viale dell’Università, poi Annalisa ci avrebbe fatto strada verso un localino che lei stessa aveva scoperto e che era, a suo avviso, delizioso. Dalla sera prima non avevo sentito per niente Cel e nemmeno lei mi aveva cercato. Era come se ci fossimo trasformati in due sconosciuti da quando avevamo –più o meno – ammesso i nostri sentimenti, ma non c’era stato tempo di mettere in chiaro le cose. Io e lei stavamo insieme? Uscivamo come coppia? Ci vedevamo come amici? Niente di tutto quello era stato deciso, ma quella sera sarebbe stata decisiva.
Hai affrontato cose peggiori che una biondina tutto pepe, caro il mio Leo.
La verità era che per quanto fossi esperto in materia di calcio, di rapporti interpersonali, di ginnastica sotto le lenzuola, non sapevo un emerito cazzo su come si faceva il fidanzato. Non ero mai stato con una donna per più di un giorno, non le avevo comprato dei fiori, non sapevo come ci si comportava agli appuntamenti. Sapevo unicamente dov’era il suo punto G e nient’altro. Mi sentivo uno sfigato e a Leonardo Sogno non poteva capitare una cosa del genere. Ancora una volta il mio orgoglio tornava a fare capolino, a insinuarsi sotto la mia pelle, ma se avessi voluto costruire qualcosa con Celeste, dovevo metterlo a tacere.
Già dovevo fare i conti con l’enorme bugia che pendeva sulla mia testa come una ghigliottina pronta a tranciarmi di netto il collo. Non avevo idea di come fare, ormai la trama si era infittita talmente tanto che non avrei più potuto dirle la verità, o mi avrebbe evirato.
«Pronto, Ruben?» domandai, avvicinandomi alla sua camera da letto.
Scostai un po’ la porta e lo vidi ancora in mutande, anzi, con un paio di quegli slip ascellari bianchi che non avrebbe nemmeno indossato quel vecchio di Playboy, Hugh Hefner. Aveva un mucchio di vestiti sul letto e continuava a guardarsi tremolante allo specchio, avvicinandosi prima una T-Shirt poi una camicia al petto. Era indeciso e da come si era vestito per la cena con i compagni di squadra, pensai che dovessi dargli una mano.
«Sei ancora in mutande e siamo già in ritardo» bofonchiai, come se io stesso non avessi fatto di tutto per ritardare quel dannato appuntamento a sei. Che poi, il motivo per cui tutti quanti avessero deciso di venire era un mistero. Sapevo già che io e Cel non avremmo avuto nemmeno cinque minuti per stare da soli.
Gli occhi di Ruben mi cercarono, da dietro le lenti spesse degli occhiali, e sembrò assomigliare ad uno di quei cuccioli randagi che piazzano sui cartelloni pubblicitari contro l’abbandono. «N-No-Non s-so c-co-cosa m-mettermi...» soffiò intimidito, abbassando il capo e arrossendo. «È d-da t-ta-tanto c-che no-non esco c-con u-una r-ra-r-rag...» e si sforzò di dire quella parola, ma la balbuzie e il nervosismo non glielo permisero.
Mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato e, per quanto fossi stronzo con il resto del genere umano – e questo era scientificamente provato –, con la mia ristretta cerchia di amici mi trasformavo in un dannato pezzo di pane.
«Su, da’ qua!» gli ordinai, non lasciando mai trasparire quel lato tenero davanti agli altri. Nessuno doveva sapere che, in realtà, Leonardo Sogno provava dei sentimenti e, alle volte, riusciva anche ad avere un cuore.
Che adesso batte per un paio di occhi azzurri.
Gli andai in contro e cominciai a frugare tra i suoi vestiti, dal gusto discutibile, e riuscii a stento a trovare qualcosa che non fosse uscito direttamente dai costumi di Thriller. Optai per una T-shirt verde scuro di Hollister – ovviamente un mio regalo che non aveva mai indossato –, un bel paio di jeans chiari e una giacca elegante sopra, in modo da spezzare.
«Perfetto» commentai, dopo che ebbe indossato il completo e nascosto quegli orrendi mutandoni da incontinente. Ruben mi sorrise e si passò una mano tra i capelli, ponderando se riempirli di gel come l’ultima volta.
«Aspetta, tigre» gli dissi, prima che una sua mano si avvicinasse al flacone di brillantina. Lo afferrai per il viso e gli sistemai i capelli soltanto con l’aiuto delle mani, in modo che sembrasse, almeno vagamente, un essere normale. Poi cominciai a guardarmi in giro alla ricerca di qualcosa.
«C-Ch-Che t-ti s-se-serve?» balbettò curioso, cercando di facilitarmi il compito.
Infine riuscii a trovare, occultati in fondo al comodino e dietro un paio di scarpe da ginnastica dell’anteguerra, le lenti a contatto. Trionfante riemersi da quel cantuccio e gliele porsi, indicandogli il bagno.
Ruben mi fissò con la solita aria da cucciolo smarrito. «M-Ma m-mi v-vie-viene l’ir-irritaz-irritazione...» borbottò trotterellando.
«Ma quale irritazione» e lo spinsi all’interno della stanza. «Ti è venuta soltanto una volta e perché ti avevo infilato un dito nell’occhio! Sii uomo e indossa quelle cazzo di lenti, così andiamo».
Il mio migliore amico non protestò, ma rimase chiuso nel cesso per ore, neanche avesse dovuto truccarsi. Quando uscì, rimasi colpito da come potesse stare decisamente meglio senza quegli occhiali a fondo di bottiglia, anche se gli occhi da talpa non glieli levava nessuno purtroppo. Ruben Canilla non era un tipo affascinante... era soltanto un tipo, punto.
«Siamo pronti?» gli chiesi retoricamente, con aria scocciata.
Lui annuì in risposta, afferrò le chiavi dell’appartamento e quelle dell’Audi, ma io lo fermai: forse non era il caso che ci presentassimo sotto casa di Celeste con quel bolide, visto la situazione precaria in cui ci trovavamo.
«L-La c-ci-cinquecento ce l’ha t-tu-tuo cu-cugi-cugino» pigolò. «S-Se l’è v-ve-venuta a pr-pre-prendere l’altro i-ie-ieri».
Rimasi di sasso a quella scoperta, soprattutto perché il mio umore divenne immediatamente più nero del solito. Allora era in città e non era nemmeno venuto a salutarmi, che razza di stronzo.
«Bene» ringhiai. «Allora prenderemo l’Audi, ma la guiderai tu Leonardo» e sghignazzai, riferendomi alla parte del ‘calciatore in erba’ che avrebbe dovuto recitare quella sera. Ruben deglutì a stento, poi mi seguì.
Non sapevo come sarebbe andata quella serata, se tutto fosse filato liscio come l’olio, oppure se avrei dovuto prendere la vanga e scavarmi una bella tomba. Tutto quello che sentivo era un forte bruciore allo stomaco e il cuore che pian piano voleva uscirmi dalla gola, metro dopo metro, lungo l’esofago, mentre la macchina si avvicinava all’appartamento di Fiore e Ciuccio.
«S-Se-Sei sicu-sicuro c-che n-non s-sia m-meglio raccontarle l-la v-ve-verità...?» se ne uscì il mio amico, accostando al marciapiede e spegnendo il motore rombante della fuoriserie bianca.
Mi voltai verso di lui con gli occhi sgranati e con un’espressione mista tra il “Ti strangolo” e “Prova a ripeterlo e ti strangolo”. Era già un fottuto miracolo che Celeste si fosse ricordata di quello che era successo nello sgabuzzino e che non mi avesse denunciato per molestie sessuali. Ci mancava solo che sapesse che il sottoscritto era quanto di più lei odiasse al mondo. Prima o poi avrei dovuto dirglielo, questo era ovvio, ma per ora avrei adottato la filosofia del Goditi il momento.
«Se lo venisse a sapere, mi ucciderebbe e lo sai» gli feci presente, alludendo al caratterino per nulla mite di Celeste. Quella ragazza era acida come uno yogurt scaduto da sei mesi e aveva un cinismo che faceva paura. Non solo sarebbe stata in grado di demolire verbalmente Miss Italia, ma ero più che sicuro che avrebbe fatto persino impallidire il Mister Montella.
Ruben rimase in silenzio, picchiettando le dita sul volante della macchina. «I-Io p-penso c-che a-al-alla f-fi-fine ne sarebbe f-fe-felice» commentò, rimanendo sullo stesso argomento spinoso.
Sospirai infastidito, sperando che si sbrigassero a scendere. «Celeste odia il calcio e i calciatori, per lei potrebbero morire tutti affogati nel Tevere. Figurati se scopre di stare insieme ad uno di quelli più famosi… sarebbe un controsenso non ti pare?».
Finii col puntare lo sguardo in quello del mio migliore amico, che mi rispose con un sorriso abbozzato. «È g-già u-un co-contro-controsenso, s-se n-non te ne s-sei ac-accorto» osservò ed io non trovai parole per replicare.
Aveva colpito ed era riuscito ad affondare tutte le mie convinzioni con una sola frase, mettendomi davanti alla nuda e cruda verità. Se quella sera fosse andato tutto per il meglio, Celeste Fiore sarebbe diventata la nuova fidanzata di Leonardo Sogno, il calciatore italiano più forte del mondo, in lizza per il pallone d’oro 2011 e soltanto lei non ne era a conoscenza. Il mondo intero l’avrebbe vista come una relazione e lei sarebbe diventata l’invidia di tutte le mie fan.
E i giornali scandalistici… non ne parliamo.
Messo di fronte alla realtà delle cose, scacciai via quel pensiero con tutte le mie forze perché mi avrebbe fatto troppo male. Ogni cosa a suo tempo, avrei affrontato i problemi legati alle mie bugie un po’ alla volta.
«E, insomma, quella ragazza ti piace?» chiesi a Ruben, riferendomi all’amica di Celeste che sembrava uscita fuori da un telefilm tipo Law&Order.
Ruben divenne immediatamente color pomodoro, dopodiché tentò di articolare una frase ma gli riuscì molto più difficile del previsto. Già balbettava normalmente, figurarsi quando era imbarazzato. Sghignazzai a quella mia insinuazione, quando sentii la serratura del portone scattare e voltai lo sguardo verso una ragazza bionda.
Aprii lo sportello dell’Audi e uscii fuori, sorreggendomi al tettuccio per non franare a terra come un imbecille perché sentivo davvero le gambe molli come il burro. Che cazzo mi stava succedendo? Il bruciore alla bocca dello stomaco si intensificò, così come il battito cardiaco. Mi sarebbe venuto un infarto, ne ero più che certo.
Indossava un vestitino nero, molto semplice, e un giacchettino bianco, ma nell’insieme mi sembrò più bella di qualsiasi modella di intimo mi fossi portato a letto. Celeste Fiore era semplice, di una bellezza comune, ma allora perché mi sentivo come se stessi per svenire?
Dietro di lei fece la sua apparizione la ragazza mora che avevo visto la sera prima, anche lei con un vestitino semplice in dosso, e a chiudere la fila c’era Robbeo. Aveva un’aria talmente scocciata che sembrava stesse per andare al patibolo.
«Ciao» mi sorrise Cel, avvicinandosi e pungolandomi con il solito dito indice.
D’istinto glielo afferrai e lo strinsi nella mano, fissandola di rimando. «Ciao».
Non mi ero mai sentito così idiota dalla terza media, quando avevo invitato la più carina della scuola alla mia festa di compleanno. Stavo sudando come un maiale, soffrivo di tachicardia e sapevo di avere un sorriso ebete stampato in faccia.
Tuttavia Celeste non sembrava per nulla accorgersi di quel mio disagio, anzi, abbassò lo sguardo imbarazzata.
«Piacere!» mi disse l’altra ragazza, porgendomi la mano e fissandomi con quei furbissimi occhi azzurri. Non seppi spiegare il perché, ma quello sguardo mi mise subito in soggezione, quasi come se quella bassetta avesse qualche potere sovrannaturale, un certo intuito a capire le persone. «Mi chiamo Venera».
«L-LeoRuben» balbettai, in prenda alla più completa confusione.
La tizia ridacchiò, poi fissò il vero Ruben dietro di me. «Pensavo fosse lui a soffrire di balbuzie» commentò tagliente.
Dannazione se ci sapeva fare la ragazza. Pensavo che Celeste fosse una tipa sveglia e che mi desse filo da torcere, ma non avevo ancora conosciuto la piccoletta. Il Rosso mi lanciò appena uno sguardo, poi infilò le mani nelle tasche dei jeans neri e calciò un sasso con le sue AllStar. Ancora non mi aveva perdonato del tutto, era evidente.
«Insomma, quando arriva questa tua amica?» chiese furbescamente Venere… o forse era un altro nome?
«Non è mia amica» risposi pronto, sentendo Celeste che si irrigidiva al mio fianco. «E poi non ne ho idea».
Come se ci fosse stato un qualche tempismo divino, in fondo alla strada si sentì sgommare e subito dopo una sgassata che avrebbe fatto invidia ad un pilota di F1. Stavolta si presentò con una Porche Carrera S rossa metallizzata, completamente decappottabile, quasi dello stesso colore dei capelli di Robbeo, e frenò proprio vicino alla mia macchina.
«Quando parli del diavolo» commentò Veneranda o Veranda.
Aprì lo sportello con decisione e si tolse gli occhiali da sole – di notte –, dopodiché sfoggiò un vestito color fiamma con uno spacco laterale che le lasciava visibile tutta la coscia sinistra e gran parte del perizoma nero che indossava. Chiunque fosse stato dotato di Walter, in quel preciso istante avrebbe voluto indossare, con tutto il cuore, un paio di pantaloni più larghi, compreso Romeo che aveva gli occhi fuori dalle orbite.
Annalisa Cavalli era una stronza patentata, ma anche una figa spaziale.
Sentii le iridi furenti di Celeste che mi fissavano e quando le restituii lo sguardo, la vidi assottigliare gli occhi e incrociare le braccia al petto. L’appuntamento non era nemmeno iniziato e la mia ragazza era già gelosa.
La mia ragazza.
Avvertii qualcosa di caldo che cominciava a sciogliersi nel mio petto, così abbandonai una mano lungo il fianco e cercai la sua, stringendola e accarezzandone il dorso con il pollice. Era un chiaro gesto per infonderle tranquillità, per dirle che anche se Annalisa mi si fosse spogliata davanti – il che era più che possibile – io sarei rimasto impassibile (e con un Walter enorme nei pantaloni), ma quello lo avrei sicuramente omesso.
«Ehilà gente!» trillò la Cavalli riponendo gli occhiali nella pochette e scostandosi i capelli color fiamma dalla spalla con nonchalance. «Scusate il ritardo, ma il fotografo di Megan Fox mi ha contattato per un calendario senza veli e devo dargli una risposta entro lunedì» ridacchiò.
«Tsk» commentò Ven a bassa voce, rivolgendosi a Celeste. «Sì... per ‘calendario’ intende Film Porno e per ‘Mega Fox’ intende Battona».
Dio santo se aveva la lingua tagliente! Quella ragazza poteva anche essere alta poco più di due mele, ma sapeva il fatto suo. Non dico che era stronza quanto mio cugino Simone, ma ci andava vicino.
«L’invidia è una brutta bestia, Venerdì» commentò Romeo, sghignazzando.
Compresi subito che tra il Rosso e la tappetta non corresse buon sangue, ma ormai ero dell’avviso che Chi disprezza, compra, quindi non espressi giudizi affrettati.
«Robbeo, finiscila!» lo rimproverò Celeste, fissandolo truce.
La mia mano era ancora avvolta nella sua, calda e liscia. Non l’avrei mai lasciata perché da quando era apparsa al mio fianco, avevo smesso di preoccuparmi di tutto il resto. Ogni inquietudine era volata via e perfino l’intrusione da parte di quegli amici strampalati cominciava a pesarmi di meno.
Annalisa ci raggiunse camminando sul suo tacco 12, manco stesse facendo una sfilata, dopodiché venne a salutarci uno per uno. Il primo fu Ruben che le porse la mano, ma lei gli si spalmò addosso premendogli le tette proprio sotto il viso. Per poco non entrò in iperventilazione e se avesse indossato gli occhiali, ero sicuro che gli si sarebbero appannati come lo specchio dopo la doccia. Poi fu la volta della piccoletta – ormai avevo deciso di chiamarla Ven per non sbagliare – che la fissò come se volesse incenerirla. Arrivava ad altezza tette di Annalisa e la rossa non mancò di tirare pancia in dentro e petto in fuori per accentuare la sua terza abbondante.
«Tu sei?» le domandò.
Ven scrutò quel volto di porcellana a fondo, mentre i suoi occhi azzurri non finivano di studiarla da capo a piedi. «Venera, tanto piacere, sono la migliore amica di Celeste» le disse calma, tendendole la mano.
Annalisa la strinse, con la solita espressione di sufficienza dipinta in volto, poi si avviò sculettando verso il sottoscritto, rivolgendo a mala pena un cenno a Romeo. Si alzò in punta di piedi e curvò le labbra, ma fui lesto a spostarmi e a tirarmi indietro. Sapevo che Celeste mi stava osservando, calcolando ogni mio passo falso.
«Ciao, Anna» le sorrisi, porgendole la mano in modo neutro.
La Cavalli sembrò sul punto di esplodere, mentre vidi chiaramente un sorriso espandersi sul volto della mia piccola biondina. «Ciao» ringhiò lei, ignorando la mia mano tesa, poi rivolse uno sguardo a Celeste. «Allora hai anche qualche vestito nel guardaroba, non solo degli stracci» poi si defilò.
Dovetti stringere maggiormente la mano attorno a quella di Cel, almeno per trattenerla dallo strangolare Annalisa con entrambe le mani, poi cercai il suo sguardo e le sorrisi.
«Che c’è?» bofonchiò lei.
«Niente» sghignazzai, ma ero stranamente felice, come mai mi sentivo da tempo.
La vidi arrossire impercettibilmente, dopodiché la rossa attirò l’attenzione di tutti su di lei.
«Non perdiamo altro tempo e andiamo. Seguitemi» sentenziò. Schioccò le dita in direzione di Romeo e gli fece cenno di montare sulla sua Porche. Rimasi allibito quando il ragazzo non protestò e si limitò a salire al posto del passeggero.
Ero convinto che quei due non si sopportassero, almeno da quanto mi era parso fino a quel momento. Liquidai la questione con una scrollata di spalle, poi montai sull’Audi, imitato da Celeste e Ven.
La piccoletta mora, una volta nell’abitacolo, si sporse al di là dei sedili e strinse vigorosamente la mano a Ruben. «Ciao! Non mi sono presentata, ma stasera sono la tua accompagnatrice!» sogghignò, vedendo il poveraccio diventare di tutti i colori dell’arcobaleno.
«P-Pi-Pia-Piacere!» rispose imbarazzato. «S-Sono Rub-Leonardo!» si affrettò a correggersi, ma a me non sfuggì il guizzo di malizia che apparve nelle iridi della ragazza. Sapevo che era molto più sveglia di Celeste – e ovviamente di Robbeo –, perciò dovevo guardarmi le spalle.
«Davvero curioso» commentò, tornando a sedersi sul sedile posteriore.
«Cosa?» le chiese Cel.
Ven si limitò a sorridere, fissandomi negli occhi attraverso il riflesso dello specchietto retrovisore. «Tutti e due avete confuso i vostri nomi, l’uno con l’altro».
Lo sapevo! Altro che Annalisa. Dovevo guardarmi da quella tappetta tutto cervello e nessun freno alla lingua. Divenni bianco come un lenzuolo e sentii Ruben al mio fianco irrigidirsi come un pezzo di legno.
«Eh, già!» ridacchiai nervoso, dando un colpetto al mio amico affinché accendesse il motore. «Siamo talmente in simbiosi ultimamente, che confondiamo l’uno il nome dell’altro».
In Scusologia, fin da quando ero in fasce, avevo sempre ottenuto il massimo dei voti. Alle volte mi ritrovavo ad inventare scuse a pagamento, e perfino Ruben qualche volta mi aveva ingaggiato per delle balle. Ven sembrò sorpresa di quella mia spiegazione, ma non si lasciò scoraggiare, anzi, era ben decisa ad andare fino in fondo a tutta quella storia.
«Che carini» commentò, infatti.
Ruben seguì la Porche rossa di Annalisa, mentre ci faceva strada verso il quartiere di San Lorenzo e proseguiva in direzione dell’Appia. Accesi lo stereo per sopperire a quel silenzio imbarazzante che si era creato nell’abitacolo, dopo la semplice osservazione della piccoletta, ma ancora non mi sentivo a mio agio. Quella sera doveva essere perfetta e già avevo rischiato di farmi prendere in campana da una ragazza venuta dal nulla. Camminavo sul filo del rasoio, in bilico su un fiume di lava bollente. Già Celeste era poco convinta che un figo spaziale come me potesse fare il fioraio, non avrei dovuto commettere passi falsi.
«Quanto ti fermi qui a Roma?» domandai a Ven, più che altro perché dovevo farmi un calcolo di quanto sarebbe durato quel supplizio.
Stavolta fu Celeste a sporgersi tra i due sedili ed io fui inondato dal suo meraviglioso profumo. D’un tratto i ricordi di quella festa si accavallarono nella mia mente, schiacciando prepotentemente tutti i buoni propositi che avevo. Fui costretto ad immaginarmi le mutande di Ruben per riuscire a tenere a freno la bandana che abbaiava dai piani bassi.
«Si tratterrà per un po’ di tempo, vero, Ven?» le chiese, posandomi accidentalmente una mano sulla spalla. Okay, dovevo stare calmo. La semplice vicinanza della furia bionda mi provocava degli sbalzi di temperatura inaspettati e nessuna ragazza era mai riuscita a rendermi così imbecille soltanto con la sua presenza. Per fortuna in quella macchina vestivo i panni di Ruben e non di Leonardo. Cosa avrebbero detto i miei fan?
«Sì» rispose la moretta. «Quando non ci sarà più bisogno di me, lascerò la mia Cel».
Si conoscevano da anni, era evidente. Il loro rapporto era stretto e si volevano bene, un po’ come me e Ruben. Lui era il fratello che non avevo mai avuto e pur sapendo di possedere un cugino col mio stesso cognome, preferivo di gran lunga far finta di essere l’unico Sogno esistente.
«S-Sia-Siamo arri-arrivati» constatò Ruben, affiancando l’Audi TT alla Porche di Annalisa.
Il parcheggio di fronte al locale era piuttosto ampio, ma non per questo vuoto. C’erano numerose macchine quel venerdì sera di Aprile, nonostante facesse ancora piuttosto freddo. Il cielo era limpido e si intravedeva la luna piena.
«Entriamo» disse Annalisa con tono imperativo, afferrando Romeo per la giacca e tirandoselo dietro come un lacchè.
Ci fissammo tutti e quattro perplessi, soprattutto per lo strano comportamento remissivo di Robbeo. Non che lo conoscessi bene, ma non mi era sembrato il tipo da dare troppo spago ad un’oca come Annalisa. C’era qualcosa sotto.
«Ha l’encefalogramma piatto, ve lo dico io» commentò Ven sarcastica, afferrando sottobraccio Ruben e incamminandosi verso il locale.
Io e Celeste li guardammo allontanarsi, dopodiché ci fissammo imbarazzati. Era strano tutto quello che c’era tra di noi, prima nemici ora amanti. Non avevamo programmato nulla, era successo tutto per caso ed era accaduto così in fretta.
«Andiamo?» le domandai, porgendole il braccio.
«Da quando sei così galante?» ridacchiò lei, allacciando le sue dita alle mie. «Pensavo fossi un troglodita appena uscito dalle caverne».
Accolsi la frecciatina senza quella punta di fastidio che avevo provato all’inizio, quando ci eravamo appena conosciuti. Adesso, quando mi punzecchiava, non poteva fare altro che sentirmi lusingato.
«Ci sono molte cose che non sai di me» le risposi, facendo il misterioso.
Lei non fece caso al fatto che dietro quella frase di nascondeva molto di più e che parte di quello che le avevo sussurrato era la verità.
Il locale si chiamava Il giardino segreto e non avrei mai pensato ne esistesse uno del genere nella Capitale. Si entrava in una serra gigantesca da un ponticello di travi di legno, dove si apriva un immenso giardino su cui erano disposti dei divani quadrati, al cui centro spiccava un tavolo di legno. Gli altri clienti erano tutti sdraiati, oppure seduti sui cuscini, mentre degustavano i loro cocktail.
«È stupendo» commentò Celeste, rapita da quel locale.
Okay, Annalisa poteva pur essere una stronza superficiale, ma aveva buon gusto e questo era indiscutibile.
«Ruuuuuuuben!» trillò l’interpellata, alzandosi dalla poltrona e lasciando che il vestito le lasciasse scoperta una bella porzione di coscia. Celeste mi stritolò la mano, manco l’avessi messa in una morsa, e sibilò un’imprecazione tra i denti. Metà dei clienti di sesso maschile si erano stirati i muscoli del collo per fissare la rossa, mentre prendeva il sottoscritto e lo faceva accomodare tra lei e un Robbeo amareggiato.
Celeste fu costretta a sdraiarsi di fronte a me, trattenendo a stento la voglia di incenerire Annalisa. La tensione era palpabile a quel tavolo e quando la cameriera venne a chiederci le ordinazioni, sussultammo tutti all’unisono. Non mi ero accorto degli sguardi insistenti che mi si posarono addosso non appena la gente aveva riconosciuto pian piano chi fossi e l’eccessivo nervosismo di quella serata mi aveva fatto completamente dimenticare la mia notorietà. Nonostante vestissi i panni di Ruben, ero pur sempre Leonardo Sogno, un personaggio pubblico.
«Oddio!» trillò la cameriera, stringendo al petto il vassoio e arrossendo. «Ma tu non sei?» e finse di pensare. «Tipo quello sportivo, quel tizio che gioca per la Roma... Leonardo Sogno?».
Fortunatamente Ruben sedeva vicino a me, oltre Robbeo, ed era difficilmente intuibile dove lo sguardo della cameriera stesse puntando. Dovevo solo analizzare la situazione con calma. Bastò uno sguardo con il mio migliore amico e ci capimmo al volo.
«Sì» rispondemmo all’unisono.
La ragazza delle ordinazioni ci fissò confusa, poi si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e mi sorrise. «Cosa posso portarvi?».
Celeste non sembrò far molto caso a quel teatrino, ma non si poteva dire lo stesso della sua amichetta. Romeo stava sudando come una stufa e non la finiva di sventolarsi con il menù che avevamo trovato sul tavolo.
«‘Mazza, che afa!» borbottò, togliendosi la giacca e lasciando che ammirassimo la sua T-shirt grigia dell’Hard Rock e il lago che si era formato sotto le sue ascelle. Annalisa lo fissò come se si stesse mangiando le unghie dei piedi e soffocò un conato con entrambe le mani.
«Allora, per me un Martini Dry» sospirò, scostandosi i capelli dalla spalla in un gesto ormai consueto. «Il prospero[1] prende una birra».
«Ehi!» si lamentò il Rosso ma Annalisa lo zittì con un cenno della mano.
La cameriera li fissò come fossero degli alieni, poi spostò i suoi occhi su Celeste e Ven che consultavano assorte i menù.
«Io prendo un Long Island» mormorò la piccoletta, senza mai smettere quell’aria da so-tutto-io.
«Questo Sex on the beach sembra buono» ponderò Celeste ed io sgranai gli occhi al ricordo di com’era diventata dopo aver bevuto un misero sorso di champagne.
«Ehm, ehm» tossicchiai, cercando il suo sguardo.
Lei alzò le sue iridi celesti verso di me e mi guardò confusa. «Che c’è? Ho ventidue anni e posso bere, mio caro!» ed ecco che il suo lato cinico tornò a fare capolino.
Sospettai che la colpa fosse di Annalisa e del modo con cui mi spiaccicava le tette addosso, facendosi vedere di proposito da Celeste. Il più delle volte facevo finta di nulla, ma se uno sguardo fosse stato in grado di uccidere, quello della biondina mi avrebbe mandato sotto terra già da tempo. Inoltre, non volevo che ripetesse quel bellissimo teatrino di cui era stata protagonista alla festa della Cavalli.
Dì la verità, non vuoi che si strusci addosso a tutti gli ospiti dotati di bandana…
Dannato Ego, riusciva a smontare le mie convinzioni lasciando semplicemente che le mie paure più nascoste venissero alla luce. Fortunatamente – per quanto non sopportassi la presenza di Anna-dai-capelli-rossi versione porno – in quel frangente intervenne in mio favore. Ovviamente non di proposito, ma l’effetto fu quello che speravo.
«Ma, dopo il drink, ci riproporrai lo spettacolino dell’altra volta?» colpì pungente, fissandola con sufficienza, poi si rivolse a Ven. «Alla mia festa, per un sorso di champagne, per poco non si è portata a letto tutti gli invitati».
Entrambi sussultammo a quell’affermazione, soprattutto perché pochissime persone sapevano quello che era successo nel post-party. Celeste mi fissò imbarazzata, rossa come un peperone, ma comunque ben determinata a fargliela pagare.
«Almeno io divento una troia solo sotto alcool» le ringhiò contro. «Tu lo sei ventiquattro ore su ventiquattro!».
Adoravo quando la mia gattina tirava fuori le unghie e vederla così gelosa nei confronti di Annalisa, mi faceva percorrere la schiena dai brividi.
«Ohi!» sghignazzò Robbeo, beccandosi una linciata dalla rossa. «Che c’è? Ha ragione» bofonchiò, poi tornò a sventolarsi sotto le ascelle.
Venera fissò l’amica con un’espressione piena d’orgoglio, quasi avesse visto muovere i primi passi alla sua bambina e anch’io non potei fare a meno di essere fiero. La cameriera del locale ci fissava con gli occhi sgranati, ma evidentemente le era capitata sotto mano gente più strana di noi perché non fece una piega.
«Vuoi un Sex, allora?» le domandò, cominciando ad essere spazientita.
Robbeo a quella domanda sghignazzò, mentre Ruben divenne paonazzo. Celeste non la finiva di guardare male Annalisa e la tensione che si respirava lì in mezzo era un preludio di una guerra mondiale.
«Sì!» ringhiò decisa.
«No!» la sovrastai io, d’istinto, beccandomi un’occhiataccia.
«Torno più tardi?» domandò la ragazza, vedendo che non era aria.
«No!» insistette Celeste.
«Sì!» ringhiai io.
«Oh, per l’amor del Cielo!» sbottò Venera, roteando gli occhi scocciata. «Porti una birra al giovanotto e una Coca-Cola con ghiaccio per la bionda, Leo tu cosa vuoi?» domandò in direzione di Ruben che si accorse di essere interpellato solamente quando il silenzio calò su di noi.
La cameriera sembrava sull’orlo di una crisi isterica, perché nonostante sapesse che Leonardo corrispondesse al sottoscritto, tutti a quel tavolino sembravano rivolgersi all’altro ragazzo con gli occhi da talpa. Era un miracolo se ancora non si erano scoperti gli altarini e già a inizio serata eravamo sull’orlo del tracollo.
«U-Un t-t-th-th-t-th…» tentò di articolare, sembrando ancor più imbecille.
«Tu-tu-tu-tu» sghignazzò Romeo, passandosi una mano tra i capelli sudaticci. «Ancora ‘sto telefono eh?».
Ma chi me l’aveva fatto fare di accettare un’uscita in cui la metà degli amici si odiavano a morte? Non avrei mai immaginato che la serata potesse trasformarsi in una vera e propria battaglia di frecciatine con il sottoscritto che si trovava praticamente nel mezzo.
Ruben fissò malissimo il rosso, poi tornò a rivolgersi alla cameriera. «U-Un the, grazie» disse coinciso, quasi per nulla balbuziente.
La ragazza delle ordinazioni annuì, poi scomparve senza chiederci nient’altro. L’avevamo terrorizzata, era ovvio. Infatti si era immediatamente rivolta ad una sua collega per farsi sostituire. Perfetto, se avessimo continuato di questo passo, saremmo stati banditi da tutti i pub della Capitale.
«Sei stato veramente indelicato, Babbeo» osservò Ven, fissando il rosso in tralice.
«Sta zitta, nana» ringhiò lui, in risposta.
Ci mancava solamente che si tirassero addosso i cuscini o le vivande del tavolo accanto. Mezzo locale si era voltato a fissarci e non per la notorietà del sottoscritto. Pregai solamente che tra di loro non ci fosse qualcuno cui venisse in mente di scattare qualche fotografia, altrimenti ero fottuto. Non avrei nemmeno dovuto subire una strigliata dal mio manager, in materia di pettegolezzi cercati, perché lui serrava i ranghi delle prime file in quella battaglia verbale.
«C-Ch-Chi-Chiedi s-s-scu-scus-s...» tentò di intervenire, a difesa di Ven.
«Ssssssssssssssssss... che sei Sir Bis?» grugnì Romeo, infervorato da tutto quello che stava succedendo.
Mi passai una mano sul viso e chiusi gli occhi sperando che, una volta riaperti, le persone che sedevano di fronte a me si sarebbero improvvisamente trasformate in esseri civili. Purtroppo era come chiedere ad una mucca di spiccare il volo.
«Chiudi il becco, prospero[1]» lo linciò Annalisa, tornando a fissare Celeste. «E quindi non avevi mai conosciuto il famoso Leonardo Sogno prima della mia festa, vero?» indagò, facendomi strozzare con una nocciolina.
Ma perché diavolo non avevo finto un attacco fortissimo di diarrea? Avrei anche potuto prendermi la malaria, il morbillo, la febbre gialla… tutto pur di non trovarmi nel mezzo di quella discussione.
«Sì, me l’ha presentato Ruben» rispose, rimanendo guardinga.
Annalisa sfoderò uno dei suoi sorrisi maliziosi e afferrò una fragola portandosela alle labbra e succhiandola come fosse tutto fuorché un frutto. «Interessante» rifletté. «Quindi non segui molto il calcio».
«Lo odio» sibilò Celeste immediatamente, mentre cominciavo a sentire anch’io il caldo asfissiante di cui si lamentava Robbeo. «Non sopporto quello sport e soprattutto quei rinoceronti imbufaliti che vengono pagati fior fior di soldi per correre appresso ad un pallone» poi si accorse che Ruben la fissava stranito e arrossì. «Cioè, non si sta parlando di te, Leo».
«Madò, che callo!» dissi ad alta voce, liberandomi della giacca e arrotolando le maniche della camicia fino agli avambracci.
«Quindi non hai mai visto i giocatori della Roma» chiese ancora la rossa, vestendo i panni di Sherlock Holmes.
«Uhm» pensò Celeste. «Romeo guarda tutte le partite, ma io non mi sono mai interessata. Non me ne frega un accidente di quei trogloditi».
«Certo che se schiatta qui dentro!» e alzai la voce, cercando di interrompere quella conversazione spinosa.
Celeste e Annalisa mi fissarono di sbieco, ma non mi diedero troppo peso. «Lo sai che mio padre è il presidente della A.S. Roma?» le domandò, tirando ancor più il petto in fuori. «Praticamente se io gli chiedo di comprare un giocatore che mi piace, lui mi accontenta» aggiunse maliziosa.
«AFA, AFA, AFA!» gridai, mentre una folta folla di clienti si voltava a fissarmi.
«Ao’, l’avevo detto io che se schiattava!» corse in mio soccorso Robbeo, agitando un lembo della maglietta e lasciando intravedere il suo addome flaccido e bianchiccio.
«E ‘sti cavoli?» domandò Ven retorica, riferendosi ad Annalisa che le imbruttì.
Cercavo ossessivamente una posizione comoda su quel divano di pelle bianco, ma ogni volta che mi assestavo, era come se sentissi i carboni ardenti che mi cuocevano letteralmente le chiappe. Se avessero continuato di questo passo, sarei stato scoperto in meno di cinque minuti buoni.
«Scusate?» si avvicinò una ragazza bionda, probabilmente vestita dallo stesso stilista di Annalisa – cioè modello baby-battona. «Posso chiedere l’autografo al mitico Pittore?».
Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo. Dannazione! Ero fottuto, lo sapevo.
Guardai Ruben nella vana speranza che gli venisse in mente qualcosa, ma anche lui aveva un’espressione persa. «Okay» mormorai a mezza bocca, afferrando foglio e penna dalle mani della cugina di Pamela Anderson.
Gli occhi di tutti – in particolar modo di Celeste – erano puntati su di me, ma quando alzai lo sguardo per restituire il pezzo di carta, notai che Ruben stava lanciando languidi sguardi alla ragazza, mimando dei baci e degli occhiolini ben poco sensuali. La poveretta, infatti, lo fissava inorridita, ma per fortuna, sia Venera che Celeste, sembravano aver notato quel teatrino. Forse tutto non era perduto.
«Tieni» le dissi, porgendole il foglio e quella mi rivolse appena un sorriso per poi fuggire a gambe levate da un Ruben in un sorprendente attacco di sex appeal.
«Che voleva, quella, da te?» mi tampinò, subito, Celeste.
Scrollai le spalle e feci l’indifferente. Negare, negare e, ancora una volta, negare. «Un autografo».
A quel punto intervenne Ven. «Sì, ma perché lo hai firmato tu, se Leonardo Sogno è lui» insinuò, ed io vidi attraverso quegli occhi blu il suo cervello che stava macchinando.
«P-Pe-Pe-Per...» tentò di intervenire Ruben.
«Pe’ pe’ pe’ peppeppe’» lo cantilenò Robbeo, beccandosi un ceffone sulla nuca da parte di Annalisa, che precedette – in modo quasi istintivo – lo schiaffo che gli avrebbe mollato Celeste, rimasta con la mano a mezz’aria.
«P-Perché l’inchiostro m-mi d-danneggia la p-pe-pelle» recitò con enfasi il mio migliore amico. Dopo quella genialata ero sicuro che avrei potuto passargli anche tutta la mia famosissima agenda piena di numeri delle più belle ragazze che avevano avuto il privilegio di venire a letto con Leonardo Sogno. Dovevo fargli una statua, era sicuro.
Venera non sembrava molto convinta, infatti, assottigliò lo sguardo e non la finì di scrutarmi al di là delle folte ciglia nere. Purtroppo non avevo considerato l’Effetto domino che la gemella della Anderson aveva scatenato nel locale. Bastava che il primo fan rompesse il ghiaccio ed ottenesse il tanto agognato autografo, che subito si formava la fila.
E a riprova della mia teoria, mentre gli altri continuavano a lanciarsi sguardi omicidi, vidi numerosi clienti alzarsi con foglietti di carta in mano e penne ben in vista, con lo sguardo puntato sul sottoscritto. Dovevo darmela a gambe, prima che la situazione già precaria degenerasse del tutto. Come potevo defilarmi senza che Celeste o la tappetta intuissero tutto? Ero nella proverbiale merda fino al collo e, tanto per cambiare, non avevo idea di come uscirne.
Il suggerimento mi arrivò dall’ultima persona al mondo che mi sarei aspettato, visto che non mi aveva più rivolto la parola dopo la festa di Annalisa.
«A’ Ruben, me sembri pallido» mi sorrise, fingendo di essere preoccupato. «N’è che stai male? Cel, perché non lo accompagni ar bagno?» e si rivolse alla sua amica.
Non sapevo per quale motivo lo stesse facendo, né se mi avesse perdonato, ma gli rivolsi un sorriso pieno di gratitudine prima di stringere la mano di Cel e trascinarla lontano da quel tavolo di avvoltoi.
«Ma che…?» protestò Annalisa, tentando di fermarci. Ormai eravamo lontani, con l’indignazione da parte di tutti i fan che mi avevano visto sparire nel retro del locale, e non seppi se ringraziare il Rosso oppure la provvidenza, fatto sta che la mano di Celeste era così piacevolmente calda nella mia. La luna piena, quella sera, ci avrebbe spiati e finalmente era arrivato il momento di affrontare la verità, di fare un faccia a faccia con i miei sentimenti.



Quello era il mio primo appuntamento dopo mesi e mesi passati nella solitudine più assoluta. Non avevo tenuto il conto di quanto tempo fosse trascorso dall'ultima volta che ero uscita con un ragazzo – escluso J, con il quale mi vedevo di tanto in tanto ma solo come amici. Forse ero rimasta traumatizzata dall'ultimo appuntamento serio che avevo avuto con un essere del sesso opposto. Mi aveva portato al cinema a vedere un film dell'orrore di cui non mi ricordavo nemmeno il titolo sperando che mi spaventasse e che io mi avvinghiassi a lui come un koala. Purtroppo per lui, però, non avevo mai avuto paura di fantasmi e zombie, vampiri e altre creature spaventose. Ero troppo razionale per farmi condizionare da quegli stupidi film. E il caro ragazzo aveva allungato le mani per benino credendo che gliela avessi smollata con così tanta facilità. Era vero che le ragazze di sani principi, ormai, erano più rare di una mucca viola e bianca, ma mi sembrava abbastanza chiaro che io non fossi come tutte le altre, che avessi una moralità che non calpestavo solo per tenermi il ragazzotto di turno scopando con lui la prima volta che ci uscivo. Io era una mucca viola in mezzo alla banalità del bianco e nero. E la cosa, invece che farmi sentire una sfigata, mi compiaceva.
Comunque, dopo quella brutta esperienza e dopo un ceffone a metà film a quel maiale avevo chiuso per un po' di tempo con il genere maschile e non  perché non volessi trovarmi un fidanzato o altro, ma perché i maschi erano una delusione. Tutti i ragazzi che avevo conosciuto alla fine si erano rivelati solo dei bastardi che avevano un solo chiodo fisso ossia la Iolanda. Tutte le loro smancerie, le loro paroline dolci, i regalini avevano come scopo finale solo il letto. E, dopo che avevi ceduto alle loro sviolinate, goodbye!, ti gettavano via nemmeno fossi un fazzoletto usato. Magari ero troppo categorica e prevenuta nei confronti di tutti i ragazzi che incontravo e li catalogavo come bastardi prima ancora di conoscerli, ma ero stata illusa troppe volte e tutti quelli che avevo conosciuto appartenevano a quella categoria, fatta qualche eccezione come J.
E come Ruben. Suonava strano pensarlo perché la prima volta che lo avevo visto lo avevo subito catalogato nei cosiddetti – dalla sottoscritta – ragazzi-ape che volavano di fiore in fiore e che dormivano ogni notte in letti diversi. Eppure, con il tempo, avevo compreso che mi ero sbagliata sul suo conto. Lui era uno dei pochi che riusciva a sopportarmi, che non era scappato dal mio caratteraccio e dai miei insulti e sembrava che ci tenesse davvero a me. Non sapevo che cosa fosse che mi dava quella sicurezza, forse il modo così languido con cui mi guardava, oppure perché, seppure si fosse intrufolato sotto le mie lenzuola con me ubriaca accanto non si era approfittato di me. Qualunque altro lo avrebbe fatto, ma Ruben no. Per di più, nonostante i miei ricordi fossero ancora annebbiati, ricordavo la delicatezza dei suoi gesti in quello sgabuzzino in casa di Annalisa e con quale intensità le sue iridi mi guardavano, mi scrutavano, mi desideravano. Era una sensazione strana e al contempo piacevole quella di essere desiderata da qualcuno.
Se lui sembrava così preso da me, la stessa cosa si poteva dire della sottoscritta. Con Ruben stavo bene e mi sentivo strana in sua presenza. Era una sensazione quasi inspiegabile, sapevo solo che quando lui mi era vicino mi sentivo un'altra Celeste.
Peccato solo che il nostro primo appuntamento che avrebbe dovuto essere un modo per conoscersi meglio, per stare un po' da soli si era trasformata in una specie di uscita tra amici, anche se avrei fatto a meno di quella piattola di Annalisa. Era stata lei ad autoinvitarsi portandosi appresso quel peso morto di Robbeo, e la terza coppia si era accollata subito dopo. Il risultato era un'uscita di sei ragazzi caciaroni che non facevano altro che litigare. Robbeo con Leonardo, Robbeo con Ven, Robbeo con Annalisa.
Raggiungemmo il retro del locale, un bellissimo giardino all'aperto con piante di ogni tipo, da semplici cespugli ad alberi che sembravano querce o qualcosa del genere. Era un bel posto, quasi fiabesco e mi sembrava strano che ci avesse portato lì quell'insopportabile dai capelli rossi. Beh almeno aveva buon gusto in qualcosa, dato che nel vestire faceva invidia ad una prostituta.
Ci accomodammo su una panchina uno di fianco all'altro e gli strinsi una mano tra le mie.
«Come va?» gli domandai cercando di non far trasparire la mia preoccupazione. Ok che cominciavo a tenere a Ruben ma non volevo abbassare troppo le mie difese di acido citrico.
«Meglio» rispose con un sorriso «Almeno qui fuori si respira. Lì dentro si schiattava dal caldo»
«Strano» corrugai la fronte e resi gli occhi a due fessure «Io non sentivo così tanta afa»
«Sia io che il Roscio abbiamo le vampate» scrollò le spalle «Staremo andando in menopausa».
Lo guardai con sufficienza, un sopracciglio abbassato e la bocca semi-dischiusa. Era scemo e quello, ormai, era innegabile. E forse era proprio quella sua parte di lui, quel suo essere così spigliato e il suo dire tutto ciò che gli passava per quella testa bacata, anche se erano delle cavolate enormi, che mi piaceva di più. Era un po' come me, con l'unica differenza che io sapevo il congiuntivo.
«Seh, vabbè» sospirai affranta «Comunque mi sembravi alquanto a disagio ed agitato lì dentro» constatai e Ruben sgranò gli occhi. Cominciò a sventolarsi con una mano e mi guardò con gli occhi spalancati e scuotendo la testa.
«Chi? Io?»
«Mio nonno…» risposi sarcastica «Tu, ovvio! Chi, sennò?»
«Anche qui comincia a fare abbastanza caldo, non credi?» tergiversò e il suo atteggiamento mi parve sospetto. Così come il suo comportamento durante tutta la serata. Ancora continuavo a credere che mi nascondesse qualcosa ma non riuscivo a capire che cosa fosse, se fosse una piccola omissione oppure se mi avesse nascosto di essere un assassino, un truffatore, un guaritore dagli strani poteri paranormali, Lord Vodemort. Oppure ero solo io che cercavo di trovare problemi anche dove non c'erano.
«Sarà…» bofonchiai «Ma io sento freddo»
«Per forza. Te sei messa un vestitino striminzito!» sbottò geloso e il fatto che lo fosse mi rallegrò perché significava che per lui non ero una delle tante da portarsi solo a letto «Ti si vedono tutte le gambe»
«La cellulite, vorrai dire!» proruppe una voce stridula che catturò la mia attenzione.
Annalisa era davanti a noi strizzata nel suo abito dal dubbio gusto che le lasciava in vista praticamente tutte le gambe. Lei era la tipica ragazza che faceva girare la testa a qualsiasi essere dotato di Walter e che faceva rivoltare lo stomaco ad una come me. Era per gente come lei che noi ragazze venivamo etichettate come delle poco di buono anche se in realtà avevamo dei validi principi. Non riuscivo a capire che cosa volesse da Ruben. Gli stava sempre appiccicata e non era nemmeno sua amica. Per cui non capivo cose una riccona bonazza come lei  trovasse in un umile fioraio come Ruben. Certo era pur sempre bello, ma un pezzente dato che vendeva fiori. L'avrei vista meglio accanto ad uno come Leonardo e non perché lui fosse un figo – perché, chiaramente, era una talpa dalle “sembianze” umane – ma solo perché era il calciatore più famoso e ricco del momento. Sarebbe stato un buon colpo per una come la piattola. Eppure continuava a perdere tempo con Ruben, il mio Ruben.
Non so se te ne sei resa conto ma hai appena detto “mio”. Qualcuno qui si sta prendendo una bella sbandata per il troglodita.
«Sai, preferisco impiegare i miei pomeriggi a studiare e farmi una cultura, piuttosto che perdere il mio tempo in stupidi saloni di bellezza» risposi acida e Annalisa fece spallucce, dimostrandosi ancora una volta più stupida di una lumaca.
«Si vede, mia cara, che stai sempre rinchiusa in casa» ribatté con sufficienza muovendo i capelli fulvi con una mano «Sei una sfigata» e sorrise compiaciuta.
«Sarò anche una sfigata ma almeno ho un encefalo funzionante» risposi per le rime. Avrei anche voluto aggiungere E Ruben preferisce me a te microcefala, ma me lo risparmiai per non apparire troppo idiota «E, tanto per non farti pensare troppo a quale sia il significato di encefalo te lo dico io: è il cervello, quell'organo che sta nella scatola cranica e che è assopito in gente come te».
Annalisa puntellò le mani sui fianchi e mi guardò con uno sguardo di sfida che ricambiai. Non avevo certo paura di lei e in qualsiasi caso avrei sempre trovato la risposta giusta da spiattellarle in faccia. Quell'imbecille non poteva nulla contro la mia acidità e la mia dialettica, l'avrei ammutolita se avesse di nuovo aperto bocca. E mentre tra i nostri sguardi c'erano non scintille ma proprio lingue di fuoco che saettavano dai nostri occhi, Ruben ci fissava e a sento riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
Annalisa mi scoccò un'ultima occhiata prima di sculettare verso di noi, traballando sui trampoli che portava che dovevano essere scarpe con tacco a spillo e cercò di sedersi in mezzo a me e a Ruben spingendomi con il suo sedere enorme e dandomi delle gomitate. Riuscii nel suo intento, rischiando di farmi cadere dalla panchina e si avvinghiò stretta, troppo stretta per i miei gusti al braccio di Ruben. Gli accarezzò amorevolmente una guancia, passandogli una mano tra i capelli e lui rimaneva lì fisso come un baccalà a farsi toccare da quella sciacquetta, annaspando come un pesce fuor d'acqua.
Forse sei arrivata a conclusioni troppo affrettate, Cel... è come tutti gli altri.
Incrociai le braccia al petto e rimasi a gustarmi la scena in silenzio per vedere che cosa avesse fatto Ruben.
«Rubenuccio, amoruccio, tesoruccio!» miagolò quella con le labbra a sturalavandino «Stai bene, amorino mio?»
«Sì, grazie» rispose quasi intimorito lui.
«Volevi farmi stare in pensiero?» cinguettò Annalisa, ridacchiando «Hai avuto un giramento di testa, un calo di zuccheri, uno sbalzo di pressione, eh, cucciolotto?»
«Avevo molto caldo, tutto qui» disse con un sorriso stiracchiato, cercando di divincolarsi dalla presa della piattola.
«Oh, povero il mio amoruccio!» trillò stringendolo a sé e baciandolo sulla guancia. Lo sguardo verde e scocciato di Ruben cercò il mio come se volesse un aiuto da parte mia. In tutta risposta gli diedi le spalle. Che se la cavasse da solo con il suo amoruccio-tesoruccio-cucciolotto e tutti quegli altri stupidi nomignoli.  Ogni tanto lanciavo loro uno sguardo ma li ritrovavo sempre appiccicati come una cozza e il suo scoglio.
«Annalisa» la richiamò Ruben, spingendo lei e le sua labbra appiccicose lontano da lui «La mia ragazza poi è gelosa» disse e mi rivolse un sorriso.
Annalisa si voltò di scatto verso di me ed assottigliò lo sguardo.
«Ah, già, giusto» borbottò con sufficienza squadrandomi da capo a piedi «Mi ero scordata che hai cominciato ad uscire con le pezzenti»
«Pezzente a chi, microcefala!» sbottai indispettita e per poco non le saltai addosso per strangolarla.
«A te, perché sei una pezzente e ti vesti anche da pezzente» ribatté acidamente «Basta guardare il vestito che indossi. L'avrai trovato su una bancarella»
«E anche se fosse?» chiesi retorica senza distogliere il mio sguardo dal suo «Almeno io non sono vestita da battona».
Annalisa si indispettì e si indignò al tempo stesso, dischiudendo le labbra e guardandomi sconvolta.
«Uno a zero per Celeste. Palla al centro» commentò divertito Ruben ma venne incenerito in contemporanea dai nostri sguardi. Smise subito di sbellicarsi e si limitò a guardare due pazze insultarsi come delle ragazzine delle medie.
Il problema è che sei gelosa.
Sì, lo ero e non c'era bisogno che il mio subconscio me lo ricordasse. Non sopportavo che quella gli ronzasse attorno e sopportavo ancora meno che lui si lasciasse abbindolare dal corpo mozzafiato di quella idiota.
«Non permetterti mai più!» sibilò puntandomi un dito contro «Tu non sai chi sono io»
«Una stupida, imbecille ragazza priva di cervello» le risposi senza esitazione.
Se credeva di metter in difficoltà Celeste Fiore si sbagliava di grosso. Nessuno era in grado di zittirmi, se non Ven. Lei era l'unica che riusciva a farmi tacere per via della sua spiccata intelligenza che avrebbe fatto impallidire chiunque. Era scaltra quella ragazza e già mi immaginavo una serie televisiva con lei come protagonista.
«La figlia del presidente della Roma» replicò stizzita,  per poi sorridere sorniona «E vuoi sapere una bella cosa, pezzente?» domandò retorica.
Passarono alcuni istanti in cui cercò con il suo silenzio di far aumentare la suspense. Peccato solo che non sapesse che a me del calcio importava meno di zero, così come i calciatori della Roma.
«Leonardo Sogno è...» esordì ma una mano di Ruben le tappò la bocca prima di finire di parlare.
«È balbuziente» completò per lei la frase e rise nervosamente.
«Lo avevo intuito dal Tu-tu-tu-tu» risposi sarcastica e linciai con lo sguardo prima uno poi l'altro.
«Annalisa pensava che non te ne fossi accorta» e il suo continuo parlare mi sembrava un tentativo di arrampicamento estremo sugli specchi insaponati. Tutta quella situazione era molto più che sospetta e mi sarebbe piaciuto, in quel momento, parlare con Ven per sapere che cosa ne pensasse di tutta quella faccenda che mi stava facendo impazzire.
La piattola afferrò con decisione la mano di Ruben e si liberò la bocca. Prese un respiro profondo e si ricompose, poi tornò a sorridermi.
«Non era questo che volevo dirti, Celeste» riprese calcando il mio nome «Ti volevo parlare di Leonardo...»
E, ancora una volta, venne interrotta. Ma questa volta non da Ruben, bensì Ven che ci raggiunse tutta esaltata, correndo verso Annalisa. Le afferrò entrambe le mani e la obbligò ad alzarsi lasciandoci tutti leggermente basiti.
«Ti stanno cercando» le disse con un sorriso.
«Chi?» domandò dubbiosa Annalisa.
«Un fotografo di moda» rispose la mia amica «Non mi ricordo il nome ma dice di aver lavorato con le migliori modelle in circolazione. Kate Moss, Irina Sheyk...» e, ad ogni nome che Ven faceva gli occhi di Annalisa diventavano sempre più grandi e felici «Ti ha notata e ora vuole parlarti!»
«E cosa stiamo aspettando allora?» esclamò eccitata, sistemandosi i capelli e il vestito e cominciando a camminare a passo svelto verso il locale, senza nemmeno degnarci di uno sguardo. Ven la guardò allontanarsi, poi si voltò verso di me e mi fece un occhiolino. Capii che aveva mentito, che quel fotografo era di sua invenzione e che aveva fatto quella messa in scena solo per liberarci di Annalisa. Venera la seguì poco dopo e così rimanemmo soli io e Ruben. Lo guardai arcigna, con le braccia incrociate e l'unica cosa che fece su scrollare le spalle.
«Quando ti deciderai a liberarti di quella?» domandai imbestialita.
«Non è facile come sembra» ridacchiò nervoso Ruben, grattandosi la nuca.
«E perché?» tuonai con le saette che mi schizzavano fuori dagli occhi.
«Lei è la figlia del presidente della Roma e non vorrei che la mia scortesia creasse danni per il povero Leonardo» spiegò ed io non ero del tutto convinta delle sue parole. C'era sempre qualcosa dietro le sue frasi, nascosto dietro di esse, qualcosa di non detto e che non riuscivo a comprendere di cosa di trattasse.
«Leonardo, eh» ripetei sospettosa e lo vidi sbiancare a poco a poco «Sai per caso cosa voleva dirmi a proposito di Leonardo?».
Ruben deglutì a fatica e farfugliò qualcosa. Quando si parlava di Sogno si agitava sempre e non mi spiegavo il motivo. Cominciava a venirmi il dubbio che magari Leonardo fosse lui stesso, ma era assolutamente impossibile. Perché mentirmi sulla sua identità? Sarebbe stato da idioti.
«Ha picchiato un suo compagno. Brutta faccenda» disse annuendo a se stesso e abbozzando un sorriso.
«Ah, già. Ho sentito qualcosa del genere» commentai per nulla interessata al discorso «Sai che me ne frega di quella talpa. Che poi non capisco come abbia potuto sferrare un pugno a qualcuno senza sfracellarsi la mano. È più secco di un grissino!»
«Sembra piccolo, ma quando si arrabbia diventa una specie di Hulk» rispose ridacchiando.
Sorrisi di rimando, anche se nella mia espressione non c'era nulla di divertito. Era solo un contentino perché tutto quel mistero inspiegabile non mi faceva affatto ridere. Se c'era qualcosa che odiavo e che detestavo con tutto il mio cuore era essere presa per il sedere. Mi era successo troppe volte di venire tradita sia da amici opportunisti che vedevano in me solo la secchiona a cui chiedere le risposte del compito in classe e poi venire totalmente ignorata; sia da “fidanzati” che dicevano di essere tali ma che poi mi mollavano come una deficiente per correre dietro alla figa di turno. E avevo paura che potesse succedere anche con Ruben. Mi ero affezionata a lui e forse sarebbe potuto nascere qualcosa tra di noi. Non sapevo se sarei riuscita ad accettare l'ennesima delusione, per di più da un ragazzo a cui volevo davvero bene e a cui mi stavo aprendo a poco a poco.
Una folata di aria fredda, che non si addiceva per niente al clima di Aprile, mi fece congelare e rabbrividire. Mi strinsi in un abbraccio e strofinai le mani per ricavare un po' di tepore. Ma, d'improvviso, una calda giacca mi avvolse e il sorriso di Ruben mi infuse un calore che nemmeno un fuoco ardente avrebbe potuto donarmi. Abbozzai un sorriso imbarazzato anche io e lo ringraziai con un filo di voce. E in quel momento capii che ero davvero attratta da lui per via dell'imbarazzo. Solo pochi ragazzi erano riusciti a farmi arrossire e per tutti loro avevo provato una certa attrazione.
«Così tu ti ripari dal freddo e io mi godo un po' di aria fresca» ridacchiò e mi strinse una spalla attirandomi verso di sé «Comunque... chi diavolo è quella? Una specie di Sherlock Holmes in gonnella?»
«Chi?» domandai confusa lì per lì.
«Vermiglia, Veruska, Verdiana...» cominciò ad elencare e intuii che stesse parlando di Ven.
«Venera» lo corressi leggermente seccata.
«Venéra?» chiese conferma ed io sbuffai sonoramente. Non mi sembrava così difficile pronunciare quel nome. Ma da uno come Ruben potevo anche aspettarmelo. Era un miracolo se sapesse l'italiano.
«Lasciamo perdere, va’» bofonchiai irritata «Non sai nemmeno coniugare il verbo essere all'indicativo, figurarsi capire la pronuncia del suo nome»
«Aridanghete co' ste battutacce!» esclamò e la sua voce era divertita, così come il suo viso e i suoi occhi sorridenti. Scoppiò a ridere ed io con lui. Non eravamo mai stati così in sintonia come in quel momento ed era bello sentire la sua risata cristallina, vederlo divertito nonostante la mia ennesima battuta spiacevole sulle sue capacità intellettive. Ma oramai era una routine per noi. Io lo prendevo in giro e lui incassava le mie frecciatine senza battere ciglio. Così come era abitudine ormai il mio dito indice che gli pungolava il petto. Erano tutti gesti e parole idiote che erano entrate a far parte della nostra quotidianità. Ed io ero un tipo abbastanza abitudinario, per cui pensare di non poterlo più prendere in giro e infastidirlo con il mio dito mi creava una morsa allo stomaco. Scacciai quel pensiero e mi godetti quel momento. Era da tanto, troppo tempo che non ridevo così di gusto, che non mi divertivo in quella maniera con un ragazzo.
Peccato solo che quel momento assolutamente perfetto venne interrotto dalla voce insopportabile di quella gallina strozzata di Annalisa. Appena la sentì, Ruben scattò in piedi e mi afferrò il braccio, trascinandomi con lui dietro una fitta siepe che ci avrebbe nascosti dalla piattola. Si portò un indice davanti alle labbra e si sporse leggermente in avanti per vedere le mosse della rossa.
«Rubenuccio, amoruccio-puccio! Mi hanno ingannata! Non c'era nessun fotografo» piagnucolò «Rubenuccio, cucciolotto, dove sei?» e lo chiamò a gran voce. Sentii il rumore dei suoi tacchi riecheggiare e me la immaginai girare intorno alla ricerca di Ruben e frignare come una bambina perché  non trovava il suo adorato.
«Rubenuccio?» tentò di nuovo, ma non ricevendo una risposta batté violentemente un piede contro il terreno e se ne andò, molto probabilmente stizzita.
«Che genialata quella di nasconderci dietro la siepe» gongolò tutto soddisfatto.
«Capirai» borbottai «Non hai mica scoperto  come è avvenuta la creazione della Terra»
«Intanto l'idea è stata mia» si pavoneggiò ancora «E non della geniale Celeste Fiore»
«Vuoi un Nobel?» domandai sarcastica, incrociando le braccia al petto.
Ruben sembrò rimuginarci su e si grattò perfino il mento, guardando il manto di stelle che ci osservava dal cielo. Poi mi scoccò un'occhiata maliziosa e mi passò una mano dietro al schiena, avvicinandomi a lui. La sua intraprendenza mi stupì ma non mi scomposi più di tanto. Se fossi stata la vecchia Celeste gli avrei mollato l'ennesimo calcio negli stinchi. Ma ormai mi piaceva sentire il suo corpo a contatto con il mio e la sua presenza non mi infastidiva più.
«Preferirei un bacio» mormorò sporgendosi verso di me e avvicinando pericolosamente le sue labbra alle mie.
«E sei così sicuro che lo riceverai?» domandai retorica vedendolo già a pochi millimetri da me pronto ad assaporarmi.
«Non vorrai negarmi il mio premio per la genialata di poco fa» ribatté sarcastico, accarezzandomi una guancia con il dorso della mano «Me lo merito».
Nel suo gesto c'era un'infinita dolcezza, qualcosa che da lui non mi sarei mai aspettata e il suo sguardo verde era liquido, due smeraldi preziosi che mi guardavano con desiderio. Non avevo mai visto un ragazzo con quello sguardo e che soprattutto mi volesse così ardentemente. Vacillai di fronte a quello sguardo e così avvolsi le braccia attorno al suo collo e sorrisi, alzandomi sulle punte perché, nonostante le scarpe con il tacco, Ruben rimaneva sempre troppo alto per una tappa come me. La sua stretta sul mio corpo si fece più forte e, in pochi secondi, le nostre labbra si sfiorarono, diventando un tutt'uno. Finalmente un bacio che poteva ritenersi tale. Non c'erano stupide scommesse in ballo e non dovevo nemmeno fingere di essere la sua ragazza. Era nato così, spontaneamente perché lo volevamo, perché desideravamo entrambi sentire le labbra dell'altro e non perché costretti da qualcosa o qualcuno. E il sapore di quel bacio fu molto più dolce dei precedenti e forse bisognava ringraziare anche la tranquillità che ci circondava, quel contesto fiabesco che rendeva tutto ancora più irreale. Già, perché non mi sarei mai immaginata che tra me e lui sarebbe potuta scoccare la scintilla. Eravamo di due pianeti differenti, abitavamo ai poli opposti della terra ed eravamo completamente diversi. Lui un troglodita fissato con il calcio ed io una secchiona tutta casa ed Università. Per non parlare del fatto che Ruben fosse un troglodita e che non avesse ancora fatto nulla per smentire quel mio pensiero. Eppure a me piaceva così com'era anche se era un uomo delle caverne.
La sua lingua entrò nella mia bocca cauta e lenta, senza nessuna irruenza ma con una passione ardente. Andò a stuzzicare la mia e non attesi nemmeno un secondo per avvolgerla attorno alla sua, per rincorrerla, per danzarci insieme e per assaporare il suo sapore.
Era bello baciarlo senza sentire il mio subconscio trapanarmi il cervello, e il suo silenzio mi permetteva di godere ancora di più delle sue labbra e della sua lingua che lambiva la mia. Una volta tanto era giusto che il mio cervello si spegnesse, che non pensassi a nulla e che ragionassi ogni tanto con il cuore. Con l'andare del tempo, a furia di non usare più il muscolo cardiaco, a furia di guardare tutto con razionalità e senza sentimento ero diventata un insopportabile pezzo di ghiaccio e lo capii solo in quel momento. Aveva ragione Ruben quando diceva che avrei dovuto staccare il cervello e divertirmi senza che il mio raziocinio mi frenasse. Questo, però, non significava che avrei abbandonato il mio subconscio. Non lo avrei mai fatto perché, insieme a Robbeo e Ven, lui era il mio migliore amico, il mio miglior consigliere, il mio grillo parlante che mi guidava in ogni scelta da fare.
Le mani di Ruben guizzarono sulla mia schiena, percorsero la sua curva regalandomi brividi di piacere e si fermarono sulle mie natiche. Una di loro indugiò sul mio fondoschiena mentre l'altra non si fermò, ma scese verso la mia coscia intrufolandosi sotto il vestito per solleticare la mia pelle nuda. Fosse stata un altro contesto, un altro momento, un altro ragazzo lo avrei preso a cazzotti. Ma mi piaceva sentire le sue mani forti su di me, lambire la mia pelle. Era come se mi stesse dimostrando, per l'ennesima volta, quanto tenesse a me e quanto mi desiderasse. Ed io sentivo lo stesso nei suoi riguardi. Lo volevo, soprattutto ricordando quello che era successo a casa di Annalisa. Anche se mi imbarazzava ancora rivivere quell'immagine, dovevo ammettere che mi era piaciuto. Magari potevo sembrare una pervertita-depravata che faceva servizietti a tutti quelli che passavano. Ma con lui non riuscivo a controllarmi e non mi era mai capitato con nessuno che desiderassi così tanto ogni singola parte del suo corpo. Nemmeno con J, che avevo sempre creduto fosse il mio ragazzo ideale. Invece si era rivelato essere solo un buon amico, niente più. Era troppo simile a me ed io avevo bisogno di qualcuno che mi aprisse gli occhi e che mi mostrasse cosa fosse davvero la vita.
Le nostre labbra erano come incollate e si allontanavano solo per alcun secondi per riprendere fiato, per permetterci di respirare anche se in quel momento l'unica cosa di cui avevo bisogno era il suo calore. Spostai le mani dal suo collo alle clavicole e cominciai a sbottonargli i primi bottoni della camicia scoprendo il suo petto glabro, ampio e perfettamente scolpito. Lo accarezzai, percorsi i solchi tra i suoi pettorali e mi sentii invadere da un fuoco che dal basso ventre si diramò in tutto il resto del corpo. Non mi era mai capitato di avere sotto le dita un fisico così perfetto e non ne avevo mai sentito il bisogno, sinceramente. Avevo sempre anteposto il cervello al corpo e mi stupiva come quel suo fisico asciutto che sembrava essere stato scolpito da un raffinato artista greco potesse sconvolgermi così tanto. Avrei dovuto abituarmi, comunque, visto che con Ruben ogni secondo era una sorpresa.
Agli schiocchi dei nostri baci si unirono dagli ansimi sommessi che i nostri tocchi leggeri ed eccitati riuscivano a strapparci. Mi strinsi di più a lui sentendo che il solo contatto con i suoi pettorali non mi bastava più. Sentii tutto il suo corpo spalmato su di me e il fuoco incendiò ogni nostra fibra, ogni nostra membra. Il nostro primo incontro era stato un disastro. E non solo perché mi aveva bagnata dalla testa ai piedi ma anche per il comportamento da cafone che aveva tenuto in casa mia. Non avrei mai più voluto vederlo dopo quell'episodio, ma grazie al casco di Valentino lui era tornato da me. E, in quel momento, l'ultima cosa che avrei voluto che accadesse era perdere Ruben e non vederlo mai più.
Le sue mani serpeggiarono di nuovo lungo il mio corpo come se volesse studiarlo a fondo e conoscere ogni sua parte, imprimersela nella memoria. Dalla coscia e dalla natica risalirono entrambe disegnando il profilo dei miei fianchi, portandosi verso il ventre e continuando il loro cammino sulle costole. Si fermarono entrambe sui miei seni e li strinsero con delicatezza, strappandomi un gemito che si perse nella sua bocca calda. C'era tutto in quel bacio, tutto quello che avrei potuto desiderare. C'era dolcezza, c'era passione, c'era voglia di scoprirsi e qualcosa che non sapevo decifrare ma che mi faceva battere il cuore all'impazzata. Di certo non era amore, era troppo presto perché potessimo già definirci innamorati. Era già tanto se dopo così poco tempo eravamo nascosti dietro ad una siepe a sbaciucchiarci. Era nato tutto così velocemente forse perché eravamo l'uno l'antitesi dell'altra, eravamo due pezzi di uno stesso puzzle che si erano ritrovati dopo tanto tempo e che finalmente si riunivano e si completavano. Lui era ciò che io non ero mai stata e viceversa.
Gli morsi un labbro con dolcezza e quello mise fine al nostro bacio. Nonostante le nostre lingue non fossero più in contatto e nonostante le sue mani erano tornate sui miei fianchi la passione ancora bruciava nei suoi occhi verdi, li stava divorando rendendo quelle iridi sempre più liquide e dilatate, sempre più scure e bramose.
«Molto meglio di un Nobel» commentò ansante giocando con una mia ciocca di capelli.
«Alla fin fine questo appuntamento non è stato poi così male» dissi a mia volta sorridendogli.
«Diciamo che ha avuto una bella conclusione» replicò raggiante.
«Già» fu l'unica cosa che riuscii a dire e dopo quella mia semplice parola, tra di noi, cadde il silenzio. Nessuno dei due sapeva come riprendere in mano il discorso forse perché ad entrambi rimbalzava in mente la stessa domanda. Dopo un bacio come quello era inutile continuare a fingere che tra di noi non ci fosse nulla, che tra di noi ci fosse solo un'amicizia. C'era qualcosa ed era innegabile. L'unico problema era capire che cosa fosse e se avrebbe potuto avere un futuro. Mi sembrava troppo presto per intraprendere qualcosa di serio e non sapevo se fidarmi di lui o meno, date le mie esperienze passate. Tutte erano state una fregatura ed avevo il timore che anche quella “storia” avrebbe potuto concludersi allo stesso modo.
«Beh...» mormorò grattandosi la nuca «...si potrebbe provare, no?» disse imbarazzato.
«Cosa?» domandai un po' impaurita da quello che stava per accadere.
«A stare insieme» propose guardandosi le scarpe «Ma ti avviso, non ci sono abituato»
«Nemmeno io. Diciamo che è da talmente tanto tempo che non ho un ragazzo che mi sono dimenticata cosa si prova» ridacchiai ma mi fermai subito quando tutte le delusioni d'amore tornarono a galla «Non so, in realtà» sospirai e abbassai lo sguardo «È come se ci fosse un muro tra di noi»
«Lo so, lo percepisco anche io» ammise annuendo «Ma i muri si abbattono, no? Lo abbatteremo anche noi» e mi sorrise dolcemente.
Era la prima volta che mi trovavo in difficoltà. Di solito trovavo sempre la strada da intraprendere, così come avevo sempre la decisione pronta. Ma di fronte a quella proposta non sapevo come comportarmi. Da un lato c'erano tutte le ferite aperte che alcuni cazzoni mi avevano lasciato e dall'altro Ruben, il nostro bacio e quel muro che c'era tra di noi. Ma che avremmo potuto superare senza troppe difficoltà.
Il passato è passato. Goditi la vita senza pensare troppo alle conseguenze.
Ed ancora una volta il mio subconscio aveva trovato la strada giusta, mi aveva dato l'ennesimo consiglio ed era proprio quello che avevo sperato di sentirmi dire. Gli sorrisi di rimando e lo baciai di nuovo, arginando quella passione che ci aveva colto poco prima. Al diavolo tutto! Dopo tanto tempo avevo finalmente trovato un ragazzo che mi piaceva veramente e con il quale mi sentivo bene, e non lo avrei lasciato scappare per uno stupido luogo comune, degli stupidi pregiudizi che avevano condizionato la mia vita.


[1] dal ''romanaccio'' all'italiano (1a parte): dicesi 'prospero' persona dai capelli fulvi, in richiamo al più comune oggetto per accendere un fuoco, cioè il fiammifero. Se si nota la forma di tal strumento, risalta all'occhio la capocchia piuttosto rossa, proprio come la capigliatura del nostro Romeo, perciò l'autrice ha utilizzato tal sinonimo.



Che bel banner *W*
(se lo dice da sola)
Ed eccoci qui alla fine di questo capitolo tremendamente puccioso di Leuccio e Celestuccia! \O/ ho ancora gli occhi formato cuoricino danzante. Ma.. ma.. ma..! Cosa dire di questi due?? E' vero che erano partiti col piede sbagliato, che fino a 2 capitoli fa sembrava tutto perduto ancor prima di cominciare, ma io li vedo così bene insieme.. sono fatti l'uno per l'altra!
Leonardo è ancora aggrovigliato nella sua stessa fitta rete di bugie, tessuta una dopo l'altra con pazienza e con la 'forzata' complicità di quel pover uomo di R-R-Ru-Ruben e quell'altro svitato di Robbeo. Prima o poi dovrà dire la verità -direte voi- ma abbiamo in serbo altre sorpresuccie.. bisogna farlo faricare il nostro bel calciatore. La vita mica è così facile, eh?
In questo capitolo è stato molto dolce, ma la prima parte è stata soprattutto occupata dai personaggi secondari di questa storia. Lo so, sarò ripetitiva, ma come ho già detto sul gruppo AMO FOLLEMENTE questa trama e TUTTI i personaggi che ne fanno parte, persino Annalisa (avrà il suo perché) u_u
Ma il comportamento strando di Leo&Co. ovviamente insospettisce Celeste. Ha capito che tra di loro c'è qualcosa di non detto e questo avrebbe potuto frenare in un qualche modo la loro relazione. Ma, per una volta, ha messo a tacere la sua parte razionale e si è lasciata trasportare dai suoi sentimenti come non faceva ormai da tempo. Anche lei in fondo a tutto quell'acido e a quel cinismo ha un cuore che batte.. in questo caso per Ruben/Leo.
E poi volevo aggiungere una cosa.. cioè.. CIOE'! 18 recensioni lo scorso capitolo! Ma noi vi AMIAMO CON TUTTO IL NOSTRO HEART! *piange a dirotto* a me non era mai capitato di riceverne così tante perciò mi sono sentita così emossionata!
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!
Soprattutto per chi ci ha detto di voler segnalare Come in un Sogno nelle scelte.. *piange ancora come una cretina*.. sono queste le cose che ci riempiono il cuore di gioia e ci fanno andare avanti, ogni giorno, tornate dall'università e scrivere, scrivere, scrivere *sta facendo la melodrammatica*.

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