Si
dice che la distanza fortifica il rapporto ed aumenta la passione, ma
poi
succede che la maggior parte delle storie a distanza finiscono. Allora
dove sta
la verità? Credo che la parola chiave quando si parla di
storie a distanza sia:
RESISTERE! Il
dizionario della lingua
italiana ci informa che il termine resistere sta a significare:
opposizione nei
confronti di un’attrazione dannosa o di una sollecitazione
impulsa,
concretizzandosi nella decisa se pur sofferta rinuncia al piacere o
nell’uso
del buon senso o nell’esercizio della pazienza. Io mi
soffermerei sull’ultimo
pensiero: rinuncia al piacere, uso del buon senso ed esercizio della
pazienza.
Ecco appunto, la donna che vi parla o vi scrive, interpretatolo a
vostro
piacimento, in questo momento rappresenta l’esatto opposto
significato che,
Devoto e Oli, hanno dato nel loro dizionario alla parola resistere. Il
mio
significato di RESISTERE può essere riassunto in:
opposizione nei confronti di
ripetute richieste di reazione, affiancate da minacce di basso livello,
che
portano il soggetto oltraggiato ad espellere tutta
l’aggressività trattenuta
interiormente.
Fase
1: OPPOSIZIONE NEI CONFRONTI DI RIPETUTE RICHIESTE DI REAZIONE
“Quel
giorno” lo
stavo ripetendo fino alla nausea, da quando Johnny mi aveva lasciato
nel suo letto
ed era partito. Ero rimasta un altro po’, nel letto, a
torturarmi su quei cazzo,
di fottuti, maledetti quindici giorni. Grazie alla forza inviatami da
chissà
quale buon Santo che, guardava impietosito la scena da
lassù, riuscì a vestirmi
e a recarmi a casa mia.
Non
appena arrivata,
mi scaraventai, come si fa per un sacco di patate, sul divano e da la
non mi
mossi per almeno dieci ore, cioè fino a quando il cellulare
non squillò e sul
display comparve il nome JOHNNY
“Hey
sei
arrivato?”- urlai apprensiva, tutto ad un fiato, come se
fosse la telefonata
della vita- “si sono atterrato da 5 minuti. Appena ho
riacceso il telefono ti
ho chiamato”- si affrettò a spiegare, aveva
intuito il mio stato d’ansia –
“è
andato bene il volo?”- ero sulla soglia di una crisi isterica
di pianto, ma
cercai di trattenermi, non volevo angustiarlo con le mie paure
– “si, si”-
rispose brevemente poi ispirò sonoramente
–“ non c’è bisogno di
nascondermi
quello che provi, lo percepisco, quindi se ti va, ne possiamo
parlare” – disse
dolcemente, senza molte pretese. Quello fu il colpo di grazia che
scatenò
l’acquazzone nelle mie pupille. Un pianto forte
m’investì come un uragano, non
riuscivo a trattenermi. Johnny non disse una sola parola, mi
lasciò sfogare,
senza farmi sentire in imbarazzo o sottopressione. Quando finalmente
riuscì a
calmarmi fu io a parlare per prima –“ non sono
ancora abituata a te, non sono
ancora abituata a noi e non sono abituata ad averti lontano. Ti
sembrerò una
ragazzina alla prima cotta, che crede di aver perso l’amore
della sua vita, ma
non è così. Ho solo bisogno che questi giorni
passino in fretta. Tutto qua!”-
dissi tutto con un filo di voce, prendendo frequentemente boccate
d’aria. Il
pianto mi aveva strozzato le corde vocali e mi aveva tappato il naso,
la mia
voce risuonò rauca e nasale. Sentì Johnny
sorridere leggermente – “Passeranno
talmente veloci, che neanche te ne accorgerai”-
cantilenò dolcemente, come
quando si cerca di addormentare una bambina. Io mi vergognai come una
ladra,
sembravo davvero una ragazzina alla prima cotta. Che fine aveva fatto
Caterina
la sanguinaria?
“Toglimi
una
curiosità, che cos’hai fatto tutto il
giorno?”- ecco appunto adesso si che mi
sarei sotterrata per la vergogna! Mi asciugai le ultime lacrime e mi
schiarì la
voce – “ Niente. Sono stata tutto il giorno a
lavoro e poi sono ritornata a
casa!”- cercai di essere il più convincente
possibile, richiamando a me quelle
pessime doti da attrice da quattro soldi che possedevo –
“Sicuro? Sai prima ho
ricevuto un messaggio di Chr…”- non lo lasciai
concludere e partì spedita con
un monologo di balle – “ si sono ritornata un
po’ presto, sai ero stanca, dopo
questi due giorni, dove tu mi hai costretto a prestazioni fisiche di
notevole
sforzo. Ho dovuto mangiare uova sta mattina per riuscire a mettermi in
piedi e
sai, io odio fare la colazione all’americana, anzi odio
mangiare tutte quelle
schifezze che voi americani vi ostinate ad ingurgitare. Cazzo sono
italiana io!
Vengo dal paese della pasta, della pizza, dei tortellini, del
tiramisù…”
“FERMA!!! STOP! Stop ti prego!!! Non iniziare ad elencarmi
tutti i piatti
tipici dell’Italia, perché sarei costretto ad
riattaccare, visto che la lista
sarebbe troppo lunga per una chiamata intercontinentale e poi forse ti
sei
dimenticata che stai parlando con un attore” –
partì in quarta senza lasciarmi il tempo di
replicare o potermi
giustificare – “ Sai un attore alla
capacità di accorgersi subito quando
qualcuno con pessime doti teatrali, sta raccontando delle
bugie?” – mi canzonò divertito
– “io non ho pessime doti teatrali”-
risposi come una bambina indispettita –
“ripongo la domanda: cosa ha fatto oggi Dottoressa
Armani?” – usò un finto tono
professionale – “Sono stata tutto il giorno
appollaiata sul divano ad aspettare
la tua chiamata”- dissi balbettando molto imbarazzata. Johnny
scoppiò a ridere
– “Spero che al mio ritorno, il tuo divano non
abbia preso la forma del tuo
sedere”- esclamò divertito, aspettandosi un sonoro
“Vaffanculo” che non tardò
ad arrivare. Smise di ridere e con voce seducente mi
sussurrò –“ Non passeranno
veloci questi giorni, se rimarrai seduta su quel divano, quindi alza il
tuo bel
culetto da lì, vai da tua figlia e gioca un po’
con lei, domani svegliati
presto e vai a lavoro. Continua a vivere la tua vita e ricorda quello
che ti ho
detto: in qualsiasi parte del mondo sarò
ritornerò sempre da te” – sospirai
sonoramente, mentre una lacrima fece capolinea sulla mia guancia, mi
affrettai
ad asciugarla. Questa volta si trattava di lacrime di commozione e non
di
dolore – “ed io sarò sempre qui ad
aspettarti”- risposi con un filo di voce,
ancora commossa – “adesso devo andare, tu
promettimi che ti alzerai da quel
divano”- non fu una richiesta, fu un ordine a cui non si
poteva rispondere no –
“lo farò. A dopo” “A
dopo”
Quella
sera
eseguì alla lettera gli ordini impartitemi da Johnny: aiutai
Emy a preparare la
cena, ascoltai il resoconto dei giorni che ero stata lontano da casa da
parte Sofia,
aiutai la mia bambina a cenare e poi insieme guardammo la tv, la aiutai
a mettersi
il pigiama, la accompagnai a letto e le lessi una favola. Era strano
come
quell’uomo riusciva a persuadermi dalle mie strane idee.
Avevo deciso di non
far nulla durante la sua assenza e lui con una sola frase aveva
smontato il mio
progetto, ma qualcosa dentro di me aveva recepito solo gli ordini ed
escluso il
consiglio. Andai a dormire solo perché il mio corpo ne aveva
bisogno. Fu una
notte priva di sogni o incubi. Al risveglio, ero ritornata ad essere la
donna
del pomeriggio prima!
Che
cos’erano quindici giorni?Il nulla. Eppure per me sembravano
un’eternità.
Quindici giorni senza Johnny. Sembrava il titolo di un film horror. Non
ero
ancora abituata alla sua presenza figuriamoci alla sua assenza. Che
cosa avrei
fatto in quei dannati quindici giorni?Il nulla. Sarei stata ferma,
immobile, ad
attendere il suo ritorno. Avrei vissuto in funzione di quel giorno.
Avrei
vissuto come un vegetale nella speranza di vedere l’alba di
quel giorno.
Niente, né il mondo, né l’universo,
né le stelle, avrebbero potuto distogliermi
dall’attesa del suo ritorno.
Questi
erano i
pensieri che accompagnarono il mio risveglio, c’era una sola
nota di felicità
in tutto quello: almeno un giorno era passato!
Ero
accovacciata
sul mio amatissimo divano a contemplare il muro davanti a me, stavo
fantasticando su come sarebbe stato riabbracciare, usiamo questo
termine per
essere pudiche, Johnny al suo ritorno, quando qualcuno suonò
al campanello di
casa. La mia reazione fu come sempre impassibile, rimasi al mio posto,
senza
neanche fare una smorfia di disgusto, mentre qualcuno andò
ad aprire - “Dov’è?”-
urlò qualcuno dalla voce squillante ed irritante,
continuando ad avanzare verso
il salotto, alias Il Regno dei Culi Pesanti, come l’aveva
ormai ribattezzato da
qualche giorno Emy. –
“Dov'è?”- continuava ad urlare quella
voce, senza che
nessuno gli desse una risposta. Quando la sentì entrare nel
mio regno,
biascicai uno scoglionato “sono qui”. Lei si
avvicinò a grandi passi al divano
ed iniziò con la solita paternale che sentivo ogni giorno da
parte di Emy e
Johnny – “ Dovresti smetterla di fare la bambina,
ti dovresti alzare da lì e
venire al lavoro. Non ci sono giustificazioni al tuo comportamento
infantile.
Sembri una vedova depressa che a perso tutto, anche il gatto che le
faceva le
fusa mentre lei piangeva il marito ormai morto. Che sono quindici
giorni? E
neanche fosse andato in Iraq? E a Londra, in un albergo di lusso, che
dorme in
un letto molto
più comodo del tuo,
quindi alza quel culo e non mi fare urlare ancora di più di
quanto io stia
facendo!”- Christie sbraitava continuando ad urlare parole
che il mio cervello
non riusciva a captare, io la guardavo indifferente con un sorriso
strafottente
stampato sul volto, divertita dal suo comportamento. –
“Kate mi hai sentita?”-
m’intimò
puntandomi un dito contro. Io annuì poco convinta e lei
sbuffò, andandosene in
cucina sicuramente a confabulare con Emy.
Fase
2: MINACCE
DI BASSO LIVELLO
Avevano
provato
di tutto, avevano anche minacciato si far venire mia madre, se il
giorno dopo
non sarei andata a lavoro. E così feci per altri due giorni,
rimasi sempre
accomodata sul mio candido e comodo divano, finché dalle
minacce non si passò
ai fatti e la signora Maria Rita Rossi Armani non si
materializzò davanti ai
miei occhi. Era stato un colpo basso, di cui gli ideatori, compreso
Johnny
Christopher Depp, ne avrebbero pagato le conseguenze.
“Mamma”- dissi con una
finta allegria, senza alzarmi dal divano ed allungando le braccia verso
di lei
come sinonimo di “se vuoi
abbracciarmi,
vieni tu verso di me”. Mentre mia madre mi
abbracciava, io lanciai uno
sguardo da vera signora del crimine, alle due donne che se la ridevano
a mie
spese. Non appena la mamma concluse l’abbraccio,
iniziò con uno dei suoi lunghi
monologhi italiani dal finale inesistente. Ignorai volontariamente la
voce di
mia madre, annuendo ogni tanto per dimostrare che ero attenta, ma in
realtà la
mia mente stava già pianificando la vendetta contro gli
insorti e una fuga dal
tiranno venuto dall’Italia.
Se
non conoscete
Maria Rita Rossi Armani, non riuscirete mai a capire il concetto di classica mamma italiana. Lei possiede
tutte le caratteristiche che servono per rientrare nella categoria:
pettegola,
apprensiva, affettuosa, appiccicosa, presuntuosa, invadente, cordiale,
chiacchierona e laboriosa. Era arrivata da neanche dodici ore e
già aveva
licenziato la donna delle pulizie, aveva minacciato la baby sitter,
spostato la
disposizione della stanza da letto degli ospiti, dove lei dormiva, mi
aveva
aggiornato sugli ultimi scoop sulla figlia del macellaio, preparato una
ciambella per Sofia, minacciato di morte (in italiano) il postino e mi
aveva
obbligato a mandare Eva a fare la spesa. Ma la cosa che mi sconvolse di
più fu
che per un’intera giornata non nominò una sola
volta il nome di Johnny, e
questo era davvero preoccupante, perché stavamo parlando di
mia madre, si
proprio quella che mi aveva chiamato per chiedermi se Johnny poteva
assumere la
figlia della fioraia come truccatrice. Ma il mio stupore
durò ben poco perché
non appena misi Sofia a letto, mi ritrovai mia madre ad attendermi alla
soglia
della porta del salotto, come un ispettore di polizia che è
pronto a fare un
interrogatorio, indicandomi di accomodarmi al divano. –
“allora Maria”- io già
la guardai di traverso – “quando mi presenti
Johnny?”- mi chiese tutta felice,
mentre io stavo ancora digerendo il Maria
– “non vedo l’ora di conoscerlo. Dalle
foto sembra davvero un bell’uomo, l’ha
detto anche zia Livia e lo sai che lei normalmente è pignola
ed ha da dire su
tutto e tutti”- mia madre continuava a parlare a raffica
senza darmi il tempo
di rispondere – “ immagina quanta soddisfazione ho
provato nel sentirle dire è carino
e sai che quel suo è carino vale
più di un è bellissimo
di qualsiasi altra persona.
Comunque cara, non ti ho parlato prima, perché non volevo
mettere in imbarazzo
le tue amiche, magari i loro ragazzi sono un po’
più discreti, Johnny è bello,
famoso, simpatico.”- io continuavo ad annuire a quella
cantilena, che in quel
momento stava diventando una noiosa ninna nanna – “
allora dai chiamalo,
chiamalo, fallo venire, su su”-
aveva
sessant’anni, ma si comportava come un’adolescente
in preda alla sindrome di
Gossip Girl, io sospirai spazientita, feci un bel respiro e iniziai a
chiarirle
un paio di cosettine – “Mamma, per prima cosa:
quante volte ti devo dire di non
chiamarmi Maria?”- lei stava per rispondere ma io la frenai
con un gesto della
mano – “per seconda: lo sai che io odio che la mia
vita privata sia di dominio
pubblico, quindi evita di fare riunioni di quartiere per parlare della
mia
situazione sentimentale. E non ho finito”- precisai,
poiché lei era pronta a
tirar fuori una scusa plausibile per giustificare i giudizi di zia
Livia; che
poi questa zia Livia neanche la ricordassi, passava in secondo piano,
rispetto
al fatto che io ero l’argomento preferito di cui parlare
mentre la parrucchiera
ti faceva la messa in piega. – “terza cosa: toglimi
una curiosità, per quale
motivo sei venuta a Los Angeles?”- chiesi sospettosa, il viso
di mia madre si
trasformò nel ritratto della gioia, solo perché
le avevo concesso il diritto di
replica – “ come per quale motivo?
Tu ti
fidanzi ufficialmente e chiedi per quale motivo tua madre sia
qua?”- io le ammazzo fu
l’unico pensiero che si
materializzò nella mia mente, mentre mia madre continuava a
parlare – “tuo
padre non è potuto venire, perché aveva una
visita specialistica, che non
poteva rimandare, ma ha detto che verrà a trovarvi
presto”- continuavo a
studiare un piano fattibile per uccidere, nel modo più
doloroso, quelle due
serpi, decretando che, al suo ritorno, Johnny, non avrebbe visto, per
almeno un
mese, neanche un millimetro di pizzo delle mie mutande. –
“ mamma fermati, non
c’è bisogno del tuo tailleur rosa confetto, lo
puoi rimettere in valigia, non
ci sarà nessun fidanzamento”- dissi acida,
infastidita dal fatto che adesso
avrei dovuto trovare una scusa credibile per giustificare
l’assenza di una
festa. –
“cosa? Perché? Tu e Johnny vi
siete lasciati?”- mi chiese preoccupata –
“No!”- risposi quasi schifata da
quella domanda – “quindi cosa
c’è che non va?”- domandò
seguendomi lungo le
scale che portavano alla zona notte – “Mamma,
chiedilo domani ad Emy, lei ti
saprà rispondere. Adesso io devo andare a dormire, domani
avrò una giornata
pesante di lavoro. Buonanotte” – le chiusi la porta
della mia camera in faccia,
lasciandola perplessa nel corridoio. Si avete capito bene, il giorno
dopo sarei
andata a lavoro.
Fase
3: ESPULSIONE
DELL’AGGRESSIVITÀ TRATTENUTA INTERIORMENTE
Alla
fine ero
sempre io, Kate Armani, forse un po’ meno acida, ma sempre
io. Quindi –“ cosa
fate qua fuori? Non
credo sia il momento
della pausa caffè! Fra cinque minuti voglio il reso conto
scritto di questi
giorni in cui sono stata assente sulla mia scrivania. Chiaro? E adesso
a
lavoro! Muoversi, muoversi, muoversi!”- si ero ritornata in
gran forma e per
giunta incavolata con il mondo intero, per via dell’assenza
di Johnny e della
presenza di mia madre in casa. Mi sigillai nel mio ufficio e non
uscì finché la
mia vescica non reclamò attenzione. Il telefono
dell’ufficio squillò – “
Dottoressa c’è una telefonata per lei da parte
della Time Warner, gliela passo
subito” – era Eva, non mi diede neanche il tempo di
replicare, che sentì il
suono dell’attesa alla cornetta, forse aveva paura che questa
volta, oltre alla
spesa, le avrei chiesto di comprare la crema per le verruche di mia
madre – “
buongiorno è la Dottoressa Caterina Armani?”
– disse una voce maschile
dall’altro capo del telefono – “Si, parlo
con?”- chiesi un po’ titubante –
“
Steve Miller, della Time Warner.”- rispose professionalmente
– “a cosa devo la
sua telefonata?”- chiesi indispettita – “
come sicuramente saprà, lei questa
settimana è stata la regina indiscussa delle prime pagine di
tutti i giornali e
non solo, il suo nome è stato il più cliccato sul
web ed è diventato Tendenza
su Twitter”- parlò come se io fossi al corrente di
tutto, senza lasciarmi il
tempo di fare domande – “quindi noi le volevamo
proporre un’intervista”- nella
mia mente lo immaginavo, senza neanche conoscerlo, nel suo doppiopetto
Dolce
& Gabbana, con la sua faccia da prendere a schiaffi e con il
suo sorriso
scintillante attendere una risposta, ma io non sapevo neanche di cosa
stesse
parlando e cos’era la Time Warner, come potevo dargli una
risposta? – “Stop,
stop, stop!”- lo intimai a fermarsi, per riuscire a
comprendere la situazione –
“ le opzioni sono due: o avete scambiato qualcuna per me
oppure ho fatto
qualcosa sotto il controllo di stupefacenti? Io non so di cosa lei stia
parlando!”- dov’ero
andata per un’intera
settimana, per non accorgermi che il mondo parlava di me? E poi per
quale
motivo ero diventata la star della settimana? –
“ Signora, questa settimana
non ha aperto neanche un giornale?”- chiese stupito
l’uomo- “No!”- risposi
secca – “ cioè lei mi sta dicendo che
non conosce il motivo per cui noi
l’abbiamo contattata?” –
continuò ancora, stimolando i miei nervi –
“No!”
“cioè
ricapitoliamo: lei non sa il motivo per
cui la sua faccia è stampata su tutti i settimanali, i
giornali di gossip, i
quotidiani; perché si parla di lei su tutte le radio e le
trasmissioni
televisive?” – continuò ad elencarmi
tutti i mezzi di comunicazione, come se
stesse parlando ad una persona che per dieci anni era stata segregata
in un
bunker sottoterra – “NO!”- urlai
scocciata dalla stupidità del mio
interlocutore – “ sono solo due lettere N ed O cosa
non ha capito? Vuole che le
mandi un fax, un’e-mail con scritto NO?
Io
non capisco perché si ostinano ad assumere certa gente, se
non sono in grado
di formulare una frase di senso
compiuto!”- ecco che finalmente quella parte che Johnny, per
qualche ragione a
me oscura, era riuscito a seppellire, e di cui io ne andavo tanto
fiera, era
riemersa dalle più profonde viscere del mio essere, in tutto
il suo splendore.
Quel poveretto doveva ringraziare solo l’inventore del
telefono, perché se si
fosse trovato seduto di fronte a me, in quel momento, sarebbe diventato
facile
bersaglio del mio gancio destro. Il Signor Miller, alquanto turbato,
non
proferì parola, fin quando non fu io stessa a spronarlo a
parlare – “Adesso
Miller, mi può spiegare per quale motivo lei mi vuole
intervistare?”
ANGOLO AUTORE
Se state leggendo, significa che siete arrivate alla fine e non siete morte alla seconda parola.
Per scrivere questo capitolo è servito prendere spunto dalle mie esperienze personali e credetemi se vi dico che il mio divano aveva preso la forma del mio sedere, che per giunta non è un sedere piccolo.
Cosa ne pensate della Signora Maria Rita? L'avevamo già conosciuta via telefono, ma adesso si è materializzata in tutto il suo splendore ad L.A.
Come sempre vi ricordo che recensire non nuoce gravemente alla salute e per chi ancora non l'abbia fatto, vi invito a leggere la nuova storia che io e la mia socia Vale, detta anche come _TheDarkLadyV_, abbiamo scritto. Il titolo è FORTIS EST UT MORS DILECTIO e se lasciate anche un commentino non sarebbe male.
un bacio
Fra