"Devi
andartene. Ora" ordinò Meredith appena posò gli
occhi su di
lui.
Non aveva idea del perché fosse lì e specialmente
come
avesse fatto a trovarla così facilmente, ma forse neppure
gl'interessava. Era riuscita nel suo intento, dimenticarlo, e si
preparava a vivere una vita felice e senza i problemi che sembravano
circondare quello strano scrittore.
"A- Andarmene? Non ci
penso proprio!"
Aveva passato sette ore su un dannato aereo
e non intendeva rinunciare a lei così facilmente, non senza
averci
neanche parlato. Avanzò verso di lei e l'avvicinò
a sé posando le
mani sui suoi fianchi. "Avanti, voglio solo parlare, nulla di
più"
Ma la donna si scostò bruscamente vedendo passare
William, che lanciò ai due un'occhiata furente. Si
domandò cosa
diavolo ci facesse lì il 'maniaco' e di certo non aveva
tutti i
torti.
"Non voglio parlare con te. Non ti conosco, non
abbiamo nulla da dirci." Detto questo si voltò e prese il
corridoio opposto a quello di William, per evitare il più a
lungo
possibile la quotidiana scenata di gelosia da quando gli aveva
confessato ciò che lei definiva "solo una scappatella".
Non
era mai stata il tipo di donna sottomessa agli uomini, eppure con
William si sentiva inferiore, forse perché a lavoro era
davvero un
gradino più in alto nella scala sociale.
Ma Peter non voleva
demordere, era andato lì per riprendersela e questo era
ciò che
sarebbe dovuto succedere, a tutti i costi. Per cui la rincorse sotto
lo sguardo attento di MammaOrsa e la fece voltare afferrandole un
polso. "Non riuscirai a scappare da me così facilmente,
Meredith" e in quel momento non aveva idea di come sarebbe
potuta apparire quella scena agli occhi di altri.
I due della
sicurezza chiesero a Meredith se andava tutto bene e, al suo secco
"No", gli energumeni scortarono Peter fuori dall'ospedale,
ma non prima di risciure a far scivolare il biglietto dell'hotel nel
taschino suo camice bianco.
Probabilmente
Matthew e Olivia erano già in ospedale, eppure lui non
riusciva più
ad abbandonare quel dannato attico con vista panoramica. Avrebbe
dovuto andare anche lui, forse sarebbe dovuto essere l'unico
lì, ma
qualcosa lo bloccava.
"Probabilmente è per i sensi di
colpa, anche se in questo contesto io non c'entro molto. Insomma, non
è mica colpa mia!" continuava a ripetersi come un mantra
cercando in qualche modo di eliminare il silenzio straziante che
regnava nella stanza.
Come aveva fatto a trasformarsi in così
poco tempo?
Come aveva fatto a passare dal fidanzato perfetto al
rovina-matrimoni?
Ma soprattutto, cosa aveva acceso l'ira in lui?
Meredith
finì il turno piuttosto tardi quella sera. Avrebbe dovuto
staccare
prima di cena, ma l'avevano avvertita all'ultimo minuto di
un'operazione a cui doveva assolutamente assistere e da cui era
uscita soltanto dopo mezzanotte.
William la sorprese alle spalle
con un bacio sul collo, come di consueto. Attacchi di gelosia a
parte, dopo la confessione era diventato più sciolto, felice
che la
donna gli avesse detto cosa la turbava, ma soprattutto che si pentiva
di essere andata a letto con quello sconosciuto. Sapere che era
preferito rispetto a un trentenne aveva alzato la sua autostima e
abbassato le manie di controllo con cui tentava disperatamente di
trattenere Meredith.
"Devo rimanere per un ultimo
intervento. Ci vediamo a casa, sì?" chiese con un sussurro
l'uomo mentre accarezzava la mano destra della ragazza.
"Certo,
amore. Ci vediamo a casa" e detto questo diede un lieve bacio a
William prima di avviarsi verso la macchina.
Infatti non solo
l'accaduto aveva abbassato molte difese del dottore, ma gli aveva
anche dato la forza di rivelare tutto alla moglie e di andare a
vivere con la donna che amava davvero, o forse solo quella in grado
di sopportarlo.
Appena il dottore si fu allontanato abbastanza,
Meredith tirò fuori dal taschino un cartoncino simile a un
biglietto
da visita.
Continuava a
camminare, stringendosi convulsamente le mani. Stava aspettando il
taxi che lo avrebbe portato all'aeroporto anche se non era ancora
sicuro di potercela fare. Continuando di quel passo avrebbe consumato
il pavimento e si sarebbe scavato direttamente una tomba.
Non
poteva farcela.
Era stato egoista, ma non poteva farcela. Non
poteva affrontare tutto ciò che lo aspettava al ritorno a
casa. Era
andato lì per un motivo, un solo motivo, e aveva fallito.
Doveva
farsi forza ed entrare in quella stanza. Tutto sembrava così
surreale. Era come entrare nell'inferno. Avrebbe fatto qualche
cazzata, se lo sentiva, ma doveva assolutamente chiarire con Peter.
Alzò la mano destra per bussare mentre la sinistra
continuava a
distruggere lentamente quel pezzo di carta; desiderava non averlo mai
trovato. Pensava che forse era ancora in tempo; in tempo per tornare
indietro, eliminare per sempre la bolla che si creava ogni volta che
vedeva Peter e che li separava dal resto del mondo e tornare a casa
dove avrebbe atteso l'uomo della sua vita. Non sarebbe stata una vita
perfetta, ma dopotutto chi riesce ad averla? Tutti si nascondono da
qualcosa o da qualcuno... lei si sarebbe nascosta dal mondo dietro
l'uomo che aveva rinunciato a moglie e figli per lei.
Aspettò
cinque minuti, era pronta ad andarsene tirando un sospiro di
sollievo, ma la porta si aprì e mostrò l'uomo
distrutto con un
bicchiere di vodka in mano. Dopotutto se l'era aspettato visto
ciò
che aveva preteso all'ospedale. Come avrebbe potuto passare il resto
della vita con lui? Aveva bisogno di sicurezza, di... William.
Peter
d'altra parte non aveva forza di parlare vista la sorpresa della
visita e l'alcohol che iniziava a fare effetto.
Meredith entrò
nella grande stanza a passi misurati, con la paura che ad ogni passo
in più corrispondesse una tortura una volta tornata a casa.
Avrebbe
fatto presto, sperava, ma che intervento aveva William? Non
gliel'aveva detto. Forse non aveva affatto un intervento,
semplicemente si aspettava un'azione del genere dopo l'incontro di
quel pomeriggio e voleva dimostrare che lei non era poi così
fedele
come voleva far credere. Sì, erano tesi fondate sul nulla ma
da
quando stava ufficialmente col dottore aveva iniziato a pensare,
pensare tanto su cose inutili che non l'avrebbero portata da nessuna
parte se non a diventare paranoica.
Sbuffò, si volto e rimase un
secondo incantata davanti al panorama. Come trascinata da una fune
invisibile, si avvicinò al vetro che costituiva buona parte
della
parete e osservò Seattle come non aveva mai fatto.
Sentì una bocca
sfiorarle l'orecchio e dei capelli che incontravano i propri: lo
scrittore aveva lasciato il bicchiere e le mani ora si trovavano,
come alcune ore prima, sui suoi fianchi. Tentava di sfruttare al
meglio quello che sarebbe stato molto probabilmente il loro ultimo
incontro o l'ultima occasione di poterle stare così vicino.
Non gli
importava nulla del suo semi-ragazzo, né di una possibile
protesta
da parte sua; era un piccolo premio di consolazione. Ma lei non si
oppose.
«Mi manchi» sussurrò Peter. Si sentiva
debole,
indifeso, un ragazzo alle prime cotte. L'amore in quel frangente lo
aveva afferrato, scaraventato giù dal ponte di una nave ed
era ora
costretto a nuotare verso un'isola immaginaria.
«Non posso» e
nella sua voce non c'era nulla di debole o indifeso. Nonostante
volesse abbandonare tutto, lavoro e fidanzato, non lo avrebbe fatto
per l'amore nei confronti di un altro uomo... l'avrebbe fatto per
liberarsi di un peso opprimente. Si mosse da quella posizione quando
divenne imbarazzante e si andò a sedere sul divano
aspettando che
l'uomo la raggiungesse, cosa che non accadde. Per tutta la durata
della conversazione lui rimase immobile, le mani in tasca e lo
sguardo vacuo. Era in dubbio perfino il fatto che stesse ascoltando o
meno.
«Sai perché non posso?»
Iniziò lei.
«No, Meredith,
perché non puoi?» Perdeva spesso la pazienza
facendosi cogliere da
attacchi d'ira ma in quel momento aveva davvero voglia di urlare
"Bene, non puoi? Allora cosa diavolo ci stai facendo qui? Ti
diverti a uccidermi?"
«Non posso perché...» Perché
non
poteva? Perché i suoi genitori avevano delle aspettative,
perché
aveva fatto una promessa a un uomo, perché aveva organizzato
già la
sua vita, perché il suo lavoro la attendeva,
perché doveva salvare
vite non distruggerle. Ma più importante...
«perché non ti amo.»
La verità nuda e cruda. La voleva così lui, gli
piaceva, allora
perché si sentì trafiggere da una decina di
pugnali in una volta?
«Non mi ami. Beh, è una ragione, sì.
Quindi ami... lui...
William?» Già che c'era, tanto valeva saperle
certe cose.
«Sì,
amo William. Noi.. ci sposeremo il prossimo mese.»
«Auguri.» Le mani strette in pugni, le nocche che
divenivano bianche, la
mascella che si contraeva erano l'unico segno di cosa sentiva
realmente. Si sarebbero sposati il prossimo mese, eppure lui non la
vedeva da quanto? Due settimane? Giorno più giorno meno. Il
che
significava che la proposta era avvenuta appena tornati in
città.
Lei aveva rivelato al dottore cos'era successo? Per questo non voleva
tardare le nozze? Per paura che qualcun altro la rubasse?
«Quindi
perché sei venuta qui? Oggi mi hai comunicato piuttosto
chiaramente
che non avevi nulla da dirmi.» Aveva paura di cos'altro
sarebbe
potuto uscire fuori da quella conversazione, ma contava sul fatto che
sarebbe riuscito vivo da quella stanza, anche se solo fisicamente.
«C'è una cosa di cui devo parlarti, in
verità. Non volevo
dirtelo all'ospedale, mi sembrava il posto meno adatto a questo tipo
di annuncio.» Cercava di temporeggiare in tutti i modi,
però non
poteva tardare ancora. Il cartoncino nelle sue mani affusolate
iniziava a sgretolarsi e ben presto si ritrovò a
giocherellare solo
con striscioline di quello che inizialmente era un rettangolo
completo. Aveva giocato a fare dio e aveva fallito.
«Parla.» Tagliò corto lui.
«Sono incinta.» Alzarono gli occhi
contemporaneamente, uno dalle luci indistinguibili di una
città che
non conosceva, l'altra dalle mani da cui erano appena cadute le
briciole di ciò che aveva ricevuto. Il primo aveva intuito
tutto,
sapeva che sarebbe stato un padre orribile ma aveva voglia di urlare
"Ci sono, sono qui! Scegli me!", la seconda aveva paura che
ciò che avrebbe detto tra pochi secondi avrebbe potuto
scatenare lo
scrittore introverso che era in lui. «Voglio tenerlo e
William pensa
che sia suo figlio, quindi ti prego di-»
«Quindi gli lascerai
crescere un bambino che non è suo? Che non ha concepito lui?
GLI
LASCERAI CRESCERE MIO FIGLIO? SEI VENUTA QUI PER DIRMI CHE,
NONOSTANTE NON MI AMI E NONOSTANTE QUELLO CHE ABBIAMO AVUTO, TU
LASCERAI VIVERE MIO FIGLIO, IL FIGLIO DI UN ADULTERIO?» Era
scoppiato. Si era voltato completamente verso di lei e agitava le
braccia, gridava più che poteva.
«Quello che abbiamo avuto? Sai
cos'abbiamo avuto? Nulla! Ci siamo incontrati in un bar, tu mi hai
seguito e siamo finiti a letto insieme per due volte. E' tutto
lì.
Nessun significato nascosto, nessun amore a prima vista.» Era
calmissima e sembrava indifferente alle sue grida, come se ci fosse
abituata. Era stata abituata fin da piccola ai suoi genitori che
litigavano, poi a suo padre che le urlava contro dopo la morte della
madre, a William che durante i suoi attacchi era capace di
distruggere la camera da letto.
«NON PARLARMI IN QUESTO MODO,
CERCANDO DI CALMARMI COME SE FOSSI UN BAMBINO.» Aveva il
fiato
corto e si fermò un secondo a guardarla negli occhi mentre
Meredith
si avvicinava e poggiava le mani sulle sue guance calde e
arrossate.
«Ma tu sei un bambino. Lo sei e dovresti saperlo. Tu
non mi hai mai amata. Era un momento difficile per te, lo capisco,
avevi bisogno di qualcuno a cui aggrapparti ma quel qualcuno non sono
io, non posso esserlo. Non sono un giocattolo. Dal momento in cui mi
avrai, non mi vorrai più, ma io non sono un giocattolo ed
è ora che
iniziate a capirlo.»
Dall'aeroporto
andò direttamente all'ospedale in taxi. Chiese le
informazioni, salì
al piano di chirurgia e si fermò appena raggiunta la stanza.
Quell'ambiente gli ricordava ciò che era accaduto la sera
prima e,
anche se sarebbe stata difficile, avrebbe superato anche quel periodo
della sua vita.
«Ti sei deciso, allora.» Mormorò Mary
arrivandogli alle spalle con due tazze di caffè.
«Vieni, tuo padre
ti aspetta.»
La madre aprì la porta della stanza con un
sorriso davvero poco consono all'ambiente che li circondava e
salutò
con un cenno della testa Matthew prima di porgergli il
caffè.
L'amico si alzò dalla sedia su cui si era appolaiato per far
compagnia alla signora Widmore, compagna di gossip; gli diede una
pacca sulla spalla e uscì dalla stanza per lasciare alla
famiglia un
po' di tempo. Isabella era addormentata in un angolo e Peter non
aveva idea di cosa ci facesse lì visti i rapporti che aveva
con
Mary, poi ricordò. Evitò di fare commenti e
osservò l'uomo
allungato sotto le coperte.
Charles Widmore giaceva moribondo nel
letto ospedaliero, due tubetti per l'ossigeno uscivano dalle narici e
veniva nutrito e idratato tramite una flebo perennemente attaccata al
braccio, mentre una borsa di plastica per le urine era collegata al
catetere e rimaneva attaccata al lato del letto.
Nessuno aveva
saputo della malattia di Charles, oltre Charles stesso, fin quando
era diventata talmente grave da non potere essere controllata con
visite mensili in quell'ambiente troppo bianco e sterile.
Peter
non poteva fingersi incredibilmente dispiaciuto per il padre dopo
ciò
che aveva fatto in tutti quegli anni, ma aveva anche lui bisogno di
risposte. Si sedette sulla sedia prima occupata dal suo migliore
amico, afferrò la mano del padre che si voltò e
sorrise. «Peter...» sussurrò
semplicemente. E il cuore smise di battere.
____________________________
(Sì,
lo so, non ho scuse e merito di morire come Charles Widmore. Facciamo
una cosa, evitate e godetevi il capitolo. E se non vi piace il
capitolo... okay, in quel caso potete uccidermi. Btw, questo
è
l'ultimo.
Presto, e sottolineo PRESTO, pubblicherò un breve epilogo,
ma sarà BREVE. Inizialmente Peter doveva morire in un
incidente mentre andava da Meredith, quindi dovrei essere
ringraziata.
Grilli
Comunque,
i ringraziamenti li rimando alla prossima volta. Anzi, no. Grazie a
tutti quelli che hanno letto e stanno leggendo questa storia, a
quelli che mi hanno seguita dall'inizio e ai nuovi arrivati. Grazie
per avermi letto♥ )