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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    14/10/2011    0 recensioni
[Partecipante al contest "Il Contest delle Citazioni" indetto da Akane e classificatasi TERZA][Magiranger]
“Che ti prende, stasera?” lo rimproverò con voce severa: “Sembri parecchio arrabbiato. Ti è successo qualcosa?”.
Il pugile scosse la testa, cominciando a intaccare la ciotola di riso bianco: “Niente, constato solo la realtà.”.
In silenzio, Kai osservava quello scambio di battute con preoccupazione crescente: decisamente suo fratello nascondeva qualcosa.
E lui l'avrebbe scoperto, a ogni costo."
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tales From Tokusatsu Worlds'
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Fandom: Mahou Sentai Magiranger
Rating: Per tutti
Personaggi/Pairing: Kai Ozu, Tsubasa Ozu, un po’ tutti.
Tipologia: OneShot
Lunghezza: 13 pagine
Avvertimenti: Nessuno
Genere: Generale, Sentimentale, Malinconico
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della Toei che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in essa, appartengono solo a me.
Credits: La canzone “Sometimes you can’t make it on your own” è degli U2.

 

§§§

 

GARZE SPORCHE DI SANGUE

 

Tough, you think you've got the stuff
You're telling me and anyone
You're hard enough
You don't have to put up a fight
You don't have to always be right
Let me take some of the punches
For you tonight
Listen to me now
I need to let you know
You don't have to go it alone.

And it's you when I look in the mirror
And it's you when I don't pick up the phone
Sometimes you can't make it on your own

 

(Sometimes you can’t make it on your own – U2)

Pensi di avere la stoffa
Stai dicendo a me e a tutti gli altri
Che sei forte abbastanza
Non devi cercare la lite
Non devi sempre aver ragione
Lascia che stasera io prenda alcuni pugni
Al tuo posto
Adesso ascoltami
Ho bisogno che tu sappia
Che non devi percorrerlo da solo
E sei tu quando guardo nello specchio
E sei tu quando non rispondo al telefono
A volte non puoi farcela da solo


(Sometimes you can’t make it on your own – U2)

 

 

“Kai-chan! Kai-chan!”

La voce di Urara, che sapeva all'occorrenza essere potente come quella dei suoi fratelli, risuonò per tutta la casa, arrivando fino al piano superiore, dove il diciassettenne sonnecchiava, disteso nel proprio letto.

 

Con un sobbalzo, il più giovane dei fratelli Ozu si rizzò seduto, frastornato per la sveglia improvvisa: “Mou, Ura-nee, che modi!” sbottò, tra uno sbadiglio e l'altro, “Perché strilli?” chiese assonnato, affossando nuovamente il viso nel cuscino.

 

“Mi serve che tu vada a prendere i vestiti di Tsubasa in camera sua.” replicò la ragazza, comparsa all'improvviso sulla soglia della porta: “I tuoi li ho già presi, mi servono per il bucato settimanale.” spiegò.

 

“Non può darteli lui...?” bofonchiò il liceale, socchiudendo gli occhi, era davvero stanco: aveva avuto allenamento prima delle lezioni e un altro ancora subito dopo pranzo: certo, lui adorava il calcio ma il mister cominciava decisamente ad esagerare!

 

“Potrebbe se solo fosse in casa e visto che io devo ancora preparare la cena e pulire la Magic Room, mi faresti questo piccolo favore, fratellino?”

 

Kai sbuffò: non gli piaceva entrare nella camera del fratello maggiore senza permesso, finivano ogni volta per litigare, ma visto che era fuori...

 

“D'accordo, ma dov'è andato? E gli altri dove sono?” chiese, stiracchiandosi.

 

La ragazza sorrise, prima di raccogliere da terra la divisa tutta stropicciata e averla messa sulla sedia: “Ha detto di avere un incontro importante tra pochi giorni e che doveva allenarsi. Makito-niichan è a fare le sue consegne e Houka-nee credo avesse uno dei suoi appuntamenti.” enumerò lei, col cesto del bucato sotto braccio, “E Hikaru-sensei è tornato a Magitopia per qualche giorno, ha detto di avere da fare.” concluse.

 

Il più giovane degli Ozu s'alzò da letto, stiracchiandosi: “Cosa prepari di buono per stasera?” chiese, seguendola fuori dalla camera per dirigersi verso quella di MagiYellow.

“Segreto!” annunciò lei, sparendo al piano di sotto.

 

Il moro rimase lì, fermo, in mezzo al corridoio per qualche minuto, tendendo l'orecchio, poi la sentì canticchiare mentre cucinava: pregustando già una deliziosa cenetta, il ragazzino si affrettò ad aprire la porta della stanza del fratello, certo che era proprio disordinato!

 

“E poi Ura-nee si lamenta di me...” borbottò lui, cominciando a raccogliere quanti più vestiti trovava e poteva, sparsi sul pavimento.

Tra magliette sporche, pantaloni consunti, vecchie tute da rammendare e perfino calzoncini, sembrava quasi che Tsubasa avesse svuotato il proprio armadio.

 

Si inginocchiò a terra, cercando eventualmente altri abiti finiti sotto il letto, dato il disordine era più che convinto di trovare un vero e proprio scempio.

 

Beh, effettivamente ciò che trovò lo era, ma non nel senso che intendeva.

 

Ammassati in un angolo buio, infatti, stavano quelli che, all'apparenza, sembravano stracci ma, quando li tirò fuori, si ritrovò davanti bende e garze, mischiate con magliette, il tutto macchiato di rosso in parecchi punti.

 

Kai tremò: che fosse...

 

In quel momento, sentì chiaramente la porta di casa aprirsi, seguito dall'inconfondibile brontolio del quartogenito.

 

Veloce come un razzo, rificcò tutto al sicuro sotto il letto, poi raccolse i vestiti che Urara gli aveva chiesto e uscì a razzo dalla stanza.

Sulle scale, incrociò Tsubasa.

 

“Ehi, cosa stai facendo con le mie cose?” gli chiese con tono brusco, lasciando che la borsa sbattesse contro la coscia senza curarsene minimamente.

Kai lo scrutò in viso e cominciò a notare tante piccole cose, soprattutto tagli e cicatrici appena rimarginate sulla pelle delle guance e su quella parte delle braccia lasciata scoperta dalla felpa che indossava sopra la t-shirt.

 

MagiRed si morse un labbro, incerto su cosa rispondere, se chiedergli spiegazioni su ciò che aveva visto o meno, ma fortunatamente intervenne la sorella in suo aiuto: il diciassettenne sentì appena le parole che la ventenne rivolgeva al pugile, le consegnò meccanicamente l'involto di panni sporchi e si rifugiò nella sua stanza senza dire una parola, troppo sconvolto anche solo per pensare.

 

Cosa rappresentavano quei bendaggi macchiati di, Kai rabbrividì, sangue?

 

Che Tsubasa avesse delle ferite di cui nessuno di loro era a conoscenza?

 

“Non è possibile, Chii-Nii ce lo direbbe, se fosse rimasto ferito durante l'ultimo combattimento...” ragionò tra sé e sé, rannicchiato sul letto: “Però è anche vero che nell'ultimo allenamento i suoi movimenti erano più lenti del solito...”.

 

In tutta quella storia c'era qualcosa che non gli tornava.

Era preoccupato per il fratello, ma non voleva che gli altri si spaventassero, non prima del necessario: doveva indagare, capire cosa stesse nascondendo.

Ma da solo.

 

Un bussare forte e brusco lo fece sussultare, spezzando le fila dei suoi pensieri: “A-Arrivo!” gridò, forse con troppa veemenza.

Saltò in piedi e, incespicando nei propri piedi e negli oggetti abbandonati sul pavimento, arrivo finalmente alla porta: spalancandola, sentì il cuore balzargli in gola, vedendo MagiYellow dinanzi a sé.

 

“Chi-Nii...” balbettò il ragazzino: “Ura-nee ha detto che è pronta la cena, sbrigati a scendere.” lo fermò il maggiore, afferrandogli il polso, “E non fare quella faccia da pesce lesso.”.

 

“Io non...” provò a dire, ma subito le parole gli morirono in gola: non poteva mettersi a battibeccare, doveva restare calmo e indagare il più possibile i suoi comportamenti per comprendere cosa fosse accaduto a Tsubasa.

Mordendosi quindi le labbra, lo seguì giù per le scale, non perdendosi un suo singolo gesto.

 

Arrivarono finalmente al piano di sotto, dove la sala da pranzo era stata apparecchiata: Urara, Houka e Makito erano già ai loro posti.

 

“Cos'hai, Kai? Non ti senti bene?” chiese MagiGreen, preoccupato: “Hai una brutta cera.” continuò Houka, allungando una mano a saggiargli la temperatura.

“S-Sono solo un po' stanco... Il mister organizza allenamenti troppo duri, sia al mattino sia al pomeriggio. Ma abbiamo un torneo interscolastico a breve, dobbiamo essere preparati.” spiegò MagiRed, cercando di mostrarsi il più disinvolto possibile.

 

“Una squadra debole lo resta comunque, allenamenti o meno.”.

 

Le parole di Tsubasa erano state dure e improvvise, tanto che perfino Makito alzò la testa: per quanto avesse un carattere non zuccheroso e malleabile, normalmente il quartogenito non era così acido.

 

“Che ti prende, stasera?” lo rimproverò con voce severa: “Sembri parecchio arrabbiato. Ti è successo qualcosa?”.

Il pugile scosse la testa, cominciando a intaccare la ciotola di riso bianco: “Niente, constato solo la realtà.”.

 

In silenzio, Kai osservava quello scambio di battute con preoccupazione crescente: decisamente suo fratello nascondeva qualcosa.

E lui l'avrebbe scoperto, a ogni costo.

 

§§§

 

Dopo aver a malapena mangiato metà della cena, MagiRed si era rintanato di nuovo in camera sua, senza quasi salutare i fratelli e tanto meno rivolgendo la minima parola a Tsubasa, che aveva continuato imperterrito a mangiare nonostante le occhiate preoccupate delle ragazze e di Makito-niichan rivolte al più piccolo.

 

Il diciassettenne, più tardi, sentì distrattamente gli altri mentre rientravano nelle loro stanze dopo aver rimesso a posto la sala da pranzo e la casa, aveva anche percepito il passo strascicato di Urara fermarsi dinanzi alla sua porta e indugiare, forse avrebbe voluto bussare ed entrare, sincerarsi delle sue condizioni come la brava sorella maggiore che era sempre stata, ma forse era un poco restia a disturbarlo...

 

Kai le chiese mentalmente scusa, sobbalzando quando poi ebbe udito la voce di MagiYellow apostrofare la ragazza con parole poco gentili nei propri confronti prima che l'irascibile pugile rientrasse nella propria camera, chiudendo la porta con un po' troppa foga.

 

“Kai-chan, non prendertela per Tsubasa-chan, sai che non lo pensa veramente.” cercò di rassicurarlo MagiBlue: “Buonanotte, fratellino. Domattina ti preparerò qualcosa di buono prima dell'allenamento.” la sua voce era gentile, Kai poteva quasi vederla sorridere al di là della porta, era così simile alla loro mamma quando lo faceva...

 

Urara si allontanò e tutto sembrò incredibilmente tornare silenzio e tranquillità.

 

Ma il ragazzino aveva un sospetto che non gli permetteva di rilassarsi del tutto: aveva il sentore che stesse per accadere qualcosa e ciò non gli permetteva di dormire, malgrado fosse particolarmente stanco, se non esausto.

 

E infatti.

 

Non era passata neppure un’ora che sentì chiaramente una porta cigolare da qualche parte nel corridoio e un passo, che cercava il più possibile di essere felpato, in transito di fronte alla sua stanza per poi scendere le scale.

 

In un attimo, il ragazzino era uscito fuori, udendo distintamente la porta di casa chiudersi: un brivido gli percorse la spina dorsale mentre si precipitava il più velocemente possibile al piano di sotto.

 

Nell’ingresso, ebbe conferma dei suoi sospetti: Tsubasa era uscito, le sue scarpe mancavano.

 

Kai non aveva alcun dubbio: doveva seguirlo e capire dove stesse andando a quell’ora, senza che nessuno dei loro fratelli lo sapesse, ed era convinto che quel suo comportamento fosse legato alle bende sporche di sangue che aveva trovato.

 

In strada non c’era nessuno e la Luna splendeva alta e piena nel cielo: non era quindi difficile per MagiRed seguire la sagoma china che camminava a passo svelto dinanzi a sé; protetto dalle ombre dei palazzi contro cui camminava rasente, il diciassettenne s’inoltrò nei quartieri che Miyuki aveva sempre impedito loro di frequentare, zone di periferia, dove non è saggio avventurarsi di giorno, figuriamoci di notte.

 

A Kai quel posto non piaceva per nulla.

 

Locali equivoci, fumerie di oppio cinesi e sale da gioco d’azzardo, con la loro affezionata clientela che vagava da un lato all’altro della squallida strada in cui si era ritrovato a camminare, gli fecero seriamente pensare che i mostri non fossero solo quelli che si trovavano a Infershia: forse, anche quel quartiere ne pullulava, pur se di altro tipo.

 

Senza perder di vista Tsubasa e cercando al contempo di mimetizzarsi tra la gente, MagiRed si strinse nel bavero della giacca di jeans, tenendo il più possibile lo sguardo basso nel tentativo di non attirare troppo l’attenzione.

 

Ora che Kai lo notava, il fratello aveva sulle spalle la sua borsa da allenamento.

 

Ma perché venire ad allenarsi in quel posto?

 

“Chii-Nii, cosa stai nascondendo?” mormorò tra sé e sé lui, era preoccupato mentre un’idea cominciava ad abbozzarsi nella sua mente, ma era una prospettiva troppo spaventosa perché fosse anche solo lontanamente contemplabile.

 

Finalmente, sembrò che il loro viaggio fosse giunto al termine dinanzi a quella che Kai identificò, non senza una punta di paura, come una sala da giochi d’azzardo.

Il più possibile nascosto dietro l’angolo del palazzo, coi piedi immersi nel fango che sembrava aver invaso il vicoletto puzzolente, Kai vide Tsubasa parlare con il buttafuori, un marcantonio grosso il doppio di lui e largo il triplo dai lineamenti schiacciati, prima di farlo entrare.

 

Sempre più impaurito, MagiRed non lasciò il suo nascondiglio ma indugiò con lo sguardo sulla facciata del palazzo e sull’accesso, sorvegliato da quell’armadio a due ante che non sembrava troppo propenso a farlo passare.

 

“E ora?” si chiese tra sé e sé, scrutando ogni centimetro del muro fiocamente illuminato dai raggi lunari, ma non c’era nulla per arrampicarsi, eventualmente, e anche se ci fosse stato qualcosa, certo non avrebbe potuto mettersi a fare la scimmia lì davanti.

Doveva trovare un’altra soluzione.

 

Senza farsi vedere, scivolò lungo il vicoletto per raggiungere il retro del palazzo, ritrovandosi in una stradina buia e deserta, chiusa da una staccionata.

Da lì, vide chiaramente una delle finestre del secondo piano aperta, da cui gli sembrava provenisse come una debole luce.

 

Il diciassettenne si guardò attorno con aria circospetta, poi tirò fuori di tasca il MagiPhone: “Gomen, Kaa-san, Tou-san, Nii-chan, Nee-chan… Non dovrei usarlo per motivi personali, ma se voglio scoprire quello che Chii-nii nasconde, sono costretto.” mormorò, mentre si trasformava.

 

Con i raggi lunari che gli illuminavano il casco rosso fuoco, Kai sembrava un’altra persona, una sorta di vendicatore mascherato come quelli che affollano i fumetti; con un salto, raggiunse una delle finestre del primo piano, fortunatamente la stanza su cui s’affacciava era vuota, e infine s’arrampicò fino al secondo, ritrovandosi a osservare il cielo dal davanzale.

S’infilò all’interno della camera e si tuffò dietro un paravento in legno nell’esatto momento in cui la porta si spalancò: tornare normale e nascondere il MagiPhone fu un attimo ma non poteva certo uscire da lì sotto gli occhi di chiunque fosse entrato!

 

MagiRed sbirciò da dietro il suo nascondiglio ma il suo cuore ebbe un tuffo nel vedere che si trattava del fratello maggiore.

 

Voltato di spalle, Tsubasa era a torso nudo, con le ferite vistose e le cicatrici a percorrergli il corpo sotto l'occhio spaventato di Kai: il ragazzino stava faticando non poco per trattenersi dal gettarglisi addosso e obbligarlo a sputare fuori tutto, anche con le cattive se necessario.

 

Ma non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, forse avrebbe solo peggiorato la situazione.

 

Così attese, senza perdersi un movimento del diciannovenne, lo vide indossare un paio di pantaloncini corti da allenamento, una canotta sottile e prendere i suoi guantoni prima di uscire: spense la luce, lasciando la stanza immersa nell'oscurità.

Col cuore in gola, il moro restò parecchi minuti in silenzio, cercando di calmare i tremiti convulsi del proprio corpo e facendo attenzione a udire anche il minimo rumore che poteva segnalargli il ritorno di Tsubasa.

 

Passarono cinque, poi dieci minuti e fu chiaro che Magiyellow non sarebbe tornato, almeno non tanto presto.

 

Gattonando fuori dal proprio nascondiglio, Kai si avvicinò alla porta e sgusciò fuori nel corridoio, debolmente illuminato da alcuni neon sul soffitto: stretto e soffocante, coi muri scrostati e il pavimento ingombro di calcinacci e rifiuti, sembrava il preludio a un ambiente ancora peggiore.

 

E probabilmente era anche così.

 

Scese infatti le scale, Kai pensò seriamente di essere precipitato a Infershia.

Non poteva essere altro che l’inferno, quel luogo, costipato di gente urlante, dall’aria viziata per il fumo e l’alcool che sembrava aver sostituito l’ossigeno nell’aria: non era mai stato un codardo, ma in quell’istante si sentì travolto da un’onda di paura intensa, tale da mozzargli il respiro.

 

Cercò di non pensarci, facendosi il più possibile invisibile agli occhi degli avventori di quel locale, la maggior parte dei quali erano riuniti attorno ai tavoli intenti a scommettere e a giocare forti somme, udiva chiaramente il tintinnio dei soldi e le bestemmie che volavano da una parte all’altra della grande sala strapiena sottolineavano, come se ce ne fosse ulteriormente bisogno, la cattiva nomea di quel luogo.

 

Veniva sballottato da una parte e dall’altra da persone poco attente alla sua presenza, cadde più volte a terra sul pavimento lurido nel tentativo di farsi strada e cercava di seguire la fiumana che, a poco a poco, si spostava verso un altro punto: pur se, data la sua altezza, non riusciva a vedere bene dove stesse andando, intuiva istintivamente che suo fratello doveva trovarsi da quella parte.

 

Cosa lo portasse a quella conclusione, non lo sapeva, sentiva solamente che quelle bende che aveva ritrovato, l’abbigliamento di Tsubasa e l’agitazione di tutta quella moltitudine erano sicuramente collegate e quando, di nuovo, l’idea che aveva avuto mentre lo seguiva tornava a bussare alla sua mente, a Kai non sembrava sembra più così assurda.

Anzi, forse era proprio così.

 

E infatti.

 

In balia della gente, con la divisa scolastica tutta stropicciata e impregnata di calcinacci, sabbia e quant’altro, Magired si ritrovò spintonato in avanti, accecato dalla luce intensa di un neon che illuminava a giorno un ring; sotto il suo sguardo terrorizzato, Tsubasa era in piedi in un angolo, scrutando con aria torva il suo avversario: il buttafuori visto pochi minuti prima.

 

Attorno a loro, il clamore cresceva, così come le scommesse, che volavano forte tra gli spettatori: molti puntavano forti cifre sul tipaccio cinese, altri ancora davano fiducia a suo fratello, che non sembrava essersi accorto di nulla, neppure della sua presenza, e certo Kai avrebbe fatto di tutto per non farsi vedere, altrimenti di sicuro Tsubasa lo avrebbe fatto a pezzi, una volta usciti di lì.

 

All’improvviso, venne dato il segnale d’inizio e il moro osservò l’incontro col cuore in gola, a ogni colpo che Magiyellow prendeva in viso, sussultava come se lo avesse preso lui, sentiva quasi male a sua volta: voleva urlare, gettarsi sul ring e proteggere il fratello dai pugni che l’altro gli riservava, non reggeva oltre quello strazio!

Ma ogni volta che si convinceva della necessità del proprio intervento, c’era sempre qualcosa, nello sguardo di Tsubasa, che lo faceva desistere, un qualcosa, in ogni movimento che compiva per rialzarsi, che lo spingeva ad avere fiducia in lui.

 

Era combattuto, Kai.

Intervenire o non intervenire?

 

Ma quando la quantità di improperi e insulti cominciò ad aumentare, assieme al fragore delle grida, e il ragazzo si accorse che il fratello era disteso a terra, stretto in una morsa che della boxe aveva poco e niente…

 

Beh, letteralmente esplose.

 

Un attimo dopo, il minuto Kai si era gettato con un grido pieno di rabbia sull’avversario, colpendolo con rabbia sul viso e dandogli anche un morso sulla mano che premeva sulla testa di Tsubasa, obbligandola a lasciare la presa.

 

Frastornato, il cinese non riuscì a reagire e andò a sbattere con la testa contro la colonnina del bordo ring, perdendo i sensi.

 

Se possibile, a quel punto, il fracasso divenne quasi insopportabile, assumendo le dimensioni di un uragano che travolgeva tutto.

 

Mentre Magiyellow, con gli occhi sbarrati e la bocca sporca di sangue, osservava sconvolto la schiena del fratello minore, che stava in piedi davanti a sé, con i pugni ancora alzati e la divisa tutta lacera, tremando e, forse s’era sbagliato ma gli pareva che stesse piangendo.

Un secondo dopo, il pugno del diciassettenne s’abbatté su di lui, colpendolo al viso e facendolo rotolare giù dal ring, nella polvere.

 

Tutti si spostarono all’istante e Tsubasa non ebbe neppure il tempo di rialzarsi che già Kai gli era di nuovo addosso, colpendolo senza pietà, tra le lacrime e i singhiozzi che lo facevano sussultare.

Erano tante le domande che affollavano la mente spenta del ventiquattrenne, ma in quel momento non riusciva a compiere nessun movimento, neppure quello più elementare, figuriamoci aprire bocca e chiedere.

 

Poi, così com’era arrivata, la furia di Kai smise e i due si ritrovarono seduti a terra, circondati da un crocchio di persone che, pur tenendosi a distanza di sicurezza, li osservava con curiosità e interesse.

Col viso gonfio, per la lotta di prima e per l’aggressione del minore, Magiyellow non riusciva a parlare, era totalmente ipnotizzato dalle spalle sussultanti del moro davanti a sé, che teneva lo sguardo basso.

 

Tsubasa sapeva che doveva dire qualcosa, qualunque cosa, anche solo per alleggerire la situazione che s’era creata, ma non aveva la minima idea di dove cominciare, avrebbe dovuto giustificarsi, forse, ma per cosa?

 

“SEI UNO STUPIDO, CHII-NII!”

La voce arrochita di Kai risuonò nel locale, tanto potente da azzittire tutti per un attimo, mentre il proprietario lo afferrava per il colletto della canotta e lo sbatacchiava con violenza: “Che diavolo ti è saltato in testa!? È questo che fai quando dici di venire ad allenarti!?” gli urlò.

 

Tsubasa fece per scostarsi, bofonchiando qualcosa, ma non riusciva a guardarlo in viso.

 

“Sono affari miei!” sbottò infine il maggiore, riuscendo a sciogliere la sua presa: “E poi, dovrei chiedertelo io cosa ci fai qui?! Mi hai seguito?!” gridò il pugile, pulendo il sangue che colava dal labbro spaccato.

“Si che ti ho seguito! Ho trovato le bende in camera tua e mi sono preoccupato! Non avrei dovuto!?” replicò con rabbia Kai, cercando di asciugarsi gli occhi e di tenere a bada le lacrime: “Sei mio fratello, non potevo assolutamente lasciare correre, e neppure farti prendere a sberle da quel tipo lì! Se necessario, sono abbastanza resistente per prendermi qualche pugno a mia volta, ma voglio sapere perché stai facendo tutto questo!”.

 

A quella domanda così inaspettata, il quartogenito degli Ozu non seppe effettivamente cosa rispondere.

“Non sono affari tuoi.” ripeté lui, ingenuamente convinto che quella frase lo schermasse da qualunque altra domanda postagli dal fratello ma Kai non era certamente tipo da rinunciare così in fretta.

E difatti.

 

“Perché continui a evitare di parlarci dei tuoi problemi?”

 

Non c’era più rabbia nella voce del più piccolo, solo tanta malinconia e tristezza mentre cercava di rialzarsi in piedi e di scuotersi la divisa dallo sporco: “Anche se hai sempre detto di essere forte abbastanza, non lo sei mai stato, e non lo sarai mai, non può esserlo nessuno!” disse mentre lo fissava negli occhi, “Siamo fratelli, ogni debolezza che ha uno viene compensata dall’altro e viceversa! Non puoi farcela da solo e non è giusto che tu ci nasconda una cosa del genere, così pericolosa oltretutto!”.

 

A quelle parole, Tsubasa non riuscì ancora a rispondere ma si ritrovò a pensare ai loro fratelli, ignari di quello che stava accadendo, sicuramente Kai gli era andato dietro senza avvertire, altrimenti se li sarebbe già trovati addosso, soprattutto Makito.

 

Poi, accadde qualcosa di ancora più inaspettato, che annullò quasi l’assurdità di quella situazione per caricarla di tutt’altro significato, perché Kai gli si era gettato tra le braccia, abbracciandolo con tutta la forza di cui era capace, volendo, con quell’unico gesto, cercare di fargli ricordare quel qualcosa che Tsubasa pareva aver dimenticato: a volte, l’affidarsi agli altri non è sbagliato.

 

§§§

 

“Adesso vuoi dirmi perché?”

 

Seduto al tavolo della Magic Room con la cassetta del pronto soccorso davanti, Kai disinfettava i tagli sul viso di Tsubasa.

Sulle prime, il diciassettenne era convinto che, malgrado tutto, il maggiore non gli avrebbe mai risposto, ma poi lo vide scostare la sua mano, ancora col batuffolo di cotone in mano, e fargli cenno di mettere tutto a posto.

 

“Non è stato facile per nessuno, lo sai, vero?” Kai era convinto di aver intuito il motivo di quel comportamento così dannoso da parte di Tsubasa ma voleva spingerlo a confessare con la propria voce ciò che lo tormentava, altrimenti non sarebbero mai riusciti a venire a capo di quella faccenda.

 

E sperava che quella frase fosse sufficiente per far esplodere la bomba.

 

“Quando morì papà, tu eri appena nato e io avevo a malapena due anni… Non riuscivo a capire del tutto. Quando morì mamma, ero già abbastanza grande per sentire tutto il dolore che non ero riuscito a provare allora. Non è stato facile.”.

 

“Te l’ho detto, non è stato facile per nessuno, e a nessuno di noi sarebbe mai venuto in mente di fare quello che hai fatto tu.”

 

“Lo so!”

 

Tsubasa esplose letteralmente, gettando per terra bende, garze e perfino la sedia: “Non sapevo in che altro modo sfogare la rabbia e la tensione! A ogni combattimento, sembrava che venissimo schiacciati dalla furia dei mostri di Infershia, eravamo abbandonati a noi stessi, eravamo da soli! Mi sentivo quasi soffocare per le responsabilità e non capivo come facesse Makito a resistere ogni giorno in quelle condizioni! È stata l’unica soluzione che sono riuscito a trovare.”.

 

Quello scoppio di rabbia era stato però efficace, perché Tsubasa parve essersi calmato.

 

“Mi sembra di avertelo detto anche prima: avresti potuto chiedere aiuto. E invece no, così ora siamo bloccati qui, gonfi come zampogne e io ho anche la divisa scolastica tutta strappata!” concluse Kai, osservando con aria depressa gli abiti poggiati su una sedia.

 

A quelle parole, il diciannovenne sorrise appena.

 

“Vai a letto, domani hai scuola.” gli disse, spingendolo verso la porta: “Io devo mettere a posto alcune cose, prima.”.

Kai lo guardò torvo, incerto se lasciarlo lì da solo con il sospetto che avrebbe tentato nuovamente la fuga appena salite le scale, ma poi la stanchezza prese il sopravvento, con vistosi sbadigli a deformargli l’espressione.

 

Salutò frettolosamente il fratello e sparì oltre la barriera.

Tsubasa restò qualche minuto a fissare il punto dove il più giovane era scomparso, prima di prendere in mano la casacca scura di Kai.

 

§§§

 

Sulla via per la scuola, Kai continuava a guardarsi le maniche e i pantaloni.

 

Era incredibile, non c’era più il minimo segno della serata appena trascorsa sui suoi abiti, neppure il più piccolo strappo!

I casi erano due, o Tsubasa era ricorso alla magia oppure…

 

“Non avrei mai immaginato che Chii-nii sapesse cucire!” esclamò con soddisfazione lui, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle: “Ha fatto proprio un bel lavoro!”.

Era una bella giornata, non avrebbe avuto allenamenti quel giorno e non erano in programma né verifiche né esercitazioni: sarebbe stata di certo la giornata perfetta, come mai ne aveva avute!

 

E mentre camminava, con la testa piacevolmente immersa nei propri pensieri, la sua attenzione venne improvvisamente calamitata da una voce che cantava in una lingua un po’ stentata, che Kai riconobbe a fatica come inglese, da un qualche punto alla sua destra, una voce che gli sembrava incredibilmente familiare.

 

E infatti, in piedi ad aspettare l’autobus, il ragazzo vide Houka, la sorella maggiore.

 

“Houka-nee! Non dovevi andare al lavoro!?” lui le corse incontro, strappandole poco gentilmente le cuffie dalle orecchie: “Kai-chan!” esclamò lei con tono quasi risentito, mentre riponeva la rivista in borsa e spegneva il lettore mp3, “E tu non devi andare a scuola?” gli chiese di rimando.

 

“Sto andando.” Fu la pronta risposta del ragazzo: “Che stavi cantando?”.

“Oh, nulla… Ti accompagno per un pezzo, ti và? Tanto sono in anticipo!”

 

Sicuro come l’oro, Houka non era affatto in anticipo e Kai era quasi tentato di declinare l’invito per impedirle di arrivare nuovamente tardi al lavoro ma non riusciva mai del tutto a opporsi a quella forza della natura che era la maggiore delle sorelle.

 

E semplicemente la seguì.

 

“Sai cosa stavo pensando?” esordì lei a un certo punto, mentre già si vedeva in lontananza il cancello della scuola: “Che tu e Tsubasa siate veramente stupidi a non volerci dire mai nulla.”.

 

Quell’affermazione gettò nel panico più totale l’adolescente: che li avesse beccati…?

 

“Si, anche se vi capita qualcosa di strano, o di fastidioso, tendete a non voler mai cercare il nostro aiuto, soprattutto Tsubasa-chan è così, non dovreste comportarvi come uomini fatti e finiti quando siete a malapena dei bambini.” l’espressione di Houka sembrava quasi rabbuiata ma Kai non potè che sentirsi sollevato, non erano stati scoperti, per fortuna: “Tu mi hai chiesto cosa stessi cantando prima vero? Beh, è una canzone straniera, me l’ha fatta sentire Miya-chan. Tieni, te lo lascio. Appena puoi, ascoltala. Ti può insegnare qualcosa”.

 

E senza aggiungere altro, gli mollò in mano il piccolo lettore e sparì a tutta velocità, lasciando il fratello in mezzo alla strada con aria ebete, incapace di reagire in qualunque altro modo che riporre meccanicamente l’oggetto in tasca e affrettarsi verso la scuola.

 

La mattinata trascorse senza particolari intoppi e fu solo all’ora di pranzo che, trovatosi un posticino tranquillo sul tetto della scuola, Kai ebbe finalmente modo di tirar fuori l’apparecchio elettronico: ebbe qualche difficoltà a sistemare le cuffie e a farlo partire ma alla fine ce la fece.

 

Sulle prime, sentì solo fruscii ed ebbe il sospetto che la sorella, maldestra com’era, lo avesse rotto, poi udì chiaramente il ritmico suono della chitarra e infine una voce dolce e calda, maschile, che cantava: lui non era bravo in inglese, anzi, tutto il contrario, ma c’era qualcosa di estremamente rassicurante in quel testo che non capiva appieno.

 

Una volta finita la canzone, sentì l’impulso di riascoltarla e così fece una, due, tre volte, fino a quando la campanella della fine della pausa non giunse a strapparlo a quel limbo pacifico che si era ritagliato.

 

Di malavoglia, ripose in borsa il bento mezzo mangiucchiato e si unì al resto dei compagni che scendevano verso le classi, ripromettendosi di chiedere a qualcuno di tradurglielo in una lingua quantomeno comprensibile.

 

§§§

 

You're telling me and anyone you're hard enough. You don't have to put up a fight… È per caso una traduzione per un compito scolastico?”

 

Seduto alla sua scrivania, Makito studiava il foglio che Kai aveva stampato da internet con sopra il testo della canzone, perplesso e anche un po’ curioso.

“Non proprio… È che Yamazaki-san ha sentito questa canzone e, visto che tu sai bene l’inglese, mi ha chiesto di fartela tradurre…” sperava che quella scusa reggesse.

 

“Beh, di sicuro posso dirti che non è così difficile come sembri, anzi, tutto il contrario. Vedi questa parola? Vuol dire “pugni” e-“ ma subito il diciassettenne lo interruppe con una mano sulla bocca: “Aniki, non ho tempo di star a sentire una lezione di inglese, ne ho già abbastanza di quello che studio a scuola.” gli disse con tono implorante.

 

Con un sospiro, Makito annuì, chinandosi sul foglio e appuntando rapidamente alcune cose.

 

Dieci minuti dopo, accanto al testo originale, c’era la traduzione.

 

Magired la prese tra le mani tremanti, lasciando vagare lo sguardo tra le righe e le parole vergate nella calligrafia infantile del più grande degli Ozu, stupendosi di quanto fossero simili alle sue, dette solo poche ore prima, al rimprovero che aveva mosso a Tsubasa, e quanto Houka-nee avesse un intuito incredibile per certe cose.

 

E lì, su quel foglio, c’erano anche tutti i sentimenti che aveva provato, che aveva cercato disperatamente di far capire al maggiore.

 

Pensi di avere la stoffa
Stai dicendo a me e a tutti gli altri
Che sei forte abbastanza
Non devi cercare la lite
Non devi sempre aver ragione
Lascia che stasera io prenda alcuni pugni
Al tuo posto
Adesso ascoltami
Ho bisogno che tu sappia
Che non devi percorrerlo da solo
E sei tu quando guardo nello specchio
E sei tu quando non rispondo al telefono
A volte non puoi farcela da solo

 

“A volte non puoi farcela da solo…” ripeté a mezza voce, stringendo il foglio tra le mani con tanta forza da strapparlo quasi: “Grazie, aniki. Ora devo andare!” sbottò frettolosamente, piantando il fratello lì e correndo su per le scale.

 

In camera di Tsubasa non c’era nessuno.

 

Gli faceva strano rientrarci dopo tutto quello che era accaduto, ma s’impose di farlo, e poggiò infine il foglio di carta sul cuscino: “Spero che serva a qualcosa” borbottò tra sé e sé mentre lasciava la stanza.

 

Kai non seppe mai quando, effettivamente, Tsubasa avesse letto quel testo, se la sera stessa dopo averlo trovato oppure giorni dopo, però di una cosa era certo: anche se il suo carattere non era minimamente cambiato, anche se era rimasto lo stesso, inguaribile brontolone di sempre,  aveva smesso con quello sfogo pericoloso, di questo Magired non aveva il minimo dubbio.

 

Aveva anche cominciato a parlare, a chiedere consiglio agli altri, non solo a loro ma anche al sensei, era tanto più facile vedere l’anima di suo fratello in quei momenti che il diciassettenne si sentiva quasi orgoglioso nel vederlo avvicinarsi ora a Houka ora a Urara per parlargli: gli piaceva pensare che non era stato solo merito di quella canzone, ma anche un po’ merito suo, se Tsubasa aveva finalmente capito di potersi affidare a loro.

 

Ciò che era accaduto quella notte era rimasto fra loro, nessuno l’avrebbe mai saputo.

Forse, un giorno, l’avrebbero raccontato ma, fino ad allora, andava bene così.

 

Finché avrebbero potuto percorrere assieme la strada, e non da soli, tutto sarebbe andato per il meglio.

 

§§§§

TERZA CLASSIFICATA:

3 - Garze sporche di sangue di Charlie. Fic su Mahou Sentai Magiranger.

CORRETTEZZA: 10. Perfettamente corretta sotto ogni punto di vista.

TRAMA: 10. La trama si svolge su diversi fatti, di conseguenza c’è e non solo, è anche ben sviluppata. Non si lasciano all’immaginazione certi passaggi, illustri tutta la vicenda nel complesso in modo da far vedere ciò che succede a tutti. Ottimo intreccio, niente di trascurato, nessuna parte caotica, tutto perfettamente comprensibile.

STILE: 9. Ti tolgo solo un punto per un motivo preciso, personalmente ritengo che tendi ad inserire troppe volte i soggetti, immagino che sia per paura che non sia chiaro di chi parla la frase o il paragrafo intero, ma in realtà basta specificarlo solo nel caso in cui da una frase all’altra si cambi personaggio, se scrivi qualcosa che riguarda sempre allo stesso non serve specificare ogni volta. Ho visto con piacere che per non ripetere per l’appunto troppo spesso i nomi dei soggetti, usi molti soprannomi che mi hanno fatto un po’ girare la testa, specie perché in Giappone ci sono tanti di quei vezzeggiativi che facilitano la confusione. Ad ogni modo questi sono dettagli, vanno bene i soprannomi solo che ne hai usati così tanti per una stessa persona, che a volte mi ci perdevo, sarò sincera. Di conseguenza per evitare questo caos di nomi e soprannomi rischiando di essere troppo ripetitiva, ti consiglio di, semplicemente, non specificare sempre il soggetto qualora non sia strettamente necessario. A volte non lo era, a volte naturalmente sì. Per il resto il tuo stile è molto piacevole e scorrevole, si legge molto volentieri e sei anche molto chiara nelle descrizioni delle scene, oltretutto esprimi altrettanto bene i sentimenti dei personaggi.

CARATTERIZZAZIONE: 10. È una buonissima e approfondita caratterizzazione dei due personaggi principali, più comunque un buon accenno a quello della sorella maggiore. Loro due li hai resi molto bene, soprattutto Tsubasa, il suo lato burbero, scontroso, duro che si autopunisce poiché la situazione in cui lo metti chiarifica perfettamente il tipo di persona che è, ma è molto ben descritto e reso anche Kai, così impulsivo e sentimentale nel cercare di aiutare a tutti i costi il fratello che è davvero delizioso.

IN TEMA: 10. La citazione l’hai usata ed anche in più modi, oltre che come canzone vera e propria che viene ascoltata e come testo su cui il protagonista riflette e che poi usa per dire una cosa importante al fratello, pure nelle parole che in precedenza gli dice, anche se per l’appunto non precisamente come sono ma nel loro significato. Si capisce bene che ti hanno ispirata sia per quel dialogo che poi per la parte finale. Quindi ottimo uso della citazione.

ORIGINALITA’: 9. Trovo originale il modo in cui hai usato la canzone, sia nel suo significato all’interno di un dialogo importante, che come canzone ascoltata, che come riflessione sul testo, che come messaggio che uno porta all’altro, quindi questi sono punti che vanno molto a tuo favore. Purtroppo per contro la trama in sé non è particolarmente originale, nel senso che non ci sono colpi di scena veri e propri, si può intuire facilmente l’esito delle scene, il fratello maggiore che nasconde qualcosa, il minore che lo segue per scoprirlo, la sua intromissione, la litigata e poi la riappacificazione con qualcosa di toccante che dice il piccolo e che fa riflettere il grande, ma nonostante questo è una fic molto piacevole da leggere, solo che dal punto di vista dell’originalità, mancano degli effettivi colpi di scena che ti facciano rimanere come un pero a fissare le righe. Non ci devono necessariamente essere sempre, però diciamo che non guastano, comunque sono cose a discrezione dell’autore.

COINVOLGIMENTO PERSONALE: 9. Molto piacevole la lettura, l’ho divorato in fretta ma con tutta sincerità non mi ha tolto il fiato. Di suo è una fic piuttosto tranquilla se non per la parte in cui viene scoperta la lotta clandestina di Tsubasa, ma forse gioca molto il fatto che sia stata facilmente intuibile a livello di eventi. Però è davvero bella l’emozione che trasmette Kai quando si rende conto che la canzone rispecchia perfettamente il suo stato d’animo e le parole che ha detto a Tsubasa, quindi comunque non è un voto negativo il mio.

PUNTI BONUS: 0. Non hai usato tutta la canzone, è un peccato perché era perfetto visto come sei riuscita ad inserirla, era facile metterla tutta quando l‘ascoltava e leggeva il testo tradotto, però non era obbligatorio e va bene lo stesso.

TOTALE: 68

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USO DEL TEMA: Garze sporche di sangue di Charlie.
Volevo premiarti in modo particolare anche perché il modo in cui hai usato il tema tu, cioè la citazione, è quello che nel complesso mi è piaciuto di più. Non solo sotto forma di canzone che ascoltano, anche sul testo su cui riflettono ed oltre tutto parafrasate nelle parole del fratello all’altro. Molto bello, mi hai colpita e fatta alquanto felice, non mi aspettavo l’usassi in ben tre modi, sai… complimenti anche per questo, oltre che per il terzo posto.

   
 
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