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Autore: ponlovegood    14/10/2011    3 recensioni
Raccolta di cinque storie, una per ognuno di loro.
«Certo che ci farebbe davvero comodo un altro musicista per la band» sospirò e lentamente iniziò a raccogliere le sue cose per poi rimetterle nella borsa.
«Ehi, solo perché sbavi dietro a quel tipo io non acconsentirò a fargli far parte della band. Poi un chitarrista c’è già» esclamò Ryo con convinzione.
«Uno, io non gli sbavo dietro e due, era solo un commento generale. So perfettamente che un altro chitarrista non serve» replicò l’altro un po’ stizzito.
«Ah ok, mi stavo già preoccupando»
La campanella suonò. Era ora di ritornare alla triste realtà scolastica.

[da cap. 1 Sveglia pt. 4]
«Il mese prossimo vado a trovare i miei. Voglio presentarti a loro»
Al suono di quelle parole mi andò di traverso il the che stavo bevendo; lui invece continuò a guardarmi con tutta tranquillità.
«C-che… che cosa?»

[da cap. 2 La porta di casa pt. 1]
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aoi, Kai, Reita, Ruki, Uruha
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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pon’s notes
Piccola premessa prima di iniziare: il fatto che questo secondo capitolo sia narrato in prima persone ( a differenza del primo che era in terza), non è un errore, ma una mia scelta: in questo capitolo volevo far comprendere meglio le emozioni di Ruki e non c’era modo migliore se non ‘impersonarmi’ in lui stesso.
Ci leggiamo al fondo!
 
Green Hair
 
[pt. 2]
 

Life… less or ful?

Even how I lived, the gods don't approve, I think
Raised allowing all of me to be coiled around by shadow
 
Non ero mai stato un figlio modello, né uno studente modello, né un cittadino modello. Questo lo sapevo bene.
Probabilmente l’unica cosa in cui riuscivo bene, era non ascoltare mai ciò che mi dicevano i miei genitori o, più in generale, tutti gli altri eccetto me.
Facevo ciò che mi andava di fare guidato dal mio umore lunatico e lo facevo con leggerezza, senza dar peso alle possibili conseguenze. Perché uno, a sedici anni, al futuro non ci pensa ed è facile giocare a fare i padroni del mondo, quando per ‘mondo’ si intende il proprio spazio vitale.
Eppure non avrei mai potuto immaginare che le mie azioni avrebbero davvero avuto delle conseguenze. No, non si trattava di una punizione di una, due, tre, quattro settimane o simili, ormai quello faceva quasi parte della mia quotidianità.
 
«Tu non sei più nostro figlio, Takanari. Non ti consideriamo più come tale, sappilo»
 
Penso che quando le figure autoritarie, contro le quali si ha combattuto per tutta la vita, smettono improvvisamente di imporci obblighi e divieti, ci si ritrova spiazzati. Persi e allibiti, oserei dire.
E ora?
In quel momento non seppi come reagire e, a dire il vero, non feci nulla. Annuii (un gesto che poche volte avevo compiuto davanti ai miei genitori) e percorsi i pochi metri che mi separavano da camera mia. Avrei potuto dire molte cose, protestare, provocarli, ma non feci niente di tutto questo. Il motivo non lo sapevo bene nemmeno io.
E ora? Pensai.
Non che ci fosse molto da fare, anche perché non sapevo -per una volta- cosa i miei genitori volevano che facessi. Dovevo forse fare le valige ed andarmene? No, sarebbe stato impossibile dato che ero ancora minorenne. Dovevo anche io disconoscerli come genitori?
Per un breve istante vacillai, non sapevo cosa fare.
Adesso cos’ero per loro?
Ancora Takanori? Un corpo senza nome e senza volto? Aria? Un oggetto, come il vaso che c’era nell’ingresso?
Chi ero io?
Ero vivo o morto per loro?
 

Was a mass of nothing 
I wasn't feeling the fever 
I was feeling nothing...

The end

In this dream that I'm tired of dreaming. Is there no tomorrow?
 
Come tutto era iniziato, così era finito.
Se anche solo per un secondo avevo sperato in qualcosa di diverso, ero stato un deficiente.
Infondo si sa: niente va come vorremmo che andasse. Non sarà una regola scritta, ma è così che gira il mondo, fidatevi.
In quel periodo cominciai a credere che ci fosse un Dio che –questo potrebbe risultare ironico- stava facendo di tutto per rendere la mia vita un inferno. Ma se almeno si fosse degnato di farmi vivere in un inferno caldo; invece mi ritrovavo circondato dal gelo e dal buio, senza potermi allontanare da quella situazione.
Credo che quell’inferno si potesse chiamare ‘presente’.
Avevo sempre vissuto con la mente proiettata al futuro, vivendo ogni giorno in attesa di quello dopo e sperando che fosse almeno un po’ migliore.
Quando avevo visto tutte le mie speranza future crollare davanti ai miei occhi, ero rimasto inesorabilmente intrappolato nel ‘presente’ dal quale avevo sempre cercato di fuggire e avevano iniziato ad avere paura di cosa sarebbe potuto accadere il giorno successivo.
L’avevo capito quando tutti e tre ci eravamo seduti in cerchio e ci eravamo guardati, senza sapere assolutamente cosa fare o cosa dire in una situazione del genere. Non che ci fosse poi molto da dire, infondo.
Yoshiro se n’era andato, aveva impacchettato le sue cose e aveva preso il primo volo per Kyoto. Non per scelta sua, ma era comunque andata così. E noi tre sfigati come avremmo potuto tirare avanti una band senza di lui, senza il leadersama?
In nessun modo, infatti.
«E’ finita, mi sa» esalò Kyou con un tono serio che nessuno gli aveva mai sentito usare in tutti quegli anni; e se Kyou era serio, allora la situazione era problematica.
Takuma annuiva silenziosamente con l’aria di uno che ormai si era rassegnato all’idea già da tempo. Io facevo picchiettare le bacchette sul pavimento, nella speranza di scacciare la voglia che avevo di spaccare ogni cosa, anche se ormai la sala prove era completamente vuota, sgombra dagli strumenti e dalle attrezzature che l’avevano occupata fino alla settimana prima. Sul muro erano ancora visibili i segni lasciati dalle puntine usate per attaccare poster dei Sex Pistols, dei Luna Sea e degli X-Japan. Forse sperare di raggiungere la loro fama era stato troppo per noi. Ci eravamo avvicinati troppo al sole e le nostre ali di cera si erano sciolte; eravamo stati un po’ come degli Icaro moderni.
E ora? Fu, probabilmente, il nostro pensiero comune.
Era la fine, certo.
I miei occhi vagavano per la stanza quando incontrarono una vecchia scritta fatta sul muro con un pennarello: era parte di una canzone, forse una delle prime che avevamo composto. Per tutto quel tempo era rimasta lì e quasi avevo finito col dimenticarmene, eppure c’era ancora e ci sarebbe rimasta anche quando, quel giorno, saremmo usciti dalla sala prove per l’ultima volta.
Infondo, come quella scritta, anche tutti i nostri ricordi sarebbero rimasti impressi nella nostra mente, anche se, col tempo, avremmo potuto dimenticarcene.

Now you can close your eyes
Leave all the world behind until tomorrow
The dream is like a song
It leads you on and on
Not knowing how or why
You realize the feeling is forever
May steal your dreams away
You and the song will always stay together

Hana

Shaking, shaking, my heart is left not believing in anything.
The one that blossomed: My Rosy Heart.
Shaking, shaking, in this world, left also unable to love.
Like petals so colorful that they bring on sadness.

Era da parecchio che non mi soffermavo ad osservare la fioritura dei ciliegi; erano sempre stati così rosa? E c’era sempre stata così tanta gente?
Alzai lo sguardo mentre sopra la mia testa svolazzava qualche petalo solitario; presto o tardi anche tutti gli altri fiori, che ancora si trovavano sugli alberi, sarebbero volati via e in quel luogo non ci sarebbe più stato nulla di speciale da vedere. Infondo quelli erano solo alberi, dentro i quali faceva finta di scorrere la vita. La linfa era un po’ come il sangue: scorreva, su è giù per le venature dell’albero, ma con ciò non significava che fosse veramente vivo, che in lui scorresse qualcos’altro oltre ad un liquido appiccicoso.
Lo stesso valeva per me.
Non che nelle mie vene avessi la linfa, ma il principio era lo stesso: chi ero io? Ero vivo o morto?
Avrei potuto tirare le cuoia lì, in quel preciso istante, ma probabilmente nessuno ne sarebbe rimasto impressionato più di tanto; forse mi avrebbero dedicato un piccolo memorial o qualcosa del genere, ma la gente si sarebbe dimenticata presto di me, infondo i suicidi giovanili, nel nostro Paese, non erano una poi così grande novità. Comunque ero abbastanza intelligente per non voler porre fine alla mia vita; infondo chi erano coloro che decidevano di impiccarsi, buttarsi giù da un ponte, spararsi e robe varie? I depressi, chi altri sennò?
E io di certo non lo ero, avevo semplicemente un problema col mondo e il mondo pareva avercelo con me. No, in conclusione non mi sarei suicidato, ma cos’avrei dovuto fare?
Non lo sapevo assolutamente e non c’era nessun indizio che potesse indicarmelo.
«Ehi, Midorichan!»
Non avevo alcuna ragione per la quale avrei dovuto alzare lo sguardo in direzione di quella voce, o più che ‘voce’ avrei dovuto dire ‘schiamazzo irritante’.
«Midorichan!»
Alzai il capo e davanti ai miei occhi si presentò un ragazzo la cui testa sembrava quasi sparire sotto la chioma ossigenata e disordinata. Stava chiamando me?
Puntai l’indice nella mia direzione, ponendogli una domanda silenziosa. Subito non sembrò capire e mi squadrò per un breve istante.
«Sarei io Midorichan? Ti sembro forse una ragazza? [1]» continuavo a tenere il dito puntato verso di me e lui continuava a guardarmi da sotto il ciuffo biondo.
«Non vedo altre persone coi capelli verdi» disse facendo un cenno in direzione della mia testa. «Il vostro ultimo live a Shinjuku è stato sensazionale» disse cambiando completamente argomento e lasciandomi decisamente un po’ spiazzato tanta era l’euforia che aveva nella voce.
Fissai quei suoi occhi scuri che non avevano smesso, neanche per un secondo, di guardarmi.
«Sono così interessante?» domandai inarcando il sopracciglio e ignorando i vari commenti sul nostro ultimo live.
«Eh?» sembrò sorpreso.
«Mi stai fissando..» precisai sospirando.
«Ah.. scusa!» si affrettò a dire, ma il suo sguardo si spostò appena. «Posso farti una domanda?» chiese cambiando nuovamente discorso.
«Fa come ti pare» feci spallucce, ma quella mia reazione, tutt’altro che entusiasta, sembrò renderlo felice.
Chi cavolo era quel tipo?
E che diavolo voleva da me?
Per ora di lui conoscevo solo i suoi capelli assurdi, i suoi occhi neri e quel sorriso talmente solare da mettermi a disagio, se confrontato con la mia espressione lugubre.
 
 
In quel momento non potevo –ovviamente- saperlo, ma quel ragazzo sarebbe stato l’indizio che cercavo, quell’indizio che mi avrebbe guidato, attraverso il presente, in direzione di un futuro che non credevo di avere più.
 
But still I search for light
I am the trigger, I choose my final way
Whether I bloom or fall, is up to me
I am the trigger
 
 

Something has to end,
somenthing has to start.

 
[1] Midori è un nome femminile e significa ‘verde’.
 
pon’s chat
Bah.
Non so che dire e vorrei andarmi a sotterrare per svariati motivi; in primo luogo perché questo capitolo NON mi piace quasi per niente, ma non saprei assolutamente dove modificarlo e come. Vabbè, lasciamo perdere.
Questo è davvero un periodo davvero di merda per colpa di cose varie tra le quali la scuola che, per due dannatissime settimane, mi ha tenuta impegnata con verifiche ogni giorno <<” Ergo non ho avuto quasi tempo per scrivere..
Perciò vi chiedo immensamente scusa per il mio enorme ritardo. Purtroppo non posso garantirvi che non succederà più perché non prevedo il futuro. Quindi, per favore, perdonatemi in anticipo ç_____ç
Ma ora passiamo al capitolo che, tra l’altro, è l’ultimo di questa terza storia (eh, lo so: è corta).
Nella mia testa funzionava, ma in pratica fa schifo. Amen.
Questa volta le lyrics che ho usato sono dei Luna Sea ed è stato un lavoraccio leggersi tutte le loro canzoni, ma ne è valsa la pena perché sono splendide ♥E, tra l’altro, sembravano adattarsi perfettamente alla storia!
Bien, ora dedicherò una piccola parte ai vari titoli.
 
Life… less or ful?
Questo titolo, grammaticalmente parlando, non ha molto senso, ma piace un sacco. Si riferisce al fatto che Takanori non sa più chi è se è ‘vivo’ o ‘morto’. Spero si sia capitolo *gratt*
Questa parte è quella di cui sono un po’ più soddisfatta, credo.
 
Le lyrics all’inizio sono di Slave e quelle di fondo di Feel.
 
The End
Beh, il nome del titolo vuole essere anche un riferimento alla canzone dei Gazette, ma questa è una cosa irrilevante lol In effetti, non che sia poi molto da dire o forse c’è, ma sono io che non cosa dire.
Boh.
 
Le lyrics all’inizio sono di In My Dream e quelle di fondo di Forever and Ever.
 
Hana
Hana significa fiore ed è diventato il titolo un po’ per caso lol
Comunque spero si sia capito che quel giorno è lo stesso di quando anche Reita, Uruha e Aoi sono andati a vedere l’Hanami *A*””” Spero di sì perché altrimenti vuol dire che sarei proprio una pessima scrittrice se non riuscissi neanche a far capire anche una così semplice.
Ma sto divagando <<”
 
Le lyrics sono entrambe di Rosier.
 
Bene.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un po’ *^* Fatemelo sapere con un commentino che ho tanto bisogno di aumentare un po’ la mia autostima *depress*
Purtroppo non posso darvi indizi sulla prossima storia perché sto lavorando a due versioni e non so ancora quale sceglierò delle due lol
 
A presto (spero).
 
Grazie mille a tutti!
 
Un abbraccio,
pon ♥

  
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