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Autore: _aru    15/10/2011    1 recensioni
Il tempo , si diceva, era per i vivi. Lui era morto molti anni prima, piccoli pezzi della sua anima erano andati in frantumi uno dopo l’altro, assieme a quegli orologi.
...
La creatura dimenticata cercava disperatamente il soffio del vento.
L’aria pigra aveva viziato i suoi polmoni fino a farli marcire lentamente, le unghie graffiavano la carne lacerando i tessuti.
Bianco. Rosso.
Nulla più.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Ho fatto una marea di modifiche alla presentazione di questa storia, siete liberi di odiarmi, ma mi sono pentita di tutti i sentimentalismi del cazzo che ci ho messo e quella presentazione non ci azzeccava più niente per come si è svolta la storia fin adesso.
Sono molto fine, lo so.

Preludio



 

Si riteneva un uomo colmo di difetti, senza dubbio.
 Il maggiore, lo sapeva bene, era la quantità di tempo che aveva vissuto. Un tempo  che non gli apparteneva, quel tempo, che con lui non valeva più.
 
La pioggia cadeva,  concludendo il suo ciclo.
Quell’acqua carica di difficoltà affrontate per arrivare cosi in alto, ora si riversava contro la terra, rabbiosa, pentita.
E cosi, il Signor Lee, per l’ennesima volta si lasciava avvolgere da quello stesso sentimento, come un complice non richiesto.
Il vento furioso si scagliava contro gli alberi, contro l’orfanotrofio, contro di lui che sembrava l’unico ostacolo facilmente sormontabile.
La sentiva ora, come mai l’aveva sentita, quella forza che chissà quanto tempo prima aveva minacciato lo sterminio dell’intera isola. Era tornata, o forse per la prima volta era riuscita ad arrivare, scavando negli anni mantenuta viva dal solo desiderio di vendetta.
 
Provare vendetta come gli esseri umani che tanto odi… sei caduta in basso.
 
Gli occhi proiettati verso il cielo cercavano ricordi cosi lontani da fargli domandare se davvero fossero suoi.
Era mai stato bambino? Aveva realmente commesso lui quegli errori?  Per quanto ancora quelle conseguenze si stavano portando avanti? No, il tempo non esisteva più, l’aveva ingannato ancor prima che ne potesse capire l’essenza. Il tempo , si diceva, era per i vivi. Lui era morto molti anni prima, piccoli pezzi della sua anima erano andati in frantumi  uno dopo l’altro, assieme a quegli orologi.
 
Il Signor Lee ora guardava a terra, dove c’era poco da vedere, poco da immaginare, poco da ricordare. Tutto si riduceva ai piedi stanchi , bagnati dalla pioggia fredda.
 

 
Gli avevano detto di allontanarsi da lui, e l’aveva fatto.
Aveva seguito alla lettera quelle parole come un cane fedele e con la coda tra le gambe era tornato al suo rifugio, pieno di domande nuove, pieno di dubbi incomprensibili. Più codardo di quanto avesse mai creduto.
I suoi genitori gli avevano insegnato tutto quello che sapeva, ma avevano dimenticato un dettaglio fondamentale, o forse lui non era riuscito a capirlo, non era mai riuscito a fermarsi abbastanza a lungo.
Privo di legami, solo , con le sue scelte che adesso sapevano di acqua distillata.
Quando finalmente aveva preso la decisione di fermarsi, il suo castello di sabbia si ritrovava vittima della prima ondata minacciosa che segnava l’innalzamento della marea. In cerca di risposte sulla sua vita, era finito catapultato nelle fauci di una casa che non gli apparteneva, un dolore non suo si dilaniava nel suo corpo senza un motivo apparente. La sua esistenza inciampata in quella di un ragazzino che non avrebbe mai voluto conoscere. Perché il figlio di Maylin non avrebbe mai dovuto avere a che fare con lui. Soprattutto ora che lei non c’era più, ora che non poteva rivederla.
Allora Roxas che valore aveva per lui? Per quale motivo avvicinarsi cosi tanto a quello che doveva essere uno sconosciuto? Ma lui non lo era, il riflesso di quella donna dal sorriso invidiabile era impresso nel suo volto, nonostante il dolore avesse solcato i suoi occhi portandoselo via, il volto di sua madre si disperdeva nell’eco della sua espressione .
Era per via di Maylin quindi? Per via di quel sentimento aggrovigliante che provocavano i suoi ricordi? Nonostante tutto, gli stava davvero vicino , solo per il fatto che assomigliasse maledettamente a sua madre?
Le parole dentro la sua testa prendevano forma  proiettandosi nello spazio senza controllo, formando immagini confuse, gravavano come enigmi irrisolti. Il peso del presente calava con arroganza sulle sue palpebre sigillandole con l’incontrastabile forza della stanchezza.
Il rumore sordo dell’elica, che volteggiava più veloce per via del vento, sembrava un ronzio lontano.
Quanti passi lo separavano dal resto del mondo?  Tutto si riduceva al pavimento ora, all’aria fredda e umida che sembrava aver portato la nebbia perfino la dentro. A lui la nebbia non era mai piaciuta.
 

 
Pioveva ora.
Un cielo avido di luce si estendeva a perdita d’occhio, pareva sanguinare. Infinite gocce corrosive, grigie come la cenere, umide come lacrime, precipitavano preda di quella forza che ci attira tutti verso il basso.
Magari l’acqua avrebbe lavato via il grigio di quella lapide, forse avrebbe rinvigorito i suoi fiori in procinto di appassire.
Continuava a leggere quel nome, incredulo come la prima volta.
Si era davvero spenta? Come poteva una donna tanto vitale cadere preda dell’imperfezione umana? Cloud aveva sempre pensato che lei, magari, poteva essere davvero perfetta.
Non riusciva ad immaginare il suo viso pallido, senz’anima, le sue labbra serrate da una forza più grande, i suoi occhi vuoti strappati alla vita terrena. Lui non l’aveva mai vista in quello stato, nessuno l’aveva vista.
Poteva allora ingannare la sua scomparsa?
Roxas aveva ereditato cosi tanto da lei, aveva davvero provato quelle emozioni unicamente per lui?
Non aveva più avuto il coraggio di guardarsi allo specchio, quando un anno prima, vinto dal dolore l’aveva abbandonato.  Non riusciva a crederci Cloud, quando giorni prima sentendosi dire quelle parole che lo respingevano, qualcosa di più profondo del dolore stava germogliando in lui, una consapevolezza, la costruzione di una menzogna dettagliata veniva a galla come piccole bollicine d’aria, come poteva essere successo?
Lui amava quella donna.
Piangeva ora, impotente di fronte al suo nome inciso nella pietra.
 

Solo.
L’acqua graffiava contro i vetri della finestra, lasciandolo come un soldato disarmato dinnanzi  a quella tragedia sublime che è la natura.
Quanto avrebbe voluto trasformarsi in tante goccioline di pioggia,  dissolversi di fronte alla furia del vento,  bagnare i visi aridi rivolti verso il cielo.
Eppure non era in grado di diventare pioggia, non poteva perdere se stesso nel vento, non sarebbe mai riuscito ad essere qualcun altro.
Le sentiva, tutte le parti che costituivano il suo corpo, ogni singola cellula viva che gli apparteneva, le sentiva bruciare sotto l’acido corrosivo prodotto dalla realtà che si scagliava contro di lui con una furia micidiale. Divorato, torturato,  spazzato via e poi di nuovo in piedi.
Il cuore si agitava nel petto, scalpitava, tentava di uscire, esplodeva e si ricomponeva subito dopo per poi ricominciare la condanna.
Vivo.
Come una maledizione, rimaneva in gioco, si rialzava per poi cadere e fare  di nuovo leva sulle gambe stringendo i denti.
Vinto dalla vita , combatteva per poi perdere ogni volta.
Cosa ne era ora di Roxas?  Il suo puzzle piano piano perdeva pezzi, la scacchiera si scoloriva, il re sembrava cedere. Il sapore della cenere gli aveva bruciato la lingua, corrotto le corde vocali arrivando fino alle viscere, dove un miscuglio polveroso gli mandava in frantumi lo stomaco.
E poi in un attimo, la nausea, l’aumento della salivazione, uno sforzo inutile, come poteva buttare fuori il vuoto che si accingeva dentro ogni sua parte?
Nomi privi di significato sbattevano contro le pareti del suo cervello,  perforandogli le tempie, che importanza avevano? Axel cos’avrebbe potuto fare? Cloud  non era forse tornato più per se stesso che per lui? Isobel, da giorni la sua presenza gravava su di lui come un’aquila affamata in cerca di una preda.
Solo. Probabilmente la scelta migliore.
 

 
Freddo. Quel freddo che arrugginiva le foglie.
L’intera isola doveva venire inghiottita da quel grigio sporco, appannata dalla nebbia, nessuna traccia di vita sarebbe stata in grado di salvarsi dal potere della natura.
La primavera si estingueva in una smorfia del cielo di fronte le porte di un autunno imminente, un autunno che non aveva ragione di esistere.
Tutto sarebbe rimasto addormentato, morto, fino al giorno in cui l’immortale non si sarebbe deciso a portarle ciò che desiderava da una quantità di tempo insufficiente a una sola vita.
Sorrideva ora Isobel, o quel che rimaneva di lei, il parassita insidiato nelle sue vene iniziava a pulsare, risuonando nelle orecchie fino a farle esplodere , un urlo divorato dal tempo che percepiva solo lei. Le catene del passato rimanevano incollate sulla sua pelle come mosche con il miele. Il nettare prodotto dal suo sangue avvelenato avrebbe avvolto tutto quello che rimaneva di una storia mantenuta viva solo dai fantasmi.
 

 
La creatura dimenticata cercava disperatamente il soffio del vento.
L’aria pigra aveva viziato i suoi polmoni fino a farli marcire lentamente, le unghie graffiavano la carne lacerando i tessuti.
Bianco. Rosso.
Nulla più.
 

 


 E' passato cosi tanto tempo dall'ultima volta che ho aggiornato che le cose da dire si sono accumulate vergognosamente, e questo spazio diventerebbe più lungo del capitolo xD Quindi! risolverò questo problema non dicendo nulla, in effetti.
Solo una cosa veloce, veloce: No, non mi mancava l'ispirazione e No, non avevo intenzione di svignarmela lasciando la FF incompiuta. 


ps. il capitolo è più corto degli altri, questo non significa che d'ora in poi scriverò questa storia con i piedi, giusto per essere chiari xD
 
                                                                                         ._.’’ Giuro che  mi dispiace per il ritardo °A° 

 

  
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