Cara
amica che non esisti,
mi piacerebbe parlare con te per tutta la
notte di tutto e niente insieme.
Mi piacerebbe dirti tutto di me con
tranquillità e senza paura e tu mi ascolteresti, scherzando
con me finché le
luci dell’alba non chiuderanno i nostri occhi stanchi.
Cara amica che ancora non esisti, mi
piacerebbe darti consigli (perché so che sei una persona
ingenua) e dirti che
dell’amore non bisogna aver paura, che bisogna amare tanto
senza stancarsi mai.
Ti direi che l’amore può
uccidere, che con me
forse lo sta già facendo, e farei finta di non accorgermi
dei tuoi occhi
preoccupati cercare i miei.
Cara amica che non esisti, sento la tua
mancanza con una nitidezza impressionante. Vorrei sapere che ci sei,
che
sopravvivrai alle prime luci dell’alba e che non svanirai
nell’accecante luce
del mattino, proprio quando ho più bisogno di te.
A.
Arianna
si svegliò con il trillo del cellulare
nell’orecchio e la piega del cuscino
stampata su una guancia. Ancora mezzo addormentata lo
afferrò e stropicciandosi
gli occhi si mise seduta, il display era illuminato e la informava
dell’arrivo
di un messaggio. “Buon giorno, amore mio” le aveva
scritto Luca, e Arianna
sorrise digitando una risposta.
Si
stiracchiò sbuffando e infilò il cellulare nella
tasca dei pantaloni della tuta
che usava per dormire.
Portava
il cellulare sempre con sé, dalla mattina fino alla sera, e
tutte le persone
che conosceva la prendevano bonariamente in giro, per questo lei
rispondeva,
come al solito, che avere una relazione a distanza era come fidanzarsi
con ogni
mezzo di comunicazione possibile.
Guardando
l’orologio si accorse che era ancora fin troppo presto per
andare a lavoro, la
pasticceria apriva alle 10, ma decise comunque di alzarsi e andare a
fare
colazione.
Ad
Arianna piaceva alzarsi presto la mattina, e sorseggiando il suo
caffèlatte
guardava fuori dalla finestra il cielo che velocemente si rischiarava e
le
persone che camminavano frettolose sui marciapiedi.
Arianna
abitava da sola già da un po’ e non sarebbe stato
un problema se non avesse
portato con sé la solitudine ovunque andasse.
Poggiò
la tazza vuota sulla mensola della cucina e guardò il
cellulare col display
spento poggiato lì affianco, quel display buio un
po’ la intristiva e spesso
sbloccava il cellulare solo per controllare se avesse ricevuto un
messaggio,
solo per ricordarsi che era amata.
Arianna
forse era triste, ed era assurdo che lo fosse mentre era
così innamorata, così
felice, eppure non poteva sentirsi altrimenti.
Si
era trasferita in una città più grande per
seguire il corso di pasticceria e
quasi nessuno aveva creduto in lei, sua madre era scoppiata a ridere
quando le
aveva rivelato il suo sogno. “Vuoi andare via per fare
dolci?!” le aveva
chiesto ironica, “puoi rimanere qui e fare tutti i dolci che
vuoi… poi magari
ti trovi anche un lavoro normale!”
Era
stata Arianna a ridere e a fare i bagagli.
A distanza di anni non era ancora riuscita a tornare a
casa però aveva
finito il corso e trovato un ottimo lavoro in una pasticceria
artigianale del
centro.
Anche
Luca si era trasferito, era andato a studiare lontano dalla famiglia,
ma anche
lontano da lei, quindi procedevano in una relazione a distanza fatta di
messaggi e chiamate a sera tarda. Non si vedevano da due mesi.
La
cosa più assurda era che a rendere la distanza tra di loro
ancora più sfibrante
era tutta quella gente che non faceva altro che chiederle come facesse,
come
riuscisse a sopportarlo perché “io non ce la farei
mai!”. Arianna
di solito faceva una smorfia e
aggiungeva più latte al cioccolato, per rendere tutto un
po’ più dolce - si
diceva – poi la sera tornava a casa con l’amaro in
bocca.
Arianna
aveva un viso pulito, la pelle chiara e un sorriso che a volte sapeva
di
malinconia. Lui le mancava così tanto che certi giorni non
sapeva come fare,
come tirarsi su, e i giudizi degli altri la demoralizzavano, come
ancora la
demoralizzava la risata di sua madre.
Ogni
sera pensava a tutte le amiche che aveva
in quella città così grande: tutte simpatiche,
allegre, ma sempre così di
fretta, sempre così veloci. “Prendo solo un
caffè al volo,” dicevano “devo
proprio scappare, ma la prossima volta ci vedremo con più
tranquillità.” In realtà
non volevano affatto vedersi con più
tranquillità, il caos della città era
entrato loro nelle ossa, ed erano tutte troppo prese dal fare
l’impressione
migliore sfoggiando orecchini e un trucco elegante.
Arianna
non le immaginava proprio sedute tranquille a mangiare e ridere, oppure
sedute
scompostamente su un divano a guardare un film in tv. La
realtà era che avevano
paura dell’immobilità e ancor di più di
parlare, ma parlare veramente,
conoscersi, viversi, farsi domande. Andavano di fretta e le regalavano
un
abbraccio scomposto poco prima di scappare.
Arianna
aveva l’amore, ma non aveva un’amica, nessuno a cui
dire quanto fosse difficile
vivere da soli e amare da soli, non
aveva mai fatto discorsi strampalati in una serata qualunque, non aveva
mai
pianto davanti a un film romantico per poi riderci su.
Aveva
sempre pensato che l’amore avesse diverse forme e che
l’amicizia fosse una di
quelle, immaginava che fosse dolce e rassicurante come la cioccolata
calda che
preparava ogni giorno, ma non l’aveva mai assaggiata, mai
vissuta.
Quella
casa sapeva di silenzio e distanza, Arianna scriveva lettere che non
avevano
una destinataria e l’unica cosa che stringeva la sera era un
cellulare dal
display accesso e un abbraccio troppo frettoloso che non lasciava segni.