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Autore: fri rapace    15/10/2011    5 recensioni
Quando Scrimgeour aveva ordinato l’immediato intervento di una squadra di Auror per catturare i responsabili di un furto nei pressi di Ottery St. Catchpole, Tonks si era detta subito disponibile.
Storia ambientata tra la fine del quinto libro e l’inizio del sesto, prima che Tonks venga messa di stanza a Hogsmeade per sorvegliare Hogwarts.
Questa storia partecipa al Contest: "Girls power! Dimostriamo che la saga non starebbe in piedi senza le ragazze!" indetto da TheBlackQueen
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Il vero coraggio
“Dora starà benissimo, Dromeda,” lo interruppe Ted.
“Sa quello che fa, ha corso un sacco di rischi con gli Auror…”
Ted Tonks, ‘Harry Potter e i Doni della Morte’


Malgrado fosse cresciuta in un quartiere popolare di Londra, Tonks non aveva mai visto una tale miseria in vita sua; miseria che la foresta nascondeva pietosamente tra le felci, come sporcizia spinta sotto a un tappeto.
Quando Scrimgeour aveva ordinato l’immediato intervento di una squadra per catturare i responsabili di un furto nei pressi di Ottery St. Catchpole, si era detta subito disponibile: non c’era stato tempo per le domande, ma era in quella zona che si trovava la Tana.
Anche se dubitava che i Weasley avessero qualcosa che potesse fare gola a dei ladri, di solito le operazioni d’urgenza per reati minori venivano attuate solo quando la parte lesa era un collega del Ministero. Una pratica non molto corretta, come aveva più volte fatto notare, ma non intendeva certo protestare negando loro il suo aiuto.
Scrimgeour aveva valutato per qualche secondo la sua candidatura prima di dare l’approvazione: aveva notato che da qualche tempo non era molto in forma. Proprio non le riusciva di trattenere le emozioni, e Remus l’aveva mollata via gufo senza darle neppure una parvenza di spiegazione, per poi scomparire nel nulla. La rabbia per essere stata liquidata a quel modo vergognoso, quando al loro ultimo appuntamento si erano coccolati come due adolescenti spudoratamente innamorati, era stata presto sostituita dalla preoccupazione e l’incontro chiarificatore con Silente l’aveva sconvolta.
Il preside aveva mandato Hagrid come spia tra i Giganti, era solo questione di tempo che chiedesse un pari sacrificio a Remus. Dandosi dell’idiota per non averlo capito subito, la paura per quello che avrebbe potuto capitargli se fosse stato scoperto l’aveva presa alla bocca dello stomaco, e non l’aveva più abbandonata.
Remus era chissà dove e lei non poteva fare nulla per proteggerlo, ma restare con le mani in mano non era nella sua natura. Poteva darsi da fare, aiutare altre persone, dando battaglia alla paura.
Guardò interrogativamente Robards, che alla sua destra stava tenendo sotto tiro le figure allarmate che avevano scovato nel folto della foresta. Quando si era offerta per la missione non conosceva l’identità dei ricercati e accolse la scoperta come una fortuna inattesa, a volte la buona volontà veniva ripagata!
“State calmi!” tuonò Robards, scandendo lentamente le parole. “Siamo qui solo per chiedere la vostra collaborazione.”
Furono in pochi a cercare di scappare, i più rimasero immobili al loro posto, i volti chini e in parte nascosti dalle capigliature sporche e arruffate.
Appellate le loro bacchette, iniziarono a rovistare tra le povere cose di quella gente: licantropi che la società aveva coperto di disprezzo e costretto a vivere di espedienti, a cui il Ministero aveva definitivamente negato la dignità di un lavoro.
Alcuni possedevano tende improvvisate, ma la maggior parte pareva non avere altro che i vestiti che portavano addosso.
“Facciamoli spogliare!” propose Proudfoot sbrigativo. “Se non hanno già rivenduto tutto, l’unico posto dove possono nascondere la refurtiva è sotto ai vestiti!”
L’osservazione, che sapeva troppo di condanna, fece scattare Tonks: “Guarda che sono innocenti, fino a prova contraria!”
Prova che io so essere nascosta sotto ai loro vestiti! Per Merlino, Tonks, svegliati! Questi sono lupi mannari! Se non sono colpevoli di questo furto lo sono di un altro!”
Robards lo fulminò con lo sguardo.
“Non un’altra parola!” ordinò. “Tonks ha ragione. E voi, via i vestiti!”
Tonks fece per protestare di nuovo, ma i lupi mannari stavano già ubbidendo, i mantelli abbandonati sul terreno seguiti da maglioni, tuniche, calzoni. Era in quella maniera che si aspettavano di essere trattati e sembrava che la cosa, invece di farli infuriare, li rassicurasse.
Si sentì una ladra mentre frugava tra gli stracci lisi e senza colore, così simili a quelli che indossava Remus da stringerle il cuore.
Si scusò mentre restituiva loro i vestiti, e anche se evitavano il suo sguardo fingendo di non sentirla, non riuscivano a nascondere del tutto lo sconcerto e il timore per il suo strano comportamento.
Non era la speranza di riuscire a estorcere qualche notizia sulla sorte di Remus a spingerla a essere gentile, ma la convinzione di essere nel torto: quelle persone meritavano le sue scuse.
Fu quando ormai si cullava nella certezza di avere avuto ragione - i lupi mannari erano innocenti!- che trovò nella tasca del mantello di un uomo grosso come un armadio un plico di pergamene.
Lo srotolò con gesti goffi, lasciandoselo quasi sfuggire di mano: proveniva dal Reparto Regolazione e Controllo delle Creature Magiche e la firma dell’impiegato che le aveva compilate era apposta su ogni pagina.
Amos Diggory, come suggeriva la data sulla prima pergamena, doveva aver dimenticato di riportare il lavoro arretrato in ufficio per molto tempo, lasciandolo a prendere polvere nella sua abitazione.
Dopo la morte del figlio non era più tornato lo stesso, i colleghi lo evitavano come se la sua perdita potesse essere contagiosa e nessuno osava fare osservazioni sul suo rendimento lavorativo, costantemente in calo.
“Robards…” iniziò con riluttanza, perché immaginava il motivo per cui il documento era stato rubato.
L’Auror più anziano la raggiunse prendendole dalle mani l’incartamento e senza esitare, annunciò:
“Colpevole. Lo portiamo al Ministero.”
Tonks lo fronteggiò, decisa ancora una volta a far sentire la propria voce, anche se, come spesso accadeva, era fuori dal coro.
“Non merita certo Azkaban per aver rubato un paio di carte!”
Robards cercò di intimidirla con uno sguardo duro, ma ci voleva ben altro per piegare una recluta di Alastor Moody.
“Probabilmente su quel documento c’è il suo nome, o quello di un amico!” cercò di spiegargli. “L’inasprimento delle norme che regolano la loro vita, impedisce a questa gente di trovare un lavoro! Fare scomparire le prove che documentano la loro licantropia, sarebbe un comprensibile tentativo di avere una vita migliore!”
Il lupo mannaro grugnì qualcosa, poi prese coraggio e disse ad alta voce:
“Non ho letto la vostra cartaccia, ma se è uno dei registri dove quel bastardo ci scheda, non ci sono nomi: Diggory ci odia, non abbiamo nome per lui. ‘Lupo mannaro’, è così che ci chiama quando si rivolge a uno di noi!”
“Taci, tu non puoi capire cosa sta passando!” gli intimò Proudfoot disgustato, mentre spogliava a forza un giovane che si era limitato a togliersi il mantello. “Perfino i vestiti di quel povero ragazzo, gli avete portato via!” sibilò, furioso. “Tu conoscevi Cedric, vero, Tonks? Eravate anche della stessa Casa,” aggiunse maligno, mostrandole cosa il lupo mannaro nascondeva sotto al maglione: la divisa di Quidditch dell’ex Cercatore e capitano di Tassorosso. “E queste bestie non possono non sapere cosa gli è capitato, lo sanno tutti! Ammettilo, non ne hai azzeccata una finora!”
Il collega aveva due figli adolescenti e poteva capire la sua asprezza ma, anche se aveva ragione nello sbatterle in faccia i propri errori di valutazione, le venne spontaneo mettersi anche nei panni dei lupi mannari, per quanto scomodi fossero da indossare.
Senza giudicare né schierarsi da nessuna delle due parti si rimboccò le maniche, decisa a trovare tutto ciò che era appartenuto a Cedric, e non solo perché ai tempi di Hogwarts qualche volta aveva chiacchierato con lui nella Sala Comune della loro Casa.
Cedric era stato un ragazzo gentile, buono e coraggioso. Ciò che gli era appartenuto doveva essere restituito ai suoi genitori, perché era così che avrebbe voluto.
Non lo riconobbe fino a che non ebbe infilato le mani nelle tasche gonfie di gagliardetti di Tassorosso del suo mantello.
“Volevo restituirle a Diggory,” si giustificò in un soffio. Era stato il timore di quello che avrebbe potuto pensare di lui a spingerlo a parlare.
Per non aggiungere alla morsa della paura anche la delusione aveva cercato di non illudersi troppo, limitandosi a sperare di carpire notizie su di lui dai licantropi, e ora che l’aveva lì davanti dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per dominarsi.
“Stai bene?” chiese infine con un filo di voce.
Anche lui, come gli altri licantropi della colonia, si rifiutò di guardarla.
Era così diverso dal Remus che aveva visto solo poche settimane prima: una smorfia amareggiata aveva sostituito il suo dolcissimo sorriso ed era più magro e lacero che mai, tanto stanco da riuscire a mostrare solo indifferenza nei suoi riguardi e per l’incredibile coincidenza che l’aveva portata fin lì.
Tuttavia qualcosa precipitò dentro di lui, mentre si sforzava di non guardarla.
“Sto malissimo.”
Dalla sua bocca non uscì alcun suono, intuì le due parole dal movimento delle sue labbra. Cercò disperatamente un contatto fisico con lui, qualcosa di piccolo, nascosto, che avrebbero visto e sentito solo loro due, ma quello che ne uscì fu una lotta di spinte, capelli tirati, strette ai polsi.
“Tonks, ci sono problemi?” sentì chiedere Robards, che assieme a Proudfoot si trovava dall’altra parte dell’accampamento.
Lei urlò un ‘no’, i capelli di Remus ancora tra le dita e il polso intrappolato dalle mani con cui lui cercava si staccarla da sé, trasformando quella che sarebbe voluta essere una carezza in svariati strattoni.
“Stai lontana da me!” le intimò in un mormorio carico d’apprensione. “Io sono troppo pericoloso per…”
Non riuscì a concludere la frase, pochi istanti dopo i lupi mannari attaccarono.
Tonks fu svelta: puntò immediatamente la bacchetta contro Remus.
“Stupeficium!” urlò affinché tutti la sentissero, evitandogli così di dover prendere parte alla rissa per non tradirsi.
Remus crollò sul terreno ma non svenne, e guardando alle sue spalle l’avvertì del pericolo.
Si abbassò immediatamente, mandando a vuoto il pugno che uno dei licantropi aveva diretto verso la sua nuca, ma quello fu abbastanza veloce da toglierle con un calcio alle caviglie la terra da sotto i piedi. Cadde rovinosamente tra le felci, picchiando forte la testa. Davanti agli occhi le esplosero enormi stelle accecanti, tra cui scorse appena due file di denti che si avvicinavano al suo volto. Strinse il pugno per accertarsi che la bacchetta fosse ancora al suo posto e prese la mira pensando alla formula più adatta al suo scopo: ‘Densangueo’.
La vista le tornò a fuoco giusto in tempo per vedere i denti del suo aggressore ingrossarsi a dismisura, facendo somigliare la sua faccia a quella di un grosso roditore.
In casi del genere gli Auror erano tenuti a scegliere incantesimi il più possibili innocui, anche se non tutti erano d’accordo e c’era chi rimpiangeva le scelte di Barty Crouch, che durante la Prima Guerra Magica aveva permesso addirittura l’utilizzo delle Maledizioni Senza Perdono.
Il licantropo, preso alla sprovvista, indietreggiò cercando di strapparsi i dentoni e quando inciampò nei propri piedi Tonks si era già rialzata e con un Incarceramus l’aveva legato come un salame.
Un attimo dopo era di nuovo a terra, il licantropo che l’aveva colpita con una spallata che la teneva giù a forza di braccia mentre un altro cercava di sottrarle la sua arma.
Sapendo che sarebbe stato inutile, non tentò di divincolarsi, strizzò invece gli occhi riducendo il proprio corpo alle dimensioni di quello di una bimba.
Il lupo mannaro che aveva quasi afferrato la sua bacchetta se la vide scappare via da sotto al naso, al seguito del suo braccio che s’accorciava repentinamente.
Quello che la teneva a terra si sbilanciò quel tanto da permetterle di strisciargli via da sotto le braccia e bloccarlo tra le funi di un altro Incarceramus.
Il suo compare era in ginocchio, Schiantato da Proudfoot, che ora cercava di tenere sotto controllo altri tre rivoltosi.
Tonks si gettò subito nella mischia, riacquistando il suo corpo di adulta con il duplice scopo di tornare a riempire i vestiti, che in forma di bambina rischiavano di privarla anche di quel poco di equilibrio che possedeva, e di schivare un incantesimo scagliato da un lupo mannaro che era riuscito a riappropriarsi della bacchetta.
Robards lo disarmò con facilità e lei e Proudfoot Schiantarono gli ultimi rivoltosi: il loro attacco, malgrado la forza fisica e la capacità di resistenza agli incantesimi, era stato solo un gesto disperato.
“Questi sono esseri senz’anima,” sentenziò Proudfoot, adocchiando il ragazzo con addosso la divisa di Cedric e puntando poi il dito su Remus, ancora a terra con i gagliardetti di Tassorosso che fuoriuscivano dalle tasche del mantello. “Perché lo avete fatto?” chiese, più a se stesso che non a loro.
A rispondere fu il lupo mannaro che si era impossessato delle pergamene di Diggory.
“Perché no? Voi piangete la morte di questo ragazzo, ma perché a noi dovrebbe importare qualcosa?” ringhiò con ferocia. “Tutti i cadaveri meriterebbero una lacrima, tranne i nostri. Sui nostri, morti di stenti a causa vostra, voi festeggiate. ‘Un mostro in meno!’, ecco la pietà dei maghi, che si credono tanto superiori a noi!” fece una pausa, e per un attimo parve che non volesse aggiungere altro, ma poi esplose, paonazzo: “Noi rubiamo per mangiare! Abbiamo fame! Fame! Lo sapete voi cos’è, la fame?”
Tonks non lo sapeva, e gli rispose chiedendogli una cosa che riteneva molto importante.
“Come ti chiami?”
“Roland,” le rispose guardingo, facendo un passo indietro.
“Tu mi temi, Roland,” comprese, guardandolo dritto in faccia.
Quello le rivolse un ghigno di scherno che non la dissuase dal proseguire.
“Mi temi perché hai capito che avrei lacrime anche per voi. E la cosa ti fa paura, perché anche tu guardi te stesso e gli altri licantropi dal punto di vista di quei maghi che odi e ti odiano. Pensi che sono io quella che sbaglia, anche se è un controsenso.”
Vide il viso dell’altro infiammarsi nuovamente.
“Io non ho paura! Non osare darmi del vigliacco, strega!
Tonks alzò le spalle. “Stai a sentire invece di mettermi in bocca parole che non ho detto: la paura è un’ottima cosa, come si fa a sapere di essere coraggiosi se prima non si ha avuto paura? Il vero coraggio è avere paura e combatterla, non averne affatto è essere un po’ fuori di testa.”
Il lupo mannaro, già pronto a spostare sul piano verbale la rissa che li aveva visti perdenti, richiuse la bocca, interdetto.
“Fregato!” gli strizzò l’occhio lei. “Robards, Roland lo prendo in consegna io, te lo metto in riga a occhi chiusi. Nel giro di poche ore si sarà abituato persino all’idea che ci sono persone per cui non fa alcuna differenza se un uomo è sano o ha qualche piccolo problema peloso una volta al mese.”
L’Auror nascose a fatica un sorriso divertito, ma lei si era già allontanata di corsa. “Ehi, ora dove vai?” la richiamò. “Torniamo al Ministero!”
“Un attimo e arrivo! Recupero i gagliardetti di Cedric!”
“Non permetterò che ti succeda nulla di male,” sussurrò a Remus una volta che l’ebbe raggiunto. Avrebbe convinto Silente a ordinargli di tornare, spiegandogli quanto doloroso fosse per lui dover convivere ogni giorno con ciò che aveva abitato i suoi peggiori incubi fin da quando era un bambino.
Remus si tirò a sedere lentamente e un’ombra di quello che era stato il suo sorriso per un attimo tornò a tendergli le labbra.
“Non dovrei essere io a dirlo a te?”
“Certo che no! Ma se la cosa ti ferisce nella tua virilità, ti permetto di prendere in prestito la mia battuta,” gli propose generosamente, sperando di farlo ridere.
“Dimenticami, Tonks. Non ti trascinerò a fondo con me, tu meriti il meglio.”
“Guarda che non era così la battuta, hai sbagliato,” non si perse d’animo lei.
Ma lui tornò a sfuggire il suo sguardo, ignorandola ostinatamente.
Lo scrutò torva, desiderando dargli una robusta scrollata, ma non era né il luogo né il momento per un litigio. Finì di raccogliere in silenzio i gagliardetti gialli e neri, poi si alzò e raggiunse i suoi compagni, lanciandogli un’ultima occhiata.
Remus non le era mai parso tanto vicino alle lacrime come in quell’istante, e una volta arrivata a casa lo rivide riflesso nello specchio del suo bagno: non si era limitata a imprimere l’immagine di lui nella mente, l’aveva dipinta sul proprio corpo. Il colore dei capelli, il pallore, il suo tormento.
Forse sarebbe stata sufficiente una strizzata d’occhi per riacquistare il proprio aspetto, per avere un po’ di sollievo, per allontanarsi da lui.
“Io che faccio una vigliaccata del genere?”  la sua immagine riflessa le sorrise di rimando. “Non esiste!”
La battaglia era appena iniziata.
   
 
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