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Autore: karikeehl    15/10/2011    4 recensioni
"L'unica cosa, speravo che Mello non perdesse la pazienza se no sarebbe diventato, ehm, leggermente irritante. E poi... che ci voleva a trovare la piazza principale di Praga?"
[MelloxNear - MattxNear]
BLOCCATA PER PROBLEMI DELL'AUTRICE
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matt, Mello, Near
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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POV MELLO


            Quando uscimmo dall’ospedale, erano le 19.45: dinner-time secondo l’abitudine americana e, infatti, il mio stomaco, come da programma, stava reclamando la sua cena. Il freddo del clima invernale mi pizzicava le guance mentre le nuvole offuscavano il cielo, preannunciando l’arrivo imminente di un temporale coi fiocchi. Una volta qualcuno disse che le gocce di pioggia sono le lacrime degli angeli, versate per i peccatori in attesa del perdono di Dio. Adoro la pioggia: forse perché ogni avvenimento importante della mia vita è legato a quell’acqua mandata dal cielo, forse perché quando ero piccolo, ho pianto talmente tanto per gli altri da sentirmi un angelo, forse proprio perché mia madre mi diceva che ero il suo angelo. Fatto sta che i temporali mi aiutano a riflettere e, in questo momento, era proprio ciò di cui avevo bisogno; mentre ascoltavo la storia strappalacrime di Nate infatti, per liberarlo dalla sua prigionia, prolungatasi, per i miei gusti, fin troppo a lungo, mi era venuta in mente un’idea. Avevo un solo dubbio al riguardo: si trattava dell’ennesima cazzata o era un piano brillante, che avrebbe aiutato me e Matt a risolvere il problema?
Inutile dire che per avere questa conferma, ne avrei dovuto parlare con il rosso. Sono sempre stato sicuro delle mie strategie e dei miei piani di battaglia, in qualsiasi ambito: gioco, gare, competizione, amore; però il parere del mio migliore amico, shekerato al mio indiscutibile orgoglio, mi dava quella sicurezza in più che mi faceva affrontare le situazioni a testa alta, senza crearmi problemi o preoccupazioni inutili.
Data la temperatura non troppo calda e le condizioni meteorologiche piuttosto sfavorevoli, per istinto, mi rifugiai nel cappotto rosso e, cercando tra le strade di Praga un qualsiasi ristorante nel giro di 500 metri, tirai fuori dalla tasca dei pantaloni la nostra bene e amata cartina, unica colpevole (oltre al mio migliore amico) del nostro incontro col piccolo albino (eh già, avevamo inclusa nella cartina anche una miniguida gastronomica). La triste storia di Nate mi aveva quasi commosso: così piccolo, separato dai genitori, solo in una città grande e sconosciuta al di là dell’oceano, totalmente dimenticato dal mondo... ok, ero rimasto scandalizzato. Come può un bambino di appena nove anni rimanere separato dai propri genitori, costretto a subire le angherie della mafia? Inoltre il pensiero di quel ragazzino, con la sua voce tremante e i suoi occhioni color pece, mi fece tuffare in un mare nero di ricordi amari, costringendomi a nuotare tra la corrente favorevole delle memorie della mia infanzia e il flusso avverso della mia adolescenza, facendomi infine approdare su una spiaggia deserta e deprimente, territorio del mio stretto parente di sangue nonché persona piuttosto estranea al mio cuore e al mio affetto. Quell’albino mi ricordava mio fratello. Già, il fratello che non avrei mai dovuto avere.
- Mello? Ohi, ci sei?
La voce di Matt mi fece tornare sulla terra, lasciando scivolare i miei pensieri lontano dalla mia mente piena di rimorso, fin troppo legata a ricordi passati.
- mmh?
- Dove stiamo andando? È da quando siamo usciti dall’ospedale 10 minuti fa che cammini senza rivolgermi la parola. Mi spieghi cos’è tutta questa fretta?  Perché caspita mi hai buttato fuori da quella stanza?
Aveva ragione, poverino: l’avevo spinto lontano dal letto di Nate, costringendolo a varcare la porta a vetri senza permettergli di protestare, né di fare alcunché; praticamente avevo compiuto un sequestro di persona. Riflettei un attimo prima di ribattere alla domanda di Matt o, per lo meno, cercai di trovare una risposta credibile.
- Perché ho fame.
Ok, risposta azzardata, forse avrei dovuto riflettere un po’ di più per giustificare la mia fretta con una scusa plausibile. Però, dopotutto, era la verità.
- eeeeeeh?
- Ho fame e sto cercando un ristorante sulla cartina, così mangiamo qualcosa.
- Scusa se mi ripeto, ma... eh?*
Mi fermai improvvisamente, arrestando la mia corsa verso la cena e mi voltai verso il rosso per guardarlo in faccia: aveva un sopracciglio alzato e i suoi occhi verdi racchiudevano nello sguardo un leggero stupore, coronato da un’espressione sconcertata.
- Mi stai dicendo che abbiamo abbandonato Nate in balia di quelle infermiere bacate e del dottor Frankenstein solo perché il tuo stomaco brontola?
- E allora? Che c’è, ora non posso neanche avere fame?
Il rosso mi guardò dritto negli occhi.
- Mello, lo so che non è questo il motivo. Perché mi devi prendere in giro?
Oltre al tono serio della domanda, c’era una sfumatura di preoccupazione nella sua voce, quasi si aspettasse che gli svelassi un segreto nascosto che aveva il timore di sapere. Aprii bocca per rispondere ma, in quello stesso momento una goccia d’acqua cadde dall’alto, venendo a contatto con la mia testa. Una. Due. Tre gocce.
Il rosso alzò la testa verso il cielo, infastidito da quell'improvviso cambio di clima.
- ehm...sai che mi è venuta fame?
Sorrisi. Matt non ha mai sopportato la pioggia e tantomeno l’essere sotto un temporale senza essere provvisti d’ombrello.
- In questo momento non si presenta male l’idea di un ristorante accogliente e asciutto, vero?
- Verissimo.
Approvata quindi la mia proposta, feci dietro front e ricominciai a correre, Matt dietro di me, alla ricerca del locale più vicino, tanto per il mio stomaco quanto per trovare riparo in un posto asciutto. L’avevo detto che sarebbe venuto giù l’acquazzone... E che acquazzone! Angeli miei, davvero siamo caduti così in basso? Siamo in grado di compiere atti talmente osceni e imperdonabili? Come possiamo scivolare così facilmente sul bordo del pozzo profondo della disperazione più totale?

***

Sfuggiti alla furia del nubifragio, trovammo riparo in un locale in ska Nebo vidska che, stando alle indicazioni della cartina, si trovava a metà strada tra il nostro appartamento e l’ospedale.
Con il nostro ingresso nel ristorante, attirammo su di noi gli sguardi di tutta la clientela. E come dargli torto, eravamo totalmente fradici: nei nostri passi risuonava il ciaf ciaf dell’acqua nelle scarpe, i nostri abiti gocciavano sul pavimento e, come se non bastasse, avevamo un aspetto terribile. Aspetta, orribile fino ad un certo punto: io sembravo un pinguino dipendente di Babbo Natale, fuggito dal carcere, con i pantaloni neri più attillati del solito e il cappotto rosso reso freddo e pesante dall’acqua; Matt invece somigliava ad uno di quei motociclisti super fighi dei telefilm americani, con i capelli bagnati, i jeans strappati e gli occhiali da aviatore in testa. Probabilmente il cameriere provò pena per noi (penso più per me che per il rosso) e ci fece accomodare in un tavolo posto in fondo al locale, vicino al caminetto.
Ringraziammo e ci spogliammo dei nostri soprabiti, appendendoli a un attaccapanni lì vicino. Il buon uomo poi ci portò il menù, dal quale prendemmo spunto per ordinare la nostra cena che, per quanto riguarda Matt, consisteva in una cotoletta alla milanese e una porzione di patatine fritte mentre per me prevedeva salsiccia alla brace.
- Aaaaah! Che bel calduccio qui dentro!
Il rosso sembrava terribilmente contento del suo posticino davanti al fuoco e, appena si fu riscaldato, si accese una sigaretta, sperando di calmare un po’ i nervi e concedersi un attimo di pace.
Io, appresso a lui, scartai la solita tavoletta di cioccolato, al fine di raggiungere i suoi stessi scopi.
Mentre lasciavo che la cioccolata si sciogliesse sulla mia lingua, gustandomi con soddisfazione il suo dolce sapore, diedi un’occhiata al locale. Diversamente da quello in cui eravamo stati il giorno prima, questo era piuttosto grande: un’unica stanza, con una sistemazione di circa venti tavoli per quattro o sei persone più 3 tavolate da 16-18 posti ciascuna; per completezza del quadro, faceva la sua bella figura il caminetto ottocentesco e una piccola porticina decorata con fantasie floreali con su scritto "kuchyně". Dopo un momento di silenzio, istituito per godendoci appieno la nostra pausa relax e per riprenderci dalla folle corsa contro la furia del temporale, arrivò il cameriere, il quale, porgendoci le pietanze da noi richieste, ci augurò una buona serata e tornò in cucina.
- Buon appetito!
Il rosso infilzò con la forchetta un primo pezzo di cotoletta e, accompagnandolo con una patatina fritta, lo mise in bocca, masticandolo lentamente e mandandolo poi giù con aria soddisfatta. Stessa cosa fece con il secondo e il terzo boccone e, a suon di ciomp ciomp, finì la sua milanese a tempo di record. Non contento della sua cena però, fermato un cameriere, ordinò un’ulteriore porzione di pasta.
- Non si dovrebbe mangiare innanzitutto il primo piatto e poi la carne?
- Nah, e chi l’ha detto? Dopo la cotoletta, voglio assaggiare un bel piatto di fusilli con gamberetti e panna.
- Guarda che la pasta è una specialità italiana, non credo che quella ceca abbia lo stesso sapore dell’originale.
- E quindi? Sto morendo di fame!
- Santo cielo Matt, ti sei spazzolato una cazzo di cotoletta di 3 metri nel giro di 5 petosecondi!
- Ho bisogno di proteine. E poi ho solo vent'anni, devo crescere!
- Sì, in larghezza!
L’espressione del rosso si contorse nella sua tipica forma di finta arrabbiatura ed io, ormai rassegnato al suo modo di fare, ne approfittai per esporgli il mio piano.
- Matt, mi è venuta un’idea per aiutare Nate.
Tutta la sua falsa incazzatura sparì in un attimo, lasciando spazio sul suo volto alla soddisfazione e alla curiosità.
- Sapevo che c’era qualcosa sotto la fuga dall’ospedale! E come pensi di fare?
- A dire il vero non è una cosa molto difficile; si tratta solo di portarlo con noi in America.
L’espressione speranzosa del rosso fu sostituita da uno sguardo triste e rassegnato, il quale rifletteva sul volto tutta la sua preoccupazione.
- E come faremo? Non ha né documenti, né cittadinanza americana.
- È vero, non ha documenti, ma per quanto riguarda la cittadinanza ti sbagli.
Lui mi guardò con aria interrogativa.
- Come "ti sbagli"?
Sorrisi. Mi divertivo troppo a spiegargli un argomento di cui lui, con tutta la sua intelligenza e la sua curiosità, ignorava l’esistenza; mi faceva sentire importante, più di quanto non fossi già.
- Eh sì. Il piccoletto HA la cittadinanza americana. Ha detto di essere nato in America e di essere stato portato a Praga dalla mafia: sicuramente la criminalità organizzata non passa in aeroporto seguendo i classici controlli cui siamo sottoposti noi persone comuni, ma avrà buone conoscenze nell’ambito della sicurezza degli aeroporti o, quasi sicuramente, avrà corrotto qualche dipendente per passare inossorvata; perciò Nate non ha mai abbandonato il suo paese dal punto di vista legale. Questo significa che, essendo nato nello stato di New York, l’albino è registrato all’anagrafe di New York city e, quindi, è un cittadino degli Stati Uniti.
Lì per lì Matt sembrò contento della mia risposta, ma subito i suoi dubbi presero forma in una domanda trabocchetto.
- Va bene, ok, Nate è americano, ma non ha comunque un passaporto; non possiamo mica imbarcarlo su una nave di clandestini!
- Passaporto no... Non ancora.
La mia bocca prese la forma di un ghigno malvagio e l’entusiasmo ricomparve subito sul volto di Matt, che mi ricambiò con un sorriso altrettanto pieno di male intenzioni.
Il cameriere, arrivato in quel momento con il piatto di pasta richiesto dal rosso, ci guardò con un’aria preoccupata, come se fossimo due vecchiette che spettegolano cattiverie sulle giovani attrici o, ancora peggio, due criminali che organizzano un colpo grosso in una banca.
Matt ringraziò e liquidò l’uomo immediatamente, troppa era la sua curiosità di sapere cosa avevo in mente.
- Cosa vorresti fare, Mel?
Infilzò un gamberetto e iniziò a masticare, senza distogliere i suoi occhi verdi dalle mie iridi azzurre.
- Tu sai dove lavoro, giusto Matt?
Il rosso rimase spiazzato da quell’interrogativo e osservai sul suo volto tutta la sua confusione.
- Ehm... nella polizia?
- Esatto; precisamente in questura.
Matt intuì i miei piani e il suo sguardo si appropriò di tutta la furbizia che riusciva a esprimere.
- Vuoi creargli un passaporto falso?
- No, meglio. Con un passaporto falso, conoscendo la mente testarda e cocciuta del sistema di sicurezza americano, non passerà mai i controlli in aeroporto. Basterà chiedere a Matsuda di fare un passaporto autentico per Nate e di spedircelo qui a Praga.
Il rosso mi fissò incuriosito, masticando un fusillo, e io proseguii con la mia spiegazione.
- Aggiungendo al tempo per la creazione del documento i tempi di spedizione, ci vorrebbe più di un mese per far arrivare il passaporto qui nella Repubblica Ceca. Avendo però buone conoscenze in questura e, se sarò io a chiederglielo, Matsuda potrebbe far stampare il documento in 10 giorni e in 72 ore farlo arrivare qui, grazie alla collaborazione di un suo amico della polizia postale. In conclusione, se fila tutto liscio, io, te e l’albino potremo partire tranquillamente per gli Stati Uniti tra... due settimane.
- In poche parole, vorresti approfittare della tua posizione lavorativa per far entrare Nate in America senza infrangere la legge?
- Esatto.
Matt ci pensò un attimo su.
- Non è una cattiva idea. D’altra parte, stando al tuo ragionamento, Nate è un cittadino americano a tutti gli effetti, per cui Matsui o come si chiama può trovare tutte le informazioni necessarie tramite i documenti che si trovano tuttora all’anagrafe. Sì, mi piace! Così il piccoletto riuscirà finalmente a condurre una vita normale, lontano dai soprusi e dalla cattiveria della mafia.
Per poco non si strozzò: fuori di sé dalla gioia, il rosso quasi urlò le ultime parole, tant’è che dovetti dirgli di abbassare la voce, per evitare di essere scoperti; in contrapposizione al mio modo di fare, infatti, lui non è mai stato capace di nascondere le sue gioie e le sue paure, rivelando sempre tutto ciò che prova o che pensa. Sarà anche per questo che siamo amici: così diversi, ma così uniti, decisi a fare tutto insieme e per gli interessi di entrambi, venendoci sempre incontro, nei momenti difficili e nei momenti di piena allegria ed è in qualsiasi situazione che Matt manifesta le sue emozioni e spesso le esprime anche per me perché, dopotutto, condividiamo lo stesso modo di pensare, di parlare, di agire. Due corpi, una sola anima.
Manifestata quindi la sua approvazione per la mia trovata e riconquistato il suo autocontrollo, sparito in un attimo assieme ai suoi fusilli, il rosso mi affidò tutte le responsabilità tramite un discorso somigliante alle battute usate dagli attori nei film di spionaggio.
- Mello, il successo del piano dipende esclusivamente da te e dalla tua capacità di oratore.
- Mi stai parlando come se fossi James Bond in un film di 007. Wow, sono diventato un divo di Hollywood.
- Ti piacerebbe, eh? Comunque sia, pensi davvero di riuscire ad ottenere la collaborazione di due dipendenti della polizia per compiere un atto illegale?
- Non è illegale! È semplicemente un metodo rapido per far tornare in patria un onesto cittadino americano, sottratto alla sua nazione in modo illecito dalla crudeltà e dall’insensibilità della criminalità organizzata.
Matt rise.
- aeeeeeh! Che paroloni! Allora contiamo su di te, mio caro divo hollywoodiano.
Mi fece l’occhiolino. A dire il vero, non ero molto sicuro del successo del piano: nei diversi organi del corpo di polizia avevo sì buone conoscenze, ma non ero certo che queste fossero bastate per riuscire a creare dei documenti in tempi record e, tanto per gradire, a spedirli in Europa entro 3 giorni. Era tecnicamente impossibile. L’unico filo di speranza che conduceva noi alla riuscita del progetto era l’efficienza del lavoro di Matsuda: dopotutto, eravamo colleghi da 4 anni, nonché ottimi amici. Che male c’era a chiedergli un piccolo enorme favore?
- Bene! Adesso devi solo chiamare il tuo amichetto del cuore.
Gli lanciai un'occhiata fredda come il ghiaccio.
- Che ore sono adesso a New York?
Cambio rapido di discorso, tipica tattica usata da Matt quando una discussione o non gli va a genio o si tramuta in uno scambio di battute pericolose. Cercai di mantenere la calma e guardai l’orologio. Sono un tipo piuttosto permaloso e se c'è una cosa che non sopporto è essere preso per il culo: mi manda letteralmente in bestia.
- Qui sono le 21.17. C’è un fuso orario di 6 ore per cui sulla costa Atlantica Americana dovrebbero essere le...
- 15.17 del pomeriggio del 12 dicembre.
- Giusto. In effetti, potrei anche chiamarlo subito.
Misi una mano in tasca, alla ricerca del cellulare, che tirai fuori e sul quale digitai il numero di Matsuda.
- Non ti dispiace se ordino il dolce, vero? Tanto stai al telefono.
Agitai una mano in cenno di assenso.
- Fai pure, sempre che tu riesca a mangiarlo senza rivomitare tutto, compresi i gamberetti. Ah, già che ci sei, prendi anche qualcosa per me.
- Budino al cioccolato?
Matt sorrise, leggendo nella mia mente la voglia di mangiare esattamente quel piatto.
- Che fai, l’indovino?
- Mi piace coglierti di sorpresa e indovinare quello che pensi.
- Come se non lo facessi mai.
- Sei stronzo forte, eh?!
- Mai quanto te, mio caro Matt.
Ridemmo insieme e, sentendo dall’altra parte della cornetta la voce di Matsuda, mi affrettai a rispondere; contemporaneamente Matt, bloccato un cameriere piuttosto irritato, ordinò i dessert per entrambi.
Così, mentre il rosso aspettava impazientemente il suo "tiramisù della casa con fantasia al cioccolato fondente", io cercai di persuadere il mio bravo collega, sperando nel suo appoggio e nella sua collaborazione, indispensabile per la riuscita del piano e necessaria per l’indipendenza di Nate. Volevo riuscire nel mio intento a tutti i costi, non solo per la libertà dell’albino, lusso che sicuramente bramava da anni, né per la felicità di Matt, il quale, ero sicuro, teneva più al piccoletto di quanto non volesse far credere, ma anche per me stesso perché, grottescamente, sentivo che quel ragazzino avrebbe dato una svolta alla mia vita, rendendola in qualche modo diversa; diversa, sì, ma non immaginavo che avrebbe cambiato tutto.
            




NOTE:
*cit. Soul Eater (protagonista del manga/anime di Soul Eater, nato dalla fantasia di Atsushi Ohkubo. Per tanto, non è un mio personaggio)




Angolo dell'autrice:


Buongiorno a tutti!
Anzi… meglio dire buona sera poiché sono le 23.24 xD. Scusate l’enorme ritardo! D: In questo periodo ho avuto un po’ troppe cose da pensare tra i compiti in classe e le prime interrogazioni e ho avuto ben poco tempo per scrivere D: Vi prego perdonatemi! Spero però che il quarto capitolo sia all' altezza delle vostre aspettative ma, se così non fosse, cercherò di non deludervi con il capitolo successivo. Se avete pareri, impressioni o commenti, che siano positivi o negativi, non esitate a dirlo. Proverò a migliorare e magari a farmi venire qualche idea migliore per movimentare un po’ la storia. :)
Alla prossima, con il quinto capitolo! :D
karikeehl
   
 
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