LA VOCE FUORI DAL CORO
È lunedì mattina.
La sveglia suona. Michele
alza la testa dal cuscino, si volta a guardare l’ora. Sono
già le sette, ma non
ha voglia di alzarsi. Spegne la sveglia e ritorna a riposare.
È stanco. Ieri
sera è tornato a casa a tarda notte, come al solito.
È entrato nella porta di
casa barcollando, quasi non si reggeva in piedi. È tutta colpa di quei
maledetti bastardi-pensa.
Lo hanno fatto
lavorare fino alle tre del mattino, senza sosta. Ripensa alla notte
appena
trascorsa , girando per i tavoli a servire acqua e vino, a guardare gli
sposi
che ballavano, le centinaia di
invitati
che ridevano, scherzavano, che facevano commenti sul cibo, sulla
qualità del
servizio, sulla maestosità della sala. Detesta le loro
chiacchiere, ne ha piena
la testa. Detesta andare ogni sera al ristorante per racimolare quegli
spiccioli che gli consentano di pagare vitto e alloggio. Detesta dover
vedere
sempre le stesse inutili formalità: il lancio del bouquet,
il taglio della
torta, il fatidico bacio di due anime gemelle che si sono incontrate.
Sembrano
tutti dannatamente felici. E non è bello vedere gli altri al
“settimo cielo”,
se la felicità tu non la riesci a vedere nemmeno attraverso
il cannocchiale, se
gli occhi ti restano solo per piangere e per guardare ciò
che gli altri hanno e
tu vorresti avere, ma non hai. Lui,
di
certo, non è felice. La vita che conduce non glielo
permette. Deve concentrarsi
sul lavoro e sullo studio e non riesce a trovare nemmeno il tempo per
dormire. Dorme
solo quattro ore a notte ed ora deve alzarsi nonostante non ne abbia la
voglia,
altrimenti farà tardi a lezione.
Ritorna con la testa alla
giornata che deve
affrontare. Si stropiccia gli occhi e si
gira verso la
sveglia. Cazzo, sono le 7.35-esclama.
È tardi, quindi si alza, si prepara un
cappuccino, corre a lavarsi i denti, si veste in fretta, prende lo
zaino e poi
esce di casa. Arriva in stazione giusto in tempo: un attimo dopo e il
treno
sarebbe partito senza di lui. E questo non poteva permetterselo. Sono
già
troppe le ore scolastiche di lezione perse a causa di ritardi e di
assenze. La
colpa? La stanchezza. Certe volte apre gli occhi ad ora di pranzo e
bestemmia
se stesso per non essere riuscito a svegliarsi all’orario da
lui stabilito. Questa
mattina, invece, a differenza della maggior parte delle altre, arriva
in classe
puntualissimo, appena dopo il suono della campanella. Si siede al
solito posto,
al primo banco e aspetta impaziente che il professore entri in classe.
Sbatte
nervosamente il piede a terra, mentre i compagni di classe riempiono
l’aula di
un chiasso assordante. Un gruppetto di ragazze sta parlando dei vestiti
che
dovrà indossare la sera stessa, i ragazzi discutono di
calcio. C’è chi sta
intrattenendo un conversazione telefonica e chi va avanti e indietro
canticchiando. Lui , invece se ne sta zitto, in disparte, assorto nel
suo
mondo. I discorsi banali li lascia fare agli altri. Ama riflettere, ci
affonda
nei suoi pensieri. Talvolta si inoltra in ragionamenti così
complessi che
finisce per perdersi nell’
abisso delle
sue idee. Queste idee le conserva gelosamente dentro di se, le
custodisce
segretamente, quasi per paura che possano scappare ed andare in qualche
posto
lontano, quasi qualcuno possa penetrare all’ interno della
sua mente e
portargliele via, privandolo in questo modo di una parte di se stesso.
Anche
ora sta pensando. Medita sulla sua vita, su cosa
sarà del suo futuro, ma senza trovare risposte plausibili.
È troppo
preso dal presente ed ogni volta che porta
la sua mente lontano, non riesce mai a giungere a conclusioni
accettabili.
Non
a caso, è costretto a stroncare
il filo
dei suoi pensieri per l’arrivo in classe del professor
Ghisetti, docente di
matematica. È un uomo alto e grassottello sui
cinquant’anni. Ha baffi appena
accennati, capelli completamente grigi e indossa enormi occhiali a
tartaruga. Incute
timore solo guardarlo, a tal punto che, entrato in aula, alla sua vista
tutti
ammutoliscono e ritornano immediatamente ai loro posti. Subito si
siede, poggia
la sua giacca sulla sedia, si aggiusta meticolosamente gli occhiali,fa
l’appello e inizia a spiegare.
Oggi ci
occuperemo delle derivate di una funzione- dice il professor Ghisetti.
Ma
Michele non ha proprio voglia di ascoltarlo. A
cosa mi serviranno nella vita le derivate?-pensa.
L’ora
prosegue interminabile, così come le ore successive, in
particolare l’ora di
educazione fisica(l’ultima ora).
Deve
sopportare ogni volta i commenti dei suoi compagni, che mentre giocano
a
pallone, puntualmente lo guardano ,mentre resta seduto da solo ,in
maniera
strana. Ha sentito dire su di lui che è asociale,
disadattato,presuntuoso e
psicopatico. Tutto questo accade perché non rivolge la
parola a nessuno, perché
mantiene le distanze da tutti e ogni tanto, stanco della loro presenza
e di
alcuni dei loro atteggiamenti, risponde a tono, alzando bruscamente il
tono di
voce. Ma che ne sanno loro? Che se ne
andassero tutti a fanculo!
Finalmente
la campanella dell’ultima ora suona. Immediatamente prende lo
zaino, cerca nel
frigo qualche avanzo di cibo e accende la televisione. Stanno
trasmettendo
“uomini e donne”,
su canale cinque. Questa è tv
spazzatura! Bella merda!-pensa.
Infastidito dal programma spegne la tv e inizia a mangiare.
Mangia in
modo rapido. Insieme al cibo(mozzarella di tre giorni fa), ingoia la
rabbia. È
rabbia repressa, i chi si è rassegnato ad una vita infelice,
di chi ha cercato
di reagire sbattendo con la testa contro il muro, di chi è
costretto a subire
nel silenzio, con la consapevolezza di non potersi opporre al fato.
Terminato di
mangiare, si addormenta sul divano, con la stessa rabbia che gli pulsa
nel
sangue e gli arriva dritto al cervello. Si sveglia verso le quattro,
studia per
circa due ore (matematica e fisica), per poi indossare frettolosamente
la
divisa da cameriere che tanto odia. Secondo lui, la divisa era troppo
da
conformisti.
Ma perché i camerieri devono
vestirsi tutti
allo stesso modo?
Non riusciva
a spiegarselo, come non riusciva a spiegare tutte le regole che
dovevano essere
necessariamente rispettate. A lui piaceva infrangere le regole e le avrebbe infrante anche
questa volta
arrivando tardi al lavoro. Peccato che sarebbe stato licenziato!
Gli aspetta
una serataccia, ma non gli importa: un altro giorno sta per giungere al
termine.