Questa
volta mi sono proprio stancata. Ingoio i miei integratori di vitamine e mi
stendo sul letto. Sono a San Diego con il team e fa caldissimo, l’umidità è
tanta e mi penetra nelle ossa. Mi gira la testa. Great. Dalla mia fronte scendono minuscole goccioline di sudore. Mi
alzo e spalanco la finestra della stanza. Alloggiamo in un albergo di terza
categoria, ma, tutto sommato, non è poi tanto male, eliminando il fatto che il
condizionatore sia rotto. Cho e Wayne hanno deciso di viaggiare di notte per
Sacramento e sono già partiti e nell’albergo siamo rimasti io e Jane … credo che
quei due non riuscissero a sopportare più questo caldo infernale. Mi siedo sul
letto, mi spoglio: meglio farsi una bella doccia! Il caso di questa trasferta era più che altro
una questione politica, non troppo difficile e nemmeno “divertente”, come
direbbe Patrick. Il marito della vittima è il fratello del procuratore di
Sacramento, ergo siamo tutti alla mercè di questi potentissimi assegna-casi. A volte
mi sembra di stare in un catalogo di poliziotti, della serie “Scegli il team
che preferisci per trovare il colpevole dell’omicidio più vicino a te!”. E
magari c’è pure un servizio di televoto.
Sto
divagando troppo. Doccia e letto. Sono in piedi dalle 5 di stamattina, ho
bisogno di dormire un po’! Apro il rubinetto della doccia e … non esce altro
che acqua calda. Jeez. Qualcuno mi
sta maledicendo. Mi lavo lo stesso e, mentre chiudo il rubinetto e sto per
uscire dalla doccia, mi sento la testa più … leggera. Mi guardo allo specchio:
tutto normale. Ma mi gira la testa. Faccio in tempo a infilare mutande e
jersey-della-trasferta e mi manca il pavimento sotto i piedi. Mi siedo sul
letto, ma non mi sento meglio. E mi fischiano le orecchie. Sto iniziando a
perdere conoscenza, ho bisogno di aiuto, non voglio perdere i sensi in una
stanza d’albergo, troppo squallido anche per me! La stanza di Jane è accanto
alla mia … mi secca ammetterlo, ma ora ho bisogno di lui. Fuck me.
Mi
sforzo di rimanere cosciente, mentre tutto intorno a me diventa sempre più
ovattato e inconsistente. Una stanchezza
incredibile mi assale, gli occhi si chiudono da soli. Crap. Esco dalla stanza, mi appoggio con le mani al muro e così
riesco a fare quei quattro passi che mi separano dalla porta della stanza
accanto. Busso una, due, tre, mille volte, non riesco più nemmeno a capire se
sto bussando davvero o se sta accadendo tutto in un’altra dimensione. Non
riesco più a mantenere il controllo.
Odio
svenire.
Bussano?
Mi alzo dalla poltroncina e mi asciugo il sudore dalla fronte. Fa davvero
caldo, è quasi insopportabile persino per me, che ormai non provo più niente di
umano. Mi trasformo ogni giorno di più in una bestia, non aspetto altro che
quel giorno. Arriverà, lo so. Non aspetto altro. Anche Hypnos ha capito che non
sono più umano, visto che mi fa visita sempre più raramente. Sto per spingere
la maniglia, con tutta la calma del mondo, quando sento un tonfo, come di
qualcosa che cade a terra. O qualcuno.
“Lisbon!Lisbon!”
Teresa
con il suo jersey preferito accasciata sull’uscio della porta. Ma che cazz…?
Non è ferita, non sanguina ma ha perso conoscenza. La schiaffeggio per farla
rinvenire.
“Jan…”-La
sua voce è un soffio. Apre gli occhi pieni di lacrime, le tengo la mano. Trema,
ma si è ripresa. L’aiuto a rialzarsi e la poso sul letto, sistemandole un paio
di cuscini dietro la testa e tenedole le gambe alzate. Non sono un esperto di
pronto soccorso, ma ricordo che a mia moglie ogni tanto capitava di svenire,
quando era incinta di Charlotte e il medico mi diceva sempre di fare di tutto
per tenerla sveglia e di alzarle le gambe. Mi sembra davvero un’altra vita.
“Jane
… gimme a bag”
“A
what? … Ah, all
right, all right.” Sul comodino c’è la busta che conteneva due mele, la mia cena. Gliela porgo
e lei ci vomita dentro mentre le tengo la fronte. Si ferma un attimo, riprende
fiato, un altro conato la prende.
“Done?”
“Yeah
…”
Poggia
la testa sul cuscino, mentre poso la busta di carta a terra. La osservo mentre
riprende il controllo. Quanto le sarà costato venire a chiedere aiuto a me?
Dopo qualche minuto, stacca la testa dal cuscino e si siede. Io sono accanto a
lei e le passo una mano sulla fronte. Non ha la febbre.
“What was
that?”
“I’m so
sorry, Jane … lack of vitamins and … stress, I think.”
“First
time?” Incurva leggermente le labbra, in un timido sorriso.
“I
wish it was.”
Distolgo
lo sguardo per un attimo. É come se mi sentissi svuotato,
ora che so che non corre alcun pericolo. Vuoto. Almeno sono tornato
alla normalità. Si accorge che non sono più così
preoccupato per lei e mi rivolge uno sguardo interrogativo.
Adesso sembra lei quella preoccupata. Buffo e assurdo allo stesso
tempo.
“Tired?”
“Yeah … Uh,
I’m sorry. I shall go back to my room. I’m sorry, I was …”
“I know.”
Era
spaventata all’idea di riprendere conoscenza da sola.
“I think I’ll
go now.”
“Stay.
Sleep here.” Mi guarda stupita e anche un po’ terrorizzata. Riesco quasi a
vedere le parole che sta pensando: CBI, colleghi, relazione, sospensione,
carriera distrutta.
“What?”
È come se non ci volesse credere. Non capisce che non voglio sedurla. Mi scappa
un sorriso, perché mi sembra di essere tornato ai nostri primi anni insieme,
dove tutto si riduceva al flirt innocente e alla mia maschera perfetta. È tutto
così diverso, ora.
“I’ll
stay on the sofa. Besides,
you know I have no sleep at night.”
“Are you
sure?”
“I’ll sleep
tomorrow, while you’ll be driving.” Mi sorride teneramente.
“Thank
you.” Lei cerca il mio sguardo, ma io sono già lontano. Rimane un attimo ferma, poi si
alza, va in bagno e chiude la porta. Sento il rumore dell’acqua che scorre e mi
accomodo sulla poltroncina, riprendendo il libro da dove lo avevo lasciato. Lei
esce, dopo un po’, e ci scambiamo uno sguardo a metà tra il divertito e
l’imbarazzato. Teresa mi sfiora un braccio.
“Good
night, Patrick.”
Aspetto
che si addormenti prima di continuare a leggere. La poltroncina è accanto alla
finestra che tengo spalancata. C’è una luna bellissima stasera. Illumina alla
perfezione le parole di Blake.
Tyger, tyger, burning
bright …