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Autore: redKaori    16/10/2011    2 recensioni
Hello everyone!:) One-shot brevissima ambientata prima dell'ultima puntata della terza stagione. Lisbon e il team sono a San Diego: caldo infernale, stress, poco sonno e un aiuto da chiedere. Grazie in anticipo a chi leggerà e commenterà :) enjoy!
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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when I faint it's you I look for

Questa volta mi sono proprio stancata. Ingoio i miei integratori di vitamine e mi stendo sul letto. Sono a San Diego con il team e fa caldissimo, l’umidità è tanta e mi penetra nelle ossa. Mi gira la testa. Great. Dalla mia fronte scendono minuscole goccioline di sudore. Mi alzo e spalanco la finestra della stanza. Alloggiamo in un albergo di terza categoria, ma, tutto sommato, non è poi tanto male, eliminando il fatto che il condizionatore sia rotto. Cho e Wayne hanno deciso di viaggiare di notte per Sacramento e sono già partiti e nell’albergo siamo rimasti io e Jane … credo che quei due non riuscissero a sopportare più questo caldo infernale. Mi siedo sul letto, mi spoglio: meglio farsi una bella doccia!  Il caso di questa trasferta era più che altro una questione politica, non troppo difficile e nemmeno “divertente”, come direbbe Patrick. Il marito della vittima è il fratello del procuratore di Sacramento, ergo siamo tutti alla mercè di questi potentissimi assegna-casi. A volte mi sembra di stare in un catalogo di poliziotti, della serie “Scegli il team che preferisci per trovare il colpevole dell’omicidio più vicino a te!”. E magari c’è pure un servizio di televoto.

Sto divagando troppo. Doccia e letto. Sono in piedi dalle 5 di stamattina, ho bisogno di dormire un po’! Apro il rubinetto della doccia e … non esce altro che acqua calda. Jeez. Qualcuno mi sta maledicendo. Mi lavo lo stesso e, mentre chiudo il rubinetto e sto per uscire dalla doccia, mi sento la testa più … leggera. Mi guardo allo specchio: tutto normale. Ma mi gira la testa. Faccio in tempo a infilare mutande e jersey-della-trasferta e mi manca il pavimento sotto i piedi. Mi siedo sul letto, ma non mi sento meglio. E mi fischiano le orecchie. Sto iniziando a perdere conoscenza, ho bisogno di aiuto, non voglio perdere i sensi in una stanza d’albergo, troppo squallido anche per me! La stanza di Jane è accanto alla mia … mi secca ammetterlo, ma ora ho bisogno di lui. Fuck me.

Mi sforzo di rimanere cosciente, mentre tutto intorno a me diventa sempre più ovattato e inconsistente. Una  stanchezza incredibile mi assale, gli occhi si chiudono da soli. Crap. Esco dalla stanza, mi appoggio con le mani al muro e così riesco a fare quei quattro passi che mi separano dalla porta della stanza accanto. Busso una, due, tre, mille volte, non riesco più nemmeno a capire se sto bussando davvero o se sta accadendo tutto in un’altra dimensione. Non riesco più a mantenere il controllo.

Odio svenire.

Bussano? Mi alzo dalla poltroncina e mi asciugo il sudore dalla fronte. Fa davvero caldo, è quasi insopportabile persino per me, che ormai non provo più niente di umano. Mi trasformo ogni giorno di più in una bestia, non aspetto altro che quel giorno. Arriverà, lo so. Non aspetto altro. Anche Hypnos ha capito che non sono più umano, visto che mi fa visita sempre più raramente. Sto per spingere la maniglia, con tutta la calma del mondo, quando sento un tonfo, come di qualcosa che cade a terra. O qualcuno.
“Lisbon!Lisbon!”
Teresa con il suo jersey preferito accasciata sull’uscio della porta. Ma che cazz…? Non è ferita, non sanguina ma ha perso conoscenza. La schiaffeggio per farla rinvenire.
“Jan…”-La sua voce è un soffio. Apre gli occhi pieni di lacrime, le tengo la mano. Trema, ma si è ripresa. L’aiuto a rialzarsi e la poso sul letto, sistemandole un paio di cuscini dietro la testa e tenedole le gambe alzate. Non sono un esperto di pronto soccorso, ma ricordo che a mia moglie ogni tanto capitava di svenire, quando era incinta di Charlotte e il medico mi diceva sempre di fare di tutto per tenerla sveglia e di alzarle le gambe. Mi sembra davvero un’altra vita.
“Jane … gimme a bag”
“A what? …
Ah, all right, all right.” Sul comodino c’è la busta che conteneva due mele, la mia cena. Gliela porgo e lei ci vomita dentro mentre le tengo la fronte. Si ferma un attimo, riprende fiato, un altro conato la prende.
“Done?”
“Yeah …”

Poggia la testa sul cuscino, mentre poso la busta di carta a terra. La osservo mentre riprende il controllo. Quanto le sarà costato venire a chiedere aiuto a me? Dopo qualche minuto, stacca la testa dal cuscino e si siede. Io sono accanto a lei e le passo una mano sulla fronte. Non ha la febbre.
“What was that?”
“I’m so sorry, Jane … lack of vitamins and … stress, I think.”
“First time?” Incurva leggermente le labbra, in un timido sorriso.
“I wish it was.”

Distolgo lo sguardo per un attimo. É come se mi sentissi svuotato, ora che so che non corre alcun pericolo. Vuoto. Almeno sono tornato alla normalità. Si accorge che non sono più così preoccupato per lei e mi  rivolge uno sguardo interrogativo. Adesso sembra lei  quella preoccupata. Buffo e assurdo allo stesso tempo.
“Tired?”
“Yeah … Uh, I’m sorry. I shall go back to my room. I’m sorry, I was …”
“I know.”
Era spaventata all’idea di riprendere conoscenza da sola.

“I think I’ll go now.”
“Stay. Sleep here.” Mi guarda stupita e anche un po’ terrorizzata. Riesco quasi a vedere le parole che sta pensando: CBI, colleghi, relazione, sospensione, carriera distrutta.
“What?” È come se non ci volesse credere. Non capisce che non voglio sedurla. Mi scappa un sorriso, perché mi sembra di essere tornato ai nostri primi anni insieme, dove tutto si riduceva al flirt innocente e alla mia maschera perfetta. È tutto così diverso, ora.
“I’ll stay on the sofa. Besides
, you know I have no sleep at night.”
“Are you sure?”
“I’ll sleep tomorrow, while you’ll be driving.”
Mi sorride teneramente.

“Thank you.” Lei cerca il mio sguardo, ma io sono già lontano. Rimane un attimo ferma, poi si alza, va in bagno e chiude la porta. Sento il rumore dell’acqua che scorre e mi accomodo sulla poltroncina, riprendendo il libro da dove lo avevo lasciato. Lei esce, dopo un po’, e ci scambiamo uno sguardo a metà tra il divertito e l’imbarazzato. Teresa mi sfiora un braccio.

“Good night, Patrick.”

Aspetto che si addormenti prima di continuare a leggere. La poltroncina è accanto alla finestra che tengo spalancata. C’è una luna bellissima stasera. Illumina alla perfezione le parole di Blake.

Tyger, tyger, burning bright …

 

 

 

 

  
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