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Autore: Sion    16/10/2011    2 recensioni
Le dita di Leo cercarono quelle dell’altro, le incontrarono, e le strinsero in modo quasi convulso, e sentì tante sensazioni, emozioni, tutte insieme, e si chiese se sarebbero state quelle, in realtà, ad ucciderlo, tutte quelle cose, nel cuore, che non poteva controllare.
«Forse».
( SPOILER! slight elliot/leo )
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Elliot Nightray
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Wishes and prayers.
Serie: Pandora Hearts.
Rating: Verde.
WARNINGS: OH SO MUCH SPOILER I COULD DIE! Slight ElliotxLeo onesided, slash.
Credits: Storia partecipante al OneHundredPromptsProject; prompt 88: Desiderio.
Pandora Hearts appartiene a Jun Mochizuki; non è intesa violazione di copyright.
Note:
A volte ritornano. Non ho granché da dire, a parte che è un po' fail e ci stavo lavorando da qualche settimana - in realtà dall'uscita dell'ultimo capitolo. Tutto ciò che è oltre il Pandoraverse me lo sono inventato - inoltre ho qualche dubbio sull'esistenza della Bibbia in quel contesto, ma ho voluto inserirla lo stesso. Beh, buona lettura.
A.



Ad Angelica.

Wishes and Prayers

Non aveva fatto tanto male, dopotutto. Di sicuro c’era chi aveva subìto di peggio. La cosa che gli faceva male di più era la testa, come un trapano che premesse dritto contro il cranio. Gli occhi chiusi forte, a tener fuori il mondo. Ma era ancora al mondo? Non ne era completamente certo. Qualcosa gli suggeriva che non era precisamente di là, ma neanche di qua. Non era da nessuna parte, e questo lo confondeva.
«Elliot ti avrebbe già picchiato da un pezzo se ti avesse visto così».
Se l’era detto centinaia di volte, sottovoce, il viso affondato tra le mani, il respiro corto e le guance prive di colore, ma non aveva mai preso realmente coscienza di ciò che diceva. Sapeva benissimo che Elliot non avrebbe mai voluto vederlo in questo stato penoso, ridicolo. Una vergogna.
Adesso che le percezioni si facevano più acute, sentiva un dolore lieve e persistente alla guancia destra, dove Oz l’aveva colpito. Un pugno secco, in pieno volto. Era stata una bella scossa. Forse, sentirlo dire da un’altra persona, sentirlo ad alta voce, gli aveva schiarito le idee.
Peccato che non potesse dirgli grazie.
Quando aprì gli occhi, due secondi o un’eternità dopo, non vide nulla. Assolutamente nulla. Per un momento pensò di essere diventato cieco, poi si rese conto che tutto ciò che lo circondava era uno spesso manto di oscurità. D’istinto cercò accanto a sé gli occhiali — quelle sottilissime lenti che non gli servivano a nulla — ma si ricordò di non averli indossati. Non li indossava da quella sera.
Spostò la mano verso il petto, sentendo sotto le dita la sensazione calda ed umida del sangue e il tessuto ruvido a sfregare contro i polpastrelli. Provava un forte fastidio, come di una puntura, ma non soffriva come avrebbe dovuto.
«Qui niente fa davvero male».
Se a congelarlo fu la voce in sé o il fatto che fosse talmente familiare da fargli immaginare due sopracciglia inarcate con ovvietà e due occhi azzurri — tanto azzurri da ferire lo sguardo — non seppe distinguerlo. Si pietrificò, rendendosi conto di essere disteso su un pavimento duro e freddo. Sbarrò gli occhi nel buio, cercando di vedere qualcosa, le mani improvvisamente scosse da un forte tremore. Sentì le gambe appesantirsi ed il respiro divenire sincopato.
«Non vedrai niente finché non vorrai vedere qualcosa. È strano qui, se prendi in giro i desideri ti si ritorcono contro».
«Elliot?»
Un debole lucore si accese alla sua destra, ad un paio di metri da lui, o così suppose, visto che non riusciva ad avere una chiara idea dello spazio, senza alcun punto di riferimento. Aguzzò la vista, intuendo una figura slanciata, con in mano quella che sembrava una vecchia lampada ad olio. Da pesanti e ferme, sentì le gambe farsi molli. Si rese conto di avere gli occhi umidi, cosa che non aiutava a vedere in quel nero denso e scuro, appena schiarito dalla luce slavata della lampada.
Quando il leggero fascio di luce colpì il viso della figura vide un’espressione corrucciata, un paio di labbra strette in un’unica linea bianca, arruffati capelli chiari, e quegli occhi che l’avevano sempre fatto sentire sporco, per il modo in cui erano limpidi.
«Leo».
Sentire di nuovo il proprio nome detto da Elliot, seppure con quel tono grave, di rimprovero, gli provocò emozioni contrastanti. Da una parte c’era un’ondata di pura nostalgia, una sensazione di vuoto al centro del petto, perché quelle tre semplici lettere assumevano un suono ed una cadenza diversa, quando uscivano dalla bocca di Elliot. Dall’altra c’era la vergogna, il non riuscire ad alzare lo sguardo verso il suo, il desiderio convulso di sprofondare nell’Inferno, o nell’Abisso — ormai non sapeva più tracciare un confine tra le due cose — e poi c’era la voglia intensa e dolorosa di toccarlo, di sentire la stoffa morbida dei suoi vestiti tra le dita, di percepire di nuovo l’odore di pulito e sapone che impregnava la pelle e i capelli di quello che era stato — e che lui, nonostante sentisse di non meritarlo, continuava a considerare — il suo padrone.
Aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono. Avvertiva chiaramente il cuore pulsare nella cassa toracica, tanto forte che temette di sentire le costole incrinarsi.
«Leo», ripeté, più forte, e con la coda dell’occhio Leo lo vide compiere un passo verso di lui. Non aveva neanche la forza di voltare il capo verso di lui. Si sentì emettere un singulto, quasi si trovasse al di fuori di sé, e guardandosi, le labbra storte nel tentativo di impedirgli di curvarsi pateticamente all’ingiù, gli occhi spalancati e pieni di lacrime trattenute senza successo, immaginò che doveva avere un’aria molto stupida, visto che con ogni probabilità assomigliava ad un bambino cui è stato appena dato uno schiaffo.
Emise un altro singulto, e avvertì le lacrime trattenute alle parole di Oz scivolargli dagli angoli degli occhi e finirgli tra i capelli scarmigliati.
Elliot emise un sospiro e camminò con lentezza sino a sovrastare Leo, che, a quel punto, iniziò a piangere, tirando fuori le lacrime che aveva ingoiato dal giorno in cui Vincent gli aveva tagliato i capelli e aveva posato gli occhiali sul comodino della fastosa stanza in cui il suo ‘servitore’ lo aveva sistemato. Pianse con vergogna, disteso sul pavimento di pietra di quel posto che non riusciva e non voleva identificare, con la paura di essere morto, con il terrore che Elliot, adesso, gli avrebbe mollato un pugno e gli avrebbe detto che gli faceva schifo, pianse coi pugni chiusi e gli occhi serrati, pianse senza trattenere i singhiozzi, pianse tanto forte che per controllare il tremore si voltò sul fianco e si strinse le ginocchia al petto, chiedendosi il motivo, il reale motivo di tutta quella crudeltà, chiedendosi se il suo volere contava davvero qualcosa, chiedendosi perché Elliot non se ne fosse ancora andato nel vederlo così, chiedendosi perché, dopo tutto quello che aveva urlato contro ad Oz sulla stupidità dell’autosacrificarsi avesse rigettato la sua catena, chiedendosi perché, sul pavimento polveroso della villa di Isla Yura, quello morto era stato il suo padrone, e non lui.
«Tirati su, cretino», inveì a quel punto Elliot, portandosi un pugno chiuso sul fianco.
Forse fu il ricordo di quegli ordini impartiti malamente, il ricordo della sua voce perentoria, il ricordo di quante volte gli aveva ripetuto quella frase nel vederlo disteso per terra con un libro in mano, a dargli quel briciolo di forza che gli serviva per inginocchiarsi e poi tirarsi in piedi.
Si asciugò le lacrime con la manica del vestito — un vestito troppo lussuoso, troppo poco consono a lui che, prima di incontrare il suo padrone, vestiva di stracci — e si voltò di lato, sfuggendo lo sguardo di Elliot.
«Ora va meglio».
Il tono con cui lo disse fece spuntare un impercettibile sorriso ai lati della bocca di Leo, che trattenne un singulto e lo mutò in un lieve riso. Rimase immobile per diversi secondi, prima che la debole luce tenuta dall’altro divenisse vagamente più forte.
«Sai, questo è un posto davvero bizzarro. Se dovessi paragonarlo a qualcosa, sarebbe come la Cattedrale del Morto».
«Holy Knight, volume dieci, capitolo sette».
Elliot sorrise, e annuì.
«Almeno questo lo ricordi».
Leo assunse un’aria confusa, ma un vago peso gli si adagiò sullo stomaco e gli fece curvare le spalle verso il basso.
«Hai intenzione di stare lì impalato ancora per molto? Facciamo una passeggiata».
Come se, ad un muto ordine di Elliot, qualcuno avesse acceso delle torce, la sala s’illuminò. Leo guardò sconcertato le alte vetrate istoriate che gli si materializzavano accanto, le sottili colonne che svettavano verso le volte di quella che, vide, era proprio una cattedrale, ed era stranamente simile a quella descritta in ‘Holy Knight’. L’unica, grande navata si allungava verso un’abside decorato da una dettagliata vetrata istoriata del figliol prodigo. L’altare, privo di ornamenti, pareva fuori luogo dentro l’atmosfera quasi surreale della Cattedrale, senza fronzoli e quasi spartano.
Elliot mosse un passo verso il camminatoio tra le due file di banchi scuri, tenendo alto il lume nonostante fosse ormai superfluo.
«Spettacolare, non trovi? Ogni volta che ci torno si aggiunge un dettaglio».
Leo lo guardò senza capire, e prima che potesse esprimere la sua perplessità l’altro allungò un braccio verso la vetrata dell’abside.
«Quello non c’era, l’ultima volta».
«Oh».
«Un episodio significativo della Bibbia, vero?»
C’era un che di retorico nella domanda di Elliot, ma Leo non riuscì a percepirlo. I suoi sensi erano completamente obnubilati dallo sbigottimento e dalla sorpresa. Guardò il pavimento di pietra, le parole che avrebbe voluto dire incapaci di oltrepassare la soglia delle labbra.
Elliot continuò a camminare e non ebbe altra scelta se non seguirlo. Si sentiva piccolo, dentro quell’edificio così alto, e minuscolo accanto a lui. Notò che portava gli stessi abiti di quand’era morto, ma erano puliti e ordinati, e il suo volto, roseo e liscio, non portava segni di ferite o stanchezza. Aveva un aspetto migliore di quanto riuscisse a ricordare.
«Ricordi quella parabola? Me la raccontasti quando ti trovasti la Bibbia tra le mani». Elliot rise, e Leo non riusciva a trovare, nella sua mente, un suono più lieve e meraviglioso di quello. «Devo dire che non ho mai creduto all’esistenza di un Dio. Però non credevo neanche agli orrori dell’Abisso, per cui ho rimesso in discussione un po’ di cose».
«Ovvero?». si ritrovò a pronunciare quella domanda prima ancora che il pensiero gli avesse finito di attraversare la mente. Si chiese se non fosse troppo impudente, ma poi ripensò all’atteggiamento ribelle e incurante dei ranghi che teneva con Elliot, e si diede dello stupido per aver rimosso così in fretta le abitudini che aveva con lui.
«Continuo a credere che Dio non esista — altrimenti dovrei averci già fatto i conti, non credi? — ma sono consapevole degli orrori dell’Abisso e di ciò che si prova ad essere uccisi da una catena».
Se gli avesse lanciato un mattone in testa l’avrebbe stordito di meno.
«Inoltre, sono quasi assolutamente certo che ciò che sta accadendo lì... insomma, da voi, è pericoloso. Non porterà niente di buono».
L’aria colpevole che Leo assunse sembrò incitare Elliot a continuare.
«Non so cosa ti stia passando per la testa, ma non credo sia colpa tua. Credo non sia colpa di nessuno che non siano le circostanze», mormorò, quasi per correggere il tiro, e l’altro si stupì di quella strana dimostrazione di comprensione e tatto. Si chiese se la sua faccia fosse talmente sconvolta e dispiaciuta da indurre persino Elliot a pesare le parole.
Si accomodò in uno dei primi banchi, posò la lampada sul pavimento e guardò verso la vetrata. L’altro lo seguì, in soggezione di fronte al volto benevolo del padre che riaccoglieva il figlio nella propria casa. Non sono molto dissimile da quel ragazzo, si disse. Sto tornando nella casa che avevo rinnegato. E non era la memoria di lui che aveva rinnegato, quello mai; aveva rimosso in blocco, però, tutto ciò che lo aveva riguardato, oggetti, persone, persino libri, e si era circondato di oggetti e persone e libri che non potevano ricordarglielo, per attenuare almeno un po’ il dolore, nonostante, appena chiudesse gli occhi, vedesse il viso sorridente, nitido e luminoso, di Elliot.  
«Però... non voglio che tu diventi qualcosa che non sei, Leo. Ti stai logorando».
Le dita lunghe, da pianista, si contrassero sui pantaloni scuri.
«Tu vuoi punirti».
Il respiro si mozzò, e percepì tutte le figure snelle rappresentate nelle vetrate tendersi verso di lui con espressioni d’accusa.
«Io non voglio che tu lo faccia. Potrai pensare che sia incoerente, ma non credo che sia stata colpa tua».
«Stai zitto». La voce gli uscì dalla gola raschiante, strozzata, come se avesse ingoiato qualcosa di molto amaro. «Stai zitto. Tu non sai come ci si sente ad essere consapevoli di dover essere la causa della morte di una persona amata».
Prima che potesse rendersene conto, le mani di Elliot gli stringevano il bavero della giacca e lo attiravano a pochi centimetri dal suo volto. Illuminato dal basso, distorto nella rabbia che, evidentemente, non l’aveva abbandonato nella morte, il suo viso gli parve una maschera spaventosa. Non si ritrasse, ma ebbe difficoltà a mantenere un’espressione neutra.
«Io non so come ci si sente?» Respiro, presa che si strinse, ira trattenuta a stento. «Ho ucciso i miei fratelli. Ho ucciso la mia stessa madre. Sono stato messo a parte di un segreto che mi ha terrorizzato. Io non so come ci si sente
Leo si diede nuovamente dello stupido, e lottò contro l’istinto di abbassare gli occhi. Rimase a fissarlo, senza pudore.
«E non ho neanche avuto la possibilità di dir loro che li amavo. Non ho neanche potuto cercare di rimediare».
Negli occhi di Elliot comparvero nostalgia e rimorso.
«In questo mare siamo sulla stessa barca, Leo. Lo sai meglio di me».
Con la stessa rapidità con cui era venuta, l’ira scomparve. Elliot lasciò il bavero della sua giacca e Leo si lasciò cadere contro lo schienale della panca, senza fiato.
«Ricordi bene questa Cattedrale, giusto?»
Leo annuì, senza guardarlo.
«Non me ne stupisco. Era il tuo volume preferito, dopotutto». Fece una pausa, inclinò il capo. «Eppure... pur ricordando qualcosa di così futile, hai dimenticato una cosa molto più importante: il confine tra il giusto e lo sbagliato». Altra pausa, più lunga. «Suppongo che non ci sia un ‘giusto’ ed uno ‘sbagliato’. Ma uccidere delle persone, per quanto alta sia la causa...»
Le spalle di Leo s’irrigidirono.
«Quello è sbagliato, Leo».
«Sono qui perché tu mi faccia la paternale?»
Elliot parve colpito da quella risposta scorbutica, e rimase interdetto per qualche secondo. Poi rise, sinceramente sconcertato.
«Pensi che ti stia facendo la paternale? Sto cercando di aiutarti».
Gli occhi di Leo si sgranarono e si ritrovò a fissarsi le mani, incapace di articolare una frase. Avrebbe dovuto essere grato, pensò, che Elliot gli stesse parlando nuovamente. Avrebbe dovuto essere grato che fosse lì. Poi si ricordo che ‘lì’ era qualcosa di molto vicino alla morte e si sentì infinitamente spaventato.
«Mi dispiace. Non volevo».
«Sì che volevi. Almeno un po’ del Leo che conoscevo è rimasto, se non altro».
«Ti ho deluso?»
Elliot sospirò e giocherellò con l’orlo della manica destra, guardando il vuoto. Dal canto suo, Leo si rese conto di essere terrorizzato da quella che poteva essere la risposta. Il suo padrone era stato, e continuava ad essere, l’unica persona che avesse amato più di ogni altra cosa, l’unica cosa vera della sua esistenza, e il senso di vuoto che provava adesso poteva essere alleviato da quella risposta, dalla consapevolezza di non aver deluso le aspettative — ammesso che Elliot ne avesse — nei suoi confronti,  o poteva distruggerlo definitivamente.
«Immagino di sì».
Come se fosse stato colpito in pieno petto, Leo boccheggiò, ma l’altro non gli diede il tempo di cadere a pezzi.
«Ma immagino anche che tu non abbia potuto fare altro. Non mi piace pensare al ‘non avere scelta’, ma credo che in questo caso sia l’unica attenuante cui tu possa aggrapparti».
«Perché sei ancora qui?»
Ancora una volta, Elliot rimase interdetto.
«Vuoi che me ne vada?»
L’altro scosse piano il capo, guardò l’altare e dopo un lunghissimo istante gli rispose.
«No. Assolutamente no. Solo... come riesci a starmi vicino dopo quello che ti ho fatto?»
La luce della lanterna tremolò, e le ultime fiaccole sul fondo della Cattedrale si spensero. Leo percepì un brivido di freddo, ma non volse lo sguardo.
«Tu non mi hai fatto nulla. Se credi di avermi ucciso, ti sbagli. Io mi sono ucciso. E, per quanto questo possa aver aiutato, per quanto non avessi molte alternative, per me rimane una vergogna».
Rimase in silenzio per diversi secondi, continuando a guardare l’altare spigoloso.
«Non ti do alcuna colpa. E, se questo può farti sentire meglio, ti perdono per... tutto».
Leo sentì la gola bruciare e il respiro rimanergli impigliato nei polmoni, senza riuscire a oltrepassarli.
«Se è questo quello che hai bisogno di sentirti dire per smetterla di distruggerti, ti perdono».
Una seconda fila di fiaccole si spense, e stavolta Leo non poté trattenere un fremito di paura. Guardò Elliot, calmo e rilassato come, in vita, non era mai stato.
«Io non voglio che tu mi perdoni. Io voglio che tu torni indietro».
Diede voce a quel desiderio che gli premeva nel cervello e un po’ più in basso, al centro del petto, dal momento in cui aveva visto il cadavere di Elliot. È morto. Non è assurdo? Voleva davvero che tornasse indietro. Voleva potersi alzare al mattino e guardarlo sistemarsi la giacca con imprecazioni colorite perché era stropicciata, voleva poter ridere con lui — con lui, non di lui, ed ebbe paura che, in tutto quel tempo, Elliot non avesse mai capito che ogni risata era con lui, e non per lui — voleva tante cose e, pensò, non ne meritava nessuna.
«I morti non tornano indietro, Leo. Dovresti averlo capito». Non c’era rimprovero, nel tono, c’era un affetto sfumato da quella che, seppur confusa, gli apparve come malinconia. Gli riempì il cuore di una tale tristezza che sentì il sangue defluire dalle guance e lo stomaco contrarsi dolorosamente.
«E io? Tornerò indietro, io?»
Non seppe dire se quella domanda fosse riferita all’immediato futuro o ad una prospettiva più lontana. Non seppe dire se si riferisse al suo ritorno indietro, o al suo ritorno ad un’esistenza di nicchia, lontana dai lussi e dalle responsabilità, lontano da quel caos e da quell’aria che puzzava di morte e ricordi non suoi. I suoi ricordi, i migliori, non sarebbero più tornati; appartenevano ad Elliot, e con lui se n’erano andati.
«Non lo so».
Altre fiaccole si spensero lentamente. La luce mutò in una penombra rischiarata solo dalla luce proveniente dalle candele dell’abside, e il disegno della vetrata era divenuto indistinguibile. Il cuore gli batté più forte, i muscoli gli s’irrigidirono.
«Questo posto, ti ho detto, è strano. Non puoi prenderlo in giro. Trova i tuoi desideri. E, qualche volta, li avvera. Forse, se puoi tornare indietro, e lo desideri con forza, potrai farlo. Non so come vadano queste cose, ma sono abbastanza sicuro che andrà così».
Leo pensò che il suo desiderio più bruciante era Elliot vivo e se stesso al suo fianco, ma non avrebbe potuto esaudirlo nessuno.
«Devi stare attento a ciò che desideri».
«Tu cosa desideri?»
L’ultima fila di fiaccole si spense, e l’unica luce tornò ad essere il fioco lucore della lampada ad olio che Elliot aveva posato sul pavimento di pietra.
Vi fu un lungo momento di silenzio, in cui Leo cercò di distinguere chiaramente i lineamenti di Elliot, e vi indovinò un sorriso.
«Desidero davvero tanto tornare a suonare. Per quanto m’impegni, non riesco a trovare un pianoforte. Forse non lo desidero abbastanza».
Le dita di Leo cercarono quelle dell’altro, le incontrarono, e le strinsero in modo quasi convulso, e sentì tante sensazioni, emozioni, tutte insieme, e si chiese se sarebbero state quelle, in realtà, ad ucciderlo, tutte quelle cose, nel cuore, che non poteva controllare.
«Forse».
Chiuse gli occhi, cacciò indietro le lacrime, e desiderò con tutta la forza che aveva di non morire, desiderò di poter rendere onore alla memoria di Elliot e cercare, con tutto se stesso, di non cadere a pezzi, perché, pensò, quella sarebbe stata l’ultima opportunità che aveva di tenerlo vicino.
E, piano, avvertì quel luogo allontanarsi.


Fin
  
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