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Autore: Legar    16/10/2011    4 recensioni
Albus Silente avanzò a passo cadenzato verso l’occupante della cella, che alzò gli occhi e li rivolse verso i suoi. Nei suoi occhiali si rifletteva la stanza buia, spoglia di qualsiasi arredamento, eccetto una panca ed uno scomodo letto.
[Seconda classificata al contest "La mia storia meritava di meglio!" indetto da MmeBovary sul forum di EFP.]
[Sesta classificata al contest "Only Slash" indetto da Only_Me sul forum di EFP, giudicato da Joey Potter.]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nickname: Legar (su EFP); _Zukkerina_ (sul forum)
Titolo: Il tempo in una stanza
Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Pairing: 2. Albus/Gellert
Genere: Malinconico, Sentimentale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Slash, One-shot
Introduzione: Albus Silente avanzò a passo cadenzato verso l’occupante della cella, che alzò gli occhi e li rivolse verso i suoi. Nei suoi occhiali si rifletteva la stanza buia, spoglia di qualsiasi arredamento, eccetto una panca ed uno scomodo letto.
Citazione/i inserita/e, prompt scelti: mantello – occhiali

restiamo qui abbandonati, come se non ci fosse più niente, più niente al mondo.
[…]
amore … che non ci fa morire mai, ci tiene uniti nel tempo
Il cielo in una stanza, Giorgia

Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore

I ragazzi che si amano, Jacques Prévert
(le citazioni sono state tagliate e/o adattate al testo)
NdA: Il titolo è una rivisitazione di quello della canzone da cui ho tratto alcuni versi che ho inserito nella ff.
Poi, non credo sia possibile far visita ai prigionieri –né tantomeno far loro visita in cella-, anche se non conosciamo perfettamente le regole delle prigioni nel Mondo della Magia. Ad ogni modo, io immagino che Albus Silente abbia sfruttato l’ “importanza” del suo nome, per ottenere il favore.
Credo sia facilmente comprensibile, ma lo specifico comunque. I ricordi in corsivo di Albus non seguono un ordine cronologico, anzi sono abbastanza confusi da questo punto di vista: mi piace pensare che sia dovuto alla confusione derivante dal rivedere dopo tanto tempo il suo amore di gioventù.
Detto ciò, buona lettura!



Il tempo in una stanza

Lo spiffero di vento prodotto dalla porta che si chiudeva fece cadere il mantello ai suoi piedi, il lieve fruscio del tessuto sul duro pavimento di pietra di una cella isolata dal mondo.
Albus Silente avanzò a passo cadenzato verso l’occupante della cella, che alzò gli occhi e li rivolse verso i suoi. Nei suoi occhiali si rifletteva la stanza buia, spoglia di qualsiasi arredamento, eccetto una panca ed uno scomodo letto.
«Albus.» una voce stanca risuonò tra i muri. Silente si avvicinò alla panca su cui era costretto a vivere Gellert.

Per colpa sua.

Per i suoi crimini.

«Quanto tempo… pensavo ti fossi dimenticato di me. Avrei creduto di morire senza vederti un’ultima volta.» la voce di Gellert, all’inizio falsamente dolce, assunse un tono più grave e mise a tacere i sensi di colpa del preside di Hogwarts.
«Il nostro passato comune, il nostro amore
non ci fa morire mai, ci tiene uniti nel tempo. Come avrei potuto dimenticare l’amore, unica giustificazione delle nostre sconsiderate azioni?»
«Risparmia l’interpretazione delle tue frasi criptiche per gli studenti della tua scuola. So che parlare così ti serve per nascondere i tuoi reali pensieri e sentimenti, ma con me non ne hai bisogno; ti conosco troppo bene.»
«E’ perché tu hai conosciuto il vero me stesso, e l’hai fatto tuo. Senza chiedere, senza alcuna alternativa.» le parole di Albus erano intrise di antico dolore e sentimento.
«E te ne sei pentito?», chiese Gellert mentre il suo tono riacquistava la sua umanità, assopita dalla lunga prigionia.
L’uomo non ebbe bisogno di riflettere. «Mai.»

«Perché sei qui Albus?»
Stavolta il tono del preside apparve quasi perso, lui che si premurava di apparire sempre con il totale controllo della situazione. Ma con Gellert non aveva bisogno di fingere, lo conosceva troppo bene. «Non lo so. Nostalgia, rimpianto, chi può saperlo?»

Chi poteva sapere che i due ragazzi che si amavano alla luce soffusa di candele, uniche testimoni di attimi di affetto rubati, sarebbero diventati quello che il mondo magico conosceva?
Chi avrebbe potuto insegnare loro la potenza dei sentimenti? Solo il tempo.

Il tempo passava, inesorabile, mentre Albus e Gellert riscoprivano la complicità dei loro occhi che si incrociavano, in un antico gioco di sguardi che ritrovava il suo sapore di sensualità nascosta.

Nascosti, scoprivano l’anelato piacere dello stare insieme, senza riserve, senza ripensamenti, nell’abbagliante splendore della loro gioventù. Il sentimento che li univa costituiva il mantello che li riparava dalle intemperie del mondo esterno all’angolo di beatitudine – quell’universo personale che si trovava altrove, molto più lontano della notte, molto più in alto del giorno, nell'abbagliante splendore del loro primo amore – in cui vivevano, spensierati.

«Vivere qui deve essere terribile.» commentò Albus in un pessimo tentativo di stabilire una conversazione normale, per quanto normale poteva essere per loro due, che avevano condiviso una vita, ormai passata e sepolta solo nei loro più dolci ricordi.
«Non mi risulta che tu ci abbia pensato quando, sconfittomi, hai permesso che mi catturassero.» la voce di Gellert non recava tracce di risentimento, non più, dato che il tempo lo aveva affievolito e infine coperto dei caldi riflessi di un amore impossibile da dimenticare.

Sugli occhiali di Albus, abbandonati sul freddo pavimento, si riflettevano le fiamme accese nel camino, davanti alle quali Albus e Gellert sfioravano, toccavano, accarezzavano l’uno il corpo dell’altro, abbracciati su un mantello poggiato a terra a mo’ di lenzuolo, per evitare il contatto con la gelida pietra.

Pietre scagliate contro peccatori avrebbero fatto meno male degli attimi trascorsi in quell’oscura cella, dove l’accusa e il senso di colpa aleggiavano in una coltre invalicabile di sentimenti.
Emozioni ormai dimenticate ritornavano con prepotenza, con l’arroganza della forza del primo – e unico? – amore.
«Non posso dirti che mi dispiace, Gellert. Tu avevi commesso dei crimini atroci.»

Quando Albus non conosceva ancora la malvagità dell’amico, cercare di separarlo da lui equivaleva a un crimine commesso con le più cattive intenzioni.
Non stavano mai separati, non ci riuscivano: progettavano il loro folle futuro basandolo sul potere, sull’aspirazione al bene superiore; ogni giorno si amavano senza remore, come se non potessero fare altrimenti.

Incoscienti, stavano insieme, senza riflettere sulla potenza dei loro sentimenti.
«In questi ultimi anni ho riflettuto tanto, sai? Ho capito che tutto ciò che ho fatto era per la mia sete di potere. Il bene superiore era solo la scusa che usavo per giustificare le mie azioni con me stesso, ma soprattutto con te. Tu eri buono, Albus, eppure io avevo troppo bisogno di te per rischiare di perderti.»

Albus aveva ormai perso i suoi vestiti. Il suo corpo poggiato sulla morbida stoffa del mantello, riceveva le carezze di Gellert senza pudore, felice di poter dimenticare l’inutilità della sua vita, che aveva soffocato le sue lodevoli capacità magiche sotto il pesante mantello delle responsabilità familiari.

Restavano lì, abbandonati, come se non ci fosse più niente, più niente al mondo, niente a cui valesse la pena dedicare tempo, niente di cui curarsi, eccetto loro stessi, il loro amore e le loro aspirazioni.

Insieme, si amavano, mentre gemiti di piacere e urla soffocate riempivano il loro anfratto di felicità.

Un urlo agghiacciante si diffuse nella prigione. Albus registrò la disperazione della reclusione, ma la ignorò volutamente. Riflettere su quel dolore equivaleva a pensare che anche Gellert l’avesse provato, e non poteva sopportarlo.
«Sei cambiato.» constatò il preside.
«Non sarei potuto rimanere per sempre l’inutile ragazzino pieno di folli e malate idee.»
«Non eri inutile, per niente.» Albus si sistemò sulla panca accanto al prigioniero.
«Non lo eri.» ripeté mentre la sua mano sfiorava una ruvida guancia di Gellert. Un contatto leggero, ma sufficiente per ricordare.
I ricordi sapevano di desiderio, libertà.

Richiesta, concessione.
Di due giovani che si amavano, semplicemente.
Gellert portò le sue labbra sulla bocca di Albus, incurante del fatto di essere in una cella, sorvegliato. Fu Albus a ricordarsene, e a questo attribuì la sua esitazione che portò il proprio volto ad allontanarsi inconsapevolmente dal suo. Nel suo profondo, però, sapeva che non tutto era finito, non poteva ancora abbandonare i rimorsi e i rimpianti che avevano popolato il suo passato e che popolavano il suo presente.
Restava ancora una, quella, domanda da fare.
«Gellert… chi ha ucciso Ariana?»
L’attimo di silenzio che ne seguì fu spezzato dall’arrivo della guardia.
«Il tempo che vi è stato concesso è finito.» annunciò.
Albus si alzò, sotto gli occhi colmi d’amore e di dolore di Gellert. Raccolse il mantello che era caduto – e di cui non si era curato, troppo preso dalla visione del prigioniero dopo tutto quel tempo in cui erano rimasti separati – e lo indossò per proteggersi dal freddo clima locale. Gli occhiali a mezzaluna non riuscirono a trattenere, ma cercarono di nascondere, una lacrima commossa che era scesa dai suoi occhi azzurri.
Non avrebbe più rivisto Gellert. Non avrebbe ricevuto la risposta che agognava dall’unico che poteva dargliela. Ma forse non era ancora pronto per conoscerla; forse non lo sarebbe stato mai.

Inforcati gli occhiali della verità, Albus vide ciò che era Gellert, ciò che lui non sarebbe stato mai. Per anni l’avrebbe ricordato come il giovane che l’aveva fatto innamorare, e come il mago oscuro che l’aveva confuso con le sue idee di grandezza.

Gellert sarebbe rimasto vivo nei suoi ricordi come un vecchio mago vinto dalla vita, pentito delle sue azioni crudeli, giustificate da idee altrettanto sbagliate.
Qualcuno come lui, qualcuno che restava in fin dei conti il suo unico, vero amore. Qualcuno che, seppur rinchiuso per sempre a Nurmengard, sarebbe rimasto con lui nei suoi pensieri, qualcuno che gli sarebbe stato fedele. Fino alla fine.

 




Grazie a tutti quelli che arriveranno a leggere fin qui!
Legar

   
 
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