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Autore: Maremmano    17/10/2011    0 recensioni
Riferita al primo capitolo: Questo lo scrissi quest'estate in un momento di grande sconforto, che purtroppo è una costante nella mia vita di diciannovenne incasinato. E' tutto inventato. Parla di un immaginario viaggio nel paesino della ragazza con cui avevo avuto una relazione a distanza, un viaggio effettuato a sua insaputa. Non ha quasi nessuna azione, è malinconico, stringato e ci sono un sacco di riflessioni. Frasi brevi e un percorso soprattutto mentale che porta il nostro protagonista, un mio alter ego stilizzato ed esagerato ad apprezzare la vita comunque. Bella o brutta che sia. Perchè è sempre la vita ed è ogni giorno nuova, diversa, e comunque degna di essere vissuta al meglio, in tutte le sue fasi, magari con qualche rimorso ma nessun rimpianto. Perchè il tempo è poco e non va buttato, e qualunque esperienza non fa buttare tempo, ne vale sempre la pena. Scritto velocemente in quattro ore, come da mia abitudine e ricorretto solo in qualche punto per mantenerlo più vero e immediato, spero sia un punto di partenza per racconti più avventurosi e complicati di questo semplice esercizio mio di stile
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Girò la chiave, spense il motore e uscì dall’auto. Una folata di venticello fresco lo costrinse a riaprire lo sportello della sua Opel Corsa e a cercare, sommerso sotto l’imponente strato di dischi rock sparpagliati, il giubbotto di pelle. Si agganciò velocemente il chiodo,chiuse la macchina e a passi svelti si mosse verso il bar dall’altra parte della strada, tastandosi le tasche dei jeans per cercare dove avesse messo esattamente il portafogli. Incredibile quanto fosse diversa l’aria in quella zona d’Italia rispetto a casa sua: ogni volta gli bastava un secondo per rendersene conto. L’altitudine dava al vento di quelle regioni una freschezza che nelle pianure maremmane era sconosciuta, se non volendosi arrampicare fino in vetta al Monte Amiata, sotto la croce. Il cielo era molto meno limpido che in Toscana, ma si era ancora ben lontani dallo smog delle grandi città della Lombardia: la sensazione era ancora quella di respirare un’aria di natura incontaminata, anche se ogni singola auto che passava si faceva sentire eccome nei suoi polmoni. Poi insomma la vicinanza del lago faceva sentire il suo influsso. Squillò il telefonino mentre entrava nel bar. Sì, mamma, tutto bene il viaggio, sto arrivando. Sì, tutto bene con i tedeschi. La casa vacanze è piaciuta e hanno pagato in anticipo. Sarò a Ponte di Legno tra due tre ore credo. Federico è già lì? Ok. No, mi sono fermato in un paesino qui a prendere un panino che è ora di pranzo. Ciao mamma, se aspetto che riattacchi te stiamo tutta la giornata qui. Ciao. A dopo.

Si rinfilò il cellulare in tasca sbuffando. No, mamma, non ti dico dove sono in realtà o mi prendi per deficiente. E poi in fondo nemmeno ho allungato la strada poi più di tanto. Prese un panino con la cotoletta, lo divorò in quattro morsi, si pagò una vaschetta piccola di gelato, stracciatella e crema, una bottiglia di birra, pagò tutto e uscì a finire il pasto sulla panchina di fronte all’entrata. Mentre beveva, si mise a ridere tra sé: il gelato con la birra? Mio Dio, ho i gusti alimentari di Homer Simpson. Nella panchina accanto alla sua due ragazzine sui sedici anni truccate e improfumate che mangiavano delicatamente le loro coppette cioccolato e crema e lo guardavano con aria inorridita. Ormai lui si divertiva: no ragazze, non sono esattamente il principe azzurro. Ho parcheggiato un quarto d’ora minuti fa qui davanti una macchina scassata di dieci anni fa ereditata da mio nonno, sono arrivato con il finestrino aperto, il braccio fuori e un disco metal a tutto volume. Ora sto mangiando insieme gelato e birra vestito con un chiodo, una maglietta degli AC/DC che spunta da sotto, un paio di jeans e scarpe da ginnastica. Inoltre ho 19 anni ma ne dimostro 35, merito del mio metro e ottantacinque e di questa barba. Quando l’ho fatta volevo assomigliare a un divo del rock, ma in realtà non so se sembro più Platone, Mangiafuoco, Hagrid, Garibaldi o Jovanotti. Sembro o un filosofo greco che si è dato al rock n’roll, o un pazzo uscito or ora da un manicomio. Anzi, sembro quasi quel cretino di Alan del film Una notte da leoni. Oh, sempre meglio che essere palloso come il principe azzurro bellino e precisino sul suo cavallo bianco. Mi viene in mente quando entrai al CERN a Ginevra in gita e usai di nascosto il loro supercomputer centrale per controllare i risultati delle partite della Serie B. O quando corsi nudo sulla spiaggia con Gabriele e Paolo per una scomessa. Ragazze, voi che fate le fighette guardate bene, non sarò George Clooney, ma con me il divertimento è sempre assicurato.

Scosse la testa. Stava pensando solo stupidaggini da dieci minuti. E un motivo c’era. Non ascoltare il suo cuore che batteva forte. Quello non era un paese qualsiasi della provincia di Lecco, non si era fermato lì per mangiarsi un gelato, bersi una birra e ripartire.

Le due ragazze si alzarono e le sentì distrattamente parlare in dialetto di un appuntamento mezzora più tardi in piazzetta. Anche lui si alzò. Dio mio quanto amava quel dialetto. Non capiva perché. Tutti lo definivano il peggiore di tutti, un latrato di cani, un rumore insopportabile. Lui invece appena lo sentiva parlare sentiva aria di casa. Pur essendo nato e vissuto in Maremma, 300 km più a sud di lì. Boh. Magari per via dei felicissimi quindici anni di vacanza consecutivi a Ponte di Legno, provincia di Brescia, Lombardia. O magari per i tormentati due mesi di telefonate giornaliere con una certa ragazza. Si mise le cuffie del suo iPod viola personalizzato alle orecchie, fece scivolare le mani in tasca, guardò allontanarsi le ragazzine e si mise in cerca di una via. Non una qualsiasi.

Non ci mise molto. Voleva solo vedere, non voleva farsi vedere. In un minuto aveva individuato la casa, ci era passato davanti, aveva lanciato una larga occhiata e si era allontanato dalla parte opposta a quella da dove era venuto. Carino, commentò mentalmente, decisamente carino. Ma casa mia è più bella, aggiunse tra sé con un sorriso.

Guardò l’orologio da polso, ormai era l’una era passata da qualche minuto. Era la seconda settimana di luglio, ma non c’era traccia di quel caldo afoso che era stato annunciato con tanta enfasi dal meteo dei telegiornali. L’ho messo il pigiama felpato in valigia? Sì, mi ricordo di averlo avuto tra le mani ieri sera.

Una relazione a distanza. Chissà cosa mi era passato per la mente. Una relazione a distanza, senza essersi nemmeno mai visti in faccia, con una ragazza della provincia di Lecco. Due mesi di telefonate interminabili, di chat su Facebook, di segreti condivisi, belli o brutti che fossero. Di complicità, di risate, di parole, di lunghi respiri alla cornetta, di sensazioni forti. Di due cuori che battevano insieme, anche di lontano. Che sapevano perdonare, ascoltare, divertirsi, esagerare, cibarsi l’uno dell’altro. Fino a quando uno dei due non è andato avanti per conto suo. Non il mio. Il tutto senza essersi mai visti in faccia. Cosa diavolo avevo in mente in quei giorni. Non lo capirò mai. Ero un cretino, un pazzo, un visionario, un sognatore, un romantico, un bambino. Non avrò mai la risposta. Ne sarà valsa la pena. Chissà. Di sicuro oggi eccomi qui. Solo e pensoso e con un look orrrendo. Il Petrarca barbuto maremmano dell’epoca di Internet.

Impostò una canzone veloce ed energica sull’iPod e continuò a passeggiare a grandi falcate, sempre in preda alla nostalgia, a qualche rimpianto e a molti dubbi. Dopo molti giri a vuoto era stanco. Se ne tornò al solito bar e si prese l’ennesima birra, che sorseggiò sulla solita panchina. Stessa storia, stesso posto, stesso bar, pensò sogghignando.

Ma sì, ridiamo. Stiamo su. E mica sono un vecchio, che penso solo ai ricordi. Certo che ne è valsa la pena. Ne vale sempre la pena quando provi emozioni così forti. L’amore assurdo, potente, che travolge, che prende e non si sa dove porta. Che non ti fa rendere conto dello scorrere del tempo, che ti fa chiedere perché mai tu vivessi prima e che ti fa raggiungere ogni obiettivo. Ritenere una voce al telefono come la tua unica ragione di vita. Poi il tradimento subito. La depressione più totale, il sentirsi come dentro un baratro dove si può solo cadere, cadere e continuare a cadere. Precipitare. Il voler solo piangere, il rifiutarsi di mangiare, l’ansia che opprime i polmoni, la difficoltà di respiro. Poi l’odio più profondo, la rabbia repressa che fa spaccare mobili e dare calci alle pareti. I ricatti, le offese, i pugni alle porte. Infine la riconciliazione, allo stesso tempo dolce e triste. Certo che ne è valsa la pena. La vita è fatta di emozioni. Si muore troppo presto per non sentire il bisogno di sentirsi vivi in qualche modo. E dannazione, se mi sono sentito vivo. Che gamma di emozioni forti. Una dietro l’altra. È andata come è andata, e non è certo solo colpa mia. Ma Cristo, credetemi, rifarei tutto quanto, ora e subito.

Si alzò, tastandosi in tasca alla ricerca delle chiavi della macchina. Il paese l’aveva visto. Carino, tutto sommato. Aveva sempre avuto dall’infanzia il desiderio di possedere una casa in un paesino come quello, vicino alla montagna, vicino al lago, in quella regione che a lui piaceva tanto. Chissà se dopo l’università sarebbe finito a lavorare al Nord o al Sud. No, al Sud no, per carità. Alzò gli occhi al cielo ripensando a tutti i litigi sul lungomare a Follonica con le baby gang di truzzi napoletani. Meglio Bergamo alta piuttosto. Meglio Bolzano. Meglio Ponte di Legno.

Sì, davvero, meglio Ponte di Legno. Tra due ore arrivo, mi faccio una bella doccia che puzzo di birra come un alcolizzato, aiuto mamma e Federico con la spesa, e poi chiamo le ragazze. Bell’idea quella di contattare tramite chat ragazze del luogo. Stasera tavolo prenotato in disco e domani festa di paese. Chiamaci appena siete pronti per uscire, qualcuna vi viene a prendere. Grande. Bella storia. Questa sì che è vita. Speriamo non mi facciano ballare. Ma mica è che non sono capace, sono il precursore di un nuovo stile ancora . Dovrebbero capirlo.

La risata gli si strozzò in gola. Aveva abbassato la testa per aprire la portiera ed andarsene da quel paese con troppi ricordi e molta malinconia. E si era trovato davanti una ruota squarciata. La bestemmia ad alta voce fu immediata e potente. Volete farmi arrivare alle undici di sera, a quanto pare.

Scusi, è successo qualcosa?

Una voce alle sue spalle. Di ragazza. Giovane. Un risolino. Si girò violentemente pronto a sbottare. Aveva sentito dei motorini arrivare nella piazzetta, ma era pronto a uccidere se qualche sbarbatello sullo scooter lo avesse preso in giro in un momento del genere. Guardò il gruppo di ragazzi da cui era arrivata la voce. Erano seduti sulle selle delle moto appena parcheggiate, a quanto pare in attesa di decidere una destinazione. C’era chi abbracciava le ragazze del gruppo, c’era chi urlava, c’era chi faceva partire le moto dei compagni, c’era chi nemmeno si era tolto il casco e aspettava. Individuò la provenienza della voce.

Non ci credo.

Il paese in cui si trovava. Quel motorino. Quel colore. Quel casco abbinato. Potevano dire solo una cosa. E avrebbe dovuto aspettarsela.

Quello sguardo sicuro, quell’espressione festante, quel fisico, quel ragazzo della moto accanto che la teneva abbracciata, perfino il colore del vestito. Tutto aveva una precisa corrispondenza. Dio mio, va bene tutto, ma questo no. Ora scoppia il casino, qui non devo farmi proprio vedere.

Si dette una calmata. Non l’avevano mai visto in faccia, sapevano a malapena che voce aveva al telefono, e quell’accento ce l’ha perlomeno tutta la Toscana da Massa fino a Talamone.

Sì, mi hanno bucato la macchina. E devo ripartire subito. In serata mi aspettano.

A rispondere fu l’ultimo maschio del gruppo da cui avrebbe voluto sentirsi rivolgere la parola.

Eh, caro, mi sa che dovrai aspettare. L’officina qui apre tra due ore. Se vuoi ti ci accompagno, o ti porto a casa del proprietario. Mi dispiace.

Per questa generosa offerta d’aiuto si guadagnò un sorriso, un bacio sulla bocca e un’occhiata amorevole da lei.

Grazie di cuore. Te ne sarei veramente molto grato. Se mi accompagni a casa del proprietario offro una birra a te e a tutto il gruppo. Comunque, sono obbligato a presentarmi, a quanto pare. Piacere, Francesco, come avrai capito non sono esattamente di queste parti. E, aggiunse tra sé, speriamo che ti bevi sto nome finto.

Oh beh, sì, l’avevo intuito. Toscana, vero?

Già, provincia di Grosseto, come vedi dalla targa. Se mai passi di lì e buchi, ti porto dal mio gommista di fiducia.

Lei intervenne. A lui si raggelò il sangue. Conosco uno in quella provincia.

Oh beh, te lo saluterò. Tanto vedrai siamo pochi lì, lo incontrerò sicuramente. E tra sé, oh beh, in fondo ci passo insieme tutti i giorni. Penso che stanotte dormiremo nello stesso letto.

Cosa ti porta da queste parti?

Beh, ragazzi, raggiungo la mia ragazza al lago. Sì, ho una gran bella ragazza in vacanza dall’altra sponda. Sto facendo il giro per raggiungerla, ora che ho finito sti esami. Sì, beh, lo so. Sembro più vecchio. No, facevo il liceo scientifico, ora perlomeno sono libero. Eh, non lo so come ho bucato, se scoprite chi è stato il teppista che mi ci ha messo un chiodo picchiatelo da parte mia. Quella sciarpa sul cruscotto? Beh, è della Fiorentina, ma non è mia, è di mio fratello. Io odio il calcio, seguo il basket. La Montepaschi Siena.

Accidenti, quante panzane. È proprio vero che a parole riuscirei ad incantare chiunque.

Il ragazzo lo caricò nel sedile posteriore del motorino, disse agli altri di aspettarlo lì. Lei li seguì con la sua Vespa a breve distanza, con un sorriso fino alle orecchie.

Lo scaricò di fronte alla casa del proprietario dell’officina. Chiese scusa per il disturbo, assicurò che avrebbe pagato il doppio per il cambio gomma fuori orario di lavoro e ringraziò ogni due parole che diceva.

Mentre il meccanico lavorava, tornarono al bar e offrì le famose birre a tutto il gruppo. Il portafogli a parte il denaro per le riparazioni era orma diventato desolatamente vuoto.

Il ragazzo sorrise e gli passò una mano sulla spalla. Non è la tua giornata, mi sa. E peccato che mi stai anche molto simpatico. Qualche giorno mentre sei in zona se hai voglia vieni con noi che ti portiamo in giro per feste.

No, guarda, fidati. Se solo tu mi conoscessi un pochino più a fondo non ti sarei poi così simpatico.

Perché, scusa?

Mah, non lo so, impressione mia.

Non è vero, sei un tipo a posto. Mi fai un sacco divertire. Hai un accento fico, anche alla mia ragazza piace tantissimo.

Beh, è chiaro, chi non starebbe ore e ore ad ascoltare l’accento toscano?

Ci sono tanti qui che vi considerano terroni, ma ti assicuro che per noi due non è così. Troverai un sacco di persone arroganti qui nei dintorni, ma noi non siamo affatto in quel modo.

Oh beh, vi ringrazio. Mi piacerebbe conoscervi meglio, davvero, ma è bene che ora vada. Mi ha mandato un sms quello dell’officina, ha già finito. In fondo era un lavoretto breve.

Ok, scusa se stavolta non ti accompagno. Ma è che eravamo d’accordo di andare al paese qui accanto e siamo già in ritardo con questa storia.

Non ti preoccupare, per me avete già fatto tantissimo.

Se hai bisogno di qualsiasi cosa ti lascio il mio numero.

Grazie mille. Ma non credo mi serva.

Si alzò velocemente, e la sua fu quasi una fuga verso l’officina. Mentre correva, lei lo fissò per un attimo. Forse stava guardando quel look che aveva spaventato le due ragazzine del bar, forse stava cercando di capire la marca delle scarpe, forse aveva capito qualcosa. Dopo un istante tornò a fissare il suo ragazzo. Lui si girò, e la osservò.

Quanto erano innamorati quei due. Una cosa assurda. La conosceva, lei aveva trovato finalmente la persona che faceva al caso suo, quella per cui sarebbe morta, quella per cui avrebbe lottato fino alla fine dei suoi giorni, per cui avrebbe sacrificato scuola, sogni, speranze e non le sarebbe pesato. Quella persona la faceva stare meglio di quanto non fosse mai riuscito lui in quei due mesi.

Tutto era nato con un tradimento, ma sapeva che lei adesso aveva raggiunto la felicità più totale. Era bastato guardarla negli occhi, quelli non mentono mai. Lo si capiva da come lo guardava, come per lei lui era una sicurezza, gentile ed educato, bello e sicuro di sé, divertente e sveglio.

Speranze di incontrarsi in un modo normale non ce n’erano più. Per come era finita quella storia era già tanto se era riuscita a vederla in questo modo assurdo.

Stavolta nemmeno fece partire nessun disco metal in macchina, buttò il chiodo nel sedile nel passeggero, girò la chiave, mise in moto, fece retromarcia e si rinserì nella circolazione.

Non capiva nemmeno come si sentiva. Un groppo al cuore, lacrime in viso e un sorriso in bocca. Guardò l’orologio e pensò che tre quattro ore dopo sarebbe stato in un tavolo di una disco, con un amico e tre ragazze. Avrebbe fatto lo spiritoso, avrebbe parlato per ore, finchè poi se tutto fosse andato per il verso giusto avrebbe iniziato a fare il romantico e avrebbe portato una di quelle a vedere la luna in macchina di fronte al suo albergo. Allora tutto questo sarebbe stato un ricordo, e sarebbe rincominciato il tran tran quotidiano di situazioni divertenti, assurde, emozionanti, strampalate. La sua specialità.

Ma in fondo anche quella lì, in quel piccolo paese era stata un’esperienza. Era stata un’emozione. E andava goduta fino in fondo, bella o brutta che fosse stata. 

  
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