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Autore: suzako    17/10/2011    5 recensioni
Questa non è una bella storia.E' la storia di un demone-bambino vecchio di millenni, e di una ragazza. Ed è importante che sappiate solo questo: Sakura Haruno era una bambina, e non fu colpa sua. Lui era un demone, e aveva fatto cose così terribili che non vennero mai raccontate, e lei non aveva mai neanche ucciso. Nonostante tutte le vite che andarono perse, tutto il dolore causato, ricordate questo. Ricordate che non fu colpa sua.
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno | Coppie: Naruto/Sakura
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Break
Trough
The Cracks
And Bring Me
Home.




 


I

 



La prima volta che Sakura vede Naruto Uzumaki è attraverso le sbarre di una prigione.
Lei ha sette anni, e nessuna idea di quale sia il suo nome. E’ solo per un istante, un lampo di capelli color grano che subito scompare, come non se non fosse mai stato lì.
 
<< Papà! Papà, l’hai visto? >>
 
Suo padre abbassa lo sguardo verso di lei, le sopracciglia corrucciate che formano una linea severa sulla fronte. La sua espressione, quando finalmente risponde, è seria e greve.
 
<< Di cosa stai parlando, bambina mia? >>
 
<< C’era qualcuno, là dentro >>
 
<< Non essere sciocca. Lo sai che non c’è nulla, là dentro. E’ solo una gabbia. >>
 
La afferra per una mano, staccandola dalle sbarre, e la porta via.
 
La Gabbia era una fortezza antica di mille e novecento anni, come aveva studiato a scuola, e questo la rendeva uno dei reperti storici più antichi di Konoha: ogni anno molti studiosi venivano ad esaminarla, cercando di comprenderne le origini.
 
La sua maestra a scuola aveva detto che si trattava di un antico tempio, costruito dalle prime tribù come tributo ai loro Dèi. Erano divinità vendicative e crudeli, e quelle antiche persone avevano creduto che la costruzione del tempio li avrebbe placati almeno per un po’. Poi era arrivata la guerra, una guerra terribile e lunghissima, talmente lunga che gli uomini avevano dovuto imparare a diventare silenziosi come ombre e uscire solo la notte per non farsi uccidere: così erano nati i ninja.
Questa era la Storia.
 
E poi c’erano le storie, quelle che si raccontavano i ragazzi, ed erano storie che agli adulti non venivano dette. Queste storie le conoscevano solo gli anziani e i bambini. Si diceva che il tempio non fosse affatto un tempio, ma una gabbia che migliaia di anni prima era stata costruita dagli ultimi maghi. Questi maghi vi avevano rinchiuso nove dèmoni, i più malvagi e terribili di tutti, ponendo così fine ai Tempi Oscuri. I maghi, che erano anch’essi nove e gli ultimi della loro specie, avevano usato tutta la loro magia, ed erano morti.
Ma i demoni vivevano ancora, e per questo la gabbia, che si estendeva per chilometri e chilometri attorno al Villaggio della Foglia, non era mai stata aperta.
 
Ino, la migliore amica di Sakura, diceva che ogni dieci anni un bambino veniva lasciato dentro la gabbia, come sacrificio umano, e che  tempo tre anni sarebbe toccato a lei perché aveva la fronte abbastanza spaziosa da nutrire un intero esercito di demoni.
 
Ino era molto sciocca.
 
 

*

 
 
All’età di dodici anni, Sakura era una bambina taciturna e silenziosa. Passava molto tempo da sola, a contare i fiori nel parco e guardare gli altri ragazzi giocare. Ma non aveva mai il coraggio di avvicinarsi, sicura che avrebbero riso di lei e dei suoi capelli rosso fragola, o peggio, l’avrebbero ignorata completamente.
 
Così si trovò un giorno, verso l’ora del crepuscolo, a camminare da sola lungo la Gabbia, lasciando scorrere la mano sulle sbarre di metallo e i pilastri di vecchissime pietre, scandendo un ritmo marziale con le dita.  Dum, dududum. Dum, dududum. Non aveva paura, perché era ancora giorno, e perché sapeva che suo padre sarebbe rimasto molto deluso se si fosse spaventata per delle semplici leggende. Sarebbe presto diventata una vera kunoichi della foglia, e aveva deciso di insegnarsi a non avere più paura.
 
Si fermò per raccogliere un ramo da terra, e qualcosa catturò la sua attenzione: il ramo era nero come la pece, completamente carbonizzato, eppure le foglie non si erano staccate, aggrappate testardamente e senza alcuna intenzione di lasciar andare, anche se il ramo era già morto.
 
Incominciò a giocare con il ramo, infilandolo e lasciandolo scorrere tra le fessure della gabbia, sempre con lo stesso ritmo. Dum. Dududum.
 
Dum
 
Camminava voltandosi spesso a guardare la profondità oscura della foresta, e come spesso le succedeva, ricordò quel giorno in cui da bambina aveva creduto di vedere qualcosa muoversi.
 
 Dum
 
Non l’aveva mai dimenticato, e per quanto ancora segretamente convinta di aver visto qualcunoquel giorno, sapeva anche che si trattava di una memoria d’infanzia, qualcosa che avrebbe naturalmente abbandonato una volta diventata, finalmente, adulta.
 
Dum
 
Era una cosa a cui pensava spesso, ogni volta che passava vicino alla gabbia, ogni volta che qualcuno ne parlava.
 
Dum.
 
Non c’era nulla di diverso o strano rispetto al solito. Quello che distinse completamente quel giorno da tutti gli altri che lo avevano preceduto, fu perché quello fu il giorno in cui vide Naruto per la seconda volta.
 
Il ramo le fu strappato bruscamente di mano, e Sakura si voltò di scatto, il cuore impazzito che le saltava nel petto, e per un attimo si sentì terrorizzata.
 
Quell’oscurità così lontana e fredda, sembrava ora pulsante e viva, e la guardava con occhio malevolo.
 
C’era qualcuno.
 
Sakura non si mosse. Istintivamente, fu per il terrore: un istinto primordiale che rende immobili gli animali di fronte al predatore. La parte razionale del suo cervello le suggerì che non c’era motivo di avere paura, che nulla poteva uscire dalla gabbia, che sarebbe stato sciocco indietreggiare.
 
Ma c’era qualcuno là dentro, e lei aveva ragione, e il suo cuore fece un altro balzo nel petto, e l’eccitazione invece di farla indietreggiare la fece avanzare di due passi.
 
Finalmente lo vide.
 
Ma era un demone? Un mostro terribile che aveva distrutto e ucciso interi villaggi e città, rinchiuso da un mago per la sua cattiveria millenni orsono?
 
Sembrava solo un bambino.
 
Il bambino aveva capelli biondo scuro, ma era difficile dirlo nell’oscurità. I suoi occhi brillavano, e anche il loro colore era indiscernibile. C’era qualcosa di selvaggio nel suo aspetto, nei graffi sul suo volto e la piega della sua bocca. Era vestito, ma aveva i piedi nudi. La guardava.
 
Dopo qualche secondo, quando fu chiaro che non si sarebbe mosso e non sarebbe scappato via, Sakura aprì la bocca e parlò:
 
<< Chi sei tu? >>
 
E sapeva che era stupido, che quello era un demone e non un essere umano come lei, e se ne stava lì rinchiuso dall’alba della ragione, e probabilmente non conosceva neanche la sua lingua, così pensò Sakura nella frazione di secondo prima di vedere il bambino portarsi una mano alla nuca quasi timidamentee rispondere.
 
<< Mi chiamo Naruto Uzumaki. Ma tu… tu cosasei? >>
 
Sakura, chiaramente prese alla sprovvista, inizialmente non seppe cosa rispondere,
 
<< Sono una kunoichi della foglia. Vivo qua, a Konohagure >>
 
Il bambino alzò il volto di scatto e i suoi occhi si spalancarono. Erano di un blu intenso.
 
<< Veramente? >>
 
Questa volta, Sakura rise.
 
<< Certo! Guarda >> puntò il dito contro lo stemma sulla sua fronte << Questo è il simbolo del nostro villaggio, tutti i ninja lo portano >>
 
<< Non ho mai visto niente del genere! Non posso credere sia vero, sei incredibile! >>
 
Parlava con crescente entusiasmo, mentre il suo sorriso si allargava sempre di più sul suo volto, mostrando un gran numero di denti bianchissimi. Sakura si sentì arrossire, perché nessuno le aveva mai detto niente del genere: non era incredibile, anzi, era parecchio normale. Sul punto di rivelarlo al ragazzo, sussultò quando con uno scatto a velocità inumana il demone balzò in avanti, afferrando le sbarre con mani troppo forti per essere quelle di un bambino e dalle unghie lunghe abbastanza da definirsi artigli.
 
Indietreggiò bruscamente, sorpresa da quell’improvvisa velocità. Il demone-bambino sembrò accorgersene.
 
<< Non volevo spaventarti >>
 
Sakura cercò di essere coraggiosa e spavalda, e sorrise, rassicurante. Subito Naruto rispose con un sorriso dieci volte più brillante, sporgendosi ancora di più, fino a infilare il volto tra le sbarre. E Sakura pensò in un attimo di terrore e se le spezzasse? Se riuscire a uscire?Ma poi recitò mentalmente le lezioni che aveva sentito così tante volte, ripetendo il numero di genjutsu e ninjutsu che proteggevano la Gabbia, e si sentì più tranquilla.
 
<< Mi hai solo sorpresa >>
 
<< Sai, non mi ero mai avventurato fin qui. Mio padre dice sempre che è pericoloso e che devo stare lontano dalle sbarre perché gli altripotrebbero cercare di ucciderci. Una freccia o uno shuriken può sempre passare d’altronde, non credi? >>
 
Suo padre? Il mostro aveva un padre?
 
Sakura annuì con tutta la serietà di un ninja della foglia.
 
<< Certamente. Anche se lo spazio ristretto renderebbe più difficile conciliare precisione e potenza di lancio. Ma un ninja esperto potrebbe farlo senza problemi >>
 
<< Tu vuoi uccidermi? >>
 
Qualsiasi traccia di umorismo era scomparsa dalla sua voce, che si era fatta completamente seria. Anche il suo volto, abbastanza vicino da essere una minaccia, era diventato di pietra.
 
<< Non lo farei mai! Perché dovrei? >> rispose immediatamente, per qualche motivo sconvolta alla sola idea. Naruto, quel bambino sorridente e quasi ingenuo era un demone, l’aveva già dimenticato?
 
Le sbarre erano abbastanza larghe, ed il corpo del bambino così vicino che avrebbe potuto usare usare una katana.
 
Fu quasi come se Naruto avesse pensato la stessa cosa in quell’istante, perché senza perdere quello sguardo triste, si allontanò dalle sbarre, indietreggiando.
 
Per qualche secondo si guardarono in silenzio. Sakura odiava gli addii.
Fu comunque la prima a parlare. Era una kunoichi della foglia, e sarebbe stata coraggiosa. Sarebbe stata coraggiosa.
 
<< E’ meglio che vada. Si è fatto buio >>
 
Naruto annuì velocemente, facendo un altro passo indietro. L’oscurità cresceva attorno a lui, come fosse cosa viva, pronta a inghiottirlo.
 
<< Tornerai a trovarmi? >>
 
<< Sì >>
 
<< Lo prometti? >>
 
<< Sì >>
 
Solo allora tornò a sorridere, e Sakura si trovò suo malgrado a sorridere di rimando.
 
Gli aveva voltato le spalle e aveva già iniziato a camminare verso casa, quando sentì la voce di Naruto chiamarla nuovamente con disperata urgenza.
 
<< Ehi! Aspetta, non mi hai detto come ti chiami! >>
 
Esitò un istante prima di rispondere.
 
<< Mi chiamo Sakura Haruno >>
 
Il bambino sorrise nuovamente, e i suoi denti brillarono nell’oscurità. Sakura rabbrividì.
Incominciò a correre, senza più guardarsi indietro.
 
 

*

 
 
In realtà, passò un intero anno prima che si rivedessero.
Sakura era stata impegnata. O almeno così le piaceva raccontarsi.
Adesso, quando camminava lungo i confini della Gabbia, si teneva sempre a qualche passo di distanza, senza mai toccare, guardando fisso davanti a sé. La evitava, addirittura, durante le ore del crepuscolo.
 
Molte cose erano cambiate. Aveva affrontato gli esami per diventare chunnin, la Foresta della Morte, e il suo grado le aveva dato una nuova forza, pari all’orgoglio negli occhi di suo padre. Sua madre aveva sospirato, nascondendo dietro a un sorriso la preoccupazione: ma non avrebbe dovuto preoccuparsi, perché lei stava diventando forte, ogni giorno di più. Si allenava con costanza tutti i giorni, e sopportava Ino sempre meno. I suoi occhi blu la irritavano, pieni di malizia e assenti di qualsiasi calore.
 
Si allenava tutti i giorni, ma non era riuscita a dimenticare il demone-bambino. Naruto era il suo nome. Naruto. Lo ripeteva piano, nella sua mente, prima di andare a dormire, come una preghiera. Un segreto tutto suo che la faceva sorridere. Sapeva che un giorno l’avrebbe rivisto, semplicemente non aveva ancora deciso quale.
 
Alla fine, la decisione non fu sua, ovviamente.
 
Avrebbe dovuto esserci abituata.
 
 

*

 
 
Suo padre sarebbe entrato nella gabbia.
 
La missione non era semplice, né priva di rischi, e non c’era più motivo per nasconderglielo, per proteggerla dalla verità: ormai stava crescendo, presto avrebbe combattuto anche lei.
 
Il Villaggio della Nebbia si estendeva lontano dai confini della Foglia, avvolto strettamente nel suo mistero. Sakura se l’immaginava come un paese fumoso, i cui abitanti si muovevano come ombre sfocate e mortali.
 
<< E’ proprio necessario, papà? >>
 
Gli occhi di suo padre erano fissi sull’orizzonte, il suo passo marziale come quello di un soldato. Aveva il volto coperto, uno zaino sulle spalle e la katana alla cintura.
 
<< Certo che lo è, bambina mia: questa missione è di vitale importanza se vogliamo evitare un’altra guerra >>
 
Sakura scosse la testa.
 
<< No, non intendevo mettere in dubbio quello, ma devi proprio passare per la Gabbia? Non c’è un’altra strada? >>
 
L’uomo abbassò gli occhi, una frazione di secondo, ma non si voltò verso di lei, come se stesse ponderando qualcosa.
 
Sakura tacque, in attesa.
 
<< Sì, ovviamente c’è un’altra strada. Ma è lunga, molto più lunga, e non meno irta di pericoli. Potrebbe essere attaccati dai ninja della Nebbia come da quelli della Sabbia, che sono ancora più mortali. Dobbiamo attraversare la foresta, perché è la via più veloce, e la velocità in questa missione, è una delle nostre priorità >>
 
Annuì, seria, e il resto del tragitto passò in silenzio. Arrivarono al punto di raccolta, la torre di vedetta adiacente alla gabbia. Altri due ninja aspettavano lì, coperti e irriconoscibili. Uno di loro alzò la mano in un familiare gesto di saluto, e le sembrò di riconoscere Shikaku, il padre di Shikamaru, ma non disse niente.
 
<< Addio, papà. Buona caccia >>
 
<< A presto, Sakura. Dì a tua madre di non preoccuparsi >>
 
E in un lampo, erano spariti.
 
Sakura si girò per tornare verso casa. Era buio, l’alba ancora lontana. Ormai sola, si concesse di rabbrividire stringendo le braccia attorno al corpo minuto.
 
E fu allora che lo vide.
 
Immobile, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo fisso su di lei. Sakura trasalì, fermandosi di botto.
C’era qualcosa di diverso in lui. Fece per avvicinarsi, ma il suono della sua voce, più basso di quanto ricordasse, fermò i suoi passi.
 
<< Ti ho aspettato. Avevi detto che saresti tornata, e io ti ho aspettato. Per tutte queste notti. >>
 
Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono.
 
<< Ti ho aspettato >>  ripeté  << E tu non sei mai venuta. Perché, Sakura? >>
 
Si avvicinò alla gabbia, senza però toccarla. E Sakura vide.
 
<< Perché? >>
 
I suoi occhi erano rossi.
 
<< Non lo so >> le parole tornarono, e fu come respirare di nuovo dopo lunghi minuti senza ossigeno, come quando si allenavano con Iruka nei presso del fiume << Non pensavo che… Che tu mi avresti aspettato. Non lo so. Scusami >>
 
Aveva i pugni stretti lungo i fianchi, e anche i graffi sul suo volto – cicatrici, forse? – sembravano più pronunciati. Le sue pupille erano sottili come quelle di un gatto, e tutto il suo linguaggio corporeo gridava pericolo.
 
Ma c’era la Gabbia. Niente poteva uscirne. Lei era al sicuro.
 
Lei era al sicuro, ma suo padre…
 
<< Avevi paura di me? >>
 
<< No! >> rispose Sakura, troppo in fretta << No, assolutamente no! Perché la pensi così? >>
 
<< Me l’ha detto Gaara. Lui ha detto che tutti voi, là dentro, siete terrorizzati, per questo ci tenete a distanza, perché avete paura di noi, e ha detto anche… >>
 
Naruto sorrise, ma non era un sorriso normale.
 
<< …Ha detto anche che fate bene. Perché noi siamo cattivi >>
 
Come poteva rispondere a una cosa del genere? Naruto aveva ragione. Era quello che le avevano detto, per tutta la vita: i demoni della gabbia, mostri, animali pronti ad uccidere qualsiasi cosa.
E lei ci aveva creduto. Aveva creduto, ma senza sapere: ma Naruto, per lui era diversa. Come poteva pensare che fosse vero? Quel bambino le aveva sorriso, era stato gentile con lei, e Sakura l’aveva lasciato solo.
 
Cosa c’era nella Gabbia, esattamente?
 
<< Non è vero >> mormorò piano, e prima ancora di rendersene conto, le sue mani si trovavano strette sulle sbarre della Gabbia, come aveva fatto Naruto un anno prima, abbastanza vicino perché potesse toccarla.
 
Abbastanza vicino per colpirla.
 
<< Non puoi saperlo. Tu non sai niente >>
 
Deglutì, e i suoi occhi rossi sembrarono incerti, vulnerabili, per un momento.
Poi tornò a guardarla, e Sakura dovette stringere con ancora più forza le sbarre per costringersi a non fuggire.
 
<< E’ vero. Ma tu sì.Non devi credere a tutto quello che ti dicono gli altri, non è vero, non sempre >> abbassò gli occhi << i miei amici dicevano che non sarei mai stata una brava kunoichi, che ero debole, e sai, aveva torto. Torto marcio. Posso combattere bene quanto loro, adesso. Sono diventata forte >>
 
Naruto spalancò gli occhi e sì avvicinò a lei, guardandola intensamente: i suoi occhi erano ancora rossi in modo disturbante, ma non c’era più traccia della rabbia di prima.
 
<< Davvero? Quindi in tutto questo tempo, ti sei allenata? E’ per questo che non sei venuta a trovarmi? Se è quello il motivo, di perdonerò, Sakura-chan! >>
 
La ragazza fece una smorfia, e si sforzò di ridere.
 
<< Non chiamarmi Sakura-chan! E comunque, sì, mi sono allenata moltissimo quest’anno. Scusa per non essere più tornata, Naruto >>
 
<< Sai fare anche i genjutsu? >>
 
Sakura rimase sorpresa. Come faceva a sapere quel genere di cose? Lei non aveva idea del tipo di vita che il bambino conducesse, mentre lui sembrava capire perfettamente tutto ciò che riguardasse il villaggio della Foglia, e i ninja.
 
<< Beh, sì >> rispose, arrossendo << i genjutsu mi vengono abbastanza bene >>
 
<< Un giorno me ne mostrerai uno? >>
 
<< E’ rischioso! Potresti farti male >>
 
Naruto sorrise, facendo di nuovo quel gesto della mano sul collo. Per un attimo abbassò gli occhi, e quando tornò a guardarla, erano di nuovo blu.
 
<< No. Non credo che tu potresti farmi del male, Sakura-chan >>
 
<< Sono più forte di quel che sembro, te l’ho detto >> rispose lei senza riuscire a nascondere l’irritazione nella sua voce.
 
Naruto scosse fortemente la testa.
 
<< No, non è così. E’ difficile da spiegare. Lo so che sei forte. Scommetto che i tuoi pugni fanno un male cane >>
 
<< Faresti bene a scommettere, sì >>
 
Le sue mani stringevano ancora il metallo delle sbarre, ormai diventato caldo. Sakura abbassò gli occhi, e si accorse che le mani di Naruto le stringevano allo stesso identico modo, appena sopra le sue.
 
<< Oh >>
 
Naruto vide la sua reazione, scambiandola per fastidio, e andò nel panico. Lasciò immediatamente la presa, indietreggiando di qualche passo e alzando le mani in modo da renderle ben visibili in una naturale dichiarazione di buone intenzioni.
 
<< Scusami. Scusa non intendevo, cioè, non pensavo ti desse fastidio >>
 
<< No, ma non è affatto così. Ero solo. Ero solo… >>
 
Prima che Sakura potesse completare il pensiero, Naruto lanciò uno sguardo dietro le sue spalle, e quando si voltò a guardarla, c’era rassegnazione nei suoi occhi. Era quasi l’alba, ed apparivano molto più chiari di quanto ricordasse.
 
<< E’ meglio che io vada >>
 
<< Aspetta! >>
 
Sakura era una kunoichi. Ed era veloce. Naruto aveva fatto appena un passo indietro, che il suo braccio scattò in avanti, catturando il polso del bambino con una presa d’acciaio.
 
<< Eh? >>
 
<< Non andartene ancora! Non mi hai dato fastidio, davvero! >>
 
Naruto guardò la sua mano, che gli stringeva ancora il polso, poi la guardò in faccia.
 
<< Davvero? >>
 
<< , davvero >> confermò lei, non senza un po’ di esasperazione.
 
<< Grazie, Sakura-chan >> questa volta sorrise veramente, ampio e sincero, e la ragazza rilasciò il respiro che non sapeva di aver trattenuto << Però devo andare veramente. E’ quasi giorno, mio padre si preoccuperà >>
 
Già, suo padre. Forse era lui il demone terribile dei racconti, e Naruto era solo un bambino rapito contro la sua volontà. Ma non aveva senso, se ci fossero stati dei rapimenti sicuramentel’avrebbe saputo . E poi chi era Gaara? Perché doveva tornare a casa all’alba? Usciva solo di notte? E poi, c’erano un sacco di altre cose che avrebbe voluto chiedergli!
 
<< Di già? >>
 
<< Sì >>
 
A malincuore, Sakura lasciò andare il polso del ragazzo.
 
<< Se vuoi, però, potremmo rivederci. Se lo vuoi veramente >> mormorò lui, di nuovo non la stava guardando negli occhi, e Sakura capì che aveva paura.
 
<< Certo che lo voglio! Certamente! >>
 
<< Allora… ti vedrò domani? >>
 
Sakura sapeva che Naruto non le credeva veramente, non ancora. Ma come poteva biasimarlo?
 
<< Sì >> rispose fermamente << quando? >>
 
Il ragazzo sembrò esitare, spostando il suo peso nervosamente da un piede all’altro.
 
<< Qualsiasi momento va bene, davvero. Basta che sia tra il tramonto e l’alba. Non posso stare fuori fino a tardi. Basta che tu mi chiami, e io sarò qui >>
 
Sakura aggrottò le sopracciglia, confusa.
 
<< Ma come farai a-
 
<< Fidati di me, Sakura-chan >>
 
E c’era una strana nota nella sua voce, come di supplica.Decise di non insistere: avrebbe provato a fidarsi di Naruto per prima.
 
<< Okay >> sorrise << Okay >>
 
 

*

 
 
<< Naruto, tu non pensi che i miei capelli siano ridicoli? >>
 
Sedevano uno di fianco all’altro, schiena contro schiena se non fosse stato per la gabbia che li separavano. Naruto stava intagliando un pezzo di legno con uno shuriken, mentre Sakura si arrotolava una ciocca tra le dita.
 
<< Mh mh >>
 
<< Naruto! >>, gli tirò una gomitata sul fianco << mi stai ascoltando? >>
 
<< I tuoi capelli sono bellissimi, Sakura-chan. Hanno un buon profumo >> replicò il ragazzo distrattamente, senza smettere di lavorare col legno.
 
Sakura non disse più nulla.
 
 

*

 
 
Sakura correva a perdifiato. I suoi muscoli sembravano gridare per l’agonia, ma lei preferiva ignorarli il vento che le rimbombava nelle orecchie e i capelli che la volteggiavano come una nuvola rossastra attorno al viso.
 
Era notte, e Sakura correva.
 
Quando finalmente arrivò di fronte alla Gabbia, non perse neanche un secondo per riprendere fiato, ma strinse subito le mani attorno al metallo freddo e ormai familiare delle sbarre, e come sempre, bastò il semplice gesto e un’ombra si mosse tra le altre, nella profondità della foresta.
 
<< Naruto! >> gridò con un sorriso sollevato.
 
Il ragazzo si mosse lentamente, senza fretta, emergendo dall’oscurità con la stessa naturalezza dell’acqua. Sorrise, e appoggiò le mani sopra le sue, con delicatezza.
 
<< Sakura-chan, cos’è successo? >> le chiese gentilmente. Lei era piena di graffi, e sul volto portava tutti i segni dell’ultima missione, ma Naruto non era preoccupato. Non lo era mai.
 
Poi avvicinò il volto allo spazio tra le due sbarre, guardandola fissa negli occhi a pochi centimetri di distanza prima di esclamare.
 
<< I tuoi capelli! >>
 
Lei rise forte.
 
<< Oh, Naruto, dovresti vedere la tua faccia! E’ proprio come quella di Ino, solo che più bella! >>
 
<< Hai combattutto >> disse, e non era una domanda.
 
<< Ho vinto. Ho combattutto contro i ninja del  Suono, e ho vinto! Ho fatto tutta da sola, sono riuscita… Oh dio, ce l’ho fatta, non ci posso credere, ce l’ho fatta >>
 
Sorretta solo dall’adrenalina, Sakura appoggiò la fronte al metallo, mentre il suo corpo tremava, scosso dai singhiozzi. Se stesse ridendo o piangendo, o entrambi, era impossibile dirlo. Le mani di Naruto erano sui suoi avambracci, e sembravano essere l’unica cosa a tenerla insieme. Il ragazzo rise, e strinse più forte, appoggiando la fronte sulla sua.
 
<< Sei stata incredibile, Sakura-chan >>
 
<< Ma non c’eri! E non ti ho ancora raccontato nulla! >>
 
Il ragazzo scosse la testa con forza, prima di chiudere gli occhi. Sakura si abbandonò al tocco delle sue mani, che avevano risalito dalle braccia fino alle spalle, su per il collo, e adesso le toccavano pianissimo il volto.
 
<< Non ce n’è alcun bisogno. Sei forte. E sei fantastica. Chiunque non sia in grado di capirlo subito, merita di essere fatto a pezzi >>
 
Sakura sorrise, senza aprire gli occhi.
 
<< Non ho ucciso nessuno, Naruto >>
 
<< Oh. >>
 
Ci fu un attimo di pausa.
 
<< Beh, non ancora >>
 
 

*

 
 
A volte Naruto le faceva paura.
 
Era arrivata a far pace con la sensazione dopo che molti incontri notturni con il ragazzo non l’avevano aiutata a scrollarsela di dosso, per quanto avesse tentato.
 
Sentiva il cuore batterle nel petto, pesante come una pietra, ogni volta che passava di fianco alla Gabbia, e ogni notte, prima di uscire ad incontrarlo. Lo stomaco le si stringeva in una morsa, e per un secondo provava l’intenso desiderio di fare ritorno alla sua camera, chiudere tutto a chiave e sotterrarsi sotto le coperte, e dimenticare quel demone-bambino e i suoi occhi che a volte erano rossi, anche se non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli perché.
 
Un giorno ne aveva parlato con suo padre. Suo padre, che era entrato nella Gabbia senza timore, che ogni volta che partiva per una missione salutava sua madre iniziando con la frase “in caso non dovessi più tornare…”
 
Cosa ne sapeva lui di avere tredici, e di avere paura?
 
<< Bambina mia, è un’ottima cosa che tu abbia paura. Vuol dire che sei ancora sana di mente >>
 
Sakura aveva sbuffato senza rispondere, e il tono di suo padre era diventato più serio.
 
<< Ascoltami bene, Sakura. La paura ti attanaglia lo stomaco e può oscurare la tua capacità di giudizio. La paura ti può far fare molte cose inutili, e stupide. Ma solo se non sai controllarla: la paura ti salva la vita. Smettila di vergognartene, e impara a conoscerla. E’ importante >>
 
E allora aveva pensato. E forse, aveva incominciato a capire. Ma ciò non toglieva che non era delle missioni che aveva paura, ma di Naruto. Naruto che era suo amico, che non le avrebbe mai fatto del male, che le sorrideva troppo spesso e che la teneva per mano senza mai stringere, come se avesse paura di romperla.
 
Naruto, che arrivava tutte le notti silenzioso come una volpe, sgattaiolando dalle ombre come se ne facesse parte. Naruto, che concepiva la crudeltà come la gentilezza, e che a volte le sfiorava la bocca, lasciando sulle sue labbra il sapore metallico del sangue.
 
Naruto, coperto di sangue.
 
Sakura ricordava molto bene quella notte.
 
<< Naruto? >> aveva mormorato piano, quasi un sussurro. Le sue mani stringevano convulsamente la sbarre della gabbia. Perché ci stava mettendo così tanto?
 
<< Naruto, sei tu? Cosa aspetti? >>
 
Solitamente era di fronte a lei in un istante. C’era qualcosa di sbagliato.
 
<< Sakura-chan… >>
 
Anche la sua voce era diversa.
 
<< Scusami, Sakura-chan >>
 
E poi lo vide.
 
I suoi si spalancarono, e lasciò un grido soffocato. Le sue mani si staccarono dal metallo come se bruciasse, e fece un passo indietro.
 
<< No! No, Sakura, aspetta, non te ne andare! >> in un istante Naruto era ai confini della gabbia, una mano chiusa attorno alle sbarre e l’altro braccio proteso verso di lei, le dita che si chiudevano attorno all’aria, cercando di catturarla.
 
Le sue dita, coperte di sangue.
 
<< Cosa… Cos’è successo? >> mormorò lei con un filo di voce.
 
<< Non sono stato io, te lo giuro, non è colpa mia. E’ stato lui, è stato il mostro, e io non sono riuscito a fermarlo >>
 
<< Calmati. Okay, calmati. Dimmi cos’è successo. Di chi è quel sangue? >>
 
Naruto teneva la testa abbassata, i capelli sporchi gli cadevano pesantemente sugli occhi, inghiottendo nelle ombre tutto il suo viso.
 
<< Non lo so >>
 
Sakura strinse i pugni, serrando le labbra in una linea severa. Non gli credeva.
Non lo disse ad alta voce, ma lui sembrò leggerlo nella rigidità del suo corpo, perché strinse le sbarre ancora più convulsamente, scuotendole, e iniziò a gridare.
 
<< Non lo so! Non è colpa mia, non volevo farlo! Non so cos’ho fatto, sto cercando di ricordare, ma è impossibile, non mi lascia guardare! Non lo volevo fare, non lo volevo fare! Oh, Sakura, perché non mi credi? Perché mi guardi così? Perché? >>
 
Non capiva le sue parole. Non aveva mai sentito una tale disperazione, perché non era mai stata in battaglia: un giorno Sakura avrebbe imparato a riconoscere quell’isteria che così facilmente sfociava nella follia del terrore, e lo avrebbe fatto tramite le implorazioni degli uomini che pregavano di essere risparmiati la vita.
 
Ma Sakura aveva tredici anni, e ancora non aveva fatto scorrere del sangue, e non poteva capire.
 
Avanzò tentativamente verso di lui, quel demone-bambino che non aveva paura di niente ma era terrorizzato da sé stesso. Alzò le mani, ma fu incapace di stringere la sbarre, e non aveva il coraggio di posarle sopra le sue, perché con lui in quel momento condivideva la sua paura. Rimase così, a un respiro di distanza, le braccia spalancate in un gesto di resa.
 
<< Io non capisco. Non capisco, mi dispiace >>
 
Stava piangendo. Senza motivo, quella notte sotto la luna sentì una tristezza incredibile. Tutti gli universi possibili in quel momento guardavano, e forse nelle sue lacrime c’era il peso della decisione che non sapeva di stare per prendere, il rimorso per tutte le vite che avrebbe causato. Forse una parte infinitesimale di lei, una parte futura e ancora nascosta, in quel momento sapeva, e sapendo, pianse.
 
Naruto le prese entrambe le mani, gentilmente, sfiorandole prima le dita, come a chiedere permesso.
 
<< Sakura-chan, tu non mi lascerai mai, vero? >>
 
<< Certo che no, stupido >> rispose lei con un suono a metà tra un singhiozzo e una risata.
 
Naruto si limitò a sorridere, e la sua stretta si fece più intensa. Le unghie innaturalmente lunghe le si conficcarono nella carne. Sakura lasciò andare un gemito. Naruto sorrise, e strinse ancora più forte.
 
<< Mi stai facendo male >> sussurrò Sakura pianissimo, senza muovere gli occhi dalle loro mani, strette e aggrappate l’una nell’altra come vecchi rami d’edera gelosi e guardinghi.
 
Il sangue sulle mani di Naruto adesso era anche il suo.
 
<< Guardami, Sakura >> fu tutto ciò che disse.
 
E questa volta era un’ordine.
 
Non trasalì quando alzò gli occhi sul suo volto, ancora invaso dalle ombre ma riconoscibile seppur in modo confuso, come distorto da uno specchio. Non trasalì affatto quando vide i suoi occhi, e vide che ancora una volta erano rossi. Naruto sorrise, e i suoi piccoli denti appuntiti sembravano pronti a mangiarla.
 
<< E’ una promessa >>
 
Una promessa.
 
<< Una promessa. >>
 
Fu così che andò. E’ molto semplice, e non c’è molto altro da dire.
 
Ma è importante che voi sappiate che Sakura aveva tredici anni, e non aveva mai visto scorrere il sangue,  né si era allontanata dai confini del Villaggio della Foglia.
 
Aveva un padre che cercava di insegnarli tutto ciò che poteva, e una madre che voleva che lei imparasse il meno possibile.
 
Dovete capire che lei era una ragazza, e lui un demone-bambino vecchio di millenni, e aveva fatto cose così terribili che non vennero mai scritte, mai raccontate, perché era meglio credere che non fossero mai successe.
 
E’ importante che ricordiate Sakura Haruno come era in quel momento: innocente, e pura. Vi prego di non dimenticare che era solo una bambina, e non fu colpa sua. Non ancora.
Quella notte, lei non capì, non veramente.
 
Quando appoggiò la fronte rosea sulle sbarre, chiuse gli occhi, e quello fu il suo primo errore. Il demone-bambino non aveva smesso un solo istante di stringerle la mani, ma quando la vide così, bella come qualsiasi ragazza sotto la luce della luna, con gli occhi chiusi e così vicina, seppe che poteva farlo, che in quel momento avrebbe potuto prenderla, e sarebbe stata sua.
 
E lo fece.
 
Le mani di Naruto si strinsero sulla sua vita, e Sakura si abbandonò, facendo aderire il corpo contro la gabbia con una voluttà che le era sconosciuta. Non oppose resistenza. Era solo una bambina, e quando lui sprofondò una mano tra i capelli corti della nuca, non capì. La sua guancia sinistra premeva dolorosamente contro le sbarre, e Naruto coprì la sua bocca con le sue labbra, e anche se non le fece veramente male, nemmeno fu gentile. C’era una sorta di disperazione nel modo in cui la baciava, nel modo in cui le sue mani cercavano il suo corpo, stringendo sempre troppo forte, sussultò quando le morse un labbro fino a farlo sanguinare, come se quella sofferenza fosse prerogativa di lui solo, e non la riguardasse. E in un certo senso, era così.
 
Quando la lasciò andare, Sakura indietreggiò bruscamente, coprendosi la bocca con una mano: era sconvolta, ma non spaventata.
 
Fu per questo che quando fuggì via Naruto non cercò di fermarla, neanche disse una parola, si limitò ad osservarla con i suoi occhi rossi come il sangue finché non sparì completamente, inghiottita dalla luce del nuovo giorno.














fine prima parte.



  
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