Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: Nihal_Land of Wind    17/10/2011    1 recensioni
"Scusi, che è successo qui?"
"C'è stato un incidente poche ore fa e il treno è deragliato."
Fu come se tutto il mondo si fosse messo a girare su se stesso. Susan non capì più niente... Si girò e incominciò a correre.
Questa fanfiction parla di un finale diverso per la saga... Spero vi possa piacere!!
Genere: Avventura, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I’LL COME BACK TO YOU
 
TRE
 
Quando la zia aveva bussato, avevo avuto una sensazione di dejà vù: Lucy che saltava sul mio letto appena alzata. Ma non ci sarebbe stata mai più nessuna sorellina a darmi il buongiorno, solo una zia nel panico per quello che avrei potuto combinare. Di Lucy, Edmund, Eustachio, Jill e Peter sarebbero rimaste solo delle immagini scattate, che per quanto rappresentassero la realtà, non avrebbero mai e poi mai potuto ricreare quel senso di sicurezza e fiducia che mi infondevano quando li guardavo negli occhi.
Tentai di scacciare il ricordo del funerale, che avevo cercato di riporre invano in fondo alla mente, ma più provavo a respingerle, più quelle immagini riaffioravano ininterrottamente, prepotenti, dolorose: la fila per andare al cimitero, sette bare che si chiudevano per sempre sui corpi distrutti, il pallore della pelle, le persone che piangevano, ma non sarebbero mai state addolorate quanto me. Perchè avevo perso, me ne accorgevo solo in quel momento, le uniche persone che davano senso alla mia vita e senza di loro, davanti a me si stendeva il deserto.
 
C’era qualcuno che parlava al telefono... sembrava la zia. Zio Harold, invece, doveva essere uscito presto per andare al lavoro.
Non mi andava di fare colazione, però mi diressi lo stesso verso la cucina, nel caso lei avesse dato un’ occhiata nella stanza da sopra il telefono.
Arrivata sulla porta, sentii che la zia sussurrava concitata. Sembrava preoccupata, come se la telefonata fosse segreta. Non avevo nessuna intenzione di origliare, ma udii lo stesso le parole che pronunciava.
“...no, no, no, si è svegliata da poco, anzi appena conclusa la telefonata andrò a chiamarla di nuovo... sì, in effetti arriverà tardi a scuola se non si sbriga, anche se non so se abbia voglia di andarci... dopotutto chiunque sa della tragedia accaduta agli inizi di giugno... sì, anche lei ne è al corrente, dottore? Lo immaginavo... tutta Finchley ormai conosce la nostra famiglia, almeno di nome... non me ne vanto, certo, dopo quei terribili eventi, nessuno vorrebbe essere sulla bocca di tutti per questo motivo...”
Serrai i denti. Ero famosa perchè i miei parenti erano stati scagliati via con la forza di un uragano da un treno a tutta velocità! Ci mancava solo questa, fantastico!
“... in ogni caso, dottore, l’ho chiamata a causa di Susan... mi dispiace disturbarla così presto, ma vede, sono tanto preoccupata per lei... non voglio che a scuola facciano discorsi su ciò che è successo... se così fosse, da parte di Susan potrebbe scatenarsi una reazione come quella degli ultimi tre mesi...”
Oddio, cosa avevo combinato perchè la zia fosse così in pena?
Sembrò rispondermi senza volerlo.
“... ha cominciato piangendo in un modo incredibile, mi sono chiesta quante lacrime avesse ancora... ne ha versate ininterrottamente per una settimana intera, dottore... ma non è tutto: urlava, persino nel sonno... a volte grida sconnesse, altre volte invece i nomi dei suoi fratelli... sì, quella è stata forse la perdita più grande per lei, dottore, non sa quanto volesse loro bene...”
Ora zia Alberta parlava in modo febbrile.
“... ah, aspetti dottore, non è ancora finita purtroppo... rompeva tutto ciò che teneva in mano, non riusciva a controllarsi... e poi, forse la cosa peggiore... non mangiava più. Si rifiutava categoricamente di inghiottire qualcosa... Io non l’ho chiamata prima perché mio marito insisteva, era convinto che sarebbe passato tutto prima o poi, ma...”
Sgranai gli occhi. Sul serio avevo fatto tutto quello che la zia aveva appena detto?
Non me lo ricordavo...
...
Ah. Invece sì.
Dire che gli ultimi tre mesi erano stati un incubo per me è un eufemismo. Tutte le notti, tutte, sognavo di essere in un prato, con sopra di me un cielo blu scuro, come sospeso tra il tramonto e la notte. Dopo aver contemplato per un po’ il panorama iniziavo a correre, dapprima piano poi sempre più veloce, mentre intorno a me si faceva completamente buio. Come capita spesso nei sogni, a un certo punto le mie gambe si rifiutavano di lavorare, diventavano pesanti e io mi fermavo, cadendo in un buco nero senza fondo...
Di conseguenza mi svegliavo urlando. Ogni tanto il sogno variava, ma solo alla fine: quando iniziavo a cadere, vedevo intorno a me le facce dei miei fratelli, di Eustachio e di Jill, com’erano prima di Quel Giorno, non sfigurate dall’incidente. Mi fissavano molto seri però, finchè le ritrovavo sempre più vicine a me. E allora anche loro cominciavano a gridare, ma io non capivo mai cosa stessero dicendo e poi svanivano, anche se io li chiamavo per farli restare.
Ma non succedeva mai.
 
Persa nei miei pensieri, non mi accorsi che zia Alberta aveva interrotto la telefonata e ora si trovava esattamente di fronte a me.
“Susan! Hai già mangiato?”
Non risposi. Nonostante tutte le sollecitazioni dei miei zii, da tre mesi a quella parte non parlavo più, sia perché non volevo, sia perché non ne avevo le forze e mi sembrava inutile. Comunque mi sedetti a tavola e scelsi, tra tutte le cose buone che la zia aveva preparato, una semplice fetta di pane imburrato. Prima di Quel Giorno mangiavo abbastanza: salsicce, toast, qualche volta anche pane e marmellata, quel tanto da mantenermi in forma ma da avere le forze per affrontare la giornata. Ora invece ero dimagrita tantissimo, infatti...
“Tesoro, sicura di voler mangiare poco ancora? Sei diventata così magra...”
Prima di uscire diedi un’occhiata allo specchio di fianco alla porta. In effetti il mio viso non era più pieno e colorito come prima di Quel Giorno, ma pallido e smunto.
Comunque presi le chiavi e varcai la porta, dirigendomi verso la scuola.
 
Da Quel Giorno la zia non si fidava per niente a mandarmi a scuola in treno, perciò aveva chiesto aiuto a un nostro anziano vicino, il signor McKenzie, una persona davvero discreta che abitava solo e da quando era andato in pensione aveva una gran voglia di essere utile. Così mi accompagnava in macchina e in cambio zia Alberta gli donava generose quantità di frutta e verdura dal nostro orto, che era considerato il migliore del quartiere. Che volete, l’anziano signore era felice di essere pagato in questo modo.
Mi diressi dall’altra parte della strada, con la zia che mi spiava ansiosamente da dietro la tendina di una finestra, e salii in macchina del signor McKenzie.
“Buongiorno Susan! Come stai?” Mi chiese lui da davanti. Io mi limitai a un sorriso molto tirato, senza parlare. Il signor McKenzie mi sorrise a sua volta, poi si girò e mise in moto.
Durante il tragitto non mi ero posta il problema, ma quando arrivai all’entrata della scuola mi prese una vaga preoccupazione: non volevo che i compagni mi assillassero, volevo solamente essere lasciata in pace. Per questo esitai qualche istante prima di aprire la portiera. Il signor McKenzie mi guardava interrogativo; a quel punto feci un altro sorrisetto e mi dissi che dovevo decidermi a scendere.
Come mi aspettavo, il cortile era già pieno, anche se nutrivo la remota speranza di riuscire a scappare verso l’entrata della scuola senza farmi notare. Non appena misi piede in cortile, una faccia vicino al cancello si girò e mi fissò.
In pochi istanti sembrò che fosse arrivato l’inverno in anticipo, perché tutti gli studenti ammutolirono e mi fissarono. Gelo assoluto.
Poi, saettando come una serpe fra l’erba, iniziarono a diffondersi un basso mormorio e qualche fugace occhiata verso di me. Io procedevo con la faccia a terra, dapprima camminando, poi sempre più veloce. Nonostante tutto senza volerlo, come se il mio udito si fosse magicamente amplificato, riuscii a distinguere i sussurri:
“E’ Susan Pevensie...”
“... all’inizio dell’estate...”
“... orribile incidente...”
“... i suoi parenti...”
“... tutti...”
Non lo sopportavo più: cominciai a correre, fino a sbattere contro la porta di entrata, sfrecciare su per le scale senza guardare nessuno e fiondarmi in classe.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: Nihal_Land of Wind