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Autore: Nenredhel    17/10/2011    2 recensioni
La compagnia è partita, seguendo il consiglio dei piccolo hobbit si è diretta a Moria, in cerca della leggendaria spada di Colt, ma fra le imponenti sale delle sue miniere qualcosa di più oscuro li aspetta per sbarrare la strada per il trono al future Re…
Crossover Il Signore degli Anelli/Supernatural, Terra di Mezzo!AU, Elf!Cas/Wanderer!Dean
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Bobby, Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Middle Earth'
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Piccola premessa (della serie "mettiamo le mani avanti"): nella descrizione del balrog così come in quella del ponte di Kahzad-dum ho deciso di fare una specie di mix tra le effettive descrizioni di Tolkien e le immagini del film... mi perdonino i puristi! ;P

Invece, permettetemi di prendermi una riga per ringraziare tutte le persone che hanno letto e soprattutto commentato (in particolare Castiel Who), non solo perché ricevere recensioni e sapere di essere letta fa sempre piacere, non solo perché gioisco a vedere che ci sono davvero lettori fedelissimi che mi stanno davvero seguendo in questo strano viaggio nella Terra di Mezzo, ma perché i vostri commenti pertinenti, sagaci e intelligenti mi aiutano a migliorare e a definire il futuro dei miei personaggi! Quindi, un grosso GRAZIE!


 

 

Noer a Maur (Fiamme e Ombra)

 

* Non giuri di camminare nell’oscurità, colui che non ha visto la notte calare

“Let him not vow to walk in the dark, who has not seen the darkness fall”*
[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli_La Compagnia dell’Anello]

 

Non c’erano stati altri rumori, dopo i due isolati colpi di tamburo che erano risuonati nell’oscurità scuotendo i cinque viandanti fino nell’anima. Il silenzio era tornato ad avvolgere con il suo pesante manto le miniere di Moria. Bobby aveva stretto convulsamente il legno del suo bastone, mentre Castiel scrutava l’oscurità con i suoi ottimi occhi di Elfo, e solo quando era stato ragionevolmente sicuro che non sarebbero stati presi in un imboscata appena fuori da quella stanza, li aveva guidati con passo veloce attraverso la sala.

Il piano originario era stato di recuperare la spada e tornare a Gran Burrone per la stessa strada percorsa all’andata, ma Bobby sapeva bene che in quel momento si trovavano molto vicini all’uscita est delle miniere, il Cancello dei Rivi Tenebrosi, e ora che avevano sentito qualcosa risvegliarsi nelle viscere della terra, non avrebbe rischiato un’altra lunga e pericolosa traversata per tornare indietro. Dovevano lasciare le miniere il più velocemente possibile, poi avrebbero pensato a come valicare nuovamente le Montagne Nebbiose per fare ritorno nel reame di sire John.

Ma la sala in cui si trovavano era ancora più ampia di quanto Dean fosse riuscito ad immaginare, e loro erano stanchi per le lunghe ore di marcia che li avevano condotti fino lì. Quando finalmente raggiunsero la parete opposta del salone, erano tutti abbastanza stremati da accettare il rischio di fermarsi qualche ora a riposare.

Sam e Castiel si erano subito presi l’onere di montare la guardia mentre i compagni dormivano: il loro sangue Elfico permetteva loro di recuperare le forze semplicemente sedendo rilassati e vigili, avendo bisogno di vero sonno solo raramente, e per brevi periodi di tempo. Bobby era sempre stato tanto prudente quanto diffidente, ma era stanco, forse anche più dei due raminghi, e sapeva di potersi fidare degli occhi e delle orecchie dei due Elfi. Quando la pietra sul bastone dello stregone aveva affievolito la sua luce fino a spegnersi, il buio era calato sulla piccola compagnia, ma era sembrato solido ed impenetrabile solo per qualche secondo: spaccature ed aperture opportunamente predisposte si aprivano nella roccia, esattamente come nella cripta di Durin, e lasciavano che una vaga luminescenza si spandesse per le sale, indice che fuori doveva essere ancora giorno pieno.

Così, Dean se ne stava steso sul proprio mantello, una mano sotto la nuca a reggere la testa pesante, mentre l’altra riposava sul fodero di cuoio che conteneva ora tutti i frammenti della spada di Colt. L’elsa fuoriusciva come se l’arma fosse stata ancora intatta, ma il ramingo sentiva i pezzi sconnessi tintinnare fra loro ad ogni passo, a ricordargli che la strada da percorrere era ancora tanto lunga quanto ripida e irta di pericoli. Mentre giaceva ad occhi socchiusi, guardando le ombre dei pilastri intorno a lui emergere come forme vaghe e fantasmagoriche dal buio effimero, sentiva il bisogno di estrarre ancora una volta il moncherino dal suo fodero: voleva osservare di nuovo il proprio sguardo riflesso dal metallo lucido della sua lama, e allo stesso tempo non c’era nulla al mondo che temeva di più.

Sentiva il respiro lento e regolare di Rufus e Bobby poco lontano da lui, e sapeva che stavano dormendo: avrebbe potuto riconoscere il ritmo del loro sonno ovunque; mentre i due Elfi di guardia erano tanto immobili e silenziosi da sembrare essere stati inghiottiti dall’oscurità stessa. Quando gli parve evidente che non sarebbe riuscito ad addormentarsi, o meglio quando non riuscì più a sopportare la solitudine opprimente che la vicinanza di quella lama gli imponeva nel cuore, il giovane uomo si levò a sedere con un movimento repentino, e si allontanò il più silenziosamente possibile dai due amici addormentati.

Brancolò nel buio per un paio di passi, guardandosi intorno alla ricerca della corta tunica verde chiaro di Castiel, o della forma aguzza del suo arco, la cui sommità gli spuntava dalla spalla, accanto alla testa, ma fra le ombre più o meno dense intorno a sé, non riuscì a scorgere niente del genere. Erano in uno spazio aperto, e non riusciva a capire dove l’amico potesse essersi nascosto, ma ricordava anche molto bene che un Elfo sapeva confondersi con l’ambiente, se lo desiderava. Avanzò a casaccio ancora di qualche passo nell’oscurità, desiderando solo di allontanarsi dal resto del gruppo e dal malefico fodero che sembrava continuare a chiamarlo, e infine poggiò la mano sulla liscia superficie fredda di uno dei pilastri.

Telig thinno (Dovresti dormire)” bisbigliò una voce accanto al suo orecchio, facendolo trasalire.

Dean non poteva scorgere con esattezza l’espressione del viso dell’Elfo, eppure avrebbe giurato che si fosse divertito un mondo ad apparirgli alle spalle a quel modo, prendendolo di sorpresa.

“Non riesco. La mia mente continua a tornare a quella dannata spada” replicò il ramingo con voce roca, forse leggermente troppo forte. Si voltò distrattamente a controllare che nessuno dei due compagni si fosse riscosso, quindi mosse qualche passo attorno al pilastro, finché la vista del loro piccolo accampamento gli fu preclusa dalla roccia.

“Non lasciare che il peso di quella lama ti schiacci. Tu sei più forte di quello che pensi…” sussurrò l’Elfo, posandogli una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.

Per un attimo, le sue parole rassicuranti lo irritarono: gli fecero ripensare a tutte le volte che gli aveva parlato con dolcezza, nel buio della sua camera, per calmare le sue paure di bambino; ma quando si trovò di nuovo ad incrociare i suoi occhi blu, la cui lucentezza il buio non riusciva ad occultare, sentì ogni stizza scemare. Non c’era il sorriso divertito e condiscendente che gli aveva visto tante volte sul viso, quando era solo un bimbo. Il suo bel volto chiaro era estremamente serio. Nei suoi lineamenti dolci ma decisi, riusciva a vedere il principe, il guerriero, la splendida, incredibile creatura millenaria che era e che, dall’alto della sua perfezione impossibile, accettava di mettere nelle sue mani, così giovani e impreparate, il suo destino e quello del suo popolo.

Come poteva un tale principe degli Elfi riporre in un semplice uomo tanta incrollabile fiducia? Come era possibile che una creatura del genere avesse donato il suo cuore a lui?

“Io sono più forte quando sei con me” rispose alle sue parole, andando a poggiare una mano sulla sua guancia, prima di avvicinarsi, deciso a sentire di nuovo sulle labbra quel sapore antico e celestiale che per troppi giorni aveva sognato senza poter avere.

 “Dean, Samuel nar si ennas (Dean, Samuel è qui intorno)” lo avvisò Castiel in un soffio, che danzò sensualmente sulle labbra dell’uomo.

Avo preston nin (Non mi importa)” replicò il giovane, accostando una guancia alla sua perché i dolci suoni della lingua elfica potessero scivolare come miele nel suo orecchio “Tirnin le an eraid pen aglenno le (ti guardo da giorni senza poterti toccare)” aggiunse, stuzzicando appena con le labbra la punta del suo orecchio, scendendo sul collo non appena sentì il suo corpo tremare d’improvviso, e assaggiando piano la sua pelle mentre faceva scorrere le dita sulla stoffa liscia della sua tunica da viaggio “Aniron le (ti voglio)” sussurrò contro la sua pelle, saggiandola con i denti mentre sorrideva del sospiro improvviso che gonfiò il petto dell’Elfo “Ora” concluse d’improvviso, soffiandogli quella parola contro le labbra, nel momento in cui gli afferrò la vita, facendolo ruotare per spingerlo contro la fredda superficie di pietra del pilastro.

“Dean…” riuscì a sospirare solamente l’Elfo, prima che il ramingo catturasse le sue labbra con veemenza, bevendo da esse il suo respiro già affannato come fosse la fonte stessa della sua vita, mentre una mano gli afferrava saldamente il fianco, ed il bacino accarezzava con insistenza il suo.

Le dita di Dean giocarono per un secondo con gli stretti lacci della casacca, prima di scendere fra di loro, cercando con insistenza il bordo dei pantaloni, per insinuarsi dolcemente sotto la sottile stoffa morbida che li divideva.

Dean derig le! (Dean fermati!)” ansimò disperatamente l’Elfo, ma il suo corpo sembrava pensarla altrimenti, mentre si spingeva con impazienza nel palmo caldo del compagno “Fermati!” ripeté di nuovo nel linguaggio comune, con più urgenza, mentre una mano si afferrava alla sua nuca, stringendo i corti capelli castani come per richiamare la sua attenzione.

Dean sorrideva di trionfo nel vedere gli occhi languidamente liquidi e la bocca dischiusa dell’Elfo, ma mentre si sporgeva in avanti per leccare di nuovo, lentamente, le sue labbra piene, finalmente si immobilizzò. Sul fondo delle sue iridi blu c’era qualcosa di sbagliato: Castiel era allarmato per qualcosa, ma era troppo in preda alle sensazioni del proprio corpo per riuscire a dominarsi e dare voce alla sua paura. Non ci fu bisogno di domandare cosa lo avesse spaventato, ora poteva sentirlo anche lui: tamburi nell’oscurità.

Il giovane ramingo fece appena in tempo ad allontanarsi in fretta dal compagno, prima che Sam comparisse al suo fianco dalle ombre, silenzioso come ogni Elfo. Dean non ebbe il tempo di chiedersi da quanto li stesse osservando e cosa avesse visto, riusciva a sentire sul pavimento le vibrazioni di mille piedi che si avvicinavano correndo: stavano arrivando.

Bobby balzò in piedi in un lampo, accanto a Rufus, quando Sam li raggiunse per dare l’allarme. Stava succedendo tutto troppo in fretta, e lo sguardo torvo che lo stregone indirizzò al Mezzelfo diceva era solo per metà un rimprovero. Aveva intuito che qualcosa aveva distratto le due sentinelle di guardia, ritardando fin troppo l’allarme, ma non c’era il tempo per fermarsi a rimproverare nessuno. Dean corse a raccogliere le proprie cose: si avvolse il mantello sulle spalle e allacciò il cinturone con la spada alla vita, assicurandosi che fosse ben saldo, quindi si sentì afferrare bruscamente il braccio da Bobby.

“Tu, davanti a tutti. Corri e non ti voltare, qualsiasi cosa succeda!” ordinò perentoriamente lo stregone, e quando il giovane ramingo rimase per un secondo a fissarlo frastornato, lo spinse in malo modo verso la buia porta che si apriva solo a pochi metri da loro, prima di voltarsi per rivolgersi a Rufus “Il ponte di Khazad-dûm non dev’essere lontano, ma siamo troppo in alto. Raggiungete il fondo delle scale, ma lì non indugiate più di qualche secondo ad aspettarmi, se non sarò arrivato, conducili tu fuori”

Mentre fissava corrucciato l’espressione decisa degli occhi chiari dello stregone, parve che Rufus stesse per ribellarsi protestare qualcosa, ma alla fine il suo sguardo scuro si spostò, fulmineo, sul ragazzo che stava scomparendo in quel momento oltre la porta di uscita della sala, e il ramingo si limitò ad annuire serio, prima di seguire il resto del gruppo giù per le strette scale immerse nell’oscurità.

Dean non si rese conto del fatto che Bobby non li aveva seguita, finché non udì lo strano boato che li raggiunge rimbalzando fra le strette pareti che il gruppo continuava a percorrere a tentoni il più velocemente possibile. Non c’erano fessure né finestre lungo quella rampa di scale, e la totale mancanza di luce rendeva la discesa pericolosa, ma i quattro compagni continuarono a procedere con il passo più veloce consentito dagli stretti gradini, fino a che il giovane ramingo non si immobilizzò, quando il rumore di rocce franate non lo raggiunse insieme ad un violento spostamento d’aria.

“Cosa sta succedendo?” domandò al buio fitto che lo circondava.

“Muoviti ragazzo!” sbottò Rufus alcuni gradini più in alto, e Dean calcolò che doveva essere lui a chiudere la fila. Non fece in tempo a protestare, che il Dunedain proseguì “Non costringermi a spingerti!” il ruvido tono brusco convinse il ragazzo a voltarsi e ricominciare la faticosa discesa, sebbene qualcosa nella sua voce lo avesse preoccupato ancor più degli inquietanti suoni che provenivano dalle scale alle loro spalle.

Mano a mano che scendevano, l’aria sembrava farsi sempre più calda e Dean si trovò a sudare copiosamente quando finalmente raggiunsero l’ultimo pianerottolo delle scale. Davanti a lui si aprivano tre porte: una sembrava condurre ancora più in basso, una svoltava a destra e ricominciava a salire, mentre la terza sembrava dare accesso ad una piccola sala, illuminata da una strana e tremula luce rossa.

“E adesso? Dove andiamo?” domandò il ragazzo, passandosi un braccio sulla fronte quando sentì le prime gocce di sudore bruciargli negli occhi. Al tenue bagliore proveniente dalla terza porta, il ramingo poteva scorgere le facce accaldate e preoccupate dei compagni, ma trasalì ugualmente quando Bobby comparve alle spalle di Rufus, facendosi largo in malo modo con il bastone per raggiungere la testa del gruppo. I suoi vestiti, così come la sua barba rossiccia sembravano coperti di polvere di roccia, mentre il modo con cui si appoggiava pesantemente al suo bastone mentre scendeva gli ultimi gradini lo faceva apparire ancora più vecchio del solito.

“Non mi piace quella luce, ma è quella l’unica via d’uscita” annunciò, avvicinandosi alla porta illuminata di rosso “Andiamo” li esortò senza troppi complimenti, voltandosi per proseguire il cammino nonostante il respiro affannoso.

“Bobby, cosa è successo?” gli chiese Dean, poggiandogli una mano sul braccio per attirare la sua attenzione, mentre si affrettava per tenere il suo passo.

“Qualcosa di ben peggiore degli orchetti è stato risvegliato nelle viscere della terra” replicò lo stregone, indirizzandogli due occhi fiammeggianti di potere, malgrado fossero velati di stanchezza “Per fortuna la porta della sala è crollata, non sarei riuscito a trattenerlo oltre” aggiunse, tornando a guardarsi attorno come stesse cercando ossessivamente la fonte della luce rossa che stava illuminando loro il cammino.

“Il Flagello di Durin” commentò la voce di Castiel, da un punto fin troppo distante, alle spalle del giovane ramingo.

Dean si voltò e riuscì ad incrociare lo sguardo preoccupato dell’Elfo solo per un secondo, prima che gli fosse nascosto dal corpo di Sam, che camminava dietro di lui. Era stato, però, sufficiente per notare che l’Elfo teneva ora pronto tra le mani il proprio arco, così come Rufus, dietro di lui, aveva appena finito di sguainare la spada. Il giovane portò la mano all’elsa della spada di Colt e si sentì inerme, sapendo che non era altro che un inutile mozzicone, solo un peso che doveva assolutamente riportare alla luce del sole. Estrasse dal suo fodero il lungo pugnale elfico che teneva legato all’altro fianco, e stringendo la sua impugnatura tentò di ritrovare un po’ della sicurezza che non aveva.

Un terribile presentimento stava crescendo dentro di lui, e neppure la vista dello stretto ponte di Khazad-dûm, così vicino all’uscita da poter già sentire il profumo dell’aria libera, riuscì a liberargli il cuore da quel peso. Bobby iniziò l’ultima discesa verso il ponte nel momento in cui una delle corte frecce degli orchetti gli sibilò vicino all’orecchio: dovevano esserci arcieri nascosti da qualche parte, sopra il ponte. Dean vide il primo cadere nel vuoto un attimo dopo che Castiel ebbe scoccato la prima freccia, ma un secondo più tardi fu indotto a voltarsi nel sentire il clangore vicinissimo di mille armi che smaniavano di assaggiare la loro carne.

L’orda degli orchetti li aveva raggiunti per chissà quale via, e ora premeva alle loro spalle. Certo, sullo stretto passaggio sospeso non avrebbero potuto attaccarli in massa o circondarli, ma non era quello a preoccuparlo. Quello che gli stava mozzando il fiato nel petto, al momento, era l’ombra che stava risalendo alle spalle dei loro inseguitori, mettendo in fuga gli orchetti stessi con il suo seguito di atavico terrore. Pareva una nube di fumo e cenere, al cui centro si poteva distinguere qualcosa di molto simile ad una figura umana. Dean sentì le proprie gambe divenire come di marmo, mentre il cuore gli sprofondava nel petto per l’orrore, e gli vollero alcuni secondi per vedere che tutto il gruppo era stato paralizzato da quella visione.

Quando anche Bobby si voltò, puntando i propri occhi chiari dritti all’interno di quel nero ammasso di terrore ed aumentando la luce del proprio bastone come per attirare la loro attenzione, uno strano ruggito riempì le alte pareti che circondavano il baratro sul quale si gettava il ponte di Khazad-dûm, mentre il nero fumo che avvolgeva quella creatura si accendeva improvvisamente di rosso, come stesse bruciando dall’interno e il suo corpo fosse composto di tizzoni d’inferno.

“Sono un servitore del Fuoco Segreto e reggo la Fiamma di Anor! A nulla ti servirà il fuoco oscuro, torna nell’Ombra Azazel, fiamma di Udûn!” tuonò la voce di Bobby, e il suo bastone vibrò di potere e di luce per un attimo, facendo tremare il demone di fiamma che stava loro innanzi, il quale reagì con un lungo ruggito che sembrò scuotere le fondamenta delle miniere, mentre sul suo volto distorto ora illuminato dalle sue stesse fiamme, si scorgeva un sorriso che fece gelare il sangue nelle vene dei cinque compagni.

“C’è qualcosa che devo prendere, prima di tornare nell’Ombra, Istari” sibilò la sua voce, come fosse il suono delle fiamme che lo componevano, e quelle parole quasi sommesse parvero squassare ancor più a fondo le pietre intorno a loro.

Sinistri scricchiolii raggiunsero il loro orecchio, prima che i massi iniziassero e piovere sulle loro teste, minando il loro già stretto percorso sospeso nel vuoto.

“Correte!” ordinò immediatamente Bobby, percorrendo gli ultimi gradini per imboccare poi il ponte, che li costringeva ad avanzare in fila indiana.

Quando Dean gettò un’occhiata dietro le spalle, vide le orde di orchetti superare di corsa il demone che fino ad allora li aveva tenuti lontani con il timore che incuteva loro, e coprire velocemente lo spazio che li divideva. Rufus aveva appena raggiunto a sua volta l’altro lato del ponte, quando il primo orchetto lo raggiunse con la sua lama. Il ramingo imprecò al dolore provocato dalla prima ferita, e si voltò abbattendo l’avversario con un unico fendente della sua lama lunga. Ormai, però, si era fermato, e gli orchetti gli si avventavano uno dopo l’altro, calpestando senza pietà i corpi dei loro compagni morti, che scivolavano lentamente giù dal sentiero di pietra piombando nel vuoto.

Dean strinse più forte le dita attorno all’impugnatura del suo pugnale, e si voltò per andare a dar manforte all’amico, ma le ferme mani di Sam lo fermarono. Il ragazzo lo guardò come se fosse impazzito, ma in quel momento un masso più grosso degli altri cadde alle loro spalle, portando con sé una consistente parte del cammino sospeso. Bobby si trovava già dall’altro lato, e si voltò fissando ad occhi sbarrati la scena.

“Salta ragazzo, muoviti!” ordinò perentorio, facendo un passo indietro per dargli lo spazio di atterrare dall’altro lato. Il buco che si era aperto nel loro sentiero era ampio ma non insormontabile, eppure il ragazzo continuava a guardarsi indietro, verso il ramingo che gli aveva fatto da maestro, che continuava a tenere ostinatamente la sua posizione, rispondendo colpo su colpo nonostante la stanchezza gli stesse evidentemente già attanagliando le braccia.

“Non possiamo lasciarlo solo!” protestò Dean con rabbia, spostando il proprio sguardo fra i tre compagni, non trovando altro che costernazione e rassegnazione “Non…” continuò Dean, ma Bobby lo interruppe bruscamente.

“Se resti qui condannerai molto più che la vita di Rufus. Devi riportare quella spada dagli Elfi perché sia riforgiata. Devi portare la luce contro l’Ombra” lo ammonì la sua voce brusca, e per quanto Dean si rendesse conto che aveva ragione, non poteva risolversi a lasciare l’amico a morire solo in quelle miniere.

Disperato, si voltò verso Sam, non osando neppure guardare negli occhi Castiel mentre afferrava il fodero della spada di Colt, per tenderlo al Mezzelfo “Prendi la spada, portala a tuo padre! La spada è fondamentale, io…” ma questa volta fu qualcun altro ad impedirgli di completare la frase.

“La spada non è nulla senza qualcuno che la brandisca. La luce di cui parla Bobby è dentro di te” la voce di Castiel era profonda e solenne tanto quanto i suoi occhi blu che lo fissavano senza possibilità di sfuggire.

“Salta Dean, Rufus non vorrebbe che tornassi indietro per lui” aggiunse Sam, spingendolo con delicatezza verso il baratro, mentre il suo sguardo verde pareva fissarlo con un misto di affetto e irremovibile durezza.

Dean lanciò un ultimo sguardo alle mosse sempre più stanche di Rufus, solo alcuni metri più indietro: non c’era più tempo, ben presto il ramingo avrebbe ceduto e gli orchetti sarebbero stati loro addosso. Senza più dire una parola, lasciò che il fodero della spada gli ricadesse al fianco, quindi si voltò e spiccò il balzo senza pensarci oltre, ritrovandosi in men che non si dica dall’altro lato, insieme a Bobby. Sam lo seguì velocemente, non appena il ramingo si fu scostato per fargli spazio, quindi fu il turno di Castiel di prepararsi a saltare.

Il giovane uomo osservava con apprensione la scena alle sue spalle, e i suoi occhi verdi non riuscivano a staccarsi dalla figura avvolta dalle fiamme, che ora stava avanzando lentamente in direzione del ponte. Era troppo distante per scorgere il suo volto, ma Dean era certo che stesse ancora sorridendo in quel suo modo freddo quanto incandescente doveva essere il suo corpo: sorrideva, come se sapesse di avere già vinto.

Castiel piegò le gambe, pronto a balzare, ma proprio in quel momento sentì il ruggito di dolore di Rufus giungergli alle orecchie. Istintivamente, si fermò e voltò lo sguardo per guardarlo crollare in ginocchio mentre la spada insanguinata di un orchetto dalla malsana pelle verdognola scivolava fuori dal suo corpo con un suono liquido di sangue versato, cavandogli le viscere dal ventre con un crudele movimento di torsione. Dean vide il lampo di rabbia nel blu solitamente placido dello sguardo dell’Elfo, nonostante potesse scorgerlo solo di profilo, quindi lo vide estrarre velocemente una freccia ed incoccare, rapido e silenzioso proprio come la punta del suo dardo mentre si conficcava nel volto ghignante dell’essere mostruoso che aveva appena brutalmente assassinato il loro amico.

Quando l’Elfo si voltò nuovamente per saltare a sua volta, finalmente, un nuovo, gigantesco masso piombò fra lui e i suoi compagni, frantumando un nuovo pezzo del sentiero di pietra, che si sbriciolò velocemente sotto i piedi dei tre compagni, che riuscirono a malapena a trarsi in salvo, arrampicandosi più su per l’ultima rampa di scale che portava verso il Cancello dei Rivi Tenebrosi. Ora il vuoto che si apriva fra i due lembi del sentiero era di parecchi metri, e nemmeno le lunghe ed agili gambe di un Elfo avrebbero potuto coprirlo con un salto.

Dean non sentiva nemmeno la mano di Sam che, posata sulla sua spalla, cercava di trascinarlo via di peso, su per i gradini e verso la salvezza, aveva semplicemente gli occhi sbarrati fissi sul volto incredibilmente ancora impassibile di Castiel. I suoi occhi sembravano valutare e rivalutare lo spazio del salto, come se stesse veramente meditando di provare a coprirlo con le sue sole forze, e sembrò che fosse trascorsa un’eternità prima che rialzasse lo sguardo, puntandolo in quello terrorizzato del compagno per sorridergli dolcemente. Dean vide le sue labbra incurvarsi appena in quel suo sorriso segreto e appena accennato, quello che aveva sempre quando accarezzava la sua pelle sudata dopo aver fatto l’amore, e sentì il respiro mancargli nel petto quando vide un addio ricolmo di una malinconia dolorosa nei suoi occhi.

“Cas!” urlò con quanto fiato aveva in gola, lottando come un diavolo contro le braccia di Sam che ancora cercavano con fatica di trascinarlo via.

No, non poteva finire così: con un sorriso ed un addio silenzioso, con uno sguardo ancora colmo di fiducia e amore mentre si voltava per andare a morire. Non poteva, non voleva dire addio e lasciarlo andare, lasciarlo morire per una stupida spada, per una speranza appesa un filo che si sarebbe reciso presto, nel momento stesso in cui il suo cuore avrebbe cessato di battere. Dean vide Castiel voltargli le spalle e sguainare la sua lama elfica, prima di gettarsi incontro alla morte come un eroe delle antiche canzoni, risplendendo della luce di Valinor come solo un principe degli Elfi poteva, e portando il chiarore del suo cuore immacolato contro l’Ombra che già si faceva avanti per inghiottirlo.

Dean sentì l’odio per quell’essere di ombra e fiamma bruciare dentro le lacrime che già gli solcavano il volto, mentre con una ferocia senza pari gli divorava l’anima di dolore. Lasciò cadere il pugnale che aveva stretto fino a quel momento tra le dita, mentre finalmente si voltava per lasciare che Sam lo trascinasse via, perché sapeva che altrimenti se lo sarebbe piantato nel petto, nell’inutile tentativo di uccidere la bestia di odio e sofferenza che lo stava già dilaniando dall’interno.
   
 
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