2. Amore litigarello
Dal sesto piano di un palazzo nel Village provenivano
strani rumori, insieme a urla e imprecazioni.
Noah Puckerman, forte della
sua prestanza fisica, posò un grosso scatolone e si accasciò sul pavimento,
esausto. Quel trasloco lo stava uccidendo. Anzi, era la sua ragazza a
ucciderlo. Dall’alba non faceva altro che dare ordini, sia a lui che ai poveri
Mike e David che, chissà per quale ragione, erano arrivati in soccorso.
Anzi, la ragione la sapeva.
Le loro dolci metà erano, se possibile, ancora più tiranneggianti della sua.
«Non ce la faccio più» ansimò Mike, raggiungendo gli altri due. Era il più
magrolino, ma aveva forza da vendere. Non a caso era stato preso in una delle
scuole più pesanti dell’intero Stato.
«Non dirlo a me, questo è il terzo trasloco in una settimana. Birra, ho bisogno
di una birra» disse Dave, tirando la testa indietro.
«Certe volte mi chiedo chi me l’ha fatto fare» mugugnò Puck, dopo un’occhiata
alla montagna di scatoloni nel pianerottolo, ancora da portare dentro.
«Non lo dire a me» fece Mike, pensando alla sua ragazza e a tutti i pacchi che
il giorno prima gli aveva fatto sistemare nel minuscolo appartamento al piano
di sotto. Non voleva essere cattivo, ma a volte voleva proprio scappare.
Lontano, dove lei non lo avrebbe trovato per metterlo sotto con una delle sue
solite idee “geniali”.
«Però non ho ancora capito una cosa» David attirò l’attenzione degli altri due,
«Perché le vostre ragazze devono stare qui e voi sotto? Insomma, se state
insieme, a che servono due case?»
«Quinn dice che non va bene convivere prima del matrimonio» spiegò Mike
annoiato.
«Lo stesso Rachel» sbuffò Noah.
«Quindi il sesso va bene, ma non la convivenza?»
«A quanto pare» il ragazzo diede una spallata all’amico, «E invece tu te la
godi, nella stessa casa con Hummel. Qui non c’è
giustizia». Si allungò verso il piccolo frigo bar sulla parete e lanciò un paio
di birre, aprendone una per sé.
«Che cosa state facendo? C’è ancora tanto lavoro e vi riposate bevendo.. birra?»
Quinn entrò nell’appartamento seguita da Rachel. Le
due si fermarono in piedi davanti ai ragazzi, le mani ancorate ai fianchi e le
labbra strette. Sapevano che non c’era da fidarsi di quei pigroni.
«Una pausa, dateci una pausa» le implorò Mike.
«Dov’è il vostro amico?» domandò burbero Dave.
«Perché siede seduti?» della serie “parlando del diavolo..”, Kurt entrò in casa
e ridacchiò alla vista dei tre ragazzi distrutti. Erano così teneri –ma questo
non lo avrebbe detto ad alta voce per paura di pagarla cara- che prese il
telefono e scattò una foto.
«Ehi, tu sei un ragazzo, devi fare la tua parte!» esclamò Noah,
un dito teso in direzione di Kurt che lo fissò incurante.
«Puckerman, la mia crema per le mani costa quanto la
tua macchina, non la spreco per fare lavori pesanti.»
Dal suo canto, dopo avergli lanciato un’occhiata di fuoco, Noah
fece in modo di trattenersi. Se avesse torto un solo capello ad Hummel, Karofsky lo avrebbe spezzato in due, quindi meglio
non rischiare. Ma quella petulante copia al maschile di Rachel
certe volte gli faceva perdere la ragione. Un dito in un occhio, una gomitata
alle costole.. sarebbe stato così semplice mettere fuori combattimento quel piccolo
genio del male!
Con ancora quei pensieri violenti per la testa, il ragazzo lanciò uno sguardo
d’intesa agli altri due che, una volta in piedi, si avvicinarono meccanicamente
a Kurt che, ormai spalle al muro, si coprì il volto con entrambe le mani, prima
che il contenuto di due bottiglie ambrate finisse dritto sulla sua testa. Le
due ragazze si allontanarono di qualche passo, trattenendo malamente le risate.
Il ragazzo, con ancora la birra che gli gocciolava dal viso alla nuovissima
giacca di Adam Killem, strizzò gli occhi e spalancò
la bocca un una O muta. «Voi.. avete.. Dave!» tuonò
furioso.
«Che c’è? Io non ho fatto niente, la birra preferisco bermela» sghignazzò lui,
dopo aver alzato la sua bottiglia verso gli amici, come a complimentarsi.
«Kurt» Rachel fece per posargli una mano sulla
spalla, ma ci ripensò. «Mi dispiace»
Con lo stesso tono che non aveva nulla di serio, anche Quinn si avvicinò «Puoi
darti una sistemata in bagno»
Lui seguì il consiglio e fece per allontanarsi, ma si voltò di scatto, col suo
solito atteggiamento di superiorità. «David Karofsky, questa me la paghi»
sibilò lasciando tutti gli altri a ridere di lui.
«Stavolta l’avete combinata grossa, non vi perdonerà mai» disse Rachel, ancora con le guance imporporate dall’ilarità.
«Se l’è meritato, almeno per come tratta i miei vestiti» rispose Dave, ripensando alle sue povere felpe sempre insultate
dall’altro. Ma cos’avevano di brutto? Solo perché non erano capi di grande
moda, o come diamine si diceva. Si sporse insieme agli altri verso l’ingresso,
richiamati dalla risata di Santana che, Brittany al
suo fianco, fece la sua comparsa.
«Ancora in questo stato» continuò a ridere lei mentre la sua ragazza si sedeva
sulle gambe di Mike, sotto lo sguardo di Quinn che venne presa dal solito tic
nervoso all’occhio. Sapeva che con la biondina non aveva nulla da temere, ma
non sopportava che qualcuno toccasse il suo Mike. «Noi abbiamo finito ieri,
vero Britt?» si guardò a lato, ma non la trovò.
«Su Mike» le disse Quinn e, insieme, digrignarono i denti.
«Non mi piace quando il tuo chiodo salterino mette le mani addosso alla mia
ragazza»
«Non lo dire a me. Ehi» batté le mani verso i due che chiacchieravano fitto,
«basta, voi due»
«Ma come avete fatto a metterci solo un giorno?» domandò Mike a Santana. Se non
gli avesse rivolto la parola, come minimo l’avrebbe fucilato.
«Abbiamo chiamato una ditta di traslochi e in un paio d’ore era tutto in
ordine»
«Ma allora siamo proprio scemi!» esclamarono in coro i tre ragazzi.
«Certo, io lo dico sempre»
«Vuoi darci una mano, Lopez?» la sfidò Dave scaltro,
conoscendo già la risposta.
«Grazie, ma piuttosto preferirei fare shopping con la Berry»
«Beh, in effetti» concordò Kurt, che nel frattempo era tornato, guardando
l’orribile vestitino che l’amica indossava.
«Ehi, ma perché ve la prendete sempre con i miei vestiti?» s’imbronciò la
diretta interessata, «Noah, difendimi»
«Io lo farei, piccola. Ma quei cosi bianchi sono proprio strani»
«Sono pois! E vanno di moda» rispose alterata la mora, lisciandosi il vestitino
dal taglio vintage.
Mentre lo guardava offesa, un colpo di genio gli balenò nella testa. Senza
farsi vedere dagli altri, strizzò un occhio al fidanzato che sorrise
all’istante, pronto per cominciare.
«Un secolo fa, forse.»
«Noah Puckerman» un suono
gutturale e per nulla dolce gli sfuggì dalle labbra, facendo atterrire tutti
gli altri. La conoscevano e sapevano come diventava quando si arrabbiava.
«Rachel» la chiamò Quinn. Non che le dispiacesse sentire
una stigliata ai danni di Puck, ma poi la nanetta isterica se la sarebbe dovuta
sopportare lei e sentirle cantare per l’ennesima volta l’intera discografia
della Streisand non l’allettava molto, anzi per
niente.
«E dai Berry, Puck qui c’ha ragione. Non mi fai arrapare per niente con quel
saio addosso, non che di solito tu mi faccia arrapare..» andando avanti con la
frase, la voce di Santana si affievoliva sempre di più mentre un paio di occhi
azzurri come il cielo la guardavano stranita. «Ok, la smetto»
«Santana, non stiamo parlando di te, ma di lui» Rachel
tornò a guardarlo, una mano sul fianco e il piede che batteva sul pavimento,
«Quindi non sono abbastanza carina per te?»
«Ma certo.. quando non ti metti quei cosi strani»
«Puck!» lo ripresero tutti in coro, a occhi spalancati. Quella, pensarono, era
guerra aperta.
«Brutto cafone maleducato!» la ragazza gli lanciò la custodia vuota di un
vecchio vinile, la prima cosa a portata di mano che, però, andò a sbattere
dritta in faccia a Mike.
«Ehi, ma vuoi ammazzare qualcuno?» fece questo avvicinandosi alla fidanzata che
si allungò a controllargli il viso. Nella stanza era calato un silenzio
tombale, rotto solo dallo scoccare delle lancette sull’orologio a muro. Rachel si era portata le mani al viso, mortificata.
«Scusa, volevo prendere lui»
«Non sai nemmeno centrare il bersaglio, sei proprio persa» sghignazzò Puck.
Provò ad avvicinarsi, ma lei lo scansò malamente. «Non devi toccarmi»
«E allora non ti tocco» Noah tornò al suo posto,
continuando a guardarla con astio, naturalmente ricambiato. «Mocciosa
petulante»
«Ok, noi togliamo il disturbo» disse Santana a voce alta, trascinandosi dietro
tutti gli altri. La porta si chiuse con uno scatto e i due si guardarono fissi
per poi scoppiare a ridere.
«Se ne sono andati, dici che se la sono bevuta?»
«Sicuro» finalmente soli, Noah le si avvicinò e le
posò le mani sui fianchi, «Ma non credi di aver esagerato? Per poco non
accecavi il povero Mike.» Non era la prima volta che usavano quella tattica.
Sapevano entrambi quanto i loro amici detestassero vederli litigare e, per non
assistere allo spargimento di sangue, si defilavano. E avevano imparato a usare
tutto questo a loro vantaggio. Quando volevano rimanere da soli, usavano anche
il più inconsistente pretesto per accendere una dura discussione. Fino a quel
momento aveva sempre funzionato.
«Mi sono lasciata prendere la mano. E poi anche tu hai esagerato» sulle sue
labbra comparve un broncio, mentre alzava il capo per guardarlo meglio, «Pensi
davvero che sono una bambina?»
«La mia eccitante piccola principessa» le posò un dito sul naso e un sorriso si
allargò sulle sue labbra di pesca, ma non arrivò a illuminarle gli occhi da
cerbiatta.
«Non è una risposta»
«Se lo pensassi, non potrei fare questo» le posò un leggero bacio sulle labbra,
mentre lei sbuffò fintamente contrariata.
«E nemmeno questo» le fece scivolare una spallina del vestito sulla spalla
liscia e morbida, seguendone il cammino con una scia di baci.
«Mi fai il solletico» ridacchiò a occhi chiusi mentre le sue labbra si aprirono
in una o muta quando lui la prese in braccio e la addossò alla parete,
baciandola con desiderio.
Rachel gli circondò i fianchi con le gambe e, con uno
scatto, gli aprì la camicia facendo saltare tutti i bottoni. «Scusa»
«Si» rispose lui indifferente, per poi tornare a impadronirsi della sua bocca.
Le mani di Noah vagavano esperte sulle cosce sode
artigliate attorno a lui mentre le mani di Rachel,
tremanti dall’eccitazione, gli accarezzavano il petto muscoloso e la schiena,
per poi ripetere il cammino. Fermi all’ingresso di quel piccolo appartamento,
continuavano ad ansimare mentre i loro vestiti con difficolta raggiungevano
punti diversi del pavimento.
Tra scatoloni e valigie, il ragazzo la poggiò delicatamente sul parquet lucido,
facendo attenzione a non pesare sul suo corpo esile. Raccattò i suoi pantaloni
e chiuse il pugno attorno alla bustina di plastica colorata. Si fermò a
guardarla per un istante, gli occhi chiusi e le labbra che gli dicevano quanto
lo volesse. Era perfetta, con i seni piccoli e quell’ombelico che era il suo
punto debole. Quella ragazza lo faceva impazzire e, tornato a baciarla con
frenesia, affondò in lei..
My corner:
Martedì è arrivato, così aggiorno con questa one-shot
. Doveva venire in un modo e invece è uscito fuori tutto il contrario, ma spero
vi possa piacere ugualmente.
Purtroppo non ho molto tempo perché sto organizzando un contest di fanfiction (ah, per chi volesse informazioni, contattatemi
in privato), ma risponderò alle recensioni dello scorso capitolo entro
pomeriggio. Vi ringrazio tantissimo per l’accoglienza che avete dato a questa
raccolta, ancora non ci credo.
Un bacio grande e a martedì prossimo (lunedì per la long), Alessia.