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Autore: Invader_from_Hell    14/03/2004    13 recensioni
Una lettera di un ragazzo rinchiuso in un istituto di cura per omosessuali. Questi istituti, di gestione pseudo-cattolica, esistono davvero. Ecco l'esempio di come la religione può essere usata da uomini la cui perversione è indicibile per infliggere agli altri sofferenze terrificanti. Tra calore insopportabile e solitudine, il protagonista racconta della vita reclusa...
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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xmlns:w="urn:schemas-microsoft-com:office:word" xmlns="http://www.w3.org/TR/REC-html40"> La sindrome di Stoccolma

La sindrome di Stoccolma

 

Nota: questo racconto è ambientato in un istituto cattolico di cura per gli omosessuali.

 

 

Non ho veramente la più pallida idea di quante volte tu sia stato a letto con lui. Ci ho molto pensato nelle ultime due settimane, un po’ perché è l’unica cosa che sia ormai capace di farmi salire la bile fino nell’anima e di farmi rigurgitare tutte quelle ombre che amo cullare, un po’ perché oggettivamente non è una cosa che richieda molto sforzo. La prima volta che lo vidi, non mi fece una pessima impressione, tutt’altro. Credetti sinceramente alla tua voce ingenua e solo vagamente tagliente che intesseva quei meravigliosi e lutulenti discorsi nei quali spiegava per filo e per segno come quel ragazzo sul metro e settantacinque, non particolarmente bello e secondo me neppure dotato di un’intelligenza spiccata, fosse entrato nella tua vita molti anni addietro, in qualità di semplicissimo amico. Immagino che sia diventato adesso il tuo modo per vincere il freddo. Mi chiedo spesso anche questo, come tu faccia a resistere al freddo. È arrivato un inverno molto freddo, ma immagino che tu lo sappia molto meglio di me. Io posso solo intuirlo, non ho ancora sentito il sapore dell’aria che punge, ancora il vento non mi ha ustionato le labbra. Non avrei mai creduto che sarei arrivato a sentire la mancanza della sensazione ruvida delle labbra screpolate, mie, ma infondo anche tue. Immagino solo quello che sta succedendo fuori al mio cielo e ai miei alberi, sono sicuro che l’erba urla di dolore mentre strati insolubili di gelo la ricoprono e ne sopprimono la verde vitalità, quella linfa tipicamente primaverile che ancora non si vede.

Il riscaldamento è diventato davvero insopportabile. Qui in camera mia mi bastano pochi secondi per sentire le orecchie che si tingono di rosso e vanno a fuoco. Qui potrei stare tranquillamente nudo senza patire il freddo, la temperatura lo consentirebbe, e di fatto sento molta gente qua dentro che va raccontando di notti infernali, come solo quelle estive possono essere. Ma io ho freddo, e perdendo la cognizione delle pupille lucenti nei loro occhi non fa altro che aumentare. Questi termosifoni incandescenti sono la chiara prova di un inverno che fuori infuria. Ieri mattina la mia teoria ha trovato conferma nelle persiane della mia stanza. Mi sono svegliato meno infreddolito del solito, in preda ai miraggi causati dal calore insopportabile. C’era un’aria molto più secca e leggera, non ci crederai ma c’era il tuo odore. Quell’odore pulito e sempre fresco, quello che quella mattina pervadeva tutta la stanza per l’occasione del nostro ultimo e più meraviglioso risveglio. Quando ebbi l’impressione di cadere insieme a te all’inferno e vedere la faccia del mondo tendere le braccai verso di noi e abbracciarci nell’abbraccio d’addio più consolatorio che avessimo mai provato. Tutto sommato, quella mattina era proprio invernale. E ieri svegliandomi c’era quella freschezza leggera, e io sentivo chiaramente il suo tentativo di circondare quel calore malsano e di abbatterlo nelle sue stesse spire. Ma ero anche cosciente di come non sarebbe riuscita nella sua impresa. Per quello mi alzai dal letto, nonostante non fossero ancora le sette e mezza. Potevo tranquillamente parlare col soffitto e raccontargli di come la mia vita avesse perso ogni più piccolo significato in quella guazza putrida, ma la mia attenzione fu catalizzata dalla finestra. Vidi nitidamente quello spirito fresco e cristallino che si faceva largo e che tentava di far avanzare le sue truppe nella mia stanza. Le persiane erano ovviamente chiuse – del resto non ricordo di averle mai viste aperte- ma c’era qualcosa di insolito. Si percepiva nei loro contorni scuri la presenza inconfutabile del mondo, il soffio argentato degli esseri umani che si incuneava nelle fessure nel suo disperato tentativo di salutarmi. Toccando le persiane il mio dito si ricoprì di neve. Non avevo idea di quanto avesse nevicato né del quando questo prodigio fosse avvenuto, ma non ci pensai. Il mio stupore era dovuto principalmente a due fatti. Il primo è quello che la presenza della neve in queste finestre può solo rappresentare un richiamo per la purezza e per la leggiadria di ogni anima, un invito a non lasciarsi inquinare da questa calura persistente. D’altra parte invece mi sembrò di ricordarmi per la prima volta che la mattina del nostro ultimo risveglio stava nevicando.

Per questo oggi mi sono chiesto molto quante volte fossi stato a letto con lui. Avrei tanta voglia di sapere se in questo inverno terrificante, tu hai freddo. E se tremi, come fai a scaldarti. Io tremo di caldo, ma a dire il vero non credo che la temperatura sia effettivamente capace di richiamarmi alla realtà. Io tremo di te e non sono sicuro che anche tu stia tremando di me. Ma so già che non mi considereresti paranoico se ti potessi chiedere se ci sei stato a letto in questo inferno di arsura artica. L’unica cosa che mi dispiacerebbe, è che in tal caso io non potrei scoprire un modo per vincere questo freddo. Credo di dover appoggiare una coperta di lana sulla mia anima. Ma per ora non ne ho trovata una che si presti. Nel profondo, spero che non l’abbia trovata neanche tu, per poter immaginare una notte dove entrambi tremiamo, dove siamo entrambi sordi e muti, dove siamo di fronte, legati. E non possiamo parlare, e se anche potessimo non riusciremmo ad udire le nostre parole. Nella migliore delle ipotesi, ci arriverebbero distorte, infettate dalle ultime preghiere dell’aria che assiste a questo strazio. Ma potremmo vederci, anzi, saremmo costretti a farlo, e a soffrire dell’anima che si contorce per liberarsi delle catene, perché infondo a noi basterebbe anche il corpo. Come stai?

Qui, a quanto pare, il loro Dio mi osserva e mi giudica giorno dopo giorno. Me lo immagino, sai? Mi immagino quest’uomo vestito di celeste, circondato da angioletti storpi che sorridono beati mentre puntano una canna di fucile in bocca ai dannati. Sembra che si nutrano tutti quanti del mio sudore in questo calore insopportabile. E immagino questo attentissimo dio mentre sul suo taccuino prende nota di come parlo, di come mi alzo rispettando l’orario che mi hanno detto, di come mangio senza far rumore. E lo immagino anche nelle aule mentre, seduto in disparte su un seggio d’onore, osserva con interesse il modo in cui annuisco mentre ascolto l’insegnante. Ogni volta che ci penso mi sembra di sentire sul mio collo il suo sguardo che tentenna quando faccio cenno di aver capito. E mi sforzo più che posso di capire, perché a quanto dicono questo Dio è capace di condannarmi alle sofferenze più atroci di questo mondo. Ma non capisco nulla. Eppure ascolto. Del resto, cosa ci posso fare io se le parole mi arrivano così lontane? Mi sono chiuso in biblioteca e ho cercato notizie sui disturbi dell’udito. Nulla che avesse le sue cause nel troppo calore, niente da fare. Forse è questo freddo, sai, che mi impedisce di capire. E infatti vedo che tutti i miei compagni che non hanno freddo capiscono alla perfezione, e sembra che Dio sia felicissimo di loro. Sono proprio i suoi favoriti. Sono solo e stanco, dovrei tornare indietro adesso?

Gli insegnanti hanno spesso colloqui privati con noi. Ma ho il sospetto che a me dicano cose diverse da quelle che dicono agli altri. La maggior parte delle persone qui, quando escono sono raggianti e urlano cose incomprensibili. Una parola che sento dire spesso è “salvezza”. Non capisco davvero, possibile che basti? Io non capisco.

Io e pochi altri, quando usciamo siamo atterriti e tremiamo. E di solito ci dicono che la sera siamo invitati a non scendere a cena, in quanto sono sicuri che Dio ci nutrirà coi suoi insegnamenti. Nelle notti che seguono quelle sere fa un caldo insopportabile, ancora peggio del solito, e si sente uno strano odore. Sai, finisce che passiamo tutta la notte a vomitare. L’acqua del lavandino però è ghiaccia, non riescono ad impedire all’inverno di entrare nelle tubature, almeno questo non lo possono fare ancora.

Mi chiedono spesso di raccontare episodi belli della mia vita, e ogni volta che lo faccio mi contraddicono. Mark, questo non è l’inferno? Mi dicono che il gelato non ha un buon sapore, e che gustato sulla pelle di un ragazzo causa malattie che fanno patire le pene dell’inferno e che mi rendono indegno agli occhi di dio. Ma dicono anche che sono arrivati in tempo. Tentano di farmi capire che le tue labbra sono le labbra del diavolo e che quando mi entravi dentro lo facevi solo per rubarmi l’anima e portarmela via. Mi sembrano tutti tanto tristi, tanto che quando mi dicono queste cose non riesco nemmeno a ridere. Fanno tanto male con i loro coltelli affilati nella sofferenza più sola e stanca.

Ieri hanno anche tentato di farmi capire che il mio modo di vederti è del tutto errato, che c’è qualcosa che mi impedisce di ragionare correttamente e che potrebbe essere indicato eliminarlo chirurgicamente. Ero lucido, e ho tentato di fracassare la testa dell’insegnante contro il muro. Se ci fossi riuscito, avrei estratto il suo cervello e avrei cercato pazientemente di scoprire dove è nascosto il congegno che lo fa funzionare in quel modo. Non mi va di pensare che sia umano.

Anche dio adesso inizia a sembrarmi triste. Quando oggi l’ho immaginato mi è sembrato che fosse decisamente stufo di fare quel lavoro ingrato, l’ho visto incatenato alla sedia, costretto a lavorare da quegli aguzzini che non lo conoscono. Quello che avevo sentito dire è vero: dio non è quello che viene dipinto da quelle atrocità di uomini. Adesso credo di essere complice di Dio. Non lo seguo, e non mi fido, ma mi rendo conto di essere nella sua stessa situazione.

Fa tanto caldo, anche oggi. Non riesco ad essere lucido quando fa così caldo. Posso solo immaginare il vento che ti scompiglia quei riflessi biondi donandoli all’aria. Mark, come stai?

Finché continueranno a dirmi queste cose, io saprò di non crederci. Li assecondo, Mark. Fingerò una perfetta sindrome di Stoccolma. Grazie per la tua lettera Mark. Purtroppo la leggerò solo quando riuscirò a entrare nell’ufficio del direttore.  Non tagliarti Mark, lo so che hai freddo, lo so! Ma non tagliarti fino all’osso. Io non ne avrò per molto, e tu se vuoi puoi riscaldarti con lui, non voglio rivedere un pulcino infreddolito. Hai notato quanto è difficile far arrivare delle lettere? Fa tanto caldo. Come stai?

 

Tuo per sempre,

 

Matt

 

 

 

 

 

 

  
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