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Autore: Ashbear    14/03/2004    1 recensioni
[Rinoa e Squall, Quistis e Seifer] Si può fare sempre la scelta giusta, se ci viene data la possibilità di realizzare i nostri sogni tramite una semplice risposta: sì o no? Una bugia che cambierà per sempre una nazione, una settimana che cambierà per sempre la storia.
Attenzione: la traduzione è stata completamente rivista e corretta; attualmente, abbiamo aggiornato i primi 22 capitoli con la nuova traduzione, fatta sulla base dell'ultima versione della storia rilasciata dall'autrice originale.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quistis Trepe, Rinoa Heartilly, Seifer Almasy, Squall Leonheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A moment is a concentrated eternity.
--Ralph Waldo Emerson

CRIMSON LIES
scritto da Ashbear, tradotto da Erika, Shizuru117, Alessia Heartilly, Shu e Youffie
~ XII. SCONTRO ~

Cosa succederebbe se tutto quello per cui sei stato addestrato, tutto quello che hai trascorso la vita a conquistare conducesse ad un solo secondo determinante? Un enigma cumulativo di tutto quello che hai fatto; un istante significativo, un'opportunità di prendere la decisione giusta. Pezzi di un puzzle senza uno schema; una mappa disegnata, ma non compresa. Zell era ad un bivio, ma avrebbe capito in tempo la risposta? Pezzi e frammenti di immagini, di eventi si erano ripetuti nel suo subconscio negli ultimi mesi. In qualche modo, lui era la chiave.

Vide la bambina che dormiva profondamente tra le braccia di Alexandra. Sentì i soldati che guadagnavano distanza su di lui e sentì le loro grida di farsi da parte; sentì i loro moniti e un sentimento irreale lo avvolse. Uno dei Galbadiani impugnò l'arma mentre l'altro avanzava. Anche loro cercavano Alexandra, e la bambina, Allison. Guardò gli occhi marroni della donna volgersi con uno sguardo di dispiacere, di rimorso. Zell era così vicino a riunire la bambina ai suoi legittimi genitori, eppure poteva sentire l'amarezza in bocca. Come poteva un essere umano rapire un bambino? Questo non era un atto di compassione.

Senza esitazione, l'esperto di arti marziali afferrò la bimba dormiente dalla donna; giurò che nessun male sarebbe più stato fatto a quella creatura innocente. La rapitrice non si aspettava l'arresto, e nella situazione in cui si trovava Alexandra non aveva nessuna possibilità di fuggire. Non poteva combattere. Era al corrente dei rischi ed era più che disposta a correrli. Si abbandonò sconfitta contro il pavimento, mentre Zell faceva numerosi passi indietro. Irvine affiancò il suo compagno, guardando lo svolgersi del dramma. La guardia che avanzava si avvicinò alla donna e le tirò un calcio, forte.

La donna guardò la bambina ora sveglia mormorando, "mi dispiace, Allison."

Guardando la piccola tra le sua braccia, Zell la strinse forte. La rapitrice non mostrava alcun segno di rimorso, solo di fallimento. Se Zell voleva che andasse a finire come era finita, perché ora era così afflitto? Poi notò il secondo soldato con la pistola ancora puntata, che annuiva al primo uomo. L'uomo afferrò Alexandra per i capelli, tirandola in piedi. La seconda guardia fece un altro cenno, una comprensione silenziosa passò tra i due soldati Galbadiani.

Chiedendosi perché il soldato non abbassasse l'arma, l'esperto di arti marziali esaminò l'assalitrice già in arresto. Poi lo vide. Qualcosa di invisibile la prima volta che l'aveva vista. Qualcosa di straordinario. Una piccola catena dorata le era uscita dalla maglia, quando era stata tirata su dal pavimento della stazione. Quegli uomini non erano là per riprendersi la bambina; erano là per uccidere Alexandra. Zell passò velocemente la bambina ad Irvine, che rimase confuso dall'improvviso movimento del suo imprevedibile compagno.

Zell guardò come al rallentatore mentre il soldato armava la pistola, pronto a giustiziare la donna. Spiccò un salto davanti ad Irvine calciando via l'arma dalla mano del soldato, e guardò mentre l'arma volava sotto al treno fermo. Riuscendo ad atterrare il soldato, corse ad aiutare la donna, ancora scioccata. Irvine si sentiva impotente mentre teneva la bambina, cercando di proteggerla dal dramma che li circondava.

L'altro soldato puntò la sua arma contro Zell mentre balzava in avanti. Con la fitta di dolore del proiettile che gli penetrava nella spalla, solo l'adrenalina gli dava la forza di continuare l'attacco. Atterrò la seconda guardia allontanando anche la sua arma. Alex afferrò velocemente la pistola puntandola contro il soldato.

"Dobbiamo andarcene di qui!" gridò. "Prendete Allison!"

Irvine teneva ancora stretta la bimba e afferrò una borsa che la donna aveva portato. Zell continuò ad ignorare il dolore nel braccio colpito, afferrando la mano di Alexandra con quello sano. Continuarono a correre fuori dalla stazione, finendo in un piccolo vicolo.

Irvine passò di nuovo la bambina alla donna mentre controllava la ferita del suo compagno. Alla fine fu in grado di chiedere "Cosa diavolo stai facendo, Zell? Non sai cosa hai appena fatto!? Questa donna ha rapito una bambina, e noi l'abbiamo appena aiutata!"

"No Irvine" ansimò, senza fiato, "questa donna ha salvato una bambina e noi l'abbiamo aiutata."

"Di cosa stai parlando?"

Zell sorrise leggermente, nella sua agonia, indicando la collana della donna, "guarda".

Irvine si voltò per guardare la collana, da cui pendeva un piccolo anello. Si avvicinò a lei, nell'oscurità del passaggio.

"Oh Hyne."

Le uniche parole che fu in grado di pronunciare quando, anch'egli, vide la delicata copia dorata di Griever.

*~*~*~*~*

"Volevi vedermi?"

Squall gettò la sigaretta fuori bordo mentre si voltava verso di lei. "Volevo farti sapere che ci saranno molti ufficiali in arrivo a Trabia nei prossimi giorni. Il funerale di Renee Bennett sarà questo venerdì. Ho pensato che forse Seifer avrebbe dovuto essere cauto, ma non sapevo allora che era sotto la tua personale protezione."

"Squall, non farlo" implorò.

"Quistis, non mi interessa proprio," replicò, ostentatamente indifferente all'argomento.

"Grazie, è solo che è successo, più o meno."

"Sì, questa cosa del successo, più o meno può davvero metterti nei guai a volte."

"Starò attenta. Sono grande ormai, non ho bisogno di protezione," controbattè lei.

"Non ho mai detto che ne avevi bisogno. Volevo che tu fossi la prima a sapere che ho preso la decisione di lasciare il Garden. Non importa come va a finire, non importa se è viva o morta. Non posso più essere uno di loro. Niente più giochetti, niente più bugie."

Quistis si avvicinò alla ringhiera, mentre i brividi per l'aria della notte le correvano lungo la schiena.

"Ti direi di non farlo, ma onestamente non vedo la necessità di rimanere io stessa. Dove andrai?"

"Credo che dipenda da come vanno le cose. Devo rimanere al comando il più a lungo possibile. Ogni piccola informazione che raccolgo potrebbe essere fondamentale."

"Squall, pensi che sia morta?"

"No... credo davvero che lo saprei, se fosse morta. Sembra bizzarro, ma a dire il vero, sento che è vicina, più vicina che negli ultimi due anni. Spero che sappia che la sto cercando. Spero che mi trovi."

"Sono sicura che lo farà, Squall."

*~*~*~*~*

La notte venne e se ne andò; così era il cerchio della vita. Il mattino successivo era sereno, ma una possibile tempesta si era alzata dalla costa occidentale. Trabia appariva come ogni altro giorno, nulla di speciale, e nulla di insolito. Renee Bennett, la moglie dell'uomo più potente di Trabia, era morta solo il giorno prima. Se tutto andava bene, avrebbero avuto un intero giorno per le indagini prima che arrivasse sul continente gelato compagnia indesiderata.

Squall osservò l'orizzonte mentre la barca si avvicinava al molo. I meccanismi interni fecero vibrare l'intera imbarcazione mentre i motori si fermavano. La città aveva il suo fascino, se si riusciva a trovarla sotto i vari livelli di neve pungente. Squall non era tipo da freddo rigido, né da sistemazione isolata.

La rinascita del Garden di Trabia aveva portato commercio alla piccola città di minatori. Inoltre, l'accidentale scoperta di petrolio aveva avuto un peso importante sul recente sviluppo economico. In cinque anni la piccola città aveva visto la sua popolazione crescere fino a diventare trenta volte tanto, la maggior parte attratti dalla possibilità di lavoro, altri dalla prospettiva di arricchirsi. Richard Bennett era tra gli ultimi. Squall lo riconobbe grazie alle riunioni del Consiglio, ma non si era mai preso la briga di conoscerlo. Non che Squall si prendesse la briga di conoscere qualcuno.

A dire il vero, era quasi sorpreso che il dignitario avesse una moglie e una figlia, se ne era parlato molto poco. La prima cosa che il SeeD avrebbe fatto sarebbe stata andare a casa sua, per offrire le diplomatiche condoglianze di rito.

"Come sto? Mi son sempre chiesto come ci si sarebbe sentiti con una di queste addosso. Lascia che te lo dica, non sono impressionato," brontolò Seifer, salendo da sottocoperta.

Fece un gesto verso l'uniforme SeeD che stava indossando, mescolandosi agli altri.

"Non pensavo che avrei vissuto fino a vedere il giorno in cui avresti indossato un'uniforme della SeeD, Seifer Almasy. Credo che questo sia davvero un segno della fine del mondo," ringhiò Squall di rimando.

"Oh, Comandante Leonhart, credo proprio che quella fosse una battuta. Una brutta battuta, ma almeno ci hai provato. Hey, lascia che mi presenti, secondo quanto dice il mio cartellino di identificazione, devi chiamarmi Nicolas Jackson. Non sei molto creativo riguardo ai nomi, vero Squall?"

"Ad ogni modo, cosa diavolo vuoi, Nicolas?"

"Beh, sono qui per dirti che Quistis e Lauren sono pronte a sbarcare. Lauren dirigerà l'interrogatorio riguardo al rapimento, così saremo liberi per altre ricerche."

"Bennett vive qui vicino, non più lontano di un isolato."

"Squall, non rischierò di incontrarlo. Lauren ha accettato di venire con te. Quistis e io andremo a controllare quel negozio di antiquariato dove ha comprato gli anelli. Oh, per quello che può importare, non fidarti di Bennett."

"Perché dici così? Mi sembra che stia affrontando una situazione estenuante in questo momento, ha tutta la mia simpatia."

"La tua simpatia è mal risposta, allora. Conosco i serpenti, io striscio tra loro. Ti sto solo dicendo che quell'uomo non è come appare. Io non mi fido di lui."

"Proprio tu lo dici? Non credevo che ci fosse qualcuno peggiore di te da guardare dall'alto in basso, signor Almasy."

I quattro si riunirono sulla banchina di Trabia, controllando le direttive dell'ultimo minuto. Squall sentì l'inspiegabile bisogno di raggiungere la casa di Richard Bennett. Disse a malapena una parola alla sua compagna, ma il Comandante non era certo famoso per le sue abilità di conversazione.

La residenza era di dimensioni considerevoli, equivalente alla magione di Caraway. La casa era di recente costruzione, non più vecchia di due anni, in coincidenza con l'elezione di Bennett nel Consiglio. Per una città modesta, una casa del genere sembrava fuori posto con i suoi elaborati cancelli di ferro e allarmi di sicurezza. Mentre si avvicinava, Squall notò le varie stalle sul lato est del terreno, con una vasta area boscosa che circondava gli edifici. Numerosi Chocobo purosangue erano fuori; senza dubbio, quest'uomo si dilettava nell'allevamento.

Una delle cameriere aprì la porta, e vedendo le loro uniformi offrì loro immediatamente di entrare.

"Comandante Squall Leonhart del Garden di Balamb, per vedere Richard Bennett," disse nella voce il più dignitosa possibile. La cameriera stava per annunciarli, quando all'improvviso una voce chiassosa tuonò dalle scale.

"Cosa diavolo ci fa qui, Comandante Leonhart?"

Squall riconobbe immediatamente Lord Bennett, un titolo riconosciuto alla sua famiglia dagli ultimi reali di Trabia. Un lignaggio ora del tutto dimenticato. L'uomo era comodamente dieci anni più vecchio di Squall, i capelli neri e gli occhi minacciosi. Sembrava senza dubbio non felice di vedere il Comandante, cosa che era un enigma, dal momento che sua figlia era sparita.

Squall ricordò l'affermazione che Seifer aveva fatto prima; gli attraversò improvvisamente la mente. Ammise che c'era qualcosa di strano in quella situazione, nell'atteggiamento dell'uomo. Il Comandante era sorpreso da quanto velocemente si fosse messo sulla difensiva dopo la domanda di Bennett, invece che essere sull'offensiva secondo le norme degli interrogatori.

"Delegato Bennett, sono stato mandato dal Presidente Jefferson Mitchell per sorvegliare la ricerca di sua figlia."

"Mia moglie è morta ieri. Non ho tempo per le domande," ribattè l'uomo.

"Signore, lo sappiamo bene. Il Consiglio Mondiale e la Repubblica di Galbadia le offrono le loro più sentite condoglianze. Non la tratterrò a lungo. Siamo qui per indagare su una donna che lavorava per lei, Alexandra Williams."

L'uomo si avvicinò a Squall, che era ancora perplesso per il comportamento dell'altro.

"Vuole sapere di quella puttana e di mia figlia? Domandi ai suoi fottuti SeeD."

"Mi perdoni signore, con tutto il dovuto rispetto.... non mi parli mai più in quel modo. Non capisco da dove arrivi la sua ostilità, ma non sfoghi la sua rabbia su di me o sui miei uomini."

"Allora mi dica perchè i suoi dannati uomini sono stati visti con lei, ieri, nell'impero di Dollet? Non solo l'hanno vista, ma hanno anche impedito il salvataggio di Allison, mia figlia," ribattè rabbiosamente in faccia a Squall.

"Signore, sono sicuro che le sue informazioni non siano corrette. Nessuno dei miei uomini è attualmente inviato nella regione di Dollet."

L'uomo più anziano aprì una cartella, passando allo sconcertato Comandante una fotografia, chiaramente scattata da una telecamera di sicurezza. Squall si trovò sbalordito. Sulla carta, inequivocabilmente come il nero e il bianco, c'erano i membri della sua squadra di investigazione, Zell ed Irvine, quest'ultimo che teneva in braccio quella che sembrava una bambina. Zell stava apparentemente trascinando una donna castana attraverso i vari vagoni ferroviari in deposito.

"Ora se ne vada da casa mia, signor Leonhart, né lei né i SeeD siete più i benvenuti qui," minacciò ferocemente.

"Lauren," disse Squall, diffidente. "Ce ne andiamo."

Il Comandante si voltò verso la porta, continuando a tenere in mano la fotografia. Nulla sembrava logico. Zell ed Irvine potevano essere stati sconsiderati, ma aiutare e sostenere una criminale era del tutto oltre le loro risorse. Se stavano davvero proteggendo quella donna, allora avevano una dannata buona ragione. Di questo era certo. Aprendo la porta, la cameriera gli fece segno di lasciare l'edificio. Squall cercò di uscire, ma fu preso alla sprovvista quando Richard lo raggiunse, afferrandogli forte il braccio.

"Tocchi mia figlia e la ucciderò personalmente. Quando troverò i suoi due uomini, glielo assicuro, saranno già morti."

Squall Leonhart, indipendentemente dalle circostanze, non aveva mai accettato tranquillamente le intimidazioni, né gli piaceva essere afferrato in quel modo. Soprattutto da un uomo in uno stato così sconvolto, un uomo che, pensava, i SeeD venuti a Trabia appositamente avrebbero dovuto assistere. Istintivamente afferrò il braccio di Bennett, torcendolo e bloccandolo in maniera sicura dietro la schiena dell'uomo.

L'uomo era stato con successo reso un prigioniero del tutto impotente. Richard Bennett non poteva tenere testa alla forza che Squall possedeva, specialmente quando era estremamente infuriato.

"Mi tocchi ancora e la ucciderò lì dove si trova. Tocchi i miei uomini e identificheranno il suo cadavere solo con l'aiuto delle cartelle dentistiche." Lo lasciò andare con una tale forza, un tale vigore, che Richard Bennett perse l'equilibrio, cadendo forte contro il pavimento di marmo.

Squall non aveva mai sentito una tale rabbia nella sua vita. Quest'uomo, questo mostro, era pura malvagità; se mai una morte potesse essere giustificata, quello era il caso. Aveva affrontato nemici prima, eppure in qualche modo quest'uomo era diverso. Qualcosa in lui gli faceva accapponare la pelle, gli faceva attorcigliare l'anima di dolore. Perché un così semplice incontro avrebbe dovuto rilasciare tali emozioni negative? Squall non aveva mai sentito un tale odio prima, nemmeno verso se stesso... o per la perdita di Rinoa. Rinoa?

Lauren camminò rapidamente dietro a Squall, senza mai distogliere lo sguardo dal furibondo Comandante. Lavorava per lui da oltre un anno, e non era mai stata testimone di un tale sfogo di emozioni. Mentre la cameriera di Bennett sbatteva la porta dietro di lei, chiamò Squall, decisa a capire il confronto tra i due uomini.

"Comandante Leonhart, a cosa era dovuta tutta quella rabbia?"

Per un breve momento la sua mente gli giocò un brutto scherzo, si voltò verso Lauren vedendo i suoi arruffati capelli neri, che spuntavano da sotto il cappello invernale. Che dipendesse dallo stato della sua mente o da un inconscio presentimento, le rispose con rabbia, "Rinoa, per favore non farmi domande adesso, lo sai bene!"

Si bloccò.

Come diavolo l'aveva appena chiamata? Non aveva mai fatto quell'errore... mai.

La SeeD si fermò leggermente sconcertata, senza però leggere troppo in quel lapsus. Più di una persona l'aveva informata della loro somiglianza. Giudicò l'errore come qualcosa detto in un momento di rabbia, qualcosa di mal pronunciato in preda all'emozione. Eppure, quest'uomo aveva mostrato poche sensazioni fino a un paio di giorni prima; ironicamente, proprio il secondo anniversario della scomparsa della strega.

La mente di Squall correva.

"Lauren, io... io..." Non poteva continuare, non poteva spiegare.

Scuotendo la testa la guardò... che fottuto errore dopo due anni. Chiuse forte gli occhi, cercando disperatamente di riacquistare una parvenza di tranquillità. Fallì. Emozioni, sensazioni, tornavano tutte in superficie dopo così tanto tempo, per la prima volta in anni, che non poteva controllare i suoi stessi pensieri. Il suo cuore aveva accelerato il battito, la testa gli girava. Che cosa diavolo non andava? Non poteva pensare in modo chiaro, doveva allontanarsi da tutti ora, da questa ragazza che somigliava così tanto a... NO!

Lauren guardò il Comandante prendersi la testa fra le mani; un'aria di disorientamento lo inghiottiva. Senza pensarci meglio, allungò una mano cercando di rassicurarlo. Eppure lo sapeva anche lei: era l'ultima cosa che lui cercava. Squall indietreggiò di fronte al tocco gentile, reagendo come se il veleno gli stesse sciogliendo la carne.

"Non farlo," ordinò. "Devo... devo - addio." Parlava con voce confusa.

Lei lo guardò mentre cominciava correre verso l'isolata area boscosa. Dapprima cercò di rincorrerlo, impaurita dalla sua condizione così instabile. Ma Squall poteva tranquillamente superarla in corsa. La neve la rallentava solo i passi, ognuno più pesante dell'ultimo. Lauren non poteva aiutarlo, non poteva raggiungerlo. Anche se l'avesse fatto, non c'era nessuna azione logica che potesse aiutarlo... solo Squall Leonhart poteva aiutare se stesso.

"Addio Comandante," sussurrò nella rigida aria di Trabia. A nessuno in particolare, solo al vento artico che le pungeva il viso.

*~*~*~*~*

Due SeeD camminavano per le strade scarsamente trafficate di Trabia, ognuno con una missione, ognuno con uno scopo. Nessuno dei due parlava all'altro, nessuno dei due sapeva cosa dire. La tensione riempiva l'aria fredda e pesante, mentre mantenevano i loro occhi concentrati dritto davanti a loro. Per alcuni isolati andò avanti così, la cosa più sicura era ignorare cosa era successo; ognuno dei due era bravo a fingere, e ognuno dei due era bravo a dimenticare.

Camminarono fino a che Quistis indicò un piccolo negozio. Non era molto grande o particolarmente attraente, visto dal di fuori. Eppure, il piccolo negozio aveva una certa aria di invito, un fascino non visto. Alla fine, il silenzio fu rotto quandò Quistis disse in tono pratico, "qui è dove ho comprato la collana."

"Oh, hai deciso di parlarmi? Sono così onorato", ribattè lui furtivamente.

"Chi ha detto che non ti parlavo? Semplicemente non avevo nulla di importante di dire."

"Benissimo allora, signora Comandante Pivello, mi dispiace di averlo detto... pensavo che forse ti sentissi poco a tuo agio per ieri notte."

"Perché mai dovrei sentirmi a disagio?" cercò ingenuamente di chiedere lei, fallendo miseramente. "Non sono per nulla a disagio per quello che è successo."

"Bene," replicò lui con un arrogante sorriso.

"Dovresti essere tu quello che si sente a disagio... per quello che hai fatto."

"Quello che ho fatto?! Sono proprio sicuro che fosse una cosa reciproca. Sono dannatamente sicuro di non averti sentita lamentarti."

"Io... io non mi lamentavo. Ero solo confusa al momento, ecco tutto."

"Oh quindi era un errore? Qualcosa che non volevi fare? Quindi non accadrà più, giusto?"

"Sì," disse Quistis fermamente.

Lui le sorrise, fece un passo verso di lei, e poi la attirò teneramente contro il suo corpo. Lei cercò di protestare, cercò di divincolarsi. Nella sua testa, gli stava urlando di smettere; nel suo cuore, sperava che sarebbe andato avanti. Il suo cuore vinse, mentre sentiva le calde labbra di lui toccare le sue. L'aria fredda era in tale contrasto con il suo respiro caldo; una strana, ma meravigliosa sensazione. Anche se questo bacio, non appassionato come la scorsa notte, era pieno di più emozione, più significato. La realizzazione che stava baciando Seifer Almasy, in pubblico, la sbalordì.

Quando, esitando, si separarono, le fece un largo sorriso guardandola dritta negli occhi blu, "lo sapevo."

Quistis rimase nella strada piena di neve, senza parole, sforzandosi di riprendere fiato dopo i momenti precedenti. Quando la ragione tornò nella sua testa, lo guardò incerta, quasi impaurita. Trovò il coraggio di fare la domanda di cui temeva la risposta.

"Seifer, voglio che tu mi dica la verità. Per favore, non mentirmi. Non posso sopportarlo. Chi... chi immaginavi mentre mi baciavi? Il viso di chi?"

Voleva stringerla tra le braccia. Sembrava così vulnerabile. Sapeva che cosa gli stava chiedendo; conosceva il dolore che le sfregiava l'anima. Alzò lentamente le sue dita ruvide e fredde verso la guancia calda di lei. Gli occhi di lei incontrarono i suoi, uno sguardo così profondo che pensò che potesse vedergli dentro. E poteva davvero.

Tracciò con il pollice la linea della sua mascella mentre diceva tranquillamente, "Quistis immaginavo te, eri sempre tu."

Voleva piangere, voleva stringerlo... ma c'erano altre priorità. Gli fece un sorriso stanco, "grazie, Seifer, grazie."

Ricambiò il sorriso con emozione sincera, "forza, entriamo, non voglio che tu ti prenda una polmonite stando qui fuori."

*~*~*~*~*

Squall Leonhart non aveva più il controllo. Per la prima volta in ventidue anni, era perduto; non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Sentiva il bisogno schiacciante di andare il più lontano possibile; eppure non ne capiva la ragione. Aveva corso, lontano quanto potevano reggerlo le gambe, prima che il desiderio di crollare nella neve ammucchiata lo opprimesse. Il cappotto standard della Seed era pesante, ma nulla poteva proteggerlo dal vento gelido.

Riuscì a barcollare fino ad un albero, prima di collassare a terra. C'era una battaglia nel suo corpo. Voleva vivere con il dolore o voleva lasciarsi andare nella neve? Lasciando che una morte straziante avesse lentamente la meglio sul suo corpo? Quanto lontano aveva vagato dalla civiltà, stimando che aveva camminato per un'ora in quel tempo rigido?

L'uomo a pezzi si doveva alzare; doveva camminare ancora, se non per se stesso, per lei. Lei lo meritava, che diavolo di cavaliere muore per qualcosa di così indecoroso come il congelamento? Doveva tornare in città, in un rifugio. Il movimento dell'alzarsi era insopportabile. Poteva a malapena tenere gli occhi aperti; la stanchezza cominciava a prevalere.

"Hyne, aiutami," mormorò mentre l'aria fredda gli riempiva i polmoni. "Hyne... aiutala."

Le braccia e le dita gli si stavano intorpidendo. Doveva continuare o affrontare una morte certa. Sentendo un leggero tirare al suo cappotto, credette all'inizio che fosse nulla più di un'invenzione della sua mente. Poi lo sentì di nuovo. Occhi che bruciavano si volsero verso la causa della sensazione, e fu scioccato quando vide un chocobo che lo fissava.

Il grosso uccello strofinò il muso contro il guerriero, come una madre che protegge il suo piccolo dal tempo impietoso. Ironicamente, Squall si sentì sollevato all'avere compagnia, anche se in forma di uccello. Si aggrappò alle sue piume con le mani guantate, ricambiando il gesto di cuore mentre toglieva pezzetti di ghiaccio dalle ali. Poi con una rinnovata forza, montò a cavallo dell'uccello, apprezzando la nuova forma di trasporto.

I chocobo avevano un rinomato senso dell'orientamento; si poteva scommettere la vita sulla loro attendibilità. In un certo senso, Squall Leonhart stava facendo proprio quello. La famosa foresta di Chocobo era a solo un miglio dai confini di Trabia. Poteva farcela da solo per la distanza che rimaneva.

"Ti chiamerò Lucky," borbottò Squall al suo compagno piumato. "Per una volta nella mia patetica vita, la fortuna sembra essere con me."

L'uccello lo trasportò per pianure innevate e dense foreste ad una velocità mai pareggiata da alcun nemico. Ad un certo punto durante il viaggio Squall si era addormentato sulla creatura. Si svegliò con un sobbalzo quando l'uccello si fermò improvvisamente.

"Che c'è?" domandò guardando le immediate vicinanze.

Vide una piccola capanna, mentre la neve cominciava a cadere pesantemente dal cielo grigio. Scosse la testa in completo disgusto per non essere tornato alla foresta dei Chocobo. "Forza," implorò mentre l'uccello si rifiutava impudentemente di smuoversi. "Ignora quello che ho detto a proposito di essere Lucky," sbottò verso l'uccello immobile.

Decidendo che il chocobo non si sarebbe mosso, smontò stringendosi forte nel cappotto, evitando la neve che gli sferzava addosso. Squall riguardò il chocobo che per qualche sconosciuta ragione aveva deciso di farsi una tana nella neve.

*~*~*~*~*

Guardò di nuovo il suo orologio; il tempo sembrava essersi fermato, l'aspettare era un gioco doloroso. Mancavano ancora più di ventiquattro ore al momento in cui avrebbe potuto tornare in città e imbarcarsi sul mercantile. Rinoa afferrò il mazzo di carte di nuovo, mescolandolo per la centesima volta. Era l'unica forma di intrattenimento nella capanna. Grazie a Hyne per i piccoli piaceri, il cottage era ben fornito di cibi in scatola e acqua in bottiglia. Chiunque possedesse quel posto era anche ossessionato dalla carne essiccata di manzo. Le credenze ne erano piene.

Il fuoco ruggì, avvolgendola in un confortevole abbraccio. Non c'erano temperature glaciali lì, solo il conforto del caldo. Cominciò a distribuire le carte per un altro giro di solitario, che avrebbe indubbiamente perso, di nuovo. Mentre posava una carta sul tavolo sentì un ramo rompersi fuori, e immediatamente, abituata a giocare il ruolo della preda, si mise sulla difensiva.

Avvicinandosi piano alla piccola finestra ghiacciata, osservò la foresta fuori. La neve formava cerchi nel vento, che sembravano quelli di piccoli demoni di sabbia. Attraverso il vetro, poteva vedere una forma emergere nel bianco. Mentre si avvicinava, le sue peggiori paure furono confermate, SeeD. Avrebbe riconosciuto quel cappotto ovunque; la moda non era tra le priorità del Garden.

Come diavolo l'avevano trovata, congetturò? Eppure la risposta era dolorosamente ovvia: perché la stavano cercando. Sfortunatamente, erano bravi a fare il loro lavoro. Corse alla piccola dispensa, cercando una qualunque forma di difesa. Poi estrasse un coltello da caccia; la lama era lunga solo pochi centimetri, ma sarebbe bastato. Non aveva mai voluto far del male a nessuno, mai. In nessun modo avrebbe augurato questa situazione al suo peggior nemico... ma doveva sopravvivere, per Allison, ad ogni costo.

Ci fu un sonoro bussare alla porta; forse avrebbero lasciato perdere e se ne sarebbero andati. Ad ogni modo, sapeva che era improbabile, non c'erano altri edifici per miglia. Se ci si avventurava così nella foresta, era per una buona ragione. Avrebbe fatto del suo meglio per ostacolare il SeeD, ma nel peggiore dei casi... sarebbe stata costretta ad uccidere. Non si era mai immaginata capace di un tale tradimento... uccidere chi una volta aveva difeso. Il tempo era passato, l'ironia era una creatura incostante... e ora toccava a lei.

Rimanendo cautamente dietro la porta, Rinoa aspettò silenziosamente cosa sarebbe successo. Se solo avesse avuto un Guardian Force in junction, se solo i suoi poteri non fossero rimasti inattivi per così tanto tempo. Aveva usato la maggior parte della sua forza in quella piccola ostentazione con Richard, e ora, disperata, desiderava aver conservato l'energia. La serratura si stava aprendo. Ancora, il comportamento standard dei SeeD. Erano ancora così prevedibili, anche dopo due anni. La porta si aprì lentamente mentre una figura incappucciata entrava.

Rinoa rimase con la schiena contro il muro, aspettando che la porta si chiudesse. Non appena si chiuse, fece un piccolo passo avanti alzando il coltello. In qualche modo, la persona sentì la sua presenza, cercando di affrontarla. Con quanta forza poteva radunare nella stretta tremante, affondò il coltello mentre l'uomo si voltava.

L'assalitrice chiuse gli occhi mentre sentiva la lama conficcarsi attraverso il cappotto, e poi un'altra sensazione mentre la punta raggiungeva carne umana. Poteva sentire il rumore del coltello che entrava nella carne, e le lacrime si formarono nei suoi occhi. Sentì l'assalito inciampare in avanti, mentre lei si ritraeva verso la falsa sicurezza del muro. Con la colpa che le offuscava la ragione, riacquistò la capacità di aprire gli occhi.

Morì in quel momento.

Mentre Squall si voltava per chiudere la porta, vide qualcosa muoversi con la coda dell'occhio. Vide il luccichio dell'argento... l'addestramento gli aveva insegnato a proteggersi. D'istinto, si voltò cosicchè la lama gli entrasse nel braccio, mancando organi vitali. Sentì il coltello tagliargli la spalla, voleva gridare per il dolore. Ad ogni modo, non poté urlare mentre perdeva l'equilibrio, cadendo verso chi lo aveva assalito. Poi la vide, e in quel momento non potè più sentire dolore, ma si sentì vivo.

La guardò mentre lasciava cadere il coltello insanguinato e si appoggiava al muro. La guardò mentre le lacrime rotolavano sulle sue bellissime guance, la guardò quando aprì i suoi splendidi occhi, e poi vide gli occhi di lei incontrare i suoi... per la prima volta in due anni.

*****
Note delle traduttrici: i capitoli dall'1 al 22 sono stati ripubblicati in seguito a una pesante revisione e a tratti una ri-traduzione ad opera di DefenderX e mia. Le ragioni di questa ripubblicazione sono spiegate nelle note del capitolo 23.
Citazione di apertura: tratta da "Emerson: the Mind on Fire" di Robert D. Richardson Jr.

Un momento è un'eternità concentrata.
- Alessia Heartilly

   
 
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