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Autore: itsjjoy    19/10/2011    6 recensioni
"La cosa peggiore era che sapeva perfettamente che se Adam avesse anche solo accennato a scusarsi lui sarebbe tornato a gettarsi tra le sue braccia come se non fosse successo nulla. Anche se continuava a fare male, anche se Adam avrebbe continuato a tradirlo ed a utilizzarlo come valvola di sfogo quando era nervoso, Tommy sarebbe stato lì a lasciarglielo fare, senza battere ciglio, perché non era capace di fare altrimenti."
Forse Adam meritava una persona che lo amasse all’inverosimile, ma Tommy meritava davvero una persona che lo trattasse in quel modo?

[Adam/Tommy; Adam/Sauli; Tommy/OMC; Isaac]
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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CHORUS:     
How do you feel in the morning
when it comes and everything’s undone?

I'm not dead just floating ,  
right between the ink of your tattoo  
in the belly of the beast we turned into.  
I'm not scared just changing,
right beyond the cigarette and the devilish smile    
you're my crack of sunlight. 

~

Quando riaprì gli occhi la stanza si era fatta più scura. Doveva essersi appisolato.

Sbadigliò e gli sembrò di ricordare una telefonata, la voce di Adam. Fu la prima cosa che gli tornò alla mente. Ricordò che stava piangendo, e poi aveva sentito il telefono squillare. Aveva dato un’occhiata, pensando fosse sua madre, o chissà chi altro. Ne era tanto sicuro che quasi non aveva fatto caso al nome di Adam scritto sul display. Quando lo aveva visto, era saltato su, seduto, con un’energia che non credeva di avere, e aveva risposto immediatamente. Poi non aveva detto una parola, solo respirato, affannosamente, il cuore a mille. Adam doveva essersi accorto che aveva risposto, perché dopo un po’ di esitazione si era deciso a parlare.
“Tommy, perdonami..”

Neanche ripensò in dettaglio a quello che aveva detto. Gli bastava che gli avesse chiesto scusa.

Chissà quanto doveva sentirsi in colpa...

Tommy si accorse di stare di nuovo piangendo. Senza fare neanche un suono, le lacrime gli riempivano gli occhi e scivolavano sulle sue guance quasi come se avessero una volontà propria. Si morse le labbra, sorridendo, il cuore gli batteva fortissimo. Doveva richiamarlo.

Saltò su e si sedette sul letto. Tossì un paio di volte, violentemente, ma non vi badò più di tanto. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, frettolosamente, allungò una mano verso l’iPhone, poggiato sul comodino, e cercò la lista chiamate. Gli tremavano le mani e aveva le lacrime agli occhi, il che rese l’operazione più difficile del solito.

Abbassò le palpebre prima di guardare tra le chiamate ricevute. Non riusciva neanche a parlare, gli faceva male la gola, ogni respiro era come grattugiarsi la trachea, per non parlare di quei maledetti colpi di tosse. Eppure non gli importava, voleva sentire ancora quella voce, e voleva dirgli che lo perdonava, che non gli importava cosa avesse detto o fatto, lui lo amava, lo amava più della sua stessa vita.

Aprì gli occhi e guardò tra le chiamate ricevute.

L’ultima era di Adam, sì, ma risaliva a quattro giorni prima.


Quando si svegliò ebbe la sensazione di stare sognando. Niente mal di testa, niente muscoli doloranti, solo lo stomaco brontolante e tanta voglia di una sigaretta. Si sentiva talmente leggero che era come se non toccasse davvero terra. Questo non significava certo che si sentisse bene, anzi, il contrario. Si sentiva come un fantasma. E nonostante si sentisse così leggero, ogni movimento era uno sforzo terribile.
Se stava sognando davvero, sperò che non succedesse nulla di bello. Non avrebbe retto ad un altro risveglio shock. Al solo pensiero lo stomaco gli faceva male di nuovo, e sentiva un dolore tremendo al petto.
Aveva fame. Ma soprattutto, voglia di una sigaretta.

Aprì lentamente il cassetto del comodino e frugò più in fondo possibile, sotto le mutande. Un pacco di Kleenex, delle canottiere, un paio di preservativi e del lubrificante – il solo sfiorare le confezioni con le dita gli fece tornare le lacrime agli occhi e gli ci volle un enorme sforzo psicologico per far finta di nulla – poi, alla fine, trovò il pacchetto di sigarette. Ne teneva qualcuno lì, in caso di “emergenze” come quella.

Tirò fuori il pacchetto e controllò che dentro ci fosse l’accendino. L’odore di tabacco gli sfiorò le narici e le labbra si distesero in un vaghissimo sorriso. Si tirò su con la stessa agilità ed energia di un vecchio con l’artrite e sospirò, prima di condire la camminata strascicata e affaticata con dei colpi di tosse. Si diresse in cucina.

Con suo grande sollievo, non riusciva a pensare a nulla. Aveva solo una terribile angoscia, e tanta voglia di una sigaretta. Magari due.

Ma prima, pensò di mangiare qualcosa. Si avvicinò al frigo, ma quando lo aprì, la semplice idea di mangiare gli diede il voltastomaco. Guardò lo stesso all’interno, adocchiando degli hamburger. Quelli gli erano sempre piaciuti, e se li lasciava lì presto avrebbe dovuto buttarli. Mangiarne qualcuno non sarebbe stato male... giusto per mettere qualcosa sotto i denti.

Poggiò le sigarette sul tavolo, aprì la confezione degli hamburger e li mise nel forno a microonde.

Li osservò cuocersi con lo stomaco che si contorceva dalla fame e, allo stesso tempo, per via di un certo senso di nausea. Si mordicchiò il labbro. Probabilmente era la prima volta nella sua vita che non mangiava per così tanto tempo. Si sorprese di riuscire ancora a stare in piedi e, guardandosi, si rese conto di essere già dimagrito tantissimo. Inoltre, le ginocchia gli tremavano, per la stanchezza probabilmente. Non ricordava neanche di cosa sapesse il cibo. La sensazione di ingoiare qualcosa di solido era totalmente estranea alla sua mente, in quel momento. Ma, sinceramente, non gliene importava.

Tirò fuori quello che sarebbe dovuto essere il suo pasto, guardandolo come se fosse dello sterco di mucca. Si sedette e si limitò a fissare il piatto, come se così facendo il cibo sarebbe potuto magicamente finire dritto nel suo stomaco, senza passare per la bocca, dato che l’essere costretto ad assaporare e masticare quella roba gli dava il disgusto.

Prese una forchetta e un coltello e con estrema lentezza mangiò il primo morso. Sapeva di catarro e di carne di pessima qualità. Si costrinse ad ingoiare, poi mise la mano davanti alla bocca quando un conato di vomito minacciò di vanificare il suo lavoro.

Anche se a fatica, finì l’hamburger.

Ma non stava meglio, affatto.

Un ennesimo conato di vomito minacciò il suo autocontrollo, ma alla fine a nulla valsero i suoi sforzi, e si diresse di corsa verso il lavandino, dove finì per vomitare non solo ciò che aveva appena ingoiato, ma anche succhi gastrici a non finire, e catarro, e sangue. Ad un certo punto fu sicuro che avrebbe vomitato anche le proprie interiora. Poi, si calmò, improvvisamente.

Restò con gli occhi chiusi e le labbra serrate, quel terribile sapore e quella puzza incredibile dappertutto. Strinse la presa sul ripiano finché le nocche non divennero bianche. E poi pianse. Disperatamente, singhiozzando come un bambino, e tossendo, finché non passò anche quello. Non seppe per quanto tempo stette lì con il proprio vomito sotto il naso e le labbra sporche di cibo rigurgitato, catarro e sangue. Ma, sinceramente, neanche di questo gli importava.

Quando si fu calmato si lavò la faccia, lasciando la fontana aperta fin quando il lavello non fu libero da quella schifezza. Si sciacquò la bocca e poi bevve un po’.

Era troppo stanco persino per chiedersi per quale assurdo motivo avesse vomitato. Probabilmente per via della tosse o del terribile sapore che aveva in bocca.

Voleva la sua benedettissima sigaretta.

Prese il pacchetto ed uscì sul balcone. Tirava vento, ed aveva i brividi. Tremava di freddo, eppure era certo di stare sudando. Ma tanto ci avrebbe messo cinque minuti a fumare, non gli andava di andare a prendersi qualcosa con cui coprirsi. Mise la sigaretta tra le labbra e dopo alcuni tentativi, riuscì ad accenderla; aspirò subito, chiudendo gli occhi. Ne restavano altre due, ma da quanto ricordava, doveva esserci qualche altro pacchetto nel cassetto. Sbuffò fuori il fumo, senza riaprire gli occhi.

Che beatitudine.

Ripensò per l’ennesima volta al tatuaggio di Adam e a con quanta eccitazione era arrivato lì a spiegargli che cosa significava. Al suo tono di voce quando gli aveva detto “Insomma, vuol dire che vedo le cose con gli occhi di un bambino. E ci riesco grazie a te.” E quello che era successo, riusciva ancora a vederlo con gli occhi di un bambino?

Fece una smorfia e sbuffò. Qualche lacrima gli era sfuggita. Aspirò ancora, tanto profondamente che arrivò a metà della sigaretta con solo due tiri. Vaffanculo. Avrebbe finito il pacchetto.

Alla fine se erano arrivati a litigare ogni giorno era solo per via della fama. E di quella schifosa fissazione che tutti avevano per il ‘nascondere’ il loro amore. Chi diamine se ne fregava se la gente lo veniva a sapere? E quindi? Che cazzo cambiava tra una relazione con lui ed una con quel Sauli? Pensavano che lui ed Adam fossero così perversi e schifosi da non riuscire neppure a trattenersi dallo slinguarsi in pubblico? Era quello il problema? Forse lo staff dell’RCA era convinto che uscire allo scoperto li avrebbe rafforzati, ed era per quello che non volevano, ma Adam invece aveva paura che farlo sapere a tutti avrebbe distrutto tutto.

Tommy? Lui non aveva paura di tutto quello. Non aveva paura di nulla se aveva Adam accanto. Ci aveva provato tante di quelle volte a farglielo capire, gli aveva sempre detto che gli bastava averlo al proprio fianco e tutto sarebbe andato bene...

Sospirò e si lasciò scivolare stancamente a terra, la schiena appoggiata al muro. Tossì ancora un paio di volte, sputando del catarro ed un po’ di sangue. Sbuffò, roteando gli occhi. Fece un altro tiro, poi spense il mozzicone a terra accanto a sé e si accese un’altra sigaretta.

Maledetto lui. Era innamorato come un coglione.

All’inizio non era così, all’inizio era sesso. Era fantastico, era tutto più semplice. Poi era cambiato tutto, e contro ogni previsione, era cambiato anche lui. E invece di rimpiangere quei momenti in cui tra loro c’era solo attrazione fisica e astinenza troppo prolungata, come ci si sarebbe aspettato da lui, aveva iniziato a diventare patetico.

Ma alla fine, sinceramente, non gli importava neanche di quello.

Alla fine, tutto ciò di cui gli importava era dove stava Adam, come stava, e cosa stava facendo. Sapeva che lo stava pensando, ne era sicuro. Chissà cosa pensava. Probabilmente si sentiva in colpa per quello che aveva fatto, forse voleva chiedergli scusa, avrebbe dovuto farlo.

Magari sarebbe tornato...




Note di fine capitolo:
Ringrazio ancora Frankie per il betaggio. Ricordo che gli errori mi appartengono tutti , dal primo all'ultimo.
Mi dispiace che sia molto breve, ma c'è abbastanza sofferenza anche così, c'è bisogno di aggiungerne altra? u.u
Anche se in effetti come capitoli sono un po' sproporzionati... ma c'est la vie D: Spero vi piaccia comunque!
Oh, e... perdonatemi se sono stata un po' cattiva, ma non avete ancora visto niente u.u

   
 
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