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Autore: Maylea    20/10/2011    1 recensioni
La luna si stagliava luminosa su uno sfondo di un blu intenso. Era affascinante come nei sogni lo è tutto ciò che ci circonda perchè incosciamente sappiamo essere frutto della nostra immaginazione e ne siano tremendamente soddisfatti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GUARDAVO DISTRATTA LA LUNA

La sala d’aspetto quel giorno era più affollata del solito, il vociare sommesso dei presenti riempiva l’ambiente rendendolo più claustrofobico di quanto già non lo fosse di sua natura. Mia sorella Mia poggiava i piedi sulla sedia, mentre teneva in mano uno dei suoi peluche preferiti, un vecchio pinguino senza un occhio e con il becco storto. Ogni tanto puntava i suoi piccoli occhi neri su di me, forse per farmi sentire in colpa per averla trascinata, in un bel pomeriggio caldo di ottobre, in una sala d’aspetto gremita di gente malata e rumorosa. Tra i colpi di tosse, la vecchia segretaria chiamava a turno i pazienti e li invitava ad entrare. L’orario del mio appuntamento era passato da molto, fissavo in continuazione le lancette dell’orologio, il tempo cresceva vorticosamente come la mia noia.

Mia mi tirò un calcio, aveva gli occhi lucidi dal nervoso, voleva andarsene. Cercai di non darle spago, spostai i miei occhi lontani, in un punto imprecisato della parete opposta, interamente occupata da un improbabile murales in uno studio medico cittadino.

Dopo  un lasso di tempo che sembrava aver sfiorato l’infinito, la paffuta segretaria si schiarì la voce: “Mezzi può entrare!”

Mi alzai piano dalla sedia mentre prendevo in braccio Mia, piccola e leggera, emanava quel torpore che solo la febbre alta ti dà. Entrai piano nella stanza del medico.

“Buonasera dottore!” – dissi amabilmente.

Lui non accennava ad alzare la sua testa brizzolata dal blocchetto delle ricette, odiavo essere così palesemente ignorata. Mi schiari la voce nel vano tentativo di attirare la sua attenzione.

Qualche minuto di attesa e finalmente si rivolse a noi con un sorriso composto, finto e privo di ogni emozione.

“Bene” – disse, “Cosa è successo alla piccola Mia questa volta?”

Proibabilmente lo odiavo più ti quanto pensassi, le sue parole mi infastidirono fin da subito. Respirai profondamente pensando che lui era un medico, che questa cosa mi mandava in bestia, era invidia, lui poteva ridare la vita, io al massimo distruggerla.

“Ha la febbre alta da due giorni, non capisco, le ho dato l’antibiotico ma non sembra fare effetto” – dissi tutto d’un fiato.

Lui la prese in braccio, la visitò per più di 15 minuti per poi prescrivermi un altro antibiotico a suo parere più efficace e liquidarmi con un semplice ”Riguardatevi signorine”. Odioso.

Due ore di attesa per niente. Salì in macchina come un fulmine dopo aver sistemato Mia nel suo seggiolino da viaggio.

Guidavo lenta verso il tramonto. L’asfalto rovinato delle vie di campanga si colorava di un caldo arancione interroto qua e là da lunghe siluette di alberi spogli dai rami contorti. Adoravo guidare, mi liberava la mente, mi faceva sognare, mi faceva sentire bene e faceva addormentare Mia. Il volante era leggero sotto il tocco delle mia mano, a volte lo stringevo più forte, quasi per non cadere nel sogno, per aggrapparmi a qualcosa che era parte del mondo reale.

Ero quasi giunta a casa quando proseguì per la strada principale, ignorando la stradina stretta ed angusta che portava a casa. Avevo voglia di non svegliarmi, cullarmi ancora nel dolce torpore dell’automobile, scandito dal respiro regolare di Mia. In quel momento pensai a Forrest Gump, che non sapeva del motivo per cui correva ma ne aveva una voglia matta, lo stesso era per me, non avevo meta, ma il viaggio a volte è più importante di qualsiasi destinazione.

Quando oramai la notte era calata prepotentemente nella vallata, mi fermai ad una piazzola di servizio, deserta , illuminata da lampioni che sembravano invecchiare precocemente, abbandonati come erano in mezzo al nulla. Mi avvicinai a delle macchinmette di servizio, distributori di bevande e alimenti altamente calorici. Presi un kit kat e una lattina di limonata. Avevo proprio voglia di cioccolato.

Il bosco che costeggiava la strada sembrava così fitto e impenetrabile da creare un certo disagio interiore a chi lo osservava. Io me ne stavo vicino la macchina, sorseggiando la bibita e guardando Mia dormire beata .

Improvvisamente la luce del lampione si affievolì fino a lasciare il suo posto all’oscurità, la piazzola era ancora ben illuminata, ma dove ero io si poteva palpare il buio. Decisi che era ora di rientrare, una tazza di camomilla mi stava aspettando a casa.

Ripresi la strada nel verso contrario, stavolta con una destinazione ben chiara e ben collocata nello spazio e nel tempo. Guidavo più veloce rispetto a prima, la strada invitava a farlo, era totalmente sgombra. Arrivata poi in cima alla vallata credo di aver visto il mio sogno, la mia personale realtà, lo spettacolo della notte. La luna si stagliava luminosa su uno sfondo di un blu intenso. Era affascinante come nei sogni lo è tutto ciò che ci circonda perchè incosciamente sappiamo essere frutto della nostra immaginazione e ne siano tremendamente soddisfatti.

Qualche nuvoletta impertinete ostacolava in parte la mia visione. Lasciai lentamente il volante, mentre in lontananza percepivo uan voce. La sensazione che provavo era così avvolgente da indurmi ancora di più nello stare sospesa tra realtà e fantasia. Chiusi gli occhi.

 Non mi ero accorta di aver fermato la macchina, che Mia si era svegliata e che non riuscivo a tornare nella realtà, ma mi aiutò lei:

“Cosa stai facendo?”

Ci misi qualche secondo di troppo per rispondere.

”Guardavo distratta la luna…”.

  
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