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Autore: Cherry Berry    20/10/2011    1 recensioni
Margaret era cresciuta con la passione per la musica e il canto, per le strade afose di Huntington Beach, vivendo nella speranza di incontrare la sua band preferita. Eppure la fortuna nemmeno una volta aveva girato dalla sua parte, finché anche lei aveva intrapreso la carriera musicale. Ed era convinta che l'amore fosse inutile e passeggero, volatile come un soffio d'aria.
Quando nasci in California tutti i sogni possono diventare realtà, ma innamorarsi di una rockstar porta inevitabilmente a una serie infinita di guai.
-Dedicata a the Rev.-
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avengedz
7. Everything is payed for tonight while at the party of the dead dancing in their graves

Nelle ultime settimane non aveva messo piede a casa che per pochi minuti, a volte non ci passava nemmeno la notte, era troppo presa dalla creazione del nuovo album e a malapena aveva il tempo per mangiare un boccone a pranzo oppure per chiamare i suoi genitori la sera, per far sapere loro che tutto andava bene e non c’era nulla di cui preoccuparsi. Quel giorno sedeva dinanzi allo schermo del portatile con aria affranta, scorrendo un documento di testo in un continuo su e giù che non la portava a concludere nulla e cominciava a innervosire persino se stessa. Chiuse di scatto il computer, alzandosi in piedi e cominciando a passeggiare per la stanza, con aria nervosa, in un continuo andirivieni insensato e nevrotico.
«Meg, che fai?»
Layla sbucò dalla camera adiacente, donando all’amica uno sguardo curioso e un po’ preoccupato. Non era raro vedere quell’espressione accigliata sul viso della rossa, ma Layla odiava vederla in quello stato e le diceva sempre di rilassarsi.
«Tra un’ora devo essere in ufficio da Peter e ancora non ho finito di scrivere il testo. Non va bene.»
Mentre parlava continuava il suo movimento circolare lungo tutte le pareti della stanza, finché Layla non le si parò davanti per bloccarla, mettendole le mani sulle spalle e sorridendo dolcemente.
«Fai un respiro profondo e calmati Meg.»
La ragazza seguì il suo consiglio, fermandosi e sospirando con forza. Doveva davvero calmarsi, non v’era necessità di essere così agitata. Si risedette dinanzi allo schermo, portando con sé anche la sua chitarrista e chiedendole un parere riguardo ciò che aveva scritto. L’amica imbracciò una delle chitarre sparse per lo studio e accennò gli accordi della canzone, invitandola a cantare il testo per vedere se poteva andare. La voce di Margaret, graffiante e dolce allo stesso tempo, riempì la sala, insieme alle note della chitarra. Le parole mancanti finalmente nacquero dalle labbra della cantante, che sorrise all’amica, terminando l’esibizione e mettendosi sulla tastiera per trascrivere il tutto.
«Visto che non c’era alcun bisogno di essere così corrucciata?» affermò Layla, scoccando un bacio affettuoso sulla tempia dell’amica e dirigendosi verso il mixer, dove ancora stavano apportando gli ultimi ritocchi alla prima canzone dell’album, mentre la seconda e la terza erano ancora in fase di scrittura. Dopo aver terminato il suo lavoro si diresse, salutando il resto della band, verso gli studi della Warner, dove avrebbe dovuto incontrarsi con il loro produttore. Non era raro in quei giorni vederla girare per i corridoi della struttura, alla ricerca di Peter, che spesso era impegnato con altre band e si dimenticava di avere un appuntamento con lei. Quel giorno, come ormai da una settimana, Katy, la segretaria, le comunicò che mister White non si trovava nel suo ufficio.  Meg sbuffò, fissando la bionda dietro la scrivania che le fece spallucce. Purtroppo lei non poteva farci niente se il suo principale non rispettava gli appuntamenti. Impaziente, la rossa scese al pianterreno e maledisse quell’uomo che era stato la sua salvezza, un paio di anni prima. Alla reception chiese a uno dei bodyguard, un certo Mike che una volta l’aveva aiutata quando si era persa nei mille corridoi della casa discografica, se avesse visto passare Peter e quello le disse che era con una band in una sala adibita alle prove per le band emergenti, che una volta approvato l’ep, si presentavano per un provino live. Bisognava anche avere la stoffa, per fare musica. La ragazza con espressione torva e passo deciso si scaraventò oltre la porta a vetri che ospitava un buon assortimento di strumenti musicali, per ogni evenienza.
«Peter, che diamine!»
Si bloccò di scatto, fissando il gruppo che stava provando e si era interrotto al suo urlo contro l’uomo di mezza età che in giacca e cravatta si era voltato con aria alterata verso la nuova venuta.
«Oh diavolo, Margaret! Mi ero dimenticato di te!»
“Strano” avrebbe voluto sibilare la rossa, ma stette zitta e diede un’occhiataccia al moretto che, con la chitarra in mano, stava ridendo delle sue disgrazie.
«Non c’è niente da ridere.» lo rimbeccò. Quello le fece una linguaccia, mentre Peter si scusava e diceva che sarebbe tornato da loro entro dieci minuti. Prese Meg per un braccio e la trascinò fuori dalla sala.
«Signorina, avresti almeno potuto bussare.» la rimproverò con espressione torva il suo produttore, e lei iniziò ad avvolgersi qualche ciuffo rosso tra le dita, con aria assolutamente colpevole.
«Scusami, è che..»
La tranquillizzò dandole una leggera pacca sulla testa, e poi tendendo le mani per farsi consegnare il testo della sua ultima canzone. Lei estrasse un foglio stropicciato dall’enorme borsa di cuoio che si trascinava dietro e lo depose tra le dita di Peter, che le sorrise.
«Passa domani, ci do un’occhiata stasera.»
Lei annuì, girando sui propri tacchi e finalmente fuggendo da quell’enorme costruzione che per qualche mese, fino alla fine dell’album e al suo rilascio, sarebbe stato uno dei suoi incubi peggiori. Salì in auto, mentre un brivido freddo le scendeva lungo la spina dorsale. Dicembre, eccolo alle porte, veloce e freddo. Entro un paio di settimane sarebbe arrivato. Neanche lei riusciva bene a spiegarsi come potesse girovagare ancora in maniche corte, infatti in quel momento, salendo sulla propria auto, accese il riscaldamento al massimo, stringendosi tra le sue stesse braccia. Il solito sole californiano era nascosto sotto una pesante coltre di nubi, così cariche di pioggia da farle temere che il diluvio in breve avrebbe potuto abbattersi su di loro. Erano pochi i giorni, anche d’inverno inoltrato, in cui c’erano temperature così basse. Aveva scelto la giornata sbagliata per le mezze maniche, evidentemente. Allacciò la cintura e in quel mentre il suo cellulare emise un sonoro bip metallico, facendola imprecare e fu costretta a slacciare la cintura per recuperare l’apparecchio all’interno dell’enorme bagaglio che si portava appresso. Leggendo il mittente del messaggio un sorrisino le piegò le labbra, mentre lo apriva.

Da: Zacky V  A: Megghie
Con quale irruenza! Datti una calmata pivella, il tuo album può aspettare. Noi siamo la priorità. E siamo anche più belli.

Meg scosse la testa, lanciando il telefonino sul sedile posteriore e mettendo in moto. Fu sconcertata nel constatare quanti messaggi, nel tragitto che fece per arrivare a casa, le arrivarono. Era quasi certa che il mittente fosse sempre lo stesso, e quando controllò il side kick vide che aveva perfettamente ragione: Zacky le aveva scritto la bellezza di dieci sms, del tutto inutili e insensati, coronati dall’ultima perla di saggezza:

Da: Zacky V  A: Megghie
Voglio tatuarmi “I’M TOO COOL” sullo stomaco.

La ragazza era in preda alle risate incontrollabili mentre apriva la porta di casa e si infilava nella sua calda e accogliente cucina, aprendo il frigorifero per estrarre il cartone del latte e versarsene una tazza, che bevve tutto d’un fiato. Un altro messaggio fu annunciato dal solito rumore.

Da: Zacky V  A: Megghie
Capisco perché non rispondi, non puoi stare ai miei livelli.
P.S. Stasera Doctor Who a casa tua?
Da: Megghie  A: Zacky V
Io non mi abbasso ai tuoi livelli, per questo non rispondo. Ti aspetto alle 9, porta i pop corn che l’altra volta li hai finiti tutti.

Per Meg era ricorrente domandarsi cosa portasse Zack a darle tutta quella confidenza. Dopotutto la conosceva a malapena da un paio di mesi, aveva disseminato quasi subito zizzania nella famiglia Sevenfold e per un paio di settimane si era sentita davvero di troppo. Soprattutto doveva ringraziare le occhiate cariche d’odio che la gemella bruna le lanciava ogni volta che la vedeva gironzolare nei pressi del gruppo. Ad alleviare quella sensazione di pericolo che sentiva in fondo alla gola erano stati Zacky stesso, per primo, e poi la sua donna, Gena, che le era stata parecchio vicina nell’ultimo periodo. Pian piano cominciavano a conoscersi e la rossa apprezzava la delicata presenza di quella ragazza al suo fianco. Era meno esuberante di Layla e Valary, più controllata e posata, eppure Meg cominciava ad intravedere un suo lato più aggressivo e deciso, che appariva solo in rare occasioni ma rendeva il suo sguardo chiaro ancora più bello del solito. In quei momenti capiva perché Zacky si fosse innamorato di lei, perché la osservasse di sottecchi con sguardo assorto quando era convinto che lei non lo vedesse. Era semplicemente una ragazza speciale, con quei corti capelli biondi ad incorniciarle il viso dai lineamenti delicati e a contornare gli occhi chiarissimi, messi in evidenza dalle lunghe ciglia. Era bella, ma non in maniera volgare o ostentata. La sua semplicità, chiarezza, armonia che mostrava nei movimenti, la rendevano un esemplare unico, a cui Meg guardava con adorazione. Camminare al suo fianco, per le strade, le metteva una certa soggezione, non per quanto riguardasse l’altezza, visto che erano circa allo stesso piano, ma piuttosto perché si accorgeva della differenza che intercorreva tra il suo tipo di bellezza e quello che caratterizzava la bionda. Lei era il tipo di ragazza per cui gli uomini voltavano la testa per strada, squadrandole il fondoschiena o fischiandole alle spalle, mentre Gena, nonostante attirasse lo sguardo, era quel tipo di donna per cui i ragazzi restavano a bocca aperta nell’osservarla, sognando di averla al proprio fianco, di poterla ammirare e amare ogni giorno, perché era quello che si meritava una ragazza del genere. Non era una questione d’invidia, perché comunque Meg sapeva di non poter raggiungere Gena, ma spesso si ritrovava a fissarla senza un’apparente motivo, rendendosi conto di apparire alquanto molesta, così distoglieva subito lo sguardo per volgerlo altrove. Era facile passare del tempo con lei, era di compagnia, divertente, ma sapeva anche discutere di argomenti seri e parecchio personali senza mai lasciarsi intimorire, con un’espressione accigliata e una piccola ruga tra le sopracciglia, che Meg aveva imparato a riconoscere quando la vedeva comparire sulla sua fronte. Di certo sarebbe stata un’ottima amica, appena avrebbero imparato a conoscersi per davvero, una di quelle che durano tutta la vita, a cui non diresti mai di no in un momento di difficoltà e che a loro volta farebbero di tutto per te. Bastava guardarla negli occhi per capire che genere di persona fosse, e non ci voleva molto a capire che non era soltanto bella fuori. Quando si trattava di capire le persone, Margaret Kelsey faceva schifo. E non perché non ci mettesse impegno, semplicemente era troppo complicato, per lei, leggere l’animo umano. Poteva pensare che tu fossi arrabbiato con lei quando in realtà le stavi semplicemente prestando meno attenzione del solito. Era fatta così e purtroppo, per quanto si applicasse, non ci riusciva proprio. Ma anche per un’impedita come lei non era difficile leggere negli occhi di Gena tutta quella gentilezza che la caratterizzava, quando stavano insieme. Spesso la vedeva irrigidirsi, come allontanarsi, ma sapeva che il tutto era dovuto alla sua diffidenza verso gli estranei. Sarebbe stato difficile conquistare la sua fiducia a poco a poco, però Meg era certa che ne sarebbe valsa la pena.

*

Ventisei anni non erano tanti. Eppure erano sempre troppi in più di venti e troppo pochi meno di trenta, per Meg, che quella mattina si era svegliata con la sensazione di portare sulle spalle tutto il peso del mondo, racchiuso in un semplice anno che ancora una volta si andava ad aggiungere al numero di quelli che già poteva annoverare alle sue spalle. Non che fosse terrorizzata dal tempo che passava, semplicemente non ce la faceva, non riusciva a pensare al fatto che fosse passato un altro anno, che avrebbe dovuto trovarla più matura, più sicura di sé. Invece l’ennesimo compleanno la trovava la stessa di sempre, con la stessa incertezza degli inizi. Non sapeva ancora nulla del suo futuro, avrebbe potuto far carriera o fallire da lì a qualche giorno, cadere dal fragile piedistallo di vetro sul quale era in equilibrio per un cattivo scherzo del destino, precipitando in un baratro nero dal quale le sarebbe stato impossibile risalire. Si guardò nello specchio del bagno, cercando nel suo riflesso speculare qualche segno visibile dello scorrere del tempo, una piccola ruga, non trovando nulla, se non i soliti capelli rossicci, dalla colorazione troppo intensa per apparire naturale, ma che in realtà lo era, gli occhi dalla sfumatura di castano tendente al grigio verso l’esterno dell’iride e quella piccola fossetta sulla guancia sinistra, del tutto anormale e asimmetrica, capitata lì forse per caso. Il campanello suonò, e lei fece uno scatto, trattenendosi dall’urlare per la sorpresa. Stava diventando per caso isterica?  Si passò una mano tra i capelli, fissando ancora una volta quel riflesso che tanto aveva da comunicarle, quanto allo stesso tempo non aveva nulla da dirle se non tutto ciò che già sapeva. Aprì l’uscio e si trovò dinanzi Layla, con un grosso pacco incartato di rosso e un bel sorriso, che fece venir voglia di aprirsi in un sorriso a sua volta, facendola accomodare in salotto, sul divano ampio e comodo. L’amica le tese il pacco, senza dire una parola. Meg la guardò scettica, per poi accogliere tra le sue mani quell’involucro piuttosto ingombrante. Aveva temuto, fino a qualche giorno prima, che l’amica volesse comprarle un’altra chitarra, ma ora nel vedere quell’incarto capiva che non era così. Fissò ancora un attimo l’oggetto impacchettato, per poi decidersi ad eliminare di mezzo il pacchetto. Aprendolo si ritrovò dinanzi a un cavalletto in legno, una tela bianca e una tavolozza, con dei colori acrilici in una scatola apposita. Fissò qualche attimo la tela immacolata, per poi lasciare andare il suo meraviglioso regalo e saltare addosso alla sua migliore amica.
«Sei un angelo!» le disse, abbracciandola fino a farla soffocare.
«Buon compleanno, Meg!»
Ecco perché l’adorava, perché Lay era la persona su cui confidava sempre, in qualsiasi occasione, per qualsiasi cosa. Lei la capiva, come nessun’altro era in grado di fare. Tra loro c’era un collegamento intenso, incancellabile, forte e indelebile, che stava lì a ricordarle come un’amicizia nata per caso potesse diventare ciò che di più bello, di sicuro e incrollabile aveva nella vita. Era come avere una roccia salda a cui aggrapparsi in caso di pericolo, come la corda che ti sorregge durante una scalata, pericolosa e difficile, ma essa c’è sempre per salvarti la pelle, sia che sia tu a lasciarti andare o siano gli eventi a farti precipitare. Rimasero abbracciate per un po’, mentre si rendeva conto di come fosse bello starle vicino, facile e immediato come respirare. Guardando in quegli occhi scuri capiva cosa significasse la vera amicizia, e ciò la rendeva felice più d’ogni altra cosa. Avere Layla al suo fianco le donava una gioia che nient’altro le dava, tranne forse cantare, comporre e poche altre cose.
«Stasera grande festa, quindi?»
Le parole della mora la riportarono alla realtà e si batté il palmo della mano sulla fronte, inveendo contro se stessa.
«Devo mandare un sms a Christ per fargli gli auguri!» esclamò, recuperando il cellulare dalla camera da letto e scrivendo un messaggino veloce all’altro festeggiato del giorno, che avrebbe incontrato la sera stessa a casa Baker per una festa coi fiocchi. Zacky infatti si era fatto prestare la villetta dei suoi, sulla spiaggia, appositamente per quell’occasione e lo stesso chitarrista l’aveva minacciata di morte se fosse mancata all’appuntamento con l’alcol.
«Mi sa che ci tocca!» disse poi con un sorriso divertito in direzione dell’amica. Zack non avrebbe perdonato la loro assenza all’evento stratosferico che si stava impegnando di organizzare. Suonarono nuovamente alla porta e la festeggiata aprì con un sorriso, trovandosi dinanzi la chioma verde brillante della sua bassista, seminascosta da un pacco un più voluminoso di quello che le aveva portato la sua chitarrista qualche minuto prima.
«Auguri Meg!» squittì, depositandole il nuovo regalo tra le braccia. Noelle entrò senza farsi troppi problemi, salutando allegra l’altra componente della band e dandole un abbraccio. La rossa si sedette sulla sua poltrona preferita per togliere di mezzo la carta blu costellata di stelline argentate che avvolgevano il secondo dono della giornata.
«Cazzo Nel. Tu sei pazza.»
«Sì, ma è sia da parte mia che di Alex.» rispose tranquilla l’amica, sorridendole, mentre lei con espressione ebete fissava la custodia del violino elettrico che le due bandmate le avevano regalato.
«Allora voi siete pazze, completamente!» rise, abbracciandola per ringraziarla di quel meraviglioso presente, che mai si sarebbe attesa di ricevere ma che già da parecchio tempo desiderava quasi allo stremo. Lo tolse dalla custodia, fissandolo con amore, come se fosse un bambino appena nato da trattare con la massima cura. Era a forma di S, rosso, decisamente nel suo stile, se n’era innamorata la prima volta che l’aveva visto nell’esposizione del loro negozio di musica preferito, e Nel conoscendola aveva subito capito quanto l’avesse intrigata quello strumento che ora pizzicava dolcemente, con l’espressione più felice ed estatica dell’universo.
«Siete i miei angeli personali.» esclamò accogliendo le due amiche in un unico abbraccio. Le altre risero, mentre si stringevano in quello scambio di effusioni non raro per quanto le riguardava. Non era strano che Meg elargisse baci e abbracci alle persone cui era affezionata, era tipico del suo carattere e ormai sia Noelle che Layla ci si erano abituate.
«Forse è il caso di andare a pranzo fuori, no? Per festeggiare con un bel panino direttamente dal fast food!» fu l’insana proposta di Nel, che con la sua vistosa chioma verde si era alzata in piedi, trascinandosi dietro le altre due.
«Okay, okay, andiamo!» rise Meg per poi prendere le chiavi di casa e farsi trascinare fuori dalla bassista scalmanata.

*

Non si aspettava certo nulla di fastoso e troppo elegante, era vestita come al solito, indossava semplicemente un paio di pantaloni neri aderenti, una camicetta e un gilet di jeans, nulla di particolarmente impegnativo, visto la serata che si aspettava di trovare. Invece quando entrò in casa Baker ebbe un leggero tuffo al cuore nel vedere le donne che costellavano la sala da pranzo adibita a sala da ballo, tutte abbigliate a festa. I ragazzi erano vestiti in maniera sobria e qua e là c’era qualche maglietta di band musicali, ma la maggior parte indossava camicie e cose simili. Diede un’occhiata intorno per riconoscere qualche viso noto, ma non vide proprio nessuno che le risultasse familiare. Dove diavolo era capitata? Abbassò lo sguardo al pavimento, pensando di fare dietro front e darsela a gambe levate. Intorno non vedeva nessuno dei ragazzi, né Valary, né Gena. Che avesse sbagliato indirizzo, forse? Fece per uscire dalla porta quando sentì una voce nota urlare il suo nome. Voltandosi vide Matt, a braccetto di una splendida Val, e camminavano nella sua direzione.
«Siete stupendi.» disse Meg fissando l’abitino della gemella, corto e blu, abbinato a delle decolté di un colore più scuro, tendente al nero. Era stupenda, così come lo era suo marito con una camicia bianca arrotolata fino ai gomiti e un cappellino calcato in testa, mancavano soltanto i suoi soliti occhiali da sole. Forse Val gli aveva vietato di inforcarli, visto il calibro dell’evento, e l’unica scema che era vestita come fosse una giornata qualunque era lei. Le venne l’impulsivo desiderio di sprofondare, finire sottoterra visto l’enorme imbarazzo che provava in quel momento.
«Auguri!» esclamarono i due sposini, abbracciandola uno alla volta. Di lì a poco venne travolta da un ciclone che per poco non la fece cadere per terra. Un Johnny a dir poco ubriaco le si era scagliato addosso per stringerla e augurarle un buon compleanno con la cadenza più strascicata del mondo, come se facesse fatica a tirare fuori ogni singola parola e gliele stessero cavando di bocca con le pinze. Lei ricambiò gli auguri, per poi strisciare via dall’abbraccio odoroso di alcol che il ragazzo stava cercando di prolungare accasciandosi addosso a lei. Decise che gli avrebbe dato in seguito il suo regalo, quando e se fosse stato leggermente più cosciente della sua persona. D’un tratto percepì uno sguardo fisso sulla sua nuca e si voltò, trovandosi dinanzi ai meravigliosi occhi di Zackary James Baker in tutto il suo splendore, camicia bianca, panciotto nero, papillon rosso e jeans scuri. La fissò con aria contrariata qualche attimo e lei arrossì vistosamente, per poi essere trascinata via dal moretto senza che le dicesse una parola.
«Posso sapere dove mi stai portando?» gracchiò, inciampando nei suoi stessi piedi, mentre con elevata irruenza Zacky la sospinse verso una porta aperta e gliela chiuse alle spalle. All’interno vi era una camera da letto, gigantesca, probabilmente quella dei genitori del ragazzo, e seduta davanti a un’immensa specchiera c’era Gena, con le caviglie e le braccia incrociate al petto, un abito verde, legato dietro al collo, con mille strati di gonne svolazzanti le fasciava il corpo, mentre teneva in mano un pettine e le sorrideva amabilmente.
«Scusalo, Zack è proprio uno scemo.» disse con un’espressione dolcissima sul viso, che le appariva in volto solo e soltanto quando parlava del suo ragazzo e, a volte, del suo lavoro.
«Buon ventiseiesimo compleanno Meg.» affermò poi, stringendola appena e baciandole una guancia.
«Grazie.» mormorò, mentre la ragazza la faceva accomodare sul letto a due piazze e apriva una cabina armadio dalle dimensioni spropositate.
«Volevo farti un regalo che fosse qualcosa di utile e non conoscendo ancora bene i tuoi gusti ho pensato che forse la mia esperienza lavorativa sarebbe stata piuttosto utile.»
Le pose davanti alcuni vestiti, forse alcuni un po’ troppo osé per i suoi gusti, ma tutti di meravigliosa fattura.
«Cosa devo fare?» chiese la rossa, con una nota di incertezza nella voce. L’altra rise, dicendole di scegliere uno di quei vestiti per la serata. Fece un’altra espressione spaesata, per poi decidere di cominciare a provarsene un paio. Se quello era il suo regalo di compleanno tanto valeva goderselo.
Dopo una mezz’ora di prove varie indossava un abito rosso, semplice ed elegante, un tubino che chissà come si adattava perfettamente alle sue forme. Era seduta sul letto mentre Gena, con delicatezza, le accomodava i capelli rossi in un’acconciatura semplice, con alcune ciocche che le scivolavano ai lati del viso, dopo averla truccata, con un velo di mascara e eye-liner. Secondo lei non c’era bisogno di nient’altro. Le aveva fatto poi infilare un paio di francesine col tacco nere, semplici e al contempo eleganti e finalmente erano uscite dalla stanza, per gettarsi a capofitto nella festa. Intanto le cose erano leggermente degenerate, probabilmente a causa dell’alcol che veniva servito abbondantemente nella sala dove la maggior parte degli invitati era riunita. C’erano un paio di ragazze che, tolti i tacchi, ballavano sui tavoli, e con loro c’era Johnny in tutta la sua ubriachezza, che si dimenava come un indemoniato, sembrava giusto posseduto da una qualche strana entità che lo portava a muoversi come un pazzo.  Meg rise a quella vista, mentre invece un bicchiere veniva fatto precipitare dal cubo improvvisato. Una voce la fece voltare e si ritrovò dinanzi a Brian Haner Jr in tutto il suo splendore, con i pantaloni neri, una camicia blu notte e un bel sorriso sincero sulle labbra. Per qualche attimo Meg nuotò nei suoi occhi intensissimi, in quel caldo mare di cioccolato fuso. Gli sorrise a sua volta, mentre lui l’abbracciava augurandole un buon compleanno. Della sua dolce metà non c’era traccia e ciò rendeva il cuore della rossa decisamente più leggero. Le fece fare una giravolta su se stessa, osservando l’abito che aveva indosso, per poi non lasciarle la mano e trascinarla in mezzo alla gente che si dimenava a ritmo di musica, nel centro del salotto di casa Baker. Si lasciò portare da quelle mani grandi e calde, che le avvolsero la vita dolcemente. Poteva apparire strano ma Brian se la cavava egregiamente in quanto ballo e lei non aspettava altro che lasciarsi condurre in qualche danza concitata, anche se probabilmente di lì a poco i piedi le avrebbero fatto male per via dei tacchi alti. Era persa nella melodia e negli occhi scuri del ragazzo di fronte a lei, così non si accorse subito di come la gente intorno a loro aveva fatto spazio. La musica era improvvisamente cambiata, la voce graffiante di Matt aveva iniziato a intonare un coro di buon compleanno, seguito da tutta la sala. Brian la lasciò andare, mentre Johnny arrivò al suo fianco, un po’ meno ubriaco ma sempre molto allegro. Le luci nella sala si abbassarono e una torta gigantesca venne portata da Zack e Arin, che sorridevano allegri ai due festeggiati. Sulla glassa si potevano contare cinquantatré candeline, la somma delle loro età.
«Dobbiamo spegnerle tutte?» rise Meg, guardando Johnny prendere aria nei polmoni. Zack sorrise e annuì, poggiando poi lo statuario dolce sul pavimento. La rossa si affiancò allo gnomo, che già aveva iniziato a soffiare. Riuscirono a spegnere quel tripudio di fiammelle in una decina di minuti, dovendosi ogni tanto fermare per prendere fiato, ridendo ripetutamente per le facce buffe che facevano mentre si sforzavano di estrarre più aria possibile dai polmoni. Quando finalmente Meg spense con due dita anche l’ultima candela, la torta venne riportata in cucina, dove venne tagliata una fetta per tutti i presenti. Soltanto Meg e Johnny ricevettero subito la loro porzione, presa con le loro stesse mani. La ragazza ne aveva afferrato un pezzetto, infilandolo in bocca a Johnny con la forza, e lo stesso aveva fatto lui poco dopo, impiastricciandole tutto il viso di panna montata e pezzetti di bignè. Gena non ne fu proprio contenta visto che la festeggiata sarebbe dovuta essere impeccabile, Meg però le fece passare la voglia di rimproverarli quando le passò un braccio intorno alle spalle e strisciò la sua guancia imbrattata contro quella della biondina, che si ritrovò a sua volta appiccicosa a causa del dolce. A primo acchito avrebbe voluto mettersi a urlare, decidendo poi di lasciar perdere, visto che tanto prendersela con Meg era una battaglia persa: avrebbe trovato il modo per ribaltare il discorso e farla scoppiare a ridere dimenticando il motivo per cui era alterata. Sorrise poi e si passò una mano sulla faccia, leccando via la buonissima glassa, scoppiando a ridere nel vedere l’espressione esterrefatta dell’amica e del suo ragazzo, che frattanto era tornato dalla cucina con un’invitante fetta di dolce tra le mani.
«Perché mi guardate così?» aveva cinguettato, per poi rubare il piatto a Zacky e allontanarsi in mezzo alla folla.
«La stai trasformando in un mostro!» esclamò il moretto nel vedere la sua donna ancheggiar via sui tacchi alti. Meg gli aveva scoccato un’occhiata in tralice, per poi dargli un “affettuoso” pugno nello stomaco che lo aveva fatto piegare in due.
«In realtà ti piace la versione di lei più spigliata, dì la verità!» rispose la rossa con un ghigno soddisfatto. Zacky fu costretto a sbuffare e spostare lo sguardo, guardando altrove con aria di ostentata indifferenza. Nonostante non volesse ammetterlo Megghie aveva perfettamente ragione, lui letteralmente andava in visibilio per la parte un po’ più sbarazzina di Gena e stranamente quella parte di lei emergeva più spesso quand’era in compagnia di quella schizzata della rossa, che in quel momento lo stava punzecchiando con un dito per fargli volgere lo sguardo nella sua direzione.
«Piantala, piattola.» asserì, bloccandole il polso con cui continuava ad infastidirlo. Meg aveva riso e Zacky l’aveva attirata in un abbraccio che per lui era il suo modo di augurarle un buon compleanno. Erano stati un poco stretti l’una all’altro, con i pensieri rivolti chissà dove.
«E adesso andiamo a bere per festeggiare!» ululò il ragazzo prendendola per il braccio e trascinandola verso la cucina, dove Lacey tratteneva Johnny dal bere ancora e rideva della sua cadenza strascicata.
«Meeeeg.» aveva mormorato scorgendola a braccetto con Zack. «Beviamo una volta i…insieme!» aveva concluso, prendendo due bicchierini di tequila e dandone uno in mano alla donna, che in preda alla risa, aveva fatto tintinnare il bicchiere contro quello di Johnny e buttando giù in un solo sorso il liquido trasparente, che le aveva bruciato la gola e le papille gustative.
«Cheers.» aveva sussurrato Zacky, dandole un bacio sulla fronte e dileguandosi in fretta e furia. Ora erano solo lei, Johnny e l’alcol. Potevano cominciare a festeggiare.

*

Yo people:
Ecco finalmente questo faticato 7° capitolo. Ci ho impiegato parecchie energie quindi spero vivamente che possa piacervi. Non penso di aver molto da dire al riguardo, ovviamente la festa non finisce qua! Penso infatti di continuare per almeno un altro capitolo. Grazie a chi ha recensito e chi legge, continuo a fare questa schifezza grazie a voi.
Devo ringraziare Keiko per avermi dato la forza di finire questo capitolo, nonostante la mia determinazione a scrivere fosse sotto i tacchi, grazie al suo messaggio ho ben pensato di sfornare questo obrobrio.Non credevo di arrivare a scrivere 7 capitoli, sono tantissimi. Grazie anche a Res, che nonostante tutto mi incoraggia ancora (scusa l'estremo ritardo)♥


  
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