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Autore: laty92    21/10/2011    0 recensioni
La storia narra di come una professoressa abbia cambiato gli alunni di una classe, ritenuta fino a quel momento la peggiore, attraverso loro stessi e le loro canzoni.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I.
 
La professoressa Miller veniva dalla Germania, ma di questo poco ci importa, perché non è il luogo di provenienza a fare una persona, bensì l’educatore che ha al suo fianco. Aveva un accento strano, per i ragazzi ribelli della terza C, in cui ogni professore aveva voluto declinare l’offerta di insegnare. E così la scompensa era toccata a Severa Miller, molto lieta, invece, di voler insegnare in quella classe. I professori, così come tutti i ragazzi, la guardavano ironici e diffidenti, ma Severa, sempre armonica, ogni giorno entrava ed usciva dalla terza C con il sorriso sulle labbra. Il primo giorno di lezione, Severa si era presentata alla terza C, che la aveva accolta con fischi e palline di carta lanciate in aria e contro di lei; lei intercettava le palline che le venivano lanciate e le accumulava sulla cattedra. Quando ne ebbe accumulate abbastanza, le prese e le lanciò contro i suoi alunni, che rimasero increduli; allora, il silenzio piombò in classe. Dunque Severa disse, con un sorriso sulle labbra, soddisfatta : << Bene, adesso posso presentarmi? >> I ragazzi scoppiarono all’unisono a ridere e Severa appresso a loro e le sembrò di camminare nella direzione giusta, di aver ingranato la giusta marcia per instaurare quel rapporto che voleva con loro. Infatti, il suo istinto aveva, come sempre, ragione: si riuscì a presentare e fece fare una piccola presentazione ai ragazzi, dopodiché intese esplicare il programma di italiano :
<<  Un anno, fino a prova contraria, escluse le teorie del calendario gregoriano, è formato da trecentosessantacinque giorni; io voglio che ognuno di voi scriva un tema al giorno. >>  Prontamente una ragazza, dalla terza fila rispose : << Ma signorina Miller, come possiamo noi scriverle trecentosessantacinque temi per alunno, se comunque non sono trecentosessantacinque i giorni in cui la scuola dura e se comunque con lei abbiamo solo sette ore alla settimana, non tutti i giorni? >> Alla quale la professoressa rispose : << Cara ragazza, di cui scordato ho già il tuo nome… >> e qui ci fu una risata, perché parlava in stile boccaccesco ( ma era quello che Severa voleva ottenere : lei voleva che l’imprinting dei ragazzi della terza C con lei fosse assolutamente positivo ) <<… a questa domanda non voglio risponderti, se non così : Noterai tu stessa, se il mio piano malefico funziona… >> anche qui ci fu una risata e un applauso collettivo <<… che scriverai e scriverete trecentossessantacinque temi. >> Poi si rivolse alla classe e disse : << Bene, io per oggi ho concluso, fate quello che volete, però prima scrivete sul diario la traccia per domani… >> si levò allora un fruscio generale di quaderni sfogliati, zaini aperti e diari cacciati <<… “Scegliete una canzone e scrivete tutto ciò che vi suscita, facendo riferimento magari a particolari momenti della vostra vita o altro” >>. I ragazzi rimasero chi attoniti, chi indifferenti, chi elettrizzati. In ciascuno di questi tre casi, Severa Miller aveva centrato il suo obiettivo.
 
Il secondo giorno di lezione, Severa Miller entrò nella terza C, alcuni dei cui alunni già trepidanti aspettavano che la professoressa li chiamasse per leggere i propri temi.
Il primo tema che fu letto, fu quello di Sara Jones, la ragazza che era intervenuta la prima volta per chiedere come si potessero scrivere i trecentosessantacinque temi in poco tempo. Sara Jones fu la prediletta di Severa Miller, da quel giorno, perché si aprì al primo momento con lei e si instaurò quel rapporto di madre-figlia che Sara avrebbe tanto voluto avere con la sua, ma invano. Lesse :
 
<< Giorno primo.  Ho scelto alcuni pezzi della canzone “Forgotten Children” dei Tokio Hotel…>>
 
Severa Miller ben conosceva i Tokio Hotel, essendo lei tedesca come loro. Ma tacque finché Sara non avesse finito di leggere, le sorrise solamente ed ad entrambe si illuminarono gli occhi, scattò quel peeling ed entrambe se ne accorsero, ma tacquero.
 
<< “Lost and so alone
[…]
forgotten children.
[…]
They see,
they feel,
believe.”
 
E’ come mi sento ogni giorno, persa ( lost ) e così sola ( so alone ), una bambina dimenticata, come tanti. ( forgotten children ). La canzone dice che loro vedono, loro sentono. Io anche vedo e sento tutte le urla a casa e i gesti e le espressioni dei miei genitori che litigano, io anche vedo tutte le coppie che si baciano per strada e sento un profondo schifo, ma non so perché. Forse perché ho paura che non potrò mai essere come loro, forse perché ho paura che nessuno mi voglia. Non so quanto lungo debba essere questo tema, spero che non lo giudichiate negativamente solo perché è di una pagina, ma credo che, come si dice al mio paese, “nella botte piccola c’è il vino buono” e dunque credo di aver detto tutto quello che volevo dire… e in molti anni della mia vita. >>
 
La reazione in classe fu un vero boom per Sara e per i compagni; loro non avevano mai visto Sara in queste vesti : Sara era sempre il giullare di turno che faceva divertire tutti, Sara era quella che giocava a calcio quando mancava un maschio in classe, Sara era quella che faceva copiare le versioni di latino quando tutti si scocciavano a farle. La CONDIZIONE ESSENZIALE per non essere Sara era che non essere sentimentale! E Sara ora si era aperta così tanto ad una professoressa… ma anche ai suoi compagni. Com’era possibile? Perché Sara si era aperta anche a loro dopo tutto questo tempo, perché ora? Probabilmente perché aveva la giusta protezione che cercava ( la professoressa Miller ), probabilmente perché quella di Sara – i suoi atteggiamenti da giusta ragazza integrata in classe - era solo una maschera : lei non era integrata per nulla. E il tema lo dimostrava. Come si suol dire : verba volant, scripta manent. Si sentiva sola in una classe di trenta persone, sola a casa, sola nel mondo.
Ma credo che Sara non si sarebbe più sentita sola, se ci fosse stata sempre Severa Miller al suo fianco.
La professoressa Miller reagì proprio come Sara voleva reagisse e proprio come Sara si aspettava : le sorrise e disse : << Ho l’impressione che stai cominciando a capire cosa volevo dire, quando ti ho detto che avresti scritto trecentosessantacinque temi anche se il tempo non lo consentiva. >> Sara annuì e passò il suo testimone a Jonathan.
 
<< Io ho scelto una canzone di Vasco Rossi. >>
 
La classe levò un sospiro generale, spazientito, perché Vasco Rossi era il suo cantante preferito e ne parlava sempre. Jonathan sorrise a tutti loro e lesse :
 
<<  Giorno primo.
“Sally ha patito troppo,
Sally è già stata punita per ogni sua distrazione, per ogni sua debolezza, PER OGNI CANDIDA CAREZZA. >>
 
Allora si rivolse ai compagni e poi alla professoressa, solo per un attimo e disse loro, leggendo :
 
<<Tutti voi non sapete perché ho scelto questa canzone, né perché Vasco Rossi sia il mio cantante preferito. Né sapete che io ho avuto una sorella. >>
 
Sicché tutti, increduli, spalancarono la bocca e lo fissarono, ansiosi di sapere il seguito; per loro questo era il secondo tema che gli provocava un’emozione ignota, in tutta la loro vita. La professoressa Miller era soddisfatta, perché stava avvenendo quello che voleva e così Jonathan continuò :
<<Si chiamava Sally, appunto, come questa canzone, la mia canzone. È morta un paio di anni fa, per mano dei miei genitori. Come dicono le frasi che ho riportato, fu punita. Non me la sento di approfondire ulteriormente, chiedo a tutti scusa. Mattew, Andreas, è per questo che non ho mai voluto raccontarvi la storia della mia vita, arrivato in primo liceo. Dallas, Lucas, è per questo che non ho mai voluto portarvi a casa mia. La verità è che non ho una casa, che sto in un centro per ragazzi abbandonati e da riabilitare psicologicamente. E che non ho genitori, o meglio non li considero più da quando uccisero mia sorella, dopo averla violentata. ( PER OGNI CANDIDA CAREZZA ) Penso di essermi reso conto che ho approfondito, nonostante avessi scritto di non volerlo fare. Mi rendo altresì conto che ho scritto un tema in cui mi sono sfogato, in cui mi sono rivelato e ho rivelato a voi tutti il dolore che ho accumulato in questi tre anni e che mi volevano e vogliono tutt’ora tirar fuori gli psicologi del centro in cui sto. Non sono mai venuto ad un vostro compleanno perché non avevo soldi per comprarvi un regalo, nonostante il centro me li desse per ogni mia necessità. Allora forse penso che è una scusa e che non sono mai venuto perché avevo paura di sentirmi un pesce fuor d’acqua, perché ho sempre voluto festeggiarlo anch’io, un compleanno. Con Sally. Tra un anno farò diciotto anni e so che si usa fare una festa. Con tutti i parenti e con tutti gli amici. Io non farò nessuna festa, anche se vorrei da matti. Perché non c’è Sally, perché mi manca Sally. Scusate tutti.
 
Sally, fuori piove.
Senti che bel rumore.
…Ti amo, sorellina mia.>>
 
Scoppiò a piangere, tutti lo applaudirono increduli e commossi, ma lui non si voltò e scappò fuori. Severa Miller era anche lei commossa e disse alla classe di aspettarla un momento, giusto il tempo di parlare con Jonathan e farlo rientrare in classe. Loro acconsentirono obbedienti e, quando la professoressa uscì fuori, non fecero altro che guardarsi. Si sentivano solo colpevoli, colpevoli di non aver mai fatto una festa a sorpresa a Jonathan, colpevoli di non averlo capito e di non aver mai indagato ulteriormente su di lui. Mattew e Andreas, Dallas e Lucas in particolare, nominati nel tema, suoi amici più stretti. Severa Miller, nel frattempo, uscì fuori e trovò Jonathan alla soglia del bagno. Quando la vide arrivare la guardò negli occhi, lei ricambiò lo sguardo. E con la massima delicatezza poi disse : << Vuoi stare un po’ fuori? >> A Jonathan questo inizialmente fece rabbia, perché non era un ragazzino, lui era forte, lui era il maschio. Ma poi ci ripensò, perché la professoressa era voluta essere solo un po’ gentile. Probabilmente gli mancava la figura materna. Un po’ come Sara, un po’ come Sally. Le rispose : << Grazie. Per i temi. Ne avevo bisogno. >> Severa Miller capì e non rispose, se non con un sorriso. Tornarono allora in classe, dove furono accolti con il classico silenzio dell’ansia, dell’ansia di sapere qualcosa, che non arrivò. Si passò allora al terzo tema, con un po’ di delusione perché avrebbero voluto sapere. La classica curiositas. E fu il turno di Mattew, che si sentì un po’ scontato con il suo tema, ma il suo ruolo fu davvero opportuno, dopo Jonathan. Tutto avviene per un motivo, ed era stato scritto che Mattew restituisse l’allegria persa con il tema di Jonathan e riportasse tutto alla normalità, come se niente fosse accaduto, come se tutto dovesse ancora accadere. Lesse :
 
<< Giorno primo. Mi chiamo Mattew Bark e vengo da Bolognaaaaaaaa…>>
 
Tutti abbassarono la testa imbarazzati, ma vedendo che Jonathan per primo sorrideva, pian piano iniziarono a ridere anche loro.
 
<< …Ma cosa c’entra questo con le canzoni, vi chiederete. In realtà nulla, o tutto! Come dice la matematica! Bene, vengo da Bologna, dicevo, e dunque l’Italia, l’Italy! Come non citare il famoso RENATO ZERO?!?
“Matti, siamo tutti matti!
 Fuori ogni misura,
fragili ed inetti,
 regalaci un computer se non vuoi vedeci tristi!“
Mamma, papà, questo tema è per voi, si avvicina il Natale e voglio un computer! Me lo regalate, per favore??? Professoressa, scusate, ma mi usciva solo questo. >>
 
Come precedentemente detto, tutti risero, compresa la Miller, che però dovette esercitare il ruolo di professoressa, dicendo : << Troppo corto. Però comico. Bravo Bark, aspettiamo con ansia la prossima puntata. >>  Risero ancora. E fu il turno di Jeanne Delacroix, che introdusse al tema così :
 
<< Le prime due righe possono sembrare un’introduzione a un tema politico, che sarebbe il caso di trattare, visto il riferimento di Mattew all’Italia, ma il mio genere, come sapete, è tutt’altro. Sono una romanticona francese e rimarrò tale fino alla morte. Ho scelto una canzone in francese, ovviamente, anche se il gruppo non lo è. Placebo, chi li conosce? >>
Tutti alzarono gli occhi al cielo e poi la lasciarono leggere :
 
<<Giorno primo.
“ C’est le malaise du moment,
l’épidemie qui s’étend,
la féte est finie on descend,
les pensées qui glacent la raison…
[…]
Protège moi, je te désire.”
Ho sempre sognato, con questa canzone; sognato una persona che mi proteggesse, molto probabilmente il mio amore, come dice l’ultima frase che ho riportato. Ma ho paura sia solo una cosa del momento ( le malaise du moment ) e che l’amore mi annebbi la mente ( l’épidemie qui s’etiend ), dunque mi dico che la fete est finie on dessant e torno alla realtà. >>
 
Non suscitò nulla, questo tema e la cosa fu molto strana, per Jeanne, che si era impegnata. Ma la Miller, che – come sempre – lo aveva notato, le disse : << Bene, Jeanne. Molto bene. Siamo sulla buona strada per aprirsi un po’ di più. Sappi che non sempre la razionalità è la cosa giusta da adottare. Si deve sempre osare, un po’. Non aver paura a sognare. Non essere spaventata in generale, perché come ho sentito dal tuo tema, sei una ragazza con i piedi per terra, distingui il bene dal male, quindi sono convinta che se ti trovassi in una situazione sgradevole ce la faresti a tornare indietro. Confida in te e nelle tue capacità. >> Jeanne Delacroix si sentì realizzata e rassicurata : erano proprio le parole che voleva sentire. Così ringraziò la professoressa e tornò al posto.
 
Erano già passati quaranta minuti, mancavano ancora tanti temi, ma per fortuna c’erano molte persone assenti ( LE ASSENZE STRATEGICHE, fatte per evitarsi il tema! ) ed era martedì, il giorno in cui avevano due ore, quindi oggi ce l’avrebbero fatta a legere tutti i restanti temi. La Miller decise con la classe che il giorno di lettura temi sarebbe stato sempre il martedì, giorno di due ore, e il giovedì, giorno da tre. Gli alunni appuntarono tutto e toccò a Lucas, leggere. Lucas e Dallas erano gemelli e Lucas si giustificò per suo fratello dicendo che avevano fatto un unico tema. La professoressa non approvò minimamente ed ordinò a Dallas di scrivere per la prossima volta anche il tema di oggi. Lui con un grugnito annuì e tirò un pugno al muro. Era sempre scontroso. Forse per questo era stato accettato nella squadra di football. Lucas era il contrario. Quello più sentimentale, più gentile, più fine. Dunque lesse :
 
<< Giorno primo. Questo tema vale per me e mio fratello Dallas, che si contorce sulla sedia mentre mi detta quello che devo scrivere. >>
 
Dallas a quel punto disse che non c’era bisogno di leggere tutta questa finzione e che avrebbe fatto meglio anche Lucas a portare due temi per giovedì, dato che non era spontaneo, essendo in comune ad entrambi. La Miller ritenne saggia l’affermazione di Dallas e disse a Lucas di non leggere più, per cui toccò ad Andreas, il rockettaro di classe, che ovviamente scelse una canzone dei Metallica.
 
<< Giorno primo.
 
“Give me fuel,
give me fire,
give me that what I desire.”
 
Forse tutti vi siete chiesti il perchè io ascoltassi sempre i Metallica e perchè vestissi di nero e a maniche lunghe anche d’estate. Mi avete spesso preso in giro, credevate che lo facessi perché volevo essere alternativo. La verità è che si fanno alcune cose perché si è costretti, o semplicemente perché ci si ritrova in esse. Io ascolto i Metallica perché mi sono ritrovato per la prima volta nella canzone che ho citato, Fuel, e vesto a maniche lunghe anche d’estate e di nero perché sono costretto. Il nero è l’unico colore che non fa trasparire nulla, il colore che occulta. Non a caso è stato scelto come simbolo di qualcosa di oscuro da tante generazioni di uomini. Bene, io non sono un satanista; spesso si associa il rock al cattivo, l’occulto a Satana, i Metallica specialmente. Io semplicemente vesto di nero e a maniche lunghe perché ho il corpo ustionato in seguito a un incidente che subii da piccolo. Giocavo a casa di un mio amico a fare i cavalieri, ero un perfetto bambino con un pantaloncino e una maglietta a maniche corta sportiva ( lo so, vi riesce difficile immaginarlo, mi avete sempre visto così. ) Era sera, eravamo in cortile e la mamma di questo mio amico stava preparando una grigliata. Il padre di questo mio amico, tornato ubriaco da lavoro, mi versò la birra addosso e mi spinse. Io caddi sulla griglia e il fuoco prese subito, con la birra. Immediatamente chiamarono un’ambulanza, finii in ospedale. Sono guarito, ma il segno delle ustioni è rimasto. E così, da allora ( mi sembrava la soluzione migliore ) porto sempre abiti scuri e lunghi, perché non voglio si vedano le ustioni che ho. >>
 
Si levò un brusio generale, alcuni bisbigliavano tra loro e pensavano che Andreas si fosse inventato tutto solo per farsi notare, ancora una volta. Continuò :
 
<< Ma andiamo ai Metallica. Quando per la prima volta sentii James cantare : “Dammi benzina, dammi fuoco, dammi quello che desidero” fui inizialmente pervaso dalla rabbia, perché ripensai al mio incidente, ma poi mi calmai e da lì approfondii tutti i testi di tutte le canzoni e rimasi legato a quel gruppo. Fine.>>
 
La professoressa Miller lo lodò molto e si dimostrò comprensiva e delicata per il tema che il ragazzo aveva toccato e poi passò la parola ad Elizabeth, la quale, con una certa timidezza lesse :
 
<<Giorno primo.
 
E vieni a casa mia, quando vuoi; dormi qui e te ne vai,
tanto sai che quassù male che ti vada avrai tutta me, per una notte.
[…]
E cresce sempre più la solitudine.
[…]
La notte a casa mia sono tua, sono mille volte tua.
[…]
Troppo cara la felicità per la mia ingenuità.
 ( Minuetto – Mia Martini )
 
Mia Martini è una delle più famose cantanti italiane ed a me piace, anche se non sono italiana. Questa canzone mi ha colpito molto, perché mi ricorda la mia storia con una persona. Dicevo sempre sì a tutto ( “Tanto sai che quassù male che ti vada avrai tutta me” ). E mi sentivo e mi sento tutt’ora sola, perché anche se è finita, non riesco a riprendermi. E’ così che, come ho scritto, “ la notte a casa mia sono tua, sono mille volte tua”. Nel senso che mi manca ancora, questa persona, la sogno ancora, questa persona. Sogno che sono sempre sua. Non so più che scrivere, chiedo scusa, professoressa. Queste sono le cose che mi ha ricordato questa canzone.
 
La Miller le sorrise e Sara Jones guardò la compagna con odio, gelosa perché quello stesso sorriso lo aveva fatto a lei diversi temi prima. Era già il secondo giorno che la Miller insegnava in quella classe e Sara si stava legando a lei. Questo non andava bene.
Ma la verità è che quando c’è carenza d’affetto, tutto sembra andar bene, per una ragazza.
Fu il turno di Joe, allora, che lesse :
 
<< Giorno primo.
Sono inglese, ma una volta ho sentito il cantante italiano Luciano Ligabue venire qui a Londra. Mi è piaciuto molto e da allora ho sempre seguito le sue canzoni. Ho provato ad imparare l’italiano, ma la grammatica è molto difficile, quindi preferisco tradurre i testi in inglese. La mia canzone preferita è “Walter il mago”. Il pezzo che preferisco, tuttavia, fa così :
 
“ Con il suo cane per pubblico,
per una magia così, dice, val la pena vivere.”
 
La traccia che ci ha assegnato, professoressa, diceva di scrivere quello che la canzone ci suscitava. A me questa canzone suscita molta solitudine. Immaginate tutti un mago che fa dei trucchi ripetuti più volte a un pubblico fisso, che finge ogni volta di esser stupito solo per pietà del loro vecchio amico mago. Ma poi succede una magia bellissima, a casa del mago, con il suo cane per pubblico. A me questo fa pensare al mio cane ed a quanto mi sento triste, al mio cane che amo più di ogni altra cosa al mondo e che mi tiene compagnia in casa quando sono sola, o e soprattutto quando sono in compagnia, ma è come se fossi sola. Con il mio cane io dialogo; può sembrare un tema per bambini e mi scuso, ma davvero per me il mio cane è come una sorella e come una figlia : non mi abbandona mai e condivido con lui davvero tutto. Come dice Ligabue, per una magia così val la pena vivere.
 
La professoressa Miller, allora, fece una cosa da tutti inaspettata; forse dopo aver sentito il tema di Jonathan, forse dopo la reazione di Sara, forse dopo la tenerezza provata per Joe: ordinò loro di consegnarle i propri temi, per un’analisi. Di che genere di analisi si trattasse, nessuno lo sapeva né lo seppe mai. Alcuni sostengono ancora oggi che Sara Jones fosse in contatto con la Miller, dato che sapeva tutte le mosse che da quel giorno avrebbe fatto la professoressa Miller; e quindi sostengono che Sara fosse a conoscenza dell’analisi. Ma la verità era che Sara “indovinava” tutto ( e dunque aveva intuito anche di che genere di analisi si trattasse ) perché era la stessa cosa che avrebbe fatto lei. L’analisi che lei avrebbe fatto sarebbe stata questa : vedere le parole marcate, in maiuscolo, il corsivo, il sottolineato; tutto al fine di un’analisi psicologica, di capire cos’era che più turbava i ragazzi in quel momento. E così che Sara, ovviamente, scrisse ogni volta in modo più accurato. Lei voleva farsi notare dalla Miller; e la Miller voleva starle accanto e guidarla verso una crescita. L’ora era suonata e la professoressa assegnò il prossimo tema per giovedì  ( l’identica traccia per oggi, con l’unica eccezione di mantenersi sempre sugli stessi artisti e cambiare canzone ) ,poi si congedò con una proposta : << Che ne dite se pubblicassi i vostri temi in un libro? >> Alla quale proposta i ragazzi all’unisono acconsentirono, eccetto Jonathan, che propose di cambiare i nomi dei protagonisti. Era ovvio che la professoressa intendesse farlo, tuttavia disse a Jonathan di aspettarlo nella sala professori perché voleva parlargli. Jonathan obbedì e, giunti entrambi in sala professori, la Miller disse : << Jonathan, volevo farlo senza il tuo consenso, ma mi rendo conto che è opportuno il contrario. Vorresti che io portassi al tuo centro il tuo tema? >> Jonathan ci riflesse a lungo e convenne con la professoressa che era forse la cosa giusta da fare, se voleva davvero superare quel trauma. Precisò però che lui voleva solo sfogare il dolore, ma non dimenticare l’unico amore della sua vita : sua sorella Sally.
   
 
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